I comunisti-anarchici hanno sempre costruito proprie organizzazioni specifiche, sin da quando l’anarchismo si è sviluppato come movimento politico del proletariato internazionale. L’organizzazione politica dei comunisti anarchici è parte integrante delle lotte degli sfruttati ed in esse riporta i contenuti di uguaglianza, libertà, solidarietà che hanno ispirato e sostenuto tutte le sperimentazioni rivoluzionarie precedenti: dalla Prima Internazionale (1864) alla Comune di Parigi (1871), dalla Rivoluzione Russa (1917) alla Rivoluzione Spagnola (1936).

150 anni di lotta di classe hanno insegnato che

- il capitalismo (protezionista o libero-scambista, di Stato, keynesiano, neo-liberista o globalizzato che sia) organizza le relazioni umane al fine di trarre il massimo profitto dallo sfruttamento delle classi più deboli e più povere;

- lo Stato (borghese, socialista o religioso che sia) gestisce le relazioni umane al fine di limitare e reprimere il più possibile la libertà di organizzazione e di lotta anticapitalista delle classi più deboli e più povere;

- le classi sfruttate più deboli e più povere, nel corso delle sperimentazioni rivoluzionarie, hanno elaborato un progetto autonomo di organizzazione della società che si fonda sulla autogestione della produzione e della distribuzione e sul perseguimento della massima libertà possibile;

- è necessaria una funzione politica che sia memoria delle lotte passate e soggetto agente nelle lotte presenti per perseguire quel progetto di società autogestita e libertaria. Questa funzione politica non può dirigere le lotte, né sostituirsi ad esse; può solo stare dentro il livello di coscienza che le lotte esprimono e cercare di orientarne metodi e contenuti verso il progetto autogestionario e libertario in una prospettiva gradualista rivoluzionaria.

E’ per svolgere questa funzione che si sviluppa un’organizzazione politica come la F.d.C.A. ed altre simili nel mondo. Per fare politica anarchica nelle lotte delle classi sfruttate e con esse, per costruire gradualmente l’alternativa libertaria, perché un altro mondo sia possibile, purchè autogestito ed antiautoritario.

PER UN ALTRO MONDO POSSIBILE, UN MONDO SOLIDALE E LIBERTARIO

DIFFONDERE LE LOTTE SOCIALI, AGIRE IN MODO ANTIAUTORITARIO!

Il progetto sociale comunista e libertario, per una società più giusta, più ugualitaria, più libera, vive nelle lotte sociali contemporanee solo se gli/le anarchici/che ed i/le libertarie/e se ne fanno portatori, divulgatori, protagonisti. Agendo all’interno dei movimenti di lotta e delle loro strutture organizzate con contenuti anticapitalisti e metodi antiautoritari. Senza il contributo dell’anarchismo i movimenti di lotta cadono vittima degli opportunismi e di nuovi capi; fuori dai movimenti l’anarchismo si isterilisce, diviene autoreferenziale e subisce un inesorabile processo di rimozione sociale.

IL MOVIMENTO ANTI-GLOBALIZZAZIONE

(Non è cominciato a Seattle, non è finito con Genova)

All’interno di questo movimento molto composito e destinato a radicalizzarsi sempre di più, noi portiamo i seguenti contenuti:

- la globalizzazione non è una degenerazione del capitalismo, ma è la forma più appariscente del capitalismo internazionale contemporaneo; per cui lottare contro la globalizzazione significa lottare contro il capitalismo, e non tentare di correggerlo;

- le istituzioni internazionali del capitalismo (BM, FMI, WTO, OCSE,…) non sono riformabili né riconducibili a politiche disinteressate di aiuto solidale verso i paesi poveri o in crisi. Esse sono banche e prestano denaro per interesse secondo una logica capitalista, oppure regolamentano il commercio in base allo scambio ineguale. Lottare contro di loro significa lottare contro il capitalismo;

- gli Stati nazionali (tutti) -e/o le loro articolazioni macroregionali- non sono vittime della globalizzazione, bensì efficaci coadiutori che attivano politiche di restrizione della spesa sociale, deregolamentano la legislazione sul lavoro, reprimono le lotte sociali interne; lottare contro la globalizzazione significa lottare contro lo Stato;

- le grandi concentrazioni del capitalismo internazionale (nelle telecomunicazioni, nell’agro-chimico-alimentare-farmaceutico, nelle tecnologie avanzate, nei settori tradizionali) moltiplicano i loro utili ed il loro potere grazie all’uso totalmente deregolamentato dell’occupazione, delle retribuzioni, dei diritti sindacali; lottare contro di esse significa ri-assumere la centralità della contraddizione capitale-lavoro salariato nella lotta alla globalizzazione, per il capitalismo cosa molto più pericolosa dei boicottaggi o delle vetrine infrante;

- il problema del debito e della povertà è di molto precedente alla "globalizzazione" e non risiede nella famosa asimmetria del 20% dei paesi che detiene l’80% delle ricchezze; il confronto tra paesi è fuorviante: il debito dei paesi poveri e di conseguenza le loro ricchezze sono nelle mani delle istituzioni del capitalismo internazionale e delle classi ricche degli stessi paesi poveri, le quali sono spesso ferocemente repressive sulle lotte dei loro connazionali poveri e salariati; lottare per l’annullamento del debito significa lottare contro il capitalismo;

- la riduzione in schiavitù di minori, uomini e donne immigrati/e e le conseguenti iniziative per la tutela dei diritti di persone spinte verso ovest e verso nord dalla miseria e dalle guerre non è affrontabile in termini etico- etnici, ma in termini di solidarietà di classe;

- il commercio equo e solidale, la finanza etica ed una eventuale Tobin tax sono ottimi rilevatori delle contraddizioni capitalistiche, ma non sono risolutive in chiave anticapitalistica;; i primi due cercano di creare un circuito alternativo a quello delle grandi concentrazioni capitalistiche ed è tollerato poiché si tratta sempre di transazioni con creazione di flussi di capitali di ritorno che si affiancano a quelli normali senza intaccare la contraddizione capitale-lavoro salariato; la seconda confida sulla buona salute del capitalismo finanziario; sono comunque utili per diffondere coscienza critica verso il profitto;

- i boicottaggi e le ben più efficaci azioni giuridiche contro le grandi concentrazioni capitalistiche colpevoli di danni ambientali, manipolazioni genetiche, sfruttamento di minori e di lavoratori/trici hanno avuto -per ora- il limite di alimentare l’equivoco consumatori-vittime, mentre andrebbe approfondito l’aspetto totalmente anticapitalista di queste azioni (diritti di proprietà intellettuale; brevettabilità; protocollo sul principio precauzionale,…);

- le strutture organizzative e rappresentative che il movimento si dà possono essere solo federative, orizzontali, antiautoritarie; autonome ed indipendenti dalle istituzioni;

- le discriminanti (minime necessarie) che il movimento si dà sono quelle dell’anticapitalismo e dell’antiautoritarismo;

- disobbedienza civile (tute bianche,…) e guerriglia urbana (black block docg,,…) sono tattiche che conquistano le prime pagine dei media ma non un cm in più per la lotta di classe. La prima privilegia l’azione dimostrativa e simbolica come cavalieri dell’ordine della non-ubbidienza all’impero, la seconda privilegia il solito schema elitario ed autocompiacente delle avanguardie del no-future. Entrambe si rivelano tattiche inutili (Bentham) per l’oscuro lavoro e quotidiano impegno sociale, sindacale, politico. Lavoro che cerca di far crescere il numero dei/lle cittadini/e sfruttati/e che guadagnano un pensiero critico ed oppositore al potere statal-capitalista; che cerca di organizzare autonomamente situazioni, luoghi, organismi in cui elaborare iniziative di studio e di lotta e federarne le potenzialità; che persegue metodi e contenuti di libertà, uguaglianza e solidarietà incompatibili ed alternativi con quelli autoritari dello Stato e del neo-liberismo;

- altri movimenti storici, (ambientalista; antimilitarista; sindacale; femminista) possono dare al movimento contro la globalizzazione metodi e contenuti di grande valenza libertaria.

IL MOVIMENTO AMBIENTALISTA

La presenza anarchica in questo movimento trasversale è di lunga data e di respiro internazionale. Partecipiamo alle lotte ambientaliste con questi contenuti:

- l’ambiente in cui viviamo è il frutto dello sviluppo del capitalismo; i gravi danni ambientali non sono dovuti ad un modello di sviluppo non più sostenibile, bensì alla natura stessa invasiva del modello capitalistico, capace di fare profitti con la stessa cultura ambientalista (vedi business dei rifiuti e delle bonifiche);

- un modello di sviluppo sostenibile è sostenibile solo eliminando il capitalismo;

- la contraddizione ambientale maggiore non sta più nell’inquinamento del territorio, ma nel controllo politico ed economico delle risorse energetiche e genetiche per farne mercato e trarne profitti; impedire la privatizzazione ed i brevetti di queste risorse fondamentali è il nuovo compito del movimento ambientalista, ma sarebbe pericoloso confidare sul buon cuore di capitalisti ed amministratori politici; essere ecologisti e non essere contro le grandi concentrazioni industriali (vedi ong come Greenpeace,…) restringe la prospettiva di lotta;

- i numerosi "corridoi" internazionali ed intercontinentali (autostrade, TAV,gas-oleodotti,…) non possono essere combattuti con una sorta di "primitivismo" ambientale o con l’ottenerne lo spostamento un po’ più in là (sindrome nimby), bensì denunciandone il profitto capitalista e l’origine di numerosi conflitti regionali;

- le strutture organizzative che il movimento può darsi sono quelle federative, orizzontali, antiautoritarie; a livello locale occorre sviluppare una forte rete di comitati specifici con forti spinte vertenziali verso enti locali e terminali causa di danno ambientale; ma anche far emergere le reti dei produttori in autogestione (CIR,…);

- le discriminanti (minime necessarie) che il movimento si dà sono quelle dell’anticapitalismo e dell’antiautoritarismo;

- per la grande sensibilità alle questioni ambientali, le mobilitazioni (ecologiste) di massa sono molto più utili delle azioni (ecologiste) dirette e ristrette; le prime sviluppano forte vertenzialità e sedimentano pensiero critico (anti-nucleare anni ’70, Bovè oggi); le seconde tentano il sabotaggio esemplare e molto spesso lì si fermano..

IL MOVIMENTO ANTIMILITARISTA

La presenza anarchica in questo movimento ha radici lontane, vista l’avversione anarchica per eserciti, guerre e stati maggiori. Ben nota è invece la partecipazione anarchica alle milizie autoorganizzate per difendere le conquiste rivoluzionarie a Parigi, in Russia o in Spagna (ed in questi ultimi due casi anche contro le "armate rosse" bolsceviche), o durante la Resistenza all’occupazione nazista in Italia. In questo movimento portiamo i seguenti contenuti:

- le guerre scoppiano sempre a causa dello scontro di enormi interessi economici e di potere geopolitico; la verniciatura umanitaria, nazionalista, etnica, religiosa, tribale che gli viene data -a seconda dei casi- serve solo a nascondere la vera posta in gioco ed a sedimentare sentimenti di odio al fine di mettere le une contro le altre le classi più deboli e più povere;

- il nazionalismo e l’appartenenza etnico-religiosa sono le ideologie usate sempre di più dagli Stati nazionali (spesso si tratta di pvs ed hipc) per ottenere consenso sociale a politiche economiche protezioniste, tese a ritagliarsi nicchie di mercato o controlli su giacimenti e corridoi strategici all’interno della globalizzazione, con costi sociali molto alti sulle classi lavoratrici; lottare contro il nazionalismo significa lottare contro il capitalismo;

- il militarismo e la militarizzazione della società sono le forme di controllo e costrizione sociale che si affiancano alle ideologie nazionaliste; costituiscono il mercato globale del business delle armi; lottare contro il militarismo significa lottare contro il capitalismo;

- l’intervento militare "umanitario" contro dittatori vari o a sostegno di interessi nazionalistici guerriglieri non porta liberazione e democrazia, ma uno stato di guerra endemica, con stanziamento semiperenne di eserciti e basi NATO nelle zone di guerra e nei paesi vicini, a protezione degli interessi economici del capitalismo internazionale; lottare contro gli interventi militari significa lottare contro il capitalismo;

- il movimento pacifista e non-violento si batte per il cessate il fuoco ovunque e per la pace, contro lo scudo spaziale e l’aumento delle spese militari, per gli interventi umanitari pacifici e per la solidarietà internazionale, per l’accoglienza dei profughi e dei disertori, per il ritiro degli eserciti, il disarmo e la smilitarizzazione del territorio e della società; per la valorizzazione della società civile, perché la pace serva alla ripresa del conflitto sociale e di classe, pacifico e non-violento se possibile, ma certamente anticapitalista; lottare per la pace significa lottare contro il capitalismo;

- le strutture che il movimento si può dare sono a carattere federalista, orizzontale, antiautoritarie, con particolare alla diffusione di comitati contro la guerra e contro le basi militari, di osservatori sulla militarizzazione del territorio e della società;

- le discriminanti sono quelle dell’anticapitalismo e del rifiuto del militarismo (da quello istituzionale a quello dei movimenti in piazza).

IL MOVIMENTO SINDACALE

Ci sono moltissimi lavoratori/trici anarchici/che attivi/e in diversi sindacati: dalla sinistra nella CGIL ai vari COBAS, dall’UNICOBAS all’USI, dalle RdB alla CUB, in vari settori e categorie, in diverse realtà geografiche e politiche. Molti altri non fanno riferimento ad un sindacato preciso. Più spesso la scelta è data dalla materialità dei rapporti di forza nel luogo di lavoro più che dal sentirsi rivoluzionari, è data dalla condivisione di un percorso o di una stagione di lotte con i compagni di lavoro più che dal massimalismo di una sigla o di un’altra. Molto spesso gli attivisti sindacali anarchici e libertari sanno essere elementi di unione dei lavoratori e non di divisione, sanno puntare alla comunanza di interessi e di intenti e non al settarismo. Molto spesso devono difendere il loro sindacato dalle "male arti" dei riformisti, e questo sarà più facile se è un sindacato che gode delle simpatie e dell’appoggio dei lavoratori/trici. Gli attivisti sindacali anarchici e libertari sanno caratterizzare una piattaforma in senso conflittuale, sanno portare all’interno dell’organizzazione delle lotte una prassi libertaria, sanno far conoscere e sviluppare la democrazia diretta, il controllo dal basso sui delegati, sulle fasi della contrattazione; vengono eletti come delegati nelle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU).

Si tratta di una pluralità di esperienze, diffuse e significative. Sono portatrici di un progetto alternativo: ricostruire un sindacalismo di classe a democrazia diretta; ma sono prive di una reale forme di coordinamento.

Nel 2001, la F.d.C.A. ha lanciato agli attivisti sindacali anarchici e libertari un Appello perché si tentasse una qualche forma di coordinamento che partisse dai luoghi di lavoro e, attraverso il territorio, giungesse a livello nazionale. Questo Appello è oggi più che mai attuale.

Perché nei luoghi di lavoro? Perché è proprio qui che occorre ricostruire l’unità di interessi tra lavoratori/trici con diverse forme di contratto, riprendere nelle mani la contrattazione decentrata, tutelare il diritto alla salute, gestire l’orario per gestire meglio la vita, svincolare il salario dalla produttività, respingere il ricatto del lavoro straordinario.

E nel territorio è proprio degli anarchici e dei libertari/e costruire luoghi e situazioni in cui possa riconnettersi quel tessuto associativo, di dibattito, di elaborazione politica e culturale, di solidarietà, come furono le Società di Mutuo Soccorso e i circoli culturali che in passato fecero forte il movimento operaio e permisero un’efficace difesa degli interessi di classe. Costruire Camere del Lavoro Intersindacali che possono consentire di ritessere una trama di relazioni e di elaborazioni sindacali a prescindere dalle appartenenze e dalle tessere, dove la ricchezza viene dalle diverse esperienze sindacali, da quegli organismi autogestiti, da quei sindacati, da quei militanti sindacali e politici che individuano e perseguono obiettivi di lotta- parziali e più generali- su cui federare i lavoratori appartenenti a differenti organizzazioni sindacali.

E a livello nazionale devono essere proprio gli attivisti sindacali anarchici a far sì che la diffusione di un sindacalismo conflittuale a prassi libertaria diventi il progetto discriminante su cui federare spezzoni di classe, attivisti sindacali, sindacati di base diversi.

Non è credibile una convergenza del sindacalismo di base in una sola organizzazione, ma è urgente e necessario che il sindacalismo conflittuale si sedimenti e si ponga come vera forza alternativa ed attraente per i lavoratori tutti. Per questo è nostro compito cercare di lavorare perché almeno si costruisca una stabile piattaforma del sindacalismo di classe.

Una piattaforma in cui si pongano degli obiettivi e dei principi indisponibili su salario, orario, diritti, servizi, democrazia sindacale per tutti i lavoratori/trici italiani e migranti, garantiti e precari, del nord e del sud.

Una piattaforma di lotta con cui ricostruire l’unità dei lavoratori, ripristinare la solidarietà di classe, restituire al mondo del lavoro democrazia sindacale ed autonomia progettuale per una società più ugualitaria e più libertaria!

IL MOVIMENTO FEMMINISTA

Il movimento femminista internazionale ha lottato e lotta per una prassi politica, di fatto libertaria, in cui la soggettività, libera dalle catene dell’universalismo umanitario (di fatto maschile perché pensato da/per un unico soggetto), possa convivere in contesti civili fondati su due soggettività: maschile e femminile. Di fatto le battaglie del movimento femminista si intersecano con quelle dell’opposizione al capitalismo multiforme che utilizza le donne in tutti i paesi del mondo (Italia inclusa) come lavoratori di seconda categoria a tutti i livelli della struttura produttiva e riproduttiva: sfruttandole come lavoratori più facilmente ricattabili perché meno politicizzati, in misura minore organizzati in sindacato, più poveri e spesso con interi nuclei familiari a carico. Le donne sono meno scolarizzate in buona parte del mondo non occidentale o discriminate in quanto scolarizzate, come succede in occidente: quando un lavoro si femminilizza perde lo status precedentemente goduto e vale economicamente di meno nel mercato del lavoro.

Il movimento femminista si mobilita contro il tentativo politico - normativo dei differenti stati occidentali e non occidentali di impedire alle donne una piena cittadinanza attraverso restrizioni alle leggi sull’autodeterminazione della libertà femminile, come accade in Italia dove è in discussione una legge sulla fecondazione assistita che darebbe all’embrione statuto di personae in tutti i paesi in cui, attraverso pregiudizi biologici ancora resistenti o a causa di pregiudizi religiosi, le donne sono impedite nella loro libertà individuale e nel raggiungimento di una coscienza politica e di una coscienza di classe. Le donne sono schiavizzate in tutto il mondo e ferite, sfigurate o uccise solo perché sono esseri umani sessuati al femminile.

Il percorso politico delle donne è stato capace di creare reti internazionali di solidarietà e di lotta, per l’autodeterminazione, contro le guerre, per la ridistribuzione del reddito e dei diritti, primi quelli all’integrità fisica, alla salute, all’educazione, partendo da sé ma arrivando a tutte/i.

Il movimento femminista è originariamente internazionale, anticapitalista e antiautoritario: le riflessioni politiche che emergono da questo movimento possono e devono essere fonte di arricchimento per tutte le battaglie contro la globalizzazione.

Perché le donne non siano usate e scambiate come merce sessuale, come merce matrimoniale - fondamentale tassello per la successione e il passaggio patrimoniale -, come manodopera a bassissimo costo, come è avvenuto finora in ogni tempo storico e oltre i confini delle varie potenze imperiali, nazionali etc...ma attraverso la libertà delle donne si costruisca la libertà di tutti/e e, affrancandosi da ruoli e false morali repressive ed ipocrite, si costruisca finalmente una società di piena cittadinanza e di piena realizzazione per ciascuno/a.