Resoconto dell'azione a Marda sabato 4 giugno
05.06.05

 

"Dove andate?", chiede il militare al punto di controllo, entrando in Cisgiordania. "Ad Ariel", risponde Teddy Katz, seduto alle spalle dell'autista della minibus. E siamo passati. Infatti, questa strada è stata costruita principalmente per la colonia Ariel, 23 kilometri dall'Israele, in mezzo alla Cisgiordania, una colonia in rapida espansione. Ma poco prima di arrivare alla colonia, abbiamo trovato un altro posto di blocco e un capitano molto più diffidente. "Ad Ariel? Da chi?", chiede. "Al Judea and Samaria College. Sa qual'è, quello che diverrà università. Abbiamo un incontro con degli studenti lì. Ci aspettano".

Ma non ci ha creduto. O il nostro aspetto non era convincente oppure qualcuno è stato insospettito e ci ha collegato con i messaggi passati in internet. "Ariel è un zona militare chiusa fino alle 18,00. Non potete passare." Abbiamo chiesto, "E le altre macchine? Perché fate passare loro?". "E' alla mia discrezione e non sono affari vostri." Dovevamo forzarci a non ridere, vedendo le facce dei nostri compagni alle finestre delle macchine che passavano.

Per noi, la strada per il villaggio di Marda è stata un po' più complicata... e interessante. Abbiamo preso una stradina minore, lontano dalla bellissima strada liscia dei coloni, entrando in un altro mondo. Passando su strade di terra battuta che seguono i contorni delle colline, abbiamo viaggiato tra gli oliveti pittoreschi con le piccole case, i cui esterni sono ricoperti degli scritti delle varie fazioni palestinesi.

Un giovane di nome Hisham ci aspettava, dicendo "Questa minibus con la targa israeliana è troppo cospicua. Prendete queste macchine, che passano sempre tra i villaggi - i militari non vi noteranno neanche".

Abbiamo preso una strada meno diretta, con l'intenzione di arrivare a Marda da una parte che i militari non si sarebbero immaginato. Ma qualche comandante aveva fatto bene il suo lavoro e abbiamo trovato anche lì un blocco, però siamo passati tranquillamente. Appena abbiamo perso di vista il posto di blocco ci siamo fermati e siamo andati da lì a piedi, in mezzo tra gli oliveti, con Hisham che ci indicava i sentieri, appena percettibili.

Abbiamo passato delle case con i bambini sorridenti e anziani che ci salutavano da ogni finestra e balcone. Dopo qualche altro giro, abbiamo scorciato la folla accanto alla moschea, con una foresta di bandiere e striscioni al vento.

Gli organizzatori, informati costantemente del nostro progresso, avevano posticipato la partenza fino a che non siamo arrivati e, appena abbiamo preso i nostri posti tra la gente e distribuito i cartelli che avevamo portato con noi, il corteo è partito. In cima al corteo alcuni striscioni enormi e i vip, dopo di loro gli israeliani (Ta'ayush, Gush Shalom e gli Anarchici Contro il Muro) e gli internazionali mischiati insieme agli abitanti dei villaggi, che portavano le bandiere dei vari partiti e gruppi palestinesi. Infine, i paramedici e le ambulanze.

Era tutto sommato una scena alla quale siamo diventati abituati, vista in molte città e in molti villaggi in tutta la Cisgiordania. Ma era difficile ricordare una settimana con tante manifestazioni e lotte concentrate, e molti partecipanti erano esausti. Alcuni degli israeliani e internazionali erano stati a Bil'in ieri quando ci sono stati gli scontri. Infatti, tra la folla c'erano anche alcuni abitanti di Bil'in, che si sono concessi una pausa dalla loro lotta per mostrare la loro solidarietà con la gente di Marda.

In cima alla collina, da dove si vedeva tutta Marda, c'erano le case di Ariel - fila dopo fila di bellissime case nuove, tutte con il tetto in tegole rosse. E davanti a noi, come sempre, una barriera di militari in casco che ci bloccava la strada.

Oggi almeno non ci sono stati i lacrimogeni. Abbiamo potuto vederli in faccia e cominciare un dialogo futile (in ebraico): "Perché ci bloccate la strada? Non abbiamo intenzione disturbare il lavoro di nessuno. Oggi è lo Shabbat, non si lavora. Vogliamo semplicemente camminare da Marda a Kifl Hares, due villaggi palestinesi. Come può una cosa del genere darvi fastidio?". "Noi abbiamo i nostri ordini. Non andrete oltre questo punto".

Un uomo dai capelli bianchi si è fatto avanti per confrontare l'ufficiale di comando e i suoi uomini (e due donne). "La terra che mi impedite di passare è mia, la terra dove lavorano le ruspe è mia. E' terra mia, e prima di me era di mio padre, e prima ancora di suo padre. Ditemi, soldati, c'è uno tra di voi che ha un nonno nato in questi parti?". Dopo un silenzio di uno o due minuti, l'ufficiale ripete: "Abbiamo i nostri ordini".

La folla si gonfia in avanti, onda dopo onda contro la triplice catena di militari. L'attivista Yuval Halperin, di Tel Aviv, inizia un coro di "Chayalim habayta!" (Soldati, a casa!" e gli israeliani e molti palestinesi si aggiungono a lui. Poi i sostenitori di al-Fatah cominciano l'appello tradizionale per "l'unità nazionale nella lotta" e rispondono i sostenitori di Hamas con il noto "Allahu Akhbar" (Dio è grande). Alcuni poi, l'hanno modificato, cantandolo in ebraico "Elohim gadol!".

A quel punto gli internazionali (rappresentati da EAPPI, ISM, IWPS, e CPT) hanno cominciato a gridare "One, Two, Three, Four - Stop Oppression, Stop the War!" e "Free, free Palestine!". Un ragazzo palestinese ha fatto ridere molti quando ha gridato "Sharon e Barak - Hizbullah vi ha rovinato!". Poi, l'anarchico Yonatan Polak ha gridato al militare davanti a lui "Togli il caricatore - sennò colpirai qualcuno a casaccia e sarà peggio per te!".

I militari sono piuttosto silenti, e si sentono appena gli ordini degli ufficiali. Sempre di più usano il calcio dei fucili per respingere i manifestanti. Era a quel punto che l'attivista Leiser Palas è stato colpito alla testa, è caduto e ha ricevuto diversi calci alle costole, un evento perso da tutti tranne chi gli stava intorno. Quasi subito i medici dei Palestinian Medical Relief Committees l'hanno portato ad una delle ambulanze per ricoverarlo.

Tre militari hanno aggredito lo storico e attivista di Gush Shalom, Teddy Katz, e stavano per gettarlo a faccia in giù dentro un cespuglio spinoso quando la voce di un maggiore dell'esercito israeliano ha urlato "Lasciatelo in pace! ORA!". L'ufficiale ha poi parlato con Katz, cominciando con "Salve, professore!". Per quanto possa sembrare improbabile, il maggiore non solo era dello stesso kibbutz di Katz, ma anche un ex-allievo.

Nel frattempo, un numero crescente di manifestanti trovava il punto debole delle difese dell'esercito: da una parte, tra gli ulivi e giù per la collina dove non c'erano militari. Fra pochissimo, l'intera manifestazione si è diretta laggiù, correndo verso la strada per Ariel (la strada 505) e arrivandoci prima che i soldati potessero organizzarsi per impedirlo.

L'autostrada 505 è una strada per i soli coloni. Le regole dell'esercito vogliono che le macchine palestinesi non possono usarlo, figuriamoci se si possa svolgere una manifestazione sul suo asfalto sacro! Arrivando di corsa, i militari hanno cominciato di nuovo a bastonare mentre un ufficiale dal viso rosso gridava "Zona militare chiusa" Zona militare chiusa! Se non lasciate la strada subito sarete arrestati!".

Altri ufficiali, però, sembrava un po' più aperti al dialogo. Una conversazione con gli organizzatori di Marda e il ministro dell'Autorità Palestinese, Fares Kaddura, ha prodotto un accordo informale: il corteo avrebbe potuto continuare fino a Kifl Hares, la destinazione originale, purché i partecipanti camminavano accanto alla strada, senza bloccarla.

Forse, è stata una piccola vittoria, che non cambia alcunché. Ma c'era una sensazione di allegria mentre continuavamo sul sentiero stretto accanto alla strada, con le jeep dell'esercito che ci seguivano a breve distanza. Un ragazzino con una bandiere palestinese grande quanto lui salutava allegramente i militari a bordo le jeep, un sorriso beato in faccia.

Articolo di Adam Keller per "The Other Israel"

 

traduzione a cura di FdCA - Ufficio Relazioni Internazionali