Lezioni della resistenza popolare
13.12.04


Siamo tutti Ahmed Awwad

Nel suo libro "Stupidi uomini bianchi", Michael Moore inserisce una lettera aperta ad Arafat, in cui gli spiega i principi della non-violenza. Moore assicura Arafat che una volta assunta, la non-violenza non può fallire e che avrebbe milioni di potenziali sostenitori israeliani che partecipano alle manifestazioni di "Peace Now". Moore appare sincero nel suo sostegno alla causa palestinese, ma deve sapere che una lettera simile rinforza l'idea errata che il sottosviluppato sistema politico palestinese sia la ragione della loro disgrazia. Ben lungi dal cadere nell'oscenità di criticare le nostre vittime, Moore riesce però a distorcere la storia dando l'impressione che la resistenza palestinese sia un fenomeno ristretto agli attacchi terroristici.

Tanto per cominciare, per decenni si sono fatti scioperi, manifestazioni e non si è cooperato con gli occupanti. Tutti questi sforzi non hanno ricevuto l'adesione di Peace Now, attualmente coperta dalla CNN. Infatti, dal momento che Peace Now si oppone al rifiuto del servizio militare, l'unico contatto che molti membri di Peace Now hanno con la popolazione palestinese è quando stanno ai checkpoints o partecipano in generale alla repressione. Infatti, io stesso ho incontrato un soldato di Peace Now che faceva la guardia al muro che chiude il villaggio palestinese di Mas'ha. Mi ripeteva la solita solfa che lui era un soldato umanitario impegnato nel ridurre la brutalità dell'occupazione, facendo così di più lui per la pace che non quelli come me che criticano solo l'esercito.

Da parte sua, l'esercito israeliano ha cercato duramente di dare ai Palestinesi una lezione diversa nella resistenza popolare. Al culmine della resistenza popolare palestinese nel 1987-88, l'organizzazione palestinese per il monitoraggio sui diritti umani Al-Haq ha documentato la deportazione, la detenzione amministrativa (cioè la carcerazione senza processo) e le percosse di dirigenti sindacali, esponenti delle organizzazioni di carità e di comitati popolari come pure organizzatori di proteste (vedi "Punishing a Nation; Israeli Human Rights Violations During the Palestinian Uprising December 1987-December 1988", Al-Haq, South End Press, 1988). Infatti Al-Haq ha visto 4/5 dei suoi attivisti sul campo, subire la detenzione amministrativa per la maggior parte del periodo a cui si riferisce il dossier.

La posizione di Israele riguardo al sistema politico palestinese divenne esplicita il 19 marzo 1988 quando lo "Shabiba" venne messo fuori legge da un'ordinanza militare. Secondo Joel Greenberg, sul Jerusalem Post del 20 marzo 1988 (citato nel dossier di Al-Haq): "Lo Shabiba, composto da studenti, ragazzi di scuola e giovani palestinesi che non andavano a scuola, ha sezioni in tutti i Territori ed in Gerusalemme-est... tra le sue attività note ci sono progetti sul territorio, quali il rinnovamento delle case, sostegno ai programmi per gli anziani e la gioventù. Gli ufficiali della sicurezza lo consideravano un organismo di reclutamento per Fatah, tramite il quale i giovani palestinesi vengono mobilitati per attacchi anti-israeliani e per l'attività politica nazionalista".

Ai militari non venne richiesto di sostanziare le loro inverosimili accuse sul ruolo dello Shabiba quale strumento di Fatah, salvo le accuse fatte contro ogni singolo membro dello Shabiba che era stato sottoposto alla detenzione amministrativa. Inoltre, per la legge israeliana, una persona può essere effettivamente perseguita per il solo fatto di appartenere ad una organizzazione posta fuorilegge. A prova di tale appartenenza vengono portate le attività di consegna di cibo agli anziani o la ben più grave accusa di "attività politica nazionalista",

Dopo anni di deportazioni, carcerazioni e percosse, la politica israeliana ha avuto alquanto successo nel reprimere le "attività politiche nazionaliste". Ma questo successo ha contribuito alla crescita della resistenza violenta armata e del terrorismo nei territori occupati. Quando l'attività politica diviene impossibile ed i leader politici sono in prigione o deportati, la conseguenza è che l'unica possibile resistenza è quella armata e violenta.

Nonostante la repressione, un movimento palestinese popolare e non-violento è cresciuto nella lotta di opposizione al muro, a Salem, Anin, Mas'ha, Azawia, Biddu, Beit Awwa, Beit Ula, Iskakka, Budrus, Deir Balut, Beit Surik, Beit Likia, ar-Ram, Abu Dis, Kibbia ed in altri villaggi. Un vasto movimento di base, fatto di uomini, donne e bambini che si è persistentemente opposto alla confisca delle terre ed all'ingabbiamento delle loro comunità. Il movimento ha proseguito le attività non-violente persino dopo l'uccisione di 6 manifestanti ed il ferimento di migliaia provocato da armi da fuoco, proiettili ricoperti di gomma, gas lacrimogeni e percosse. Per la prima volta si è visto un movimento ricevere l'adesione concreta sul terreno di militanti internazionali ed israeliani. Questi ultimi non presumono di dare lezioni ai palestinesi sul come condurre la loro lotta, Piuttosto, si rendono conto che sono loro che possono imparare come i Palestinesi siano esseri umani degni di essere trattati come tali per spiegarlo poi in Israele e nei paesi da dove provengono.

Le autorità israeliane hanno risposto al movimento popolare ed ai sostenitori internazionali al solito modo. Le manifestazioni vengono represse con le armi da fuoco, i proiettili di gomma, gas lacrimogeni e percosse. Non deve sorprendere se la violenza repressiva si accanisce contro i Palestinesi. Infatti, si possono sentire gli ufficiali ordinare ai soldati di non sparare sugli israeliani. Ad ogni modo, nonostante la loro posizione privilegiata, gli attivisti israeliani ed internazionali sono comunque vittime della violenza dell'esercito e della polizia. Un attivista israeliano è stato quasi ucciso quando venne colpito ad entrambe le gambe da colpi carichi sparati da breve distanza ed un altro è stato colpito ad un occhio da un proiettile metallico ricoperto di gomma. Altri attivisti israeliani ed internazionali hanno subito percosse e ferite da proiettili ricoperti di gomma.

Oltre alla repressione violenta delle manifestazioni, le autorità israeliane usano anche una vasta gamma di mezzi per la repressione politica. Il Ministero degli Interni blocca sistematicamente gli ingressi in Israele degli attivisti internazionali e cerca di deportare quelli che vengono arrestati durante le manifestazioni. I comandanti dell'esercito hanno dichiarato tutte le aree delle manifestazioni quali "zone militari chiuse" ed arrestano gli israeliani che vengono fermati all'interno di esse. Più severo è naturalmente il trattamento per gli attivisti palestinesi. Coloro che sono sospettati di essere gli organizzatori rischiano di essere incarcerati per mesi senza processo. Nel villaggio di Budrus, uno dei villaggi più attivi nella resistenza palestinese popolare non violenta, i fratelli Na'im ed Ayed Morrar, membri del comitato popolare di Budrus contro il Muro dell'Apartheid, sono stati sottoposti a detenzione amministrativa la primavera scorsa. Caso raro, un giudice militare rigettò l'ordinanza di detenzione sostenendo che la attività politica dei due fratelli non costituiva ragione per una loro detenzione. Tuttavia, la repressione a Budrus non si fermò lì. Dopo la ripresa della costruzione del muro e la ripresa delle manifestazioni, un altro attivista del comitato popolare di Budrus è stato messo in detenzione amministrativa.

Si tratta di un insegnante di 43 anni, di nome Ahmed Awwad, in detenzione amministrativa dal 27 settembre. Inoltre, dozzine di attivisti israeliani ed internazionali sono stati arrestati per aver partecipato alle manifestazioni palestinesi violando gli ordini di non entrare nelle zone militari chiuse. In ottobre, 2 anarchici israeliani sono stati accusati di aver violato le zone militari chiuse. Se verranno condannati, rischiano un minimo di 2 anni di galera. La circostanza aggravante che attira l'attenzione esagitata della polizia e dell'esercito è il fatto che la resistenza a Budrus sta ottenendo dei successi. Dopo mesi di manifestazioni, il popolo di Budrus si è visto restituire quasi tutti i loro campi coltivati che erano stati confiscati per il passaggio del muro. Hanno anche ottenuto dalla Corte Suprema israeliana un'ordinanza temporanea che esclude qualsiasi costruzione sulle aree coltivate non restituite.

La risposta alla detenzione amministrativa di Ahmed Awwad ed all'incombente processo contro i due attivisti israeliani non si è fatta attendere: la mattina del 7 dicembre, quasi 100 attivisti di Anarchici Contro il Muro, di Ta'ayush ed altri, insieme a circa 40 attivisti internazionali sono giunti a Budrus. Molti degli israeliani si sono liberati di qualsiasi elemento di identificazione, compresa la tessera blu rilasciata dal governo che li identifica quali ebrei, per indossare i simboli che li facevano tutti uguali ad Ahmed Awwad, con "Io sono Ahmed Awwad" scritto in varie lingue. Durante la manifestazione, gli israeliani non si sono ritirati quando è stata dichiarata la zona militare chiusa ed i soldati si sono avvicinati a loro. Così 41 israeliani sono stati fermati e quando gli è stato chiesto di identificarsi, loro hanno risposto "Siamo tutti Ahmed Awwad". Per la polizia è stato arduo perseguire un numero così alto di arrestati che si rifiutavano di declinare le loro generalità. Dopo alcune ore tutti gli israeliani, tranne 4, sono stati rilasciati senza essere identificati. Gli altri 4 sono stati presi dopo un duro corpo a corpo con la polizia e portati alla stazione di polizia di Givat Ze'ev, per essere poi rilasciati dopo alcune ore.

Due giorni dopo, il magistrato del tribunale di Gerusalemme ha fatto cadere l'accusa di violazione di zona militare chiusa ai danni dei due anarchici israeliani. Restano le accuse di disordini e ci sono minacce di nuove accuse. E' difficile sapere quanta parte possano aver avuto gli arresti di massa sulla caduta dell'accusa, ma dovrebbe essere chiaro per gli israeliani ed altri il significato della lezione della lotta di Budrus. C'è efficacia se gli attivisti israeliani ed internazionali sostengono la lotta palestinese sul terreno, e la migliore risposta da dare alla repressione ed alla persecuzione politica sta nell'intensificare le proteste e la resistenza.

Kobi Snitz

Traduzione a cura di FdCA - Ufficio Relazioni Internazionali

[ndt. L'autore è uno dei due attivisti accusati di violazione della zona militare chiusa ed è componente del gruppo Anarchici Contro il Muro.]