Condannati 11 Anarchici Contro Il Muro
18.02.07

 

Il processo contro 11 attivisti aderenti al gruppo Anarchici Contro Il Muro (ACIM) si è concluso oggi dopo circa 3 anni. In sette si sono visti commutare le condanne per assemblea illegale e distruzione di pubblica proprietà in 80 ore di servizio civile. Il verdetto per altri 3 imputati è stato posticipato al 18 marzo a causa della richiesta di unire le imputazioni in essere con altre precedenti per attività politica. Jonatan Pollak, attivista di ACIM, ha avuto una condanna a 3 mesi con sospensione della pena.

Gli imputati nell'aula

In un'aula di tribunale stipata, piena di sostenitori, è stata data lettura del verdetto finale nel primo processo a carico del gruppo di Anarchici Contro Il Muro. Le accuse hanno origine in seguito agli arresti durante la manifestazione di fronte al quartier generale dell'esercito svoltasi il 3 febbraio 2004. In quel giorno aveva inizio il procedimento presso la Corte di Giustizia dell'Aia sulla legittimità del Muro dell'Apartheid. Fin dalle prime ore del giorno, agli attivisti era stato impedito di raggiungere la manifestazione vicino Tul Karem e, in risposta, avevano bloccato la via Kaplan, di fronte al comando dell'esercito, e ricoperto di scritti i muri dell'edificio.

Pollak si è rifiutato di collaborare col servizio di libertà vigilata ed ha chiesto alla corte di essere condannato a trascorrere in carcere il periodo previsto, senza che gli fosse sospesa la sentenza. Le sue ragioni sono state esposte in un documento letto davanti alla corte (vedi sotto).

La corte non ha accolto la richiesta di Pollak e lo ha condannato a 3 mesi con la sospensione della pena, salvo che nei prossimi 2 anni Pollak non sia nuovamente condannato per assemblea illegale. La corte ha stabilito di non imporgli una pena pecuniaria, data l'improbabilità che Pollak la pagherebbe.

I membri del gruppo erano difesi dall'avvocatessa Gaby Lasky, che difende il gruppo da diversi anni.

La linea difensiva di Lasky si è sempre fondata sul principio di resistenza civile e sul diritto internazionale, soprattutto dei tribunali di Norimberga e di Tokyo sui crimini di guerra, per giustificare legalmente la violazione di leggi nazionali, al fine di rispettare il diritto internazionale.

Gli imputati fuori dell'aula, insieme al difensore Gaby Lasky

La dichiarazione di Jonatan Pollak

"Fin dall'inizio di questo processo ci siamo assunti la responsabilità delle nostre azioni. Non abbiamo mai negato, nemmeno per un istante, di essere stati lì sulla strada. Anzi, al contrario lo abbiamo ammesso a chiare lettere e ne abbiamo spiegato le ragioni. La nostra difesa è stata imperniata su due assi centrali: sulla denuncia delle menzogne della polizia con l'invenzione delle accuse e delle circostanze, che la corte ha già rubricato, e sul principio di resistenza civile. Con la sua decisione, la corte ha stabilito che noi stavamo cercando di trascinare i giudici nell'arena politica, cosa da evitare come il fuoco, per paura di restarne scottata. In realtà, è questo processo di Stato che diventa un atto politico. In ogni crimine ed in ogni processo, la questione del movente è sempre quella centrale. Il cosiddetto crimine che ci viene imputato è chiaramente di natura politica e politiche sono le sue ragioni.

Questo processo, qualora non si fosse tenuto in un tribunale di occupazione, nella democrazia imposta a 3,5 milioni di palestinesi deprivati delle basilari libertà democratiche, sarebbe stato il processo contro il Muro; quello stesso muro che è stato dichiarato illegittimo dalla più alta autorità legale al mondo; quel muro che viene di solito usato come uno strumento politico nella campagna di pulizia etnica intrapresa da Israele nei Territori Occupati; quello stesso muro che in fase progettuale era stato rigettato persino dai tribunali israeliani! Non siamo noi che dovremmo essere sul banco degli imputati ora, ma gli architetti e i teorici dell'Apartheid israeliana.

Alla nostra affermazione che a volte è doveroso violare la legge, la corte ha replicato che a volte si deve anche accettare la punizione. Questa risposta contiene un'evidente debolezza etica. La risposta corretta sarebbe stata, invece, affermare che chi viola la legge deve aspettarsi una punizione. Aspettarsela certo, ma in nessun caso accettarne la legittimità.

Non sono affatto sorpreso di essere stato dichiarato colpevole. Eppure, nonostante ciò, non posso accettare la legittimità della punizione. Questa è la ragione per cui mi sono rifiutato di collaborare col servizio di libertà vigilata, così come rifiuterò il servizio civile.

Credo che a questo stadio del processo la difesa tenderà a sancire la seguente convinzione del difeso: che egli è un essere umano del tutto normale, inserito nell'ambito della civile convivenza, che lavora stabilmente, e così via. Tuttavia io ho ben altro da dire. Che se questa è la mia prima convinzione, ebbene essa non è certamente l'ultima. Credo fermamente che quanto ho fatto fosse necessario e sia moralmente corretto, che la resistenza all'oppressione sia dovere di ogni essere umano, anche se comporta il pagare dei prezzi a livello personale.

E' di prassi chiedere la clemenza: la non esecuzione della sentenza ed usufruire di una condizionale. Io non chiederò niente di tutto ciò. Chiederò che la sentenza a mio carico sia eseguita, dal momento che stando così le cose, ogni manifestazione nei Territori Occupati viene considerata al pari di un'assemblea illegale, in base al sistema diffuso ed antidemocratico del dichiarare interi territori zone militari interdette. In questo affare di Stato, ogni sentenza con la condizionale che mi venga imposta diventerà rapidamente una sentenza da eseguire. Se Vostro Onore ritiene che per tali atti sia necessario il carcere, allora le chiedo di privarmi della libertà e di incarcerarmi qui ed ora."

Jonatan Pollak

[Adattamento per Anarkismo.net in base a alcuni articoli sul sito www.awalls.org]

Traduzione a cura di FdCA - Ufficio Relazioni Internazionali