Comunicato del gruppo anarchico "Ma'avak Ehad"
29 Jan 2004

SINISTRA, DESTRA, DIETRO-FRONT!

Prima che gli attivisti di sinistra tornino nelle strade con veglie contro gli insediamenti di coloni o contro l'oppressione sui Palestinesi e nell'eventualità che riescano anche a formulare una reale alternativa alle politiche di apartheid, alla sottrazione di terre ed alla deportazione di basso-profilo di cui siamo oggi testimoni, essi hanno il dovere di fare i conti con le condizioni sociali che permettono all'attuale destra di governo di imprigionare, affamare, ferire ed uccidere il popolo palestinese. La sinistra deve pure riconoscere e riflettere sul ruolo che essa ha avuto nel creare e prolungare nel tempo proprio queste condizioni.

A differenza delle condizioni politiche che rendono possibili le attuali politiche governative (e cioè una semplice maggioranza aritmetica nel parlamento israeliano), le condizioni sociali hanno radici storiche e culturali più forti e più profonde che stringono in un solo abbraccio sia la sinistra che la destra.

Queste condizioni sono interconnesse ed intrecciate, ma è comunque possibile isolare le 2 che sono le più importanti e che stanno al centro del perdurante conflitto tra Israele ed i Palestinesi: il Sionismo ed il Militarismo.

La sinistra israeliana non può ergersi ad ostacolo contro la brutalità del governo di Ariel Sharon (così come non poteva farlo con Barak, Netanyahu o Rabin), proprio perché ha le mani legate da un'obbedienza cieca ai bisogni ed alle richieste dell'esercito israeliano. La sinistra dichiara che non crede ad una soluzione militare del conflitto, ma al tempo stesso dichiara che intende sostenere l'esercito con un pieno ed incondizionato appoggio in ogni caso. Così, esprimendo questa volontà di mettersi sempre ed in linea di principio al servizio dei militari, la sinistra neutralizza ogni sua potenzialità di fermare la carneficina militare. Se i tutti i primi ministri della storia di Israele, sia di sinistra che di destra, non avessero saputo che l'esercito è uno strumento sacro ed "apolitico" a loro disposizione, che se ne frega del sostegno popolare, essi non si sarebbero messi nelle condizioni di dipendere dai militari così facilmente e prontamente e si può pensare che sarebbero stati capaci di perseguire con maggiore fermezza la strada del negoziato e della soluzione diplomatica.

Ma noi chiediamo: quale credibilità ci può essere per gente che si accorge che la forza militare non è una soluzione, che è testimone quotidianamente dell'alto e crescente numero di vittime come dalle vaste distruzioni necessarie per eseguire gli attacchi, e che tuttavia difende e vuole estendere il servizio militare per farci diventare ingranaggi della stessa macchina che crea e perpetra questi attacchi portatori di lutto?

Un buon esempio dell'egemonia del militarismo in Israele è dato dal gruppo denominato "Refusniks". I membri di questo gruppo non sono obiettori di coscienza nel vero significato del termine, come può essere nel resto del mondo, e cioè persone che non credono nella guerra e nelle battaglie. I "Refusniks" invece si limitano solo a rifiutarsi di fare il militare nei territori occupati. Essi sono intrisi della malattia del militarismo, dal momento che non si pongono nemmeno per un secondo il problema della legittimità della forza di "difesa" di Israele e non intendono porre in discussione la legittimità della guerra come mezzo per risolvere i conflitti nazionali. Essi desiderano essere utili alla macchina militare, uccidere ed essere uccisi a comando, finché non devono personalmente marcire su qualche linea geografica, come nel caso della "linea verde", il confine di Israele prima della guerra del 1967 con la successiva sventurata occupazione dei territori.

Il resto della sinistra, istituzioni come "Peace Now" e "Meretz", sono ancora più addomesticate dei "Refusniks", in onore a quel vecchio mito che vuole il servizio militare nell'esercito di Israele come una posizione o un atto non politici. L'uniforme e l'orgoglio di reparto, al pari del bastone, del fucile e del carro armato, non sono affatto "neutri".

Avallare queste cose vuol dire sostenere attivamente la sofferenza, lo sbandamento e la morte che esse portano tra le popolazioni non-ebree. Per i più di 2000 Palestinesi uccisi dall'inizio dell'intifada di Al-Aqsa, per le loro famiglie e per le decine di migliaia di palestinesi feriti, privati della casa e delle loro cose dalle "nostre forze armate", per tutti costoro non comporta alcun sollievo sapere che quei soldati gli hanno fatto tutto questo senza alcuna "cattiveria". Per loro non fa alcuna differenza se i soldati che stanno distruggendo le loro città coi bulldozer, che li stanno costringendo a stare chiusi in casa per settimane sotto il tiro dei fucili e che rovesciano bombe dal cielo, sono "di destra" o "di sinistra", razzisti o umanitari, se credono oppure no alla soluzione militare. Sono differenze che possono avere significato nei talk-show televisivi, ma se fossimo al posto delle persone che vivono nei territori occupati, anche noi non avremmo dubbi sul fatto che queste differenze non hanno alcuna importanza.

La seconda condizione sociale che impedisce alla sinistra di ergersi contro il massacro, oltre alla santità dell'esercito, è il Sionismo.

Nelle posizioni e persino negli slogan della principale sinistra sionista, si possono cogliere queste tesi: "Usciamo dai territori occupati e staremo bene" dice un gruppo studentesco, "Lasciamo i territori, torniamo ai nostri sensi", esclama la Coalizione per la Pace, e così via. E' la tesi che la conquista militare della West Bank e della striscia di Gaza era ed è tuttora qualcosa di "alieno" dallo Stato di Israele, un caso isolato di "errore" storico commesso nel passato, per ragioni affatto connesse con la natura e l'essenza del sionismo, e se solo si potesse venir via da lì ogni cosa tornerebbe al suo posto ed alla normalità. La verità invece non è così semplice.

Circa 20 anni prima dell'occupazione dei territori palestinesi nel 1967, nel conflitto che i Sionisti chiamarono "Guerra di Indipendenza" ed il popolo palestinese chiama "El Nakba-(Il Disastro)", quasi 500 villaggi palestinesi vennero distrutti dalle forze armate sioniste (villaggi di cui è scomparsa qualsiasi traccia nel territorio o nelle carte geografiche di Israele) e più della metà del popolo palestinese venne espulso dal suo territorio che quindi divenne lo Stato di Israele (stiamo parlando di circa 750.000 persone che furono strappate alla loro terra ed alle loro case, sia con deportazioni forzate che con minacce o con il terrore dei massacri compiuti dai sionisti - di cui Deir Yassin è l'autore più famoso, sebbene non fosse il più terribile e nemmeno il solo).

Fino a che la sinistra continua a vedere l'occupazione dei territori palestinesi come una sorta di isolato errore storico, a considerarlo come la radice di un problema invece che il sintomo di ben altro, essa continua ad ignorare (con evidente convenienza) la questione più cruciale del conflitto arabo-israeliano, che sta tutto nell'instaurazione dello "Stato ebraico" a scapito del popolo palestinese che viveva proprio su quelle terre fino all'arrivo del movimento sionista. Ecco perché la sinistra sionista non riesce a capire, proprio come Itzhak Rabin ed Ehud Barak non riuscirono a capire sia negli accordi di Oslo che in quelli di Camp David il punto di vista e le richieste della delegazione palestinese, che invece insisteva per il pieno controllo della West Bank e della striscia di Gaza (appena il 22% del territorio palestinese sotto il protettorato inglese). Chi fu così cieco da non vedere -compresa ovviamente la sinistra sionista che accolse con entusiasmo e sostenne quegli accordi- non capì che per i Palestinesi la richiesta di sovranità sul già menzionato 22% di territorio significava che essi erano disponibili a rinunciare a quel 78% di terra da cui erano stati scacciati ed esiliati, il che costituiva a tutti gli effetti un compromesso di portata storica.

La sinistra, il cosiddetto campo pacifista, non saranno mai in grado di stabilire una pace vera e duratura, fino a che non ammetteranno le responsabilità del sionismo nello spodestamento del popolo palestinese dalla sua terra e fino a che si rifiuteranno di capire che un paese in cui più di 1/5 della popolazione non è ebrea, non può essere sionisticamente uno stato ebraico ed al tempo stesso una vera democrazia. Il massimo che il sionismo può permettersi è una "democrazia militare" con cittadini di serie B (come i palestinesi, i beduini, i drusi ed i lavoratori stranieri) a cui fare "offerte generose" stile Barak oppure il "riconoscimento di uno stato palestinese" stile Sharon, cosa che significa solo la creazione di ghetti palestinesi, separati e privi di speranza, in cui produrre a costi bassi, sfruttare intensamente una mano d'opera a buon mercato per le industrie israeliane: il "nuovo Medio Oriente" di Shimon Peres. Tuttavia, non è meno sorprendente che dal 1993 (l'inizio del cosiddetto "processo di pace") ad oggi, la situazione del popolo palestinese sia peggiorata nettamente, mentre sia duplicato il numero dei coloni stabilitisi sulle loro terre.

Una sinistra che insista nello stare sui parametri del militarismo e dello sionismo e della loro narrazione storica, può dare ai Palestinesi una cosa sola: una pace offerta da una "posizione di superiorità", con la speranza che nel frattempo la striscia di Gaza "sprofondi nel mare", come disse una volta il beneamato Rabin (quello stesso uomo di pace che, come misura deterrente, ordinò di spezzare braccia e gambe di palestinesi innocenti). Lo striscione di testa dell'ultima manifestazione di massa della sinistra diceva "Fuori dai territori, per la salvezza di Israele!", dimostrando come non esista l'altra parte palestinese, come i suoi bisogni e le sue richieste siano irrilevanti di fronte a ciò che veramente conta: i cittadini ebrei morti, solo quelli contano.

La sinistra sionista non è in grado di superare i suoi limiti intrinseci. Il suo ruolo politico si è ridotto a fare il "poliziotto buono" insieme al "poliziotto cattivo" Sharon ed ai generali fascisti che lo seguiranno passo passo. Il ruolo della sinistra è quello di fissare un controllo del danno, di essere l'aspetto gentile della politica di segregazione. Il suo ruolo è sempre quello di bombardare, uccidere, distruggere, discriminare - ma meno pesantemente. Il ruolo della sinistra è quello di sparare e insieme spargere lacrime, liberando colombe, spargendo fiori e innalzando canti pacifisti sullo sfondo. Il massimo che può fare è cercare di imporre un "accordo di pace" come quelli che la destra israeliana e gli USA stanno attualmente cercando di imporre: un accordo di pace che non porta a nessuna pace ed a nessun accordo, e che costringerà con la minaccia delle armi Arafat, Abu Mazen e gli altri leader palestinesi a vendere il loro popolo in cambio della carica di despota brutale e corrotto in una gigantesca prigione spacciata per Stato.

La sinistra sionista è in competizione continua con la destra: una sfila con più bandiere nazionali, l'altra canta più forte l'inno nazionale, una è più dura nel condannare gli imboscati che evitano la leva....

Non possiamo che rilevare che non vi è più alcuna competizione. La sinistra è uguale alle destra. Il comune terreno che condividono, fatto di militarismo e sionismo, è più forte e più significativo di qualsiasi altra differenza frutto di cosmesi che possa distinguerle. I nostri padri, fratelli e figli, stanno commettendo crimini di guerra sul popolo palestinese tramite un'organizzazione terroristica come l'esercito ed il popolo palestinese, potete starne certi, non troverà alcuna differenza fra la destra e la sinistra.

MA'AVAK EHAD

traduzione a cura dell'Ufficio Relazioni Internazionali/FdCA


Il gruppo anarchico israeliano "Ma'avak Ehad" (Una Lotta), è attivo nell'iniziativa degli "Anarchici Contro il Muro".

www.onestruggle.org