Tesi di Pontedecimo

 

Relazione sul preambolo

(Pier Carlo Masini)

 

PREMESSA

Pubblichiamo qui di seguito gli appunti (corredati di alcune aggiunte posteriori) sui quali il compagno P. C. Masini svolse la sua relazione alla conferenza di Genova, relazione che oltre a dimostrare l'assunto avanzato nel preambolo delle tesi, intese introdurre e completare sul piano dell'informazione e della documentazione storica la relazione sull'enunciato.

Abbiamo lasciato questi appunti al loro stato grezzo, a schede bibliografiche, dato che il materiale in essi contenuto abbisogna di un ulteriore vasto lavoro di ricerca, d'arricchimento e di elaborazione: lavoro che oggi al relatore non è consentito portare a termine.

Tuttavia, il sommario più sopra riportato, può servire come filo conduttore alla lettura di questi appunti che, anche nella presente forma, indicano ai compagni alcune utili tracce per uno studio organico sul problema della liquidazione dello stato.

LE RADICI DEL PROBLEMA

Le origini dell'antistatalismo anarchico vanno collegate intimamente alla problematica socialista sullo stato e alla polemiche inerenti in campo socialista. E' parto della storiografia idealistica la tendenza a valorizzare posizioni e atteggiamenti antistatalisti, disseminati nel corso dei secoli, con la pretesa di ricostruire a posteriori una continuità di pensiero che non esiste.

Occorre perciò prendere le mosse solo dagli immediati precedenti della critica anarchica contro lo stato e contro le tendenze stataliste in campo socialista, in quanto questi precedenti hanno pesato direttamente ed attualmente nell'impostazione e nello svolgimento di questo indirizzo teorico.

In Italia un punto di partenza può essere la critica anti-giacobina del Cuoco che influenza il Pisacane e il Cattaneo (ed anche il Ferrari ed il Montanelli) i quali a loro volta ispirano largamente la prima generazione di socialisti (Prima Internazionale).

Per il Cuoco vedi: Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 (Milano 1901): Frammenti di lettere dirette a Vincenzo Russo (ivi).

Per Pisacane, Cattaneo, Ferrari, Montanelli, cfr P. C. Masini, Dittatura e rivoluzione nei dibattiti del Risorgimento, in Volontà (Napoli) a. II (1947), n. 1, 2, 3, 4, 5. 6.

PROUDHON

In campo internazionale la linea di partenza è Proudhon (nel campo della tradizione culturale nazionale francese si può risalire ad alcuni estremisti della grande rivoluzione).

Il problema è trattato in: L'idèe generale de la revolution au XIX siede (1851); Du principe federatif et de la necessité de reconstituer le parti de la Revolution (1863) e nell'opera postuma La capacité politique des classes ouvrières.

E' ancora da studiare l'influenza del Proudhon in Italia.

BAKUNIN, FONDATORE DELLA TEORIA ANARCHICA SULLO STATO

Nel pensiero di Bakunin si trovano all'origine tutti gli elementi della teoria anarchica sullo Stato, cioè:

  1. la definizione dello stato come critica della concezione idealistica;

  2. la critica della critica idealistica allo stato;

  3. la critica della teoria dello stato popolare;

  4. la critica dello statalismo socialista;

  5. la enunciazione della teoria della liquidazione dello stato;

  6. la trattazione dei molteplici problemi tattici, organizzativi di ricostruzione sociale connessi a detta teoria.

Per una esauriente esposizione del pensiero di Bakunin occorre tener presenti anzitutto gli scritti pubblicati dal Nettlau e Guillaume presso l'editore Stock (sei volumi), nonché molti documenti e lettere pubblicati in seguito.

Una pubblicazione Introduttiva può essere la lettura di Bakunin pubblicata dal nostro collettivo nazionale di studio.

LA COMUNE

Due comunardi esaltarono il carattere libertario e antistatalista della Comune: Lefrancais e Arnould. Cfr. G. Lefrancais, Elude sur le Mouvement Communaliste a Paris, Neuchatel, Guillaume, 1871. A. Arnould, Histoire populaire et parlamentaire de la Comune, Bruxelles.

LE ENUNCIAZIONI DI MARX ENGELS

Il pensiero di Marx-Engels sul problema dello stato non è unitario. Vi si possono individuare almeno tre atteggiamenti: un atteggiamento iperstatalista (dittatura centralizzata), un atteggiamento statalista (repubblica democratica), un atteggiamento antistatalista (la Comune).

Quest'ultimo è quello che a noi interessa. Se ne possono trovare tracce nelle più importanti opere di Marx-Engels (ivi compresa la corrispondenza e gli atti della I Internazionale).

Uno studio dell'argomento, accompagnato da adeguate ricerche dovrebbe approfondire molte questioni controverse ed estendersi anche ai problemi connessi alla definizione marxistica dello Stato e all'interpretazione delle formule correnti della teoretica marxista sullo stato.

Nella letteratura politica italiana esistono solo due opere introduttive: C. F. Ferraris, Il materialismo storico e lo Stato, Palermo, Sandron 1898; L. Dal Pane, La concezione marxistica dello Stato, Bologna, Cappelli, 1924.

L'OPINIONE DI C. CAFIERO

è contenuta in tre scritti:

  1. Lettera a F. Engels del 12-19 giugno 1872 (riportata integralmente in M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra, Risveglio 1928 pp 333-344).

  2. Discorso tenuto al congresso di Chaux de Fonds del 9-10 Ottobre 1880 e pubblicato sotto, il titolo "Anarchia e comunismo" in Le Revolté del 13 e del 27 nov.1880 (più volte ristampato in opuscolo).

  3. Saggio dal titolo "Révolution" pubblicato su La Revolution Sociale di Saint Cloud dal numero del 24 febbraio 1881 al numero del 29 maggio dello stesso anno. In questi tre scritti il Cafiero espone le sue vedute: nel primo in forma polemica dichiarando il suo dissenso dai principi statalisti contenuti nel "Manifesto del comunisti", nel secondo sintetizzando la concezione comunista anarchica in forma quasi programmatica, nel terzo illustrando i lineamenti di una rivoluzione socialista libertaria.

IL PROBLEMA NEGLI SCRITTI DI F. S. MERLINO

  1. Il lato fossile del socialismo contemporaneo (scritto nel 1889, pubblicato nel febbraio-marzo 1903 sulla rivista Il Pensiero di Roma, ristampato nella raccolta F. S. Merlino, Revisione del marxismo, a cura di A. Venturini, Bologna, Minerva, 1945 pp 21-39). Critica il principio della conquista del potere politico, della dittatura di classe, delle statalizzazioni; intravede l'unità proprietà-stato e il nuovo conseguente stratificarsi di classi antagoniste.

  2. Le programme d'Erfurt in La révolte (Parigi) Supplement litteraire n. 24, 25, 26, 27. Critica del programma di Erfurt.

  3. Le programmo di Gotha et la critique de Marx in La Sedete Nouvelle (Bruxelles) a. 1891, vol. I. Esame della critica di Marx al programma di Gotha.

  4. Dittatura del proletariato. Collettivismo in F.S. Merlino, Pro e contro il socialismo, Milano Treves 1897 pp 24-26. 

  5. S. Merlino, Il problema economico e politico del socialismo, a cura di A. Venturini. Milano Longanesi 1948 (opera postuma); in particolare pp 195-214.

UNA OBIEZIONE di O. GNOCCHI o VIANI

Nel progetto di programma del partito socialista rivoluzionario di Romagna (pubblicato nel supplemento de L'Avanti di Cesena del 28 agosto 1881) veniva accolto il principio della dittatura in questi termini: "dittatura temporanea delle classi lavoratrici, cioè accumulazione di tutto il potere sociale (economico politico militare) nelle mani dei lavoratori insorti all'oggetto di atterrare gli ostacoli, che il vecchio ordine di cose oppone all'instaurazione del nuovo, di difendere, di provocare, di propagare la rivoluzione, di eseguire l'espropriazione dei privati, di stabilire la proprietà collettiva e l'ordinamento sociale del lavoro".

E' questa una interpretazione estensiva non restrittiva del concetto di dittatura, come esercizio diretto del potere da parte di tutta la classe lavoratrice.

Tuttavia O. Gnocchi-Viani, che per altri aspetti era così lontano dall'indirizzo anarchico promosse una obiezione che risentiva dell'influenza bakuniniana.

Ecco alcuni tratti della lettera inviata dallo Gnocchi-Viani a La Favilla di Mantova del 9 ottobre 1881:

"... la dittatura di una classe si risolve sempre nella dittatura di pochi uomini e talvolta anche di un uomo solo.
Ne abbiamo i lagrimevoli esempi nella dittatura della classe aristocratica e clericale nel passato, e della classe borghese nel presente.
Del resto, io credo che gli uomini debbano avere anche un compito educatore.
Vogliono o no i socialisti educare anarchicamente? Se si, devono di fronte al principio autoritario agire costantemente per eliminazione. La dittatura non è un'eliminazione d'autorità, ma ne è una reintegrazione. E ciò è grave!
".

Il Costa replicò riconfermando l'interpretazione estensiva; del principio (cfr. L'Avanti del 17 ottobre 1881). Anche il Monticelli intervenne nella polemica, a favore della tesi anarchiche; (cfr. La Favilla del 20 ottobre 1881).

IL PROBLEMA NEI CONGRESSI DELLA 1a INTERNAZIONALE

In due congressi la questione venne particolarmente sollevata e dibattuta: nel congresso di Bruxelles del 1874 (interventi di De Paepe) e nel congresso "universale" di Gand dove si trovarono di fronte le due opposte tendenze: statalista e antistatalista (cfr. risoluzioni proposte).

Vedi i resoconti in J. Guillaume, L'internationale. 4 vol., Paris Stock 1905-10. Del Guillaume. In particolare, vedi l'importante articolo a pag. 229-233 del III vol.

LO STATALISMO DI LASSALLE

Vedi per una conoscenza delle posizioni stataliste di Lassalle, che ebbero una notevole influenza su molte tendenze del socialismo europeo, due scritti: Il programma operaio (1863); Discorso per la questione operaia (1864).

ALCUNE OSSERVAZIONI DI A. COSTA (1890)

Nello sviluppo del pensiero costiano sul problema si distinguono due fasi: una fase anarchica durante la quale (1878-1879) Costa segue le posizioni bakuniane e le ricalca in molte occasioni; una fase socialista durante la quale, fin dal programma del partito socialista rivoluzionario di Romagna, accoglie la formula della "dittatura del proletariato". E' interessante vedere come, a distanza dalla sua "svolta", torni a concentrare, durante un periodo di detenzione i suoi interessi sul problema.

Cfr. A. Costa, Annotazioni biografiche per servire alle "Memorie della mia vita" in Movimento Operaio a IV n°2, marzo-aprile 1952:

  1. 29 maggio 1898: "concetto anarchico - il più completo, il più umano - quello al quale il trionfo dell'avvenire è assicurato; passato un periodo probabilmente lungo (due o tre generazioni dopo la rivoluzione economica e politica) di socialismo limitatamente autoritario".

  2. Citazioni dalla "Storia Coloniale Americana" di Bancroft: 7 giugno, 8 giugno, 13 giugno.

  3. Sul periodo transitorio e sulla estinzione dello Stato: 27 giugno.

  4. Sulla "autonomia" dello Stato: 3 luglio.

  5. Sulla estinzione dello Stato; 5 luglio.

ANTONIO LABRIOLA

  1. Sulla definizione dello Stato e sul problemi ad essa connessi, in La concezione materialistica della storia (ediz. del 1938, Bari, Laterza) pp 206-16.

  2. Sullo Stato dell'epoca imperialista, su Saggi sulla concezione materialistica della storia, IV, Da un secolo all'altro. Bologna, Cappelli, 1924. 

MALATESTA

Ecco una sommaria bibliografia malatestiana sul problema:

In quasi tutti gli opuscoli di propaganda ed i testi programmatici, redatti dal Malatesta si trovano passi nei quali viene ripresa la critica anarchica delle tendenze stataliste nella rivoluzione.

Fra gli articoli citiamo in particolare:

LA DEMOCRAZIA OPERAIA DI ROSA LUXEMBURG

Per afferrare il pensiero della Luxemburg sul problema della liquidazione dello Stato due luoghi delle sue opere devono essere tenuti presenti: 

a) l'articolo "Questioni d'organizzazione della socialdemocrazia russa" apparso sulla Neue Zeit nell'anno 1904 (a. 22°, voi. 2°, p. 487). Citiamo dalla traduzione francese apparsa in Rosa Luxemburg, Marxismo contro dictature. Spartacus, Paris 1946 (l'opuscolo raccoglie questo ed altri scritti dell'autrice).

In questo articolo la Luxemburg critica il principio della "dittatura" nella sua forma di centralismo organizzativo all'interno del partito. L'occasione polemica è data dal saggio di Lenin "Un passo in avanti, due indietro", nel quale sono esposte le tesi leniniste sulla "ultracentralizzazione" del partito.

Fra l'altro la Luxemburg scrive:

  1. L'impostazione del centralismo su questi due principi, la subordinazione cieca di tutte le organizzazioni fin nei minimi dettagli, di fronte al Centro, e la rigorosa separazione del nucleo organizzato dal movimento rivoluzionario - come intende Lenin - ci sembrano dunque una trasposizione meccanica dei principi d'organizzazione blanquisti del circolo dei congiurati, nel movimento socialista delle masse operaie;

  2. Se, con Lenin, definiamo l'opportunismo come la tendenza a paralizzare il movimento rivoluzionario autonomo della classe operaia e a trasformarlo in strumento delle ambizioni degli intellettuali borghesi, noi dovremo riconoscere che, nelle fasi iniziali del movimento operaio, questo effetto può essere ottenuto più facilmente che con il decentramento, con una centralizzazione rigorosa, che consegnerebbe questo movimento di lavoratori ancora impreparati ai capi intellettuali del Comitato Centrale;

  3. Niente potrebbe più sicuramente asservire un movimento operaio, ancora così giovane, a una élite intellettuale assetata di potere, che questa corazza burocratica in cui lo si immobilizza per farne l'automa manovrante di un comitato. E, al contrario, non v'è garanzia più efficace contro le mene opportuniste e le ambizioni personali, che l'attività rivoluzionaria autonoma del proletariato, grazie alla quale esso acquista il senso delle sue responsabilità politiche.

b) Non a caso la Luxemburg riprende la critica contro il principio della "dittatura", questa volta incarnata in un apparato statale, ancora in uno scritto polemico contro certi aspetti della politica dei bolscevichi russi (in particolare Lenin e Trotski), all'indomani della rivoluzione d'ottobre. Lo scritto, in forma di appunti non elaborati, apparve postumo. Citiamo dalla traduzione italiana: R. Luxemburg. La rivoluzione russa. Scritto postumo pubblicato per cura e con introduzione di Paul Levi. Milano, Avanti, 1922 pag. 77 (il Levi, ex dirigente comunista tedesco, nel 1922 militava nelle file socialdemocratiche e le sue considerazioni esposte nella introduzione possono essere assunte come testo della critica anti-dittatura, quale circolava nelle file socialdemocratiche nel primo dopo-guerra). Citiamo dalla parte IV (pp 64-77) del saggio luxemburghiano:

  1. Tutta la massa popolare deve prendere parte all'atto rivoluzionario. Altrimenti il socialismo viene decretato, imposto dal tavolo verde di una dozzina di intellettuali.

  2. Senza elezioni generali, senza assoluta libertà di stampa e di adunanza, senza libera lotta di pensieri, la vita manca in ogni pubblica istituzione, diventa una vita apparente, in cui solo la burocrazia resta l'elemento attivo. A questa legge nessuno si sottrae. La vita pubblica si addormenta a poco a poco, alcune dozzine di capi-partito, muniti di inesauribile energia e di sconfinato idealismo, dirigono e reggono; tra loro governa, in realtà, una dozzina di teste preminenti: ma l'elite della classe operaia viene, di quando in quando, convocata in assemblee per applaudire i discorsi dei capi, per votare a unanimità le risoluzioni proposte; in fondo, dunque un governo di cricca: una dittatura, ma non la dittatura dei proletariato, bensì la dittatura di un manipolo di uomini politici, vale a dire dittatura in senso borghese, nel senso di regime dei giacobini.

  3. ... dittatura di classe, non di un partito o di una cricca; dittatura della classe, vale a dire apertamente, con attiva e libera partecipazione delle masse popolari in democrazia illimitata.

KAUTSKY E ADLER

K. Kautsky e M. Adler rappresentano nel primo dopo guerra rispettivamente l'ala destra e l'ala sinistra della socialdemocrazia centro-europea.

La dittatura del proletariato di K. Kautsky (citiamo l'edizione italiana con pref. di Giacomo Perticone. Roma, Atlantica, 194 pp. 170) può considerarsi come il testo base della critica socialdemocratica nei confronti della dittatura del partito bolscevico in Russia. In questa critica si agitano due elementi uno d'ispirazione socialista che porta l'autore a respingere la dittatura in nome del marxismo, in quanto essa tenderebbe a forzare un processo storico colle sue ineliminabili fasi di sviluppo (nel caso della Russia a saltare la fase della rivoluzione borghese), una d'ispirazione democratica che conduce ad una condanna della dittatura da un punto di vista morale. Tuttavia l'impostazione del Kautsky nasconde dietro svagature pseudo-libertarie un fondo irriducibilmente statalista legalitario né può stupire che i seguaci del Kautsky, malgrado i loro luoghi comuni contro il bonapartismo rosso e il socialismo cesareo-staliniano; abbiano poi occupato nello sviluppo storico posizioni apertamente controrivoluzionarie e anti-operaie.

Democrazia sociale e democrazia politica di M. Adler (citiamo l'edizione italiana. Roma, L'Astrolabio, 1945) è invece uno studio tendenzialmente ispirato a principi di democrazia operaia, sia pure su un piano riformista.

Nella scia dell'Adler si incontreranno nel ventennio tra due guerre numerose posizioni consimili (In Italia Rosselli e i "giellisti").

LA RIELABORAZIONE DI LENIN

L'attenzione di Lenin al problema dello Stato si acutizza alla vigilia della rivoluzione d'Ottobre. Ecco le tesi di aprile ("Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale" pubblicate nell'aprile 1917) con la rivendicazione di tutto il potere ai soviet, la sola forma possibile di governo rivoluzionario, con il ripudio della repubblica parlamentare (niente repubblica parlamentare ma repubblica dei soviet... dal basso in alto) con la proposta di modificare il programma del partito sull'atteggiamento verso lo stato e sulla nostra rivendicazione dello Stato-Comune. Ecco l'opuscolo "Sul progetto di rielaborazione del programma" pubblicato nel luglio 1917 nel quale vengono indicate alcune misure pratiche per la liquidazione dello stato borghese. Ecco il "progetto di piattaforma del partito del proletariato" pubblicato nel settembre 1917, i cui punti 11 e 19 trattano estesamente del problema dello stato. Ed infine il saggio "Stato e rivoluzione" apparso nel novembre del 1917. Questo saggio chiude cronologicamente l'apertura ideologica di Lenin sul problema della liquidazione dello Stato, corrispondente alla fase cruciale della rivoluzione russa.

Tuttavia nella rielaborazione leninista non mancano contraddizioni e insufficienze:

a) Lenin propone sulla traccia di Engels di sostituire la parola Stato con la parola Comune per definire l'organizzazione politica immediatamente successiva al fatto rivoluzionario, esclude che la Comune costituisca < una forza speciale di oppressione > ma al tempo stesso sostiene la necessità di un apparato speciale, di una macchina speciale di repressione che egli torna a definire Stato.

b) Lenin propugna la totale demolizione rivoluzionaria dello Stato borghese ma al tempo stesso sostiene che il diritto borghese e lo stato borghese senza borghesia, debbano sussistere per un certo tempo dopo il fatto rivoluzionario.

c) Lenin non affronta e non risolve il problema del tipo di organizzazione da sostituire a quella statale, non spiega cioè se la formula della < dittatura del proletariato > deve essere intesa come dittatura delle organizzazioni di massa del proletariato oppure come dittatura del partito del proletariato. L'intonazione generale degli scritti citati accredita la prima interpretazione ma non esclude la seconda.

Ciò malgrado, l'opera teorica di Lenin è importante

  1. per la riesumazione e per la rielaborazione del pensiero di Marx-Engels;

  2. per gli argomenti critici che essa offre contro la controrivoluzione statalista, (attraverso la elencazione di misure pratiche d'ordine rivoluzionario per la distruzione del potere statale borghese e attraverso la affermazione sull'immediato inizio del processo di deperimento dello Stato all'indomani della rivoluzione); 

  3. per la critica dello statalismo social-democratico.

L'OPERA DI LUIGI FABBRI

Dittatura e rivoluzione, con una lettera di Errico Malatesta. Ancona. Bitelli, 1921 pp XVI. 373

E' un libro riassuntivo del problema, scritto da un anarchico serio e preparato. E' senza dubbio il miglior libro anarchico sull'argomento. Sintomatico il fatto che sia stato scritto all'indomani della rivoluzione russa che dette un nuovo volto al problema dei rapporti fra dittatura e rivoluzione e nuova attualità alle. tesi anarchiche.

Le argomentazioni del Fabbri mancano tuttavia di una organizzazione dialettica; sono piuttosto via via dettate dall'empirico "buon senso". Per questo un gran numero di osservazioni giuste si mescolano ad un gran numero di osservazioni errate.

Ad esempio, il Fabbri colpisce giusto quando rileva l'utopismo di Proudhon "autore disordinato quanto enciclopedico", pur riconoscendone i meriti (p. 68), quando scopre alcuni aspetti giacobini del pensiero di Lenin (p. 61, 73), quando mette in luce la vita propria, l'autonomia di certi gruppi insediati nello Stato (p. 42-44), quando nota nel cap.II la sottovalutazione del problema dello Stato da parte delle correnti socialdemocratiche, quando individua i tratti di-stintivi della dittatura (cap. VIII0), quando sostiene la necessità della violenza organizzata e la distingue dall'istituto della dittatura (pp 199-200).

Particolarmente felice è il Fabbri nel tratteggiare il problema del rapporto fra minoranza rivoluzionaria e masse popolari (p 246-258), nel ribadire l'interdipendenza fra struttura e sovrastruttura all'indomani della rivoluzione (la prima, se non trasformata radicalmente, reagisce sulla seconda e ne determina la riconversione in senso capitalista pag. 261-61), nel criticare lo spontaneismo kropotkiniano (p. 274)

A queste intuizioni positive sono purtroppo intercalati giudizi incerti (come quello sulle opportunità o meno della pace di Brest-Litovsk p. 92-94) e distinzioni inconsistenti (quella fra violenza ed autorità p. 239-240; quella fra terrore dal basso e terrore dall'alto p. 249-54).

Debole anche la critica del Bucharin (p. 148), un po' traballanti le obiezioni al principio della lotta di classe e al materialismo storico (p. 168).

E soprattutto, mentre la tesi centrale del Fabbri è sostanzialmente fondata, insufficiente ne è la dimostrazione.

Manca al Fabbri una concezione dello Stato come campo di forza della classe dominante. Tutto il suo discorso si svolge a zig-zag, con punte critiche ora contro lo "stato" ora contro il "capitale" considerati come due categorie a se stanti (p. 36-37), come due "fratelli siamesi" (p. 42), con conseguente dissociazione del politico dall'economico sul piano teorico e pratico (pag. 259). Queste insufficienze del pensiero fabbriano si aggravano in una riserva che affiora qua e là: al movimento anarchico spetterebbe all'indomani della rivoluzione un compito di opposizione costruttiva, che lasci tuttavia ad altri la responsabilità del governo rivoluzionario, ritenuto pericoloso ma talvolta inevitabile dato di fatto (p. 198, 339, 346, 359-360).

Questa conclusione non risolve il problema proposto e si giustifica solo con l'atteggiamento, pieno di speranze e di dubbi, del movimento anarchico verso la rivoluzione d'ottobre.

In altri termini Fabbri non cerca di risolvere il problema sul piano di una costruenda ideologia unitaria della classe lavoratrice, cui apportare gli elementi più fecondi del pensiero anarchico, ma preferisce lasciare intatte certe fissazioni teoriche per poi fare abbondanti concessioni nella pratica (sull'accentramento, p. 152-3; sulle prigioni, p. 174).

Fa seguito al libro una copiosa bibliografia. Degli scrittori bolscevichi sono citati Lenin, Trotski, Radek, Bucharin. Del Lenin il Fabbri lesse "Stato e rivoluzione" solo quando il suo studio era già in corso di stampa (cfr. nota a pag. 236). Al Bucharin, autore di un saggio polemico dal titolo "Anarchia e comunismo scientifico" il Fabbri rispose con un opuscolo dallo stesso titolo (Milano, Tempi Nuovi, 1922 pp 54) nel quale sono sviluppati alcuni argomenti di "Dittatura e rivoluzione".

Le posizioni del Fabbri, pregne di democraticismo e operanti sul piano anarchico una sintesi liberalsocialista furono negli anni successivi riprese e sviluppate, anche nelle tendenze negative, dall'autore e dal gruppo raccolto attorno ai periodici "Lotta Umana" di Parigi e "Studi Sociali" di Montevideo.

Oggi Luce Fabbri ne prosegue la tradizione. Cfr. L. Fabbri, La libertà, nelle crisi rivoluzionarie. Montevideo, Studi Sociali. 1947, pp 42.

GRAMSCI E GLI ORDINOVISTI

Il pensiero di A. Granisci è legato ad una esperienza politica della classe operaia: l'esperienza dei Consigli. E a sua volta l'esperienza dei Consigli costituisce una delle punte più avanzate, raggiunte dalla rivoluzione proletaria nell'edificazione di una società socialista senza stato.

In particolare il pensiero di A. Gramsci sul problema dello stato presenta notevole interesse per noi, sia nella prima fase - che si potrebbe chiamare dei Consigli di Fabbrica, sia nella seconda fase - che si potrebbe chiamare del Quaderni del carcere.

Per la prima fase vedi, oltre all'opuscolo di P. C. Masini, Anarchici e Comunisti nel movimento dei Consigli a Torino (Torino 1951) con annessa bibliografia, i seguenti editoriali del periodico L'Ordine Nuovo (non firmati ma attribuibili al Gramsci):

Per la seconda fase, vedi, limitatamente all'esame dei primi 6 volumi delle Opere (Lettere dal carcere - Quaderni) l'opuscolo Lettura di Antonio Gramsci, edito dal centro Collettivo Nazionale di Studio (ed. Cantiere, 1950). Per il 7° volume (A. Gramsci, Passato e Presente. Torino, Einaudi, 1951) cfr sulla rivoluzione dal basso pp 9-10, sui movimenti spontanei pp. 58-60, contro il centralismo burocratico p. 147, sul problema dello stato pp. 164-5, sull'uomo collettivo p. 188.

Utilizzabile anche l'indice per materie per i sette volumi, pubblicato in appendice. Cfr indicazioni sub. Centralismo, Dittatura del proletariato, Egemonia, Libertà, Masse, Società, Soprastruttura, Stato.

LE RECRIMINAZIONI DI TROTSKI

Cfr. L. Trotski, La rèvolution trahie. Parla, Grasset, 1936.

Trotski dedica un intero capitolo al problema, il terzo: Le socialismo et l'ètat. Particolarmente dal paragrafo "Programme et réalité" l'autore affronta l'argomento citando due passi di Lenin (da "Stato e rivoluzione"): nel primo è detto che lo Stato operaio deve essere tale che cominci subito a deperire e non possa che deperire, nel secondo sono prospettate le misure pratiche attraverso le quali questo deperimento si realizza.

Il Trotski comparando il programma e la realtà constata che il primo non si è realizzato nella seconda. Indica le cause obiettive di questa mancata realizzazione, ma non approfondisce l'indagine allargandola alle cause d'ordine soggettivo (cioè a deficienze d'ordine interno al partito e all'ideologia bolscevica). Eppure il titolo del libro, presentato come tesi (la rivoluzione tradita), comportava un tale ampliamento dell'indagine. Per questo la polemica troskista contro lo stalinismo, importante dal punto di vista storico-documentario, resta marginale dal punto di vista teorico.

NETTLAU E ROCKER

Questi due autori anarchici sono molto prossimi ideologicamente fra loro. Comune a entrambi una concezione umanistica-idealistica dell'anarchismo che costituisce il lato debole di tutto il loro pensiero. Anche sul problema dello Stato si avvertono insufficienze conseguenti a questa concezione. Tuttavia per il contributo dato dal primo agli studi storici sul movimento operaio e per l'opera del secondo nelle organizzazioni operaie meritano di essere segnalati alcuni loro scritti sul problema:

Del Nettlau, una serie di articoli sulla rivista berlinese Die internationale

Del Rocker citiamo il saggio "Tendenze assolutiste nel socialismo" recentemente pubblicato in spagnolo (Messico) e in tedesco (Darmstadt).

I COMUNISTI DEI CONSIGLI

La corrente detta dei "comunisti dei consigli" nelle sue varie propaggini - tedesca, olandese, russa, ungherese, francese, australiana - ha concentrato i suoi interessi sul problema dei rapporti fra rivoluzione operaia e istituzione statale.

E' ancora da costruire una bibliografia di questa corrente. Possono essere consultati con profitto gli scritti di Gorter e Pannekoek, i due teorici olandesi della corrente.

BIBLIOGRAFIA ANARCHICA CONTEMPORANEA

Segnaliamo alcuni articoli che ci sono sembrati degni di nota nella notevole ma disuguale produzione anarchica più recente:

IL TITOISMO

In quanto l'eresia titoista rappresentò una rottura della disciplina ideologica del Cominform, costituì anche una apertura o meglio una riapertura del problema dello Stato. I titoisti postisi alla ricerca di motivi ideologici che potessero giustificare la loro secessione dal blocco cominformista (provocata da ben altri motivi) non poterono ignorare il problema dello stato e della sua liquidazione come apparato di classe. Perciò nei mesi immediatamente successivi alla rottura si ebbe un breve travaglio teorico in seno al P. C. Iugoslavo, ben presto soffocato dall'inserimento della Jugoslavia nel blocco americano.

A parte nostre riserve sul contenuto delle tesi titoiste (nelle quali la mistificazione propagandistica si confonde con grossolane costruzioni teoriche) riteniamo opportuno segnalare a titolo documentario alcuni testi-base che illuminano alcuni aspetti del problema nel mondo uscito dall'esperienza comunista.


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