DALLE SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO AI CENTRI SOCIALI: 
LUOGHI E PERCORSI DELLA LOTTA DI CLASSE

 

L'idea di riflettere insieme sul tema di oggi è nata non a caso, partendo solo dalla riflessione politica o storica personale, ma proprio da un interessante dibattito sui centri sociali, partecipato e pieno di utili indicazioni, che si tenne nello scorso autunno a Firenze, organizzato dalla Federazione dei Comunisti Anarchici.

Le indicazioni che emersero in quella riunione furono proprio quelle di avviare una riflessione a tutto campo fra i compagni libertari sulle cause della nascita dei centri sociali, sulla loro funzione politica e sociale e quindi sul ruolo che dovremmo ricoprire rispetto all'azione politica che intendiamo esercitare nella società, in particolare in quella italiana.

La mia, quindi, è una introduzione sotto forma di ripensamento storico a questo dibattito, di cui oggi voi vivrete senz'altro una tappa interessante, ma che credo bisognerà poi sviluppare in varie sedi, sia quelle di massa -formazioni sindacali, centri sociali appunto- che in quelle più propriamente politiche, come comunisti anarchici o altre correnti libertarie. Lo scopo, naturalmente, è quello di trovare un minimo comune denominatore che ci permetta di passare dalle analisi alle azioni politico-sociali incisive.

Le esigenze che emersero dal seminario fiorentino sui centri sociali furono così ampie, da indurmi a cercare nella storia del movimento operaio e della classe degli sfruttati dei momenti simili. Notai allora che alcune delle esigenze espresse dai compagni che lavorano nei centri sociali si rintracciano in tutta la storia passata, italiana e non. Basta pensare all'esigenza di darsi strutture autonome ed autogestite che fungano al contempo da strutture di ritrovo, anche umano e sociale, da momenti di riappropriazione del tempo politico -umano e libero che dir si voglia- che connotano la storia del movimento operaio dal 1848 forse, e sicuramente a partire dalla corrente antiautoritaria o anarchica della I Internazionale. Oppure basta pensare alla varietà di luoghi e funzioni che avevano le organizzazioni di classe in Italia ancora nel secondo dopoguerra -anche se con tutte le contraddizioni dovute al controllo dell'ala marxista- : si andava dalle case del popolo, alle case della cultura, all' associazionismo basato sui bisogni di classe -sindacati e simili- e sui bisogni sociali -i vari movimenti per la casa, per la salute, contro il nucleare, ecc.

Il movimento studentesco e operaio negli anni dell'autunno caldo riuscirono a emarginare da molte strutture sindacali l'ala riformista, a darsi strutture di base del sindacalismo quanto mai rappresentative e combattive sul terreno della lotta di classe (consigli di fabbrica, consigli di zona nella prima versione, ovvero non ancora "addomesticati" dal PCI, comitati unitari di base- cub). Ma nel contempo, accanto alla lotta centrale -quella sulla produzione e contro il profitto capitalista nel suo luogo di maggiore estrazione, si sviluppavano anche altre strutture con il triplice scopo di

  1. creare aggregazione sociale anche di altri strati,
  2. mettere in luce tutte le contraddizioni del sistema capitalistico
  3. creare dibattito e formazione politica per l'autogestione che avrebbe dovuto coinvolgere tutti nel momento post-rivoluzionario.

Queste tre categorie di strutture della classe spesso si sovrapponevano sia come strutture che come ruolo, ma comunque sempre più si andavano delineando come strutture portanti dell'azione di massa dei gruppi libertari. Penso per esempio ai movimenti per la casa, antimilitaristi, di liberazione sessuale e femminista, degli studenti, o a luoghi di aggregazione come le comuni, collettivi politici, comitati di lotta temporanei.

Io credo che molte delle esigenze di rappresentanza politica e sociale che i centri sociali esprimono oggi derivino proprio dal fallimento delle lotte del '68/'69, dall'essersi fatti "scippare" molte strutture di base politiche e sociali da parte delle forze statali attraverso la strategia della tensione, e dal riformismo attraverso la svolta che ebbe il momento clou nel tentativo di compromesso storico e portò alla definitiva ghettizzazione nel territorio di tutte quelle avanguardie che non a caso erano state promotrici e sostenitrici di un'organizzazione di classe complessiva. A vent'anni di distanza è sotto gli occhi di tutti quanta distruzione abbia prodotto la sconfitta della lotta di classe avviata agli inizi degli anni '70 e realizzata definitivamente con la convergenza verso la socialdemocrazia che trova d'accordo gli ex-comunisti e il capitale tedesco!!

Se quest'analisi ha delle basi reali, non resta che interrogarsi sul compito dei centri sociali oggi, o meglio provare a reimpostare la domanda in modo nuovo e più conseguente all'analisi precedente: quali sono le strutture e i luoghi di aggregazione che servono oggi? Cosa ci può offrire l'analisi dell'esperienza storica dell'ala libertaria del comunismo per l'agire oggi?

Proverò sommariamente a sottomettervi alcuni elementi di valutazione e di riflessione, cosciente che una soluzione non è dietro l'angolo, ma se permettete anche con la coscienza che chi opera nell'oggi e in particolare nei e attraverso i centri sociali, non è il primo a porsi domande di tal fatta.

Per quanto riguarda le strutture storiche del movimento operaio (nell'accezione di movimento degli sfruttati che ha come fattori trainanti gli elementi sui quali si esercita il massimo di estrazione di profitto), la domanda che oggi è ancora attuale comincia a porsi fin dalla rivoluzione francese, ma sicuramente comincia a trovare soluzione con l'esperienza di lotta degli anni 1830 e soprattutto con quelle del '48 che portano alla presa di coscienza della necessità dell'autonomia degli obiettivi e delle strutture organizzative. Sono gli anni in cui Bakunin fa l'esperienza della lotta a Parigi, Praga, Dresda, centri di maggiore scontro e crescita di strutture organizzative autonome della classe in quel periodo.

Ecco quindi riportato alla sua esatta origine storica, in senso materialista, il contributo dell'anarchismo. Non i vari pensatori liberal-anarchici che piacciono tanto all'anarchismo liberal inglese, sono all'origine del pensiero, della strategia caratteristica dell'anarchismo, la le lotte sociali nel loro farsi lotte politiche autonome.

E' proprio dalle esperienze che Bakunin fa all'interno delle lotte operaie e contadine in vari paesi, dalle esperienze che raccoglie dai vari corrispondenti, a loro volta militanti della lotta di classe, che egli matura una concezione della lotta di classe che lo contrapporrà a Marx nella Prima Internazionale. Ci si perde troppo spesso in discorsi su Marx autoritario e Bakunin antiautoritario, dimenticando che la ragione della contrapposizione fra i due -e delle due correnti politiche- nasce proprio sul modo di organizzarsi, di intendere la rivoluzione, la fase insurrezionale e post-rivoluzionaria. Anche per Bakunin e gli "anarchici" vale il dualismo organizzativo, ovvero il riconoscimento che la classe degli sfruttati si è data strutture di difesa e attacco al capitale -chiamate allora leghe, sindacati, unioni- ma ha anche maturato la capacità di elaborare una concezione dell'attacco anticapitalista più matura, quella degli "stati maggiori" della rivoluzione che possono formare quindi un "partito".

La divisione fra Marx e Bakunin è sul ruolo che viene assegnato a strutture di massa -il sindacato- e al partito. Sia nella fase pre-insurrezionale che in quella post-rivoluzionaria, il protagonista è la struttura di massa. Sono le masse cresciute ed educate alla lotta nel sindacato, nella lega, nel fascio, nella casa del popolo che fanno la rivoluzione e non le avanguardie come teorizza Marx e come faranno poi i leninisti e via via i loro discendenti.

Allora, qual è per Bakunin e per gli anarchici lo scopo del partito? (così è chiamato nei testi di Bakunin, leggete la lettera a Celso Ceretti del 1872, nel mio volume per credere). Quello di discutere, di fare proposte, di lanciare idee, di controllare che il processo rivoluzionario avvenga per opera dei lavoratori, delle loro strutture, quelle già esistenti e quelle che sono già state studiate e suggerite dai rivoluzionari nella loro opera di costante dialettica con le organizzazioni di massa.

Altre strutture, come l'"Associazione per la libertà dei popoli", che possono nascere sia all'interno delle masse che come tentativi di allargare verso altri ceti l'area di presenza dell'idea anarchica, sono riconosciute da Bakunin come tali e non devono, non possono sostituirsi alle due ritenute fondamentali: l'organizzazione di massa e il partito.

Non è un caso che nella Spagna rivoluzionaria le strutture portanti del processo sono la C.N.T. e la F.A.I., nonostante la nascita e il proliferare di una serie di altri strumenti di gestione della società, dagli atenei libertari in là. Ma quando Kaminsky arriva a Barcellona testimonia che quello che si nota è la presenza della CNT-FAI nella gestione della società autogestita, dove senz'altro le strutture funzionanti sono molte altre, ma non centrali nella gestione della fase di transizione, anche se INDISPENSABILI per l'appropriazione del potere dal basso da parte dei lavoratori.

Oggi i comunisti anarchici, dopo l'esperienza spagnola, chiamano sempre più spesso le strutture diverse da quelle due portanti su descritte, con i termini: organismi intermedi o organismi collaterali. Infatti se la centralità dell'azione rivoluzionaria spetta all'organizzazione autonoma ed autogestita degli sfruttati, gli organismi che via via si rendano necessari per raggiungere tale scopo non devono essere confusi con quella. Ad esempio, fin dalla Prima Internazionale esistevano già Società di Mutuo Soccorso o di mutuo appoggio, attraverso le quali darsi solidarietà o chiedere sostegno ad altri ceti sociali. Ma Bakunin farà una dura battaglia per sconfiggere l'idea diffusa da Mazzini, particolarmente in Italia, che queste siano le strutture che possono far parte dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori.

Questo non ha mai impedito ad anarchici e libertari di impegnarsi in varie forme di supporto, di sostegno alle lotte dei lavoratori con comitati costituiti ad hoc, di mantenere forme di solidarietà anche fra la classe ed i ceti più vicini, di intervenire su tematiche più allargate come l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, tematiche giovanili, ecc., che naturalmente coinvolgono varie tendenze politiche o gruppi di base di varia tendenza.

Il problema per gli anarchici è sempre il solito: non scambiare il mezzo per il fine…e quindi per quanto riguarda le strutture in cui lavorare non scambiare gli organismi intermedi e collaterali con l'organizzazione di massa rivoluzionaria che deve essere costruita in maniera autogestionaria, autonoma, per garantire il successo di un atto rivoluzionario.

Pensiamo un attimo ad alcune esperienze storiche nelle quali gli anarchici sono stati fortemente presenti. In Russia, fin dal 1905 la presenza degli anarchici nei Soviet è fortissima proprio perché in quell'organismo sono condensate le capacità di crescita autonoma della classe sfruttata (operai, contadini, militari, studenti) e la capacità di costruire dal basso la struttura portante della società autogestita dopo la Rivoluzione. Questo non significa che non siano presenti nelle strutture sindacali, nelle strutture culturali, educative più varie. Ma si vede chiaramente nell'immediata opposizione a leninismo quanto per gli anarchici i soviet, la struttura di massa sia importante, mentre per i leninisti è uno strumento per instaurare una struttura statale gestita principalmente dal partito. La rivolta di Kronstadt contro i bolscevichi per la riaffermazione dei poteri dei Soviet parla chiaro. Per i leninisti i Soviet sono un mezzo per raggiungere il potere, non il fine, lo strumento di organizzazione della società!

Stessa cosa in altre zone d'Europa, nell'immediato primo dopoguerra, quando in Italia, Germania, Baviera, i lavoratori si organizzano attraverso la presenza sindacale di base e con l'occupazione delle terre, delle fabbriche, talvolta delle città, formano soviet, consigli operai e contadini per la gestione della fase che si annuncia come post-rivoluzionaria e per quella successiva della società comunista autogestita.

L'Unione Anarchica Italiana (UAI), nel congresso del '20, è di nuovo molto chiara nel preparare una strategia che si addica a questa fase così effervescente, detta "biennio rosso". Ebbene, al centro dell'analisi e della definizione di un Programma d'azione anarchica stanno la UAI come organizzazione degli anarchici ed il sindacato con i consigli di fabbrica come cellula dell'azione rivoluzionaria e gestionaria della società. Questo non impedisce agli anarchici di partecipare contemporaneamente a tutti i movimenti, da quelli degli insegnanti e impiegati dello Stato, a quelli antimilitaristi, ecc., che nel biennio rosso percorrono ripetutamente le penisola.

Ma c'è insomma nell'analisi della UAI, nell'attenzione data ai vari organismi, un elemento caratterizzante: l'organizzazione di massa è indispensabile per la fase rivoluzionaria; attraverso i consigli e i soviet sarà quella che gestirà anche la società nella fase post-rivoluzionaria e per questo si preparano come organizzazione politica anche dei piani di funzionamento. Per preparare il momento rivoluzionario si raccomanda poi a tutti gli anarchici la presenza anche in tutte le strutture collaterali e intermedie presenti, fra l'altro caratteristiche in Italia, zona per zona.

Questo in periodo di entusiasmo pre-rivoluzionario, in fase quindi crescente della lotta di classe; e così avviene in Spagna, così avverrà in buona parte dell'Europa negli anni '68/'69, ecc.

Poi, guardando un po' più a fondo nella storia di lungo periodo, non sempre le masse, e con esse gli anarchici, hanno avuto una capacità di elaborazione e di attacco simile. Nei periodi più bui delle persecuzioni poliziesche, dei colpi di stato delle borghesie nazionali o della svolta leninista e stalinista della rivoluzione russa, la situazione fu ben diversa.

Le botteghe artigiane dei lavoratori internazionalisti, le bettole e le osterie, i pub e le birrerie di mezzo mondo son servite da strumento di collegamento e di mantenimento della solidarietà e di un'idea di emancipazione sociale che spesse volte è nata e morta. Di necessità si fa per forza virtù e la fantasia dei rivoluzionari si è sbizzarrita a inventare modi di sfuggire all'azione poliziesca e mantenere accesa la fiaccola dell'idea libertaria fra gli sfruttati.

Una parte dell'anarchismo italiano scambia questo per caratteristica dell'anarchismo e ci fa somiglianti alle descrizioni delle peggiori polizie del mondo. Ma l'anarchismo italiano e internazionale ha invece vissuto esperienze esaltanti e valide ancor oggi per l'intervento di massa.

Vorrei concludere dicendo che questi sono solo spunti per il dibattito, griglie di lettura, ma sarà dalla viva partecipazione di tutti voi che siete impegnati sia nell'azione di massa che nel ripensamento critico, che nascerà qualcosa di nuovo.

Adriana Dadà 


Contributo alla Conferenza sul tema, Fano 8 marzo 1997