Organizzazione e Partito

 

Maria Isidine

 

Il problema dell'organizzazione delle forze anarchiche è all'ordine del giorno. Molti compagni ne spiegano la ragione col fatto che, durante la Rivoluzione russa, gli anarchici – nonostante il loro ruolo di punta nelle battaglie rivoluzionarie – hanno esercitato alla resa dei conti una debole influenza sull'andamento degli eventi, e questo sarebbe dovuto in gran parte alla mancanza di una solida organizzazione. Per cui essi postulano la creazione di una tale organizzazione, di un partito anarchico, quale requisito primario per affrontare con più profitto le sfide del futuro. La parola "partito" è di per sé controversa; può esistere qualcosa che possa definirsi un "partito" anarchico? Tutto dipende da cosa si punta sulla parola partito.

Il termine "partito" può essere applicato solo ad un insieme di persone che la pensano allo stesso modo, che condividono reciprocamente gli scopi ed i mezzi necessari, anche se privi di legami formali, anche se sconosciuti gli uni agli altri. Più è unitario il loro pensiero, più simili saranno le soluzioni che essi individuano per affrontare i temi specifici che possano sorgere, più indicato diventa quindi il termine "partito" in relazione ad essi. È in questo senso che l'Internazionale [l'Associazione Internazionale degli Operai, o Prima Internazionale] parla di "grande partito dei lavoratori", ed è sempre in questo senso che Kropotkin, Malatesta ed altri militanti del nostro movimento, in particolare della generazione dei padri fondatori, parlano di "partito anarchico". Con questo significato, il "partito anarchico" è sempre stato con noi; inoltre, nel movimento anarchico, abbiamo sempre avuto organizzazioni, anche ben definite, che hanno federato gruppi su base cittadina, regionale o nazionale. Tali federazioni sono sempre state la forma organizzativa più usata dagli anarchici in tutto in mondo.

Da questo punto di vista, né lo schema illustrato nella "Piattaforma" dei nostri compagni russi, né la modalità organizzativa adottata dall'Union Anarchiste nel suo ultimo congresso costituiscono una novità. Ma se c'è una novità è questa: la "Piattaforma" punta ad emendare il carattere essenziale del legame che finora ha tenuto insieme i gruppi anarchici, e a cambiare questo "statuto" implicito che è sempre stato ritenuto senza alcuna controversia qualcosa di evidente di per sé all'interno delle nostre file e che sta alle radici di ogni organizzazione anarchica. Nel loro desiderio di rinsaldare i legami tra i militanti, gli autori della "Piattaforma" propongono di lanciare un nuovo modello di "partito" anarchico secondo linee già esposte da altri partiti, con decisioni vincolate al voto di maggioranza, con un comitato centrale, ecc. Un tale partito dovrebbe, secondo loro, curare la maggior parte dei mali che affliggono il movimento anarchico.

È sorprendente vedere come l'esperienza della Rivoluzione russa, in cui è stata dimostrata in modo evidente l'inappropriatezza della dittatura di partito quale pilota della vita sociale, abbia portato questi compagni a chiedersi non solo quali siano le altre organizzazioni che dovrebbero godere di una posizione di rilievo nel lavoro della rivoluzione, ma li ha anche ispirati nell'aspirazione ad un partito forte e centralizzato. La stessa considerazione vale per i compagni francesi. Sappiamo che l'Union Anarchiste nel suo congresso di Orléans ha adottato una dichiarazione di principi con la quale rompe ogni rapporto con gli anarchici individualisti e proclama una serie di proposizioni sull'anarchismo sociale e sulle campagne per realizzarlo. Nell'ultimo congresso, la dichiarazione di principi è stata adottata quale testo fondamentale dell'Unione. Ma, non contento, il congresso ha creduto bene di adottare uno statuto, ed è qui che la tendenza al centralismo si mostra in tutta evidenza, entrando in contrasto non solo con i principi anarchici in generale, ma anche con il testo precedentemente adottato e giudicato fondamentale.

Già all'inizio, la dichiarazione di Orléans afferma che il principio di autorità è la radice di tutti i mali sociali, che il centralismo ha fallito in modo evidente sia sul piano economico che politico, e che le libere comuni e le federazioni delle libere comuni devono costituire la base della società del futuro; dal canto suo, la comune dovrebbe comprendere semplicemente la gamma delle varie associazioni esistenti in una stessa area. Ogni centralismo, in quanto questione di principio, viene bandito dall'organizzazione sociale, la quale dovrebbe essere abbastanza flessibile per accogliere ciascun individuo all'interno dell'associazione, ed ogni associazione all'interno della federazione in modo di godere della completa libertà. Tutto ciò fa parte del bagaglio accettato da tutti gli anarchici all'unanimità, e, se gli autori della dichiarazione di Orléans hanno ritenuto giusto ribadirlo, lo hanno fatto per scopi propagandistici. Ci si aspettava quindi che lo "statuto" fosse coerente con tali principi. Ma non è stato così. Credendo di creare qualcosa di nuovo, i nostri compagni si sono avventurati su sentieri già percorsi da altri partiti.

Tanto per iniziare, nell'Unione le decisioni vengono prese a maggioranza. Questa questione della maggioranza viene trattata come una sorta di mero dettaglio, un modo pratico per risolvere le cose. Invece si tratta di una questione di capitale importanza, in quanto è inseparabilmente legata con la corretta nozione di una società senza potere. Nella loro critica a tutte le forme di Stato, anche quelle più democratiche, gli anarchici indicano il principio in base al quale le decisioni prese da un gruppo di individui non possono vincolare altri, che non le hanno recepite e che non le condividono – e non ha importanza alcuna se quelle decisioni sono state prese a maggioranza o a minoranza. Non è il caso qui di riprendere tutti gli argomenti contro il principio di maggioranza sostenuti nella letteratura anarchica; tutti i compagni convergono su questo, specialmente coloro che quotidianamente li propagandano per dimostrare il carattere fittizio della rappresentanza popolare in un regime parlamentare. Come è possibile quindi che questo principio, la cui assurdità ed ingiustizia viene invocata quando si tratta della società futura, diventa benefico e giusto se viene applicato nei nostri ambienti? O il principio di maggioranza è sempre prevalente, oppure dovremmo rigettare questa aritmetica della veracità e cercarne un'altra.

Nella loro infatuazione per l'organizzazione, i nostri compagni trascurano il fatto che, anziché rafforzare l'unione, l'annullamento della minoranza procura solo nuove lotte intestine; e le energie, invece di essere utilizzate in modo proficuo, vengono spese per ottenere la maggioranza in un congresso, in una commissione, e così via. È evidente. In queste condizioni, la vita all'interno del partito diventa semplice solo per i militanti della maggioranza del momento. E gli altri sono in difficoltà nella loro azione. Inoltre, la risoluzione del congresso dell'Union Anarchiste afferma questo principio in modo netto, proclamando che pur potendo criticare la risoluzione proposta, la minoranza non dovrebbe impedire la sua applicazione, una volta che venisse approvata. Questo significa che la minoranza si rassegna oppure esce dal partito, e allora, invece di un solo partito, ne abbiamo due, afflitti da un conflitto reciproco maggiore di quello da esprimere rispetto al nemico comune. Un'altra risoluzione approvata dal congresso stabilisce che non è consentita critica esplicita al di fuori dell'organizzazione e che nessuno ha il diritto di usare le pagine di Le Libertaire per criticare le decisioni assunte. Ora, Le Libertaire è l'organo ufficiale dell'Unione, e come tale dovrebbe riflettere le posizioni esistenti al suo interno. Ma se fosse fatto così sarebbe cosa ben diversa rispetto ad un organo edito da un gruppo di compagni perfettamente d'accordo tra loro e che lo usano per propagandare solo le loro idee; questi compagni sono perfettamente abilitati nel non concedere spazio a voci critiche sul loro giornale, dal momento che non pretendono di rappresentare altri al di fuori di se stessi. È così che andavano le cose sulle pagine del vecchio Le Libertaire, di Les Temps Nouveaux e praticamente in tutti i giornali della stampa anarchica. Ma, nel momento in cui un giornale si definisce quale organo dell'Unione delle federazioni anarchiche di tutta la Francia, tutti i militanti dell'Unione sono abilitati a scriverci. Invece, la mozione approvata mostra pienamente che tale accredito viene riconosciuto solo quando riguarda la maggioranza.

Sebbene il movimento anarchico possa essere criticabile per diversi aspetti, occorre ammettere che esso è sempre stato alieno da intrighi congressuali, sofismi elettorali, culto artificiale delle maggioranze, ecc. E ciò è dovuto solamente al principio che finora è stato prevalente nel movimento anarchico, e cioè che le decisioni vincolano solo coloro che le hanno prese, e che non possono essere imposte a coloro che non esprimono la volontà di accettarle. Grazie al fatto che gli individui sono più sensibili ad una decisione presa da sé, la forza di tali decisioni e l'impegno che ne deriva sono molto più grandi delle decisioni prese senza il contributo di ognuno e spesso contrarie ai loro desideri.

Ci si può obiettare che: "se i compagni convergono su un programma ben delineato ed elaborato, accettato da tutti, le differenze di opinione consisterebbero in semplici dettagli ed il sacrificio richiesto ad una eventuale minoranza sarebbe minimo". Ma non è sempre così. Ogni giorno la vita ci pone nuovi problemi, a volte molto importanti, che non era stato possibile prevedere in sede di definizione del programma; questi nuovi problemi richiedono forse risposte diverse da quelle prefissate. Per cui, in altri tempi, gli anarchici francesi si divisero sul movimento sindacale e, più recentemente, sulla guerra, così come gli anarchici in Russia si divisero sul movimento makhnovista, sull'atteggiamento da avere verso il bolscevismo, ecc. Se, su questi punti, gli anarchici fossero stati "uniti in un vero partito", le decisioni prese in congresso su problemi di tale gravità, sarebbero state accettate da tutti. Sono questioni sulle quali bisogna lasciar decidere ognuno secondo la propria coscienza e la propria concezione della rivoluzione; in tal caso, può prevalere una decisione presa meccanicamente da una maggioranza?

C'è ancora un'altra tendenza che sta emergendo sull'onda dell'introduzione del principio di maggioranza e della limitazione dell'autonomia dei gruppi: secondo questa tendenza tutte le iniziative anarchiche fanno capo ad una singola organizzazione di tipo gerarchico, guidata da un Comitato Esecutivo. Lo statuto adottato dall'ultimo congresso dell'Union contiene una serie di proposizioni che suonano strane alle nostre orecchie. Prendete, ad esempio, i gruppi che appartengono alla minoranza e cioè che non hanno condiviso le mozioni passate in congresso. Ebbene, la minoranza ha (almeno per ora) il diritto alla critica, ma la critica deve essere indirizzata esclusivamente alla Federazione a cui il gruppo appartiene (ed a cui è obbligata ad appartenere se vuole far parte dell'Union) oppure alla commissione guida centrale "che sola ha la competenza di dare alla minoranza udienza e soddisfazione". In altre parole, alla minoranza non è semplicemente concesso di far conoscere le sue posizioni tra i militanti (e tanto meno in pubblico); essa deve rivolgersi agli organismi nominati, seguendo una procedura gerarchica. Allo stesso modo, le libere iniziative dei gruppi tendono ad essere sostituite dovunque dal principio della delega e delle elezioni; nessuno può tentare di fare alcunché senza l'autorizzazione dell'organizzazione competente. Un giornale, una rivista, per dire, non possono nascere dalla decisione di un gruppo o di un individuo, ma possono essere editi solo dai delegati della Federazione Anarchica e devono riflettere solo le posizioni emerse nei congressi. La stessa cosa si ripete per la pubblicazione di libri, opuscoli, per le conferenze, i clubs, persino per i fondi di aiuto ai compagni in prigione. Ad un primo approccio, questa "organizzazione" appare a certuni essere una cosa molto praticabile. Ma nei fatti, queste regole (se i circoli anarchici si dimostrano capaci di sottomettersi ad esse) sarebbero la morte definitiva del movimento. Prendete un gruppo di compagni che intende fare un giornale di propaganda e possiede ciò che occorre per stamparlo. Con queste regole non hanno il diritto di farlo; devono prima ottenere l'approvazione dell'organizzazione e chiedere che essa ne inizi la pubblicazione. Supponiamo che l'organizzazione approvi e nomini i suoi delegati per tale compito. Fortunatamente le idee dei promotori sono in sintonia con quelle della maggioranza dell'organizzazione; a quel punto essi hanno bisogno solo di veder registrare il possesso della pubblicazione programmata per passarla in altre mani (il che non è sempre una buona mossa). Ma cosa succede se i delegati a nome della maggioranza, non hanno lo stesso orientamento del gruppo promotore? Quest'ultimo non ha che una strada: disconoscere la pubblicazione. Che poi non uscirà mai. Invece, qualora un gruppo si imbarchi in una pubblicazione a proprio rischio e pericolo, coloro che ne condividono le aspirazioni vi aderiranno, lo diffonderanno, ne esalteranno gli scopi per ingrandirlo. Altri gruppi, con altri punti di vista, faranno lo stesso, e così una varietà di stampa anarchica, aliena da farsi propaganda ostile, lavorerà semplicemente per il suo bene.

Prendete un gruppo che voglia pubblicare libri od organizzare conferenze. Subito gli viene detto: "Chi vi ha autorizzato? Dobbiamo prima di tutto vedere se esiste l'accordo per mettervi nelle condizioni di farlo e di approvare il vostro programma". A quel punto il progetto si ferma. Inizia la discussione nel gruppo su un certo numero di progetti. Alla fine, non potendo accontentare tutti, l'iniziativa è abortita ed ai suoi promotori gli passa per lungo tempo la voglia di fare alcunché.

Solo una totale ignoranza della storia e della vita del movimento anarchico potrebbe essere la spiegazione dell'eruzione di tali modelli organizzativi. Tutto ciò che ha avuto valore e durata nel nostro movimento è stato creato dal duro lavoro dei gruppi e delle individualità col dono dell'iniziativa per andare avanti senza attendere l'autorizzazione di nessuno. In questo modo sono stati creati i migliori giornali della stampa anarchica; così è iniziata la propaganda nei sindacati che poi ha portato al sindacalismo rivoluzionario; così è sopravissuta l'idea anarchica, nella sua purezza e nella sua logica, all'interno di certi gruppi dalle fede incrollabile, a dispetto delle diserzioni e dei tradimenti. Tutto questo non potrà essere fatto dal potere di nessuna organizzazione artificiale. Il ruolo di un'organizzazione è quello di facilitare il lavoro delle individualità e non di impedirlo; il che è ancora più vero nel movimento anarchico, il quale non può permettersi – vista la sua consistenza – di impedire l'azione dei suoi militanti e di dissipare preziose risorse. Ecco perché la tendenza che è emersa all'ultimo congresso dell'Union Anarchiste non avrà lunga vita.

Ciò di cui ha bisogno oggi il movimento anarchico non sono certo nuove formule organizzative, bensì un programma di lavoro concreto, ben definito, da intraprendere fin da subito. Sull'onda di una rivoluzione vittoriosa, ci sarà possibilità per ogni iniziativa nello sforzo di creare la nuova società. Solo la coscienza di ciò che si deve proporre in quel momento cruciale garantirà agli anarchici quell'influenza che gli deriva dalle loro idee. Perciò, le iniziative e le idee non devono essere soffocate, ma invece si deve incoraggiare uno scambio vitale di tutti i punti di vista. Altrimenti le energie verranno dissipate a causa di meschine frizioni interne ed il movimento non farà un solo passo in avanti.

È sempre facile fare delle critiche, potrebbero forse obiettare alcuni compagni; è molto più dura – e più utile – mettersi al lavoro per una modalità organizzativa pratica che riesca a tirar fuori il nostro movimento dalle sue debolezze. Certi compagni cercano di realizzare proprio questo creando un partito più o meno centralizzato, basato sul principio di maggioranza; altri – e chi scrive è fra questi ultimi – credono che un tale partito sarebbe più dannoso che utile (1). Naturalmente, noi non neghiamo né la necessità per gli anarchici di organizzarsi in linea generale, né la necessità per il movimento di liberarsi di quei difetti che gli impediscono di acquisire quell'influenza sociale che gli è propria. Ma quale tipo di organizzazione abbiamo da proporre al posto di quella indicata dalla "Piattaforma", e su quali principi vorremmo fondarla perché sia più libera al fine di ottenere gli stessi risultati? Eccoli: l'accordo sui principi, una politica predefinita di azione, un apprezzamento di ogni individualità e dei suoi doveri verso il movimento.

L'errore fondamentale che commettono i nostri compagni sostenitori della "Piattaforma" sta forse nel fatto che essi guardano ad una unione di gruppi e persino ad un centro direzionale per la riabilitazione del nostro movimento, invece di guardare ai gruppi stessi. Non è alla federazione quanto piuttosto ai gruppi che la fanno che noi possiamo richiedere una linea politica o un'altra: il centro di gravità del movimento sta lì, la federazione sarà ciò che i gruppi che la compongono sono. E qualora le questioni vengano intavolate e discusse a livello di gruppi e non di federazione, le risposte verranno fuori più facilmente: un gruppo può prontamente fare ciò che una federazione gigantesca non riuscirebbe a fare. La disposizione di una singola linea politica per tutta una federazione presenta difficoltà insuperabili, poiché ciò presuppone che le decisioni siano prese a maggioranza, il che inevitabilmente provoca contrasti interni. L'affiliazione di militanti e l'allontanamento di soggetti indesiderabili la cui presenza compromette il movimento, è un compito che l'organismo direzionale di una federazione non è in grado di gestire con successo. Tanto meno è in grado di assicurare che l'azione di tutti i militanti sia conforme ai principi anarchici. Tutte cose che invece ogni gruppo può facilmente e naturalmente portare a termine all'interno delle sue file. Così il tema prioritario da affrontare è il seguente: quali sono i principi fondamentali su cui un gruppo anarchico può fondare la sua esistenza?

Non esiste una risposta buona per tutti i gruppi, dal momento che la risposta potrebbe variare di molto secondo gli scopi perseguiti dal gruppo ed in base al contesto in cui agisce; se al gruppo è stato affidato un compito pratico particolare oppure la propaganda generale, se esso opera in periodo di calma sociale o in tempo di rivoluzione, se agisce apertamente oppure in clandestinità, ecc. Eppure, alcuni punti fermi si possono mettere.

Prendiamo in considerazione la prima questione: è desiderabile che il gruppo comprenda compagni con una stessa concezione delle idee anarchiche? Oppure anarchici di varie tendenze (comunisti, individualisti, ecc.) possono lavorare realmente in concerto? Questo tema è stato sollevato nel più recente congresso anarchico. Certi compagni sostengono che, dal momento che le tendenze anarchiche esistenti contengono un nucleo di verità, sarebbe bene non insistere sulle discrepanze reciproche, bensì "sintetizzare" tutto ciò che vale la pena, per farne le basi di un'azione insieme. A prima vista, questo approccio sembra molto logico e perfettamente pratico, ma se ci si riflette su, traspare che l'unità acquisita in quel senso sarebbe meramente formale. Naturalmente, vi possono essere circostanze in cui gli anarchici di differenti tendenze agiranno di concerto, ma lo stesso avviene per i rivoluzionari in generale: gli anarchici infatti hanno collaborato con i Bolscevichi nella guerra contro le armate dei Bianchi. Tali casi saranno sempre frequenti in tempo di rivoluzione; certi accordi, molto spesso taciti, sono quasi naturali e necessari, ma quando si è in un periodo di calma duratura, un accordo sui principi di base non è sufficiente. Supponiamo che un anarchico individualista, un comunista anarchico ed un anarcosindacalista trovino un accordo nel dichiarare la loro opposizione allo Stato ed approvino la forma comunista della proprietà (dando per buono che l'individualista sia d'accordo); quale sarebbe il significato pratico di tale accordo se poi immediatamente si separano ed ognuno se ne va per la sua strada? L'individualista si preoccupa di liberare l'individuo sin da ora, all'interno del contesto sociale esistente (colonie, naturalismo, amore libero, ecc), e sprezzante delle masse e dei movimenti, non si identificherà mai con queste ultime. Per cui cosa potrà mai avere in comune con il suo compagno comunista? E ancora, un puro sindacalista metterà l'accento solo sui compiti del movimento operaio e collaborerà solo con certi compagni comunisti; ma possono ritrovarsi agli antipodi per esempio sulla questione dei rapporti tra sindacati e gruppi anarchici. E così via. Nell'intervento quotidiano i metodi propri di ogni tendenza giocano un ruolo significativo tale che l'accordo sui principi generali da tutti riconosciuto si rivela tutt'altro che sufficiente. Quando all'interno di un gruppo il disaccordo diviene sostanziale e non ha più a che fare con le etichette, si spegne l'azione del gruppo ed i suoi militanti, ormai non più uniti né nella propaganda né sui metodi scelti, spendono molte energie in litigi interni. Un gruppo veramente unito, fatto di compagni che non hanno bisogno di dibattere di continuo sui punti più essenziali e che, comunque sia, sono uniti nella propaganda come nell'intervento, ebbene questa sorta di gruppo può diventare molto influente, anche se non è numeroso. A confronto, altri gruppi di differente mentalità non ce la faranno, senza che vi sia in ciò alcuna perdita, poiché non vi è alcuna utilità nel cercare di far stare quanti più compagni possibile nella stessa organizzazione.

Il proselitismo casuale dei militanti è, forse, la causa prima dei difetti della maggior parte dei gruppi. Molto spesso, si diventa anarchici troppo facilmente e troppo velocemente, senza aver avuto modo di studiare le altre correnti socialiste e neppure le teorie essenziali dell'anarchismo. È così che in seguito, a livello individuale e collettivo, si sedimenta una cocente delusione poiché, man mano che aumentano le proprie conoscenze e si ampliano i propri orizzonti, può accadere di constatare che si è persa la strada e che ci si era dichiarati anarchici solo per ignoranza di altre vie. Un giorno, ad un social-rivoluzionario russo fu chiesto, in mia presenza, in quale momento della sua vita aveva smesso di essere marxista. E quello rispose:"Quando ho iniziato a leggere altro oltre a Marx".

Le cose possono farsi molto più serie se non si tratta solo di una teoria che viene accettata o rifiutata, bensì di una causa a cui si è dedicata buona parte della propria vita e che ad un certo punto si avverte come perdente proprio perché non si è mai dato ascolto in primis alle considerazioni critiche degli avversari. E poi ancora, la vita di un gruppo può spesso diventare difficile per un eccesso di pragmatismo; si fanno entrare compagni e compagni puntando sui servigi che essi possono rendere (come relatori, teorici, amministratori, ecc) senza preoccuparsi più di tanto se soprattutto il profilo morale ed intellettuale di questi compagni è coerente con le caratteristiche del gruppo.

Evidentemente, una selezione così rigorosa dei nuovi militanti può essere gestita solo dal gruppo e non dalla federazione, e nessuno statuto federale potrà mai garantirne la severità. Ma, se fosse implementata nei gruppi che compongono la federazione, quest'ultima scoprirà che per questa via si possono risolvere molte questioni spinose.

Nella nostra concezione, il legame tra i vari raggruppamenti è assolutamente libero e sorge solo dai bisogni; non vi è nessun centro, nessuna segreteria abilitata ad imporsi sui gruppi con qualcosa su cui in qualche forma e su certe basi essi debbano sentirsi uniti. I legami si possono stabilire per una grande varietà di ragioni: un comune modo di pensare, un'azione concertata, una contiguità territoriale, ecc. In genere, la regola è che i gruppi di una stessa regione si tengono in contatto l'un l'altro, ma può succedere (e non ne mancano esempi) che un gruppo di Parigi abbia legami più stretti con un gruppo di Londra o di Ginevra, piuttosto che col gruppo del comune vicino. Generalmente parlando, le strutture fisse – in cui ogni gruppo sia obbligato a far parte della federazione tale, ed in cui ogni federazione debba mantenere legami con la sua vicina attraverso la mediazione obbligatoria di una commissione – possono rappresentare un tramite molto utile per facilitare le comunicazioni, ma si tratta semplicemente di uno strumento da usare quando lo si ritiene necessario.

Il movimento anarchico ha sempre tenuto i suoi congressi e questi possono essere molto importanti se essi muovono dall'attività di gruppi pre-esistenti che hanno sentito la necessità di condividere il loro lavoro e le loro idee. Certi aspetti speciali dei nostri congressi sono connessi con gli stessi principi dell'anarchismo. Quindi, anche oggi, i compagni che si riuniscono per un congresso non devono necessariamente essere dei delegati dei gruppi; essi potrebbero partecipare rappresentando se stessi (2). Diversamente da come si usa fare negli altri partiti, in cui i delegati prendono dal congresso le mozioni alle quali chi li ha delegati può solo sottomettersi, i delegati anarchici portano al congresso le mozioni, le opinioni e gli orientamenti dei rispettivi gruppi. Il Congresso è libero di esprimere un'opinione sulle mozioni e niente di più. La conta dei voti (qualora fosse giudicata utile) è un mero esercizio statistico; può essere interessante sapere quanti compagni ed appartenenti a quali gruppi, si schierano da una parte o dall'altra. L'importanza dei congressi non è affatto diminuita, anzi la loro attività acquisisce maggior importanza. Invece di essere un'arena per trame atte ad ottenere la maggioranza, i congressi si possono dedicare a far conoscere lo stato del movimento, i suoi successi ed i suoi fallimenti, le sue diverse tendenze, ecc., nelle diverse località. Le mozioni approvate possono essere solo delle indicazioni, delle espressioni di opinioni, perché i delegati le riportino ai gruppi, i quali possono adottarle o respingerle.

In breve, questo modello ripete solo ciò che già è noto, cose che potrebbero sembrare fin troppo evidenti per aver bisogno di ulteriori menzioni; ma l'attuale confusione di idee è tale che a volte ci si sente obbligati a reiterare le vecchie verità. I legami formali tra le organizzazioni non sono molto stretti, perché tutta l'enfasi viene posta sui legami intellettuali e morali interni. Inoltre, in questo modello, l'individuo o il gruppo sono formalmente liberi; minore è la subordinazione a qualsiasi cosa, maggiormente ampia e seria è la responsabilità morale. Per noi ogni gruppo risponde delle azioni del gruppo intero – ancor più responsabile in quanto le decisioni sono state prese in base al comune accordo e non in modo artificiale da un voto a maggioranza. Inoltre, il gruppo intero è responsabile degli atti di ciascun suo militante, tanto più perché esso ha selezionato i suoi militanti su basi discriminanti, accettando solo quelli che le condividono. Allora la federazione in quanto organismo risponde per le azioni di ogni suo gruppo – precisamente perché il legame non è stabilito su nessun vincolo e perché i gruppi sanno già prima con chi e per quale scopo sono state unite le forze. Ed ogni gruppo è responsabile per l'intera federazione – precisamente perché quest'ultima non può nulla senza l'assenso dei gruppi.

E c'è di più, Ogni anarchico, che gli piaccia o no, porta con sé la responsabilità morale per l'azione dei suoi compagni, anche se nessun patto formale li vincola; ogni atto contrario all'idea anarchica, ogni atteggiamento contraddittorio si ripercuote sull'intero movimento, e ciò estende la responsabilità oltre l'ambito individuale, persino oltre l'ambito del gruppo. Ed è questa coscienza della responsabilità che dovrebbe essere il grande impulso capace di mantenere la solidarietà negli ambienti anarchici. Può essere che questo aspetto non venga sempre capito in modo appropriato, e può essere che sia la fonte di molti dei limiti del nostro movimento, limiti che qualcuno vorrebbe superare utilizzando nuove forme di organizzazione. Noi non siamo persuasi dell'efficacia di queste misure; la nostra fiducia va invece verso altri mezzi, di natura alquanto diversa, e che abbiamo appena delineato nelle pagine precedenti.

Plus Loin, No.36, marzo 1928 e No.37, aprile 1928

 

Note:

1. Gli eventi sono precipitati molto più velocemente di quello che ci si poteva aspettare: sono passate solo alcune settimane dall'ultimo congresso e già l'organizzazione si è scissa in due. Ora Le Libertaire riesce ad uscire solo con grandissima difficoltà.

2. Questa situazione è stata superata nell'ultimo congresso dell'Union Anarchiste nei riguardi dell'introduzione del principio di maggioranza.

Maria Isidine (al secolo Maria Isidorovna Gol'dsmit) fu un'anarchica e scienziata di origini russa e francese, nata a Zurigo, Svizzera, nel 1873. Fu amica di Kropotkin e contribuì in modo prolifico alla stampa anarchica francese e russa. Per un breve periodo nei primi anni '30 è stata anche segretaria di Nestor Makhno a Parigi, dove morì suicida nel gennaio del 1933. – Ndr.


Tratto da Nestor McNab (a cura di), La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici: origine, dibattito e significato, FdCA, Milano 2007.

Tradotto dal francese in inglese da Paul Sharkey e dall'inglese in italiano da Donato Romito.