Bilin lotta, malgrado il voto
21.01.06

Solo la sinistra vuole che il muro dell'apartheid finisca nelle urne. I contadini del villaggio e gli internazionali non s'arrendono

MICHELE GIORGIO
inviato a Bilin

I muri di Bilin ieri erano tappezzati dei manifesti elettorali di tutti i partiti politici palestinesi. Volti di candidati sorridenti sopra slogan che promettono lavoro, lotta alla corruzione e all'occupazione israeliana. Tra questi ben pochi assicurano un nuovo impegno contro il muro che Israele sta costruendo in Cisgiordania divorando chilometri quadrati di terra. Non potevano non notarlo gli abitanti del villaggio divenuto il simbolo della resistenza pacifica palestinese contro la barriera. «Ho seguito la campagna elettorale di vari partiti e se da un lato tutti condannano la costruzione del muro, dall'altro sembrano ripetere frasi imparate a memoria, scontate. Noi invece abbiamo bisogno di azioni concrete per evitare che questo mostro di cemento armato continui ad esistere», ha commentato Mohammed Khatib, del comitato del villaggio. Come lui tante persone di Bilin scuotono la testa e restano indifferenti di fronte alle tardive espressioni di solidarietà giunte dai candidati. Solo Mustafa Barghuti di «Palestina indipendente» riceve giudizi positivi. Gli abitanti gli riconoscono di aver partecipato alla lotta contro il muro quando le elezioni non erano state ancora indette, quindi in tempi non sospetti. Ieri bandiere di ogni colore sventolavano nelle stradine del villaggio affollate di attivisti palestinesi, israeliani e stranieri giunti, come ogni venerdì, a manifestare contro il muro, incuranti della razione di percosse e gas lacrimogeni che ricevono ogni volta dai soldati israeliani. Nella folla si scorgeva anche qualche volto noto, come quello di Abu Leila, uno dei leader storici del Fronte democratico per la liberazione della Palestina. «È la prima volta che vedo Abu Leila a Bilin, mi fa piacere ma spero che torni più spesso perché non abbiamo bisogno solo di apparizioni elettorali», ha ironizzato Mohammed Khatib. Tra tanti poster non si poteva fare a meno di notare quelli di Hamas con il volto dello sceicco Ahmed Yassin, assassinato da Israele nel 2004. Ma anche il movimento islamico è giunto molto in ritardo all'appuntamento con la lotta contro il muro.

La manifestazione, alla quale hanno preso parte almeno un migliaio di persone tra cui alcuni pacifisti italiani, si è conclusa come la consueta carica dei militari israeliani che hanno lanciato candelotti lacrimogeni e granate assordanti. Una ventina i contusi, tra cui una delle leader del movimento delle donne palestinesi, Amal Khreisheh. «La lotta di Bilin va avanti da un anno e noi continueremo ad appoggiarla in futuro ma abbiamo bisogno che non solo gli abitanti di questo villaggio anche gli altri palestinesi non si arrendano, che non si rassegnino alla costruzione del muro. Devono resistere anche se la loro vita si fa sempre più difficile perché questa barriera li sta chiudendo per sempre dentro bantustan», ci ha detto Yonatan Pollack, uno dei leader di «Anarchici israeliani contro il muro». Considerazioni che Huda Imam, dell'Università al Quds di Gerusalemme est, condivide pienamente. «È la prima volta che partecipo ad una manifestazione contro il muro in Cisgiordania - ammette -. Purtroppo non credo di essere l'unica persona ad aver mancato questo appuntamento tanto importante. È terribile dirlo ma ci stiamo stiamo rassegnando, non riusciamo più a reagire come la situazione richiede». È davvero possibile adeguarsi a quanto di volta in volta le autorità di occupazione attuano sul terreno? Mohammed Haredi, anch'egli di Gerusalemme est, non giustifica l'indifferenza crescente tra gli uomini politici e le persone comuni verso la costruzione del muro, ma chiama in causa la Comunità internazionale: «Nel luglio del 2004 noi palestinesi abbiamo prodotto uno sforzo senza precedenti per portare di fronte all'Alta corte di giustizia dell'Aja questo progetto israeliano. Abbiamo ottenuto una condanna chiara e netta del governo Sharon. E a cosa è servito? A niente. L'Europa e gli Stati uniti, hanno fatto finta di nulla e chiudendo gli occhi davanti alla realtà hanno accolto la tesi israeliana che questa è una barriera di sicurezza e non un progetto per toglierci la terra. Questo atteggiamento ha spezzato la schiena al nostro popolo».

Mohammed e Huda hanno preso contatti con il comitato del villaggio. Hanno promesso che torneranno, assieme ad altri palestinesi di Gerusalemme. Hanno detto che non resteranno indifferenti. La gente di Bilin aspetta anche Abu Leila, questa volta dopo le elezioni. 

 

Da "Il Manifesto", 21 gennaio 2006