Comunisti Anarchici in Italia: ieri e oggi

 

Quando i militanti più anziani della Federazione dei Comunisti Anarchici, di cui faccio parte, si sono affacciati alla scena politica erano gli anni '68-69, gli anni delle lotte del movimento operaio e studentesco; non potevano quindi non risentire della spinta libertaria, ma soprattutto classista, che quei movimenti esprimevano. Nell'avvicinarsi all'anarchismo hanno trovato invece un'organizzazione di sintesi, la Federazione Anarchica Italiana, che, se offriva apparentemente spazio, in realtà non era un'organizzazione, ma un insieme di individualità tendenzialmente individualiste, che convivevano con i pochi comunisti anarchici rimasti.

Per fortuna c'è stato un periodo nel quale per ampi settori del movimento era obbligo si coniugare teoria e prassi, e questo ancor più per chi si richiamava alle idee di Bakunin. Di qui l'impegno di giovani nelle lotte nelle scuole, nelle università, sul territorio su temi importanti (casa, lavoro, servizi, scuole), sui temi dei diritti fondamentali di uguaglianza fra gli individui e fra i sessi, per la lotta antifascista e anticapitalista. Non solo, ma la naturale tendenza giovanile ai contatti internazionali (che anarchici siamo poi, se ci rinchiudiamo nei confini nazionali?...) ha permesso a me e a molti compagni di capire che l'anarchismo italiano era un'eccezione e che c'erano altre realtà in giro per il mondo nelle quali il comunismo anarchico aveva diritto di cittadinanza, soprattutto in Francia, con l'Organisation Révolutionnaire Anarchiste e il dibattito su quello che veniva chiamato in maniera originale "communisme libertaire".

Le letture storiche sull'anarchismo italiano e internazionale ci mostravano inoltre una continuità dell'anarchismo comunista e classista che, partendo dalla Prima Internazionale, passava per le lotte sociali di buona parte del mondo agli inizi del '900, le lotte antibolsceviche e antistaliniste, ma anche attraverso opere realizzatrici degli anarchici prima e durante la rivoluzione russa, il biennio rosso in Italia, Germania, Austria, la rivoluzione messicana prima e quella in Spagna dopo. Il mio lavoro di ricerca storica, partito negli anni settanta mi ha permesso di rintracciare la presenza e l'evoluzione del comunismo anarchico anche in Italia, sia a livello di militanti ancora vivi (da Masini, a Malara, a Marzocchi, a Bianconi e tanti altri meno conosciuti), sia con ricerche d'archivio in Italia e all'estero. E' così emerse, sia dai documenti che dalle memorie vive, che anche in Italia l'anarchismo si era espresso nelle forme del comunismo anarchico, anche se quello che era sopravissuto in quegli anni settanta aveva subito fortemente le "influenze borghesi", come Luigi Fabbri aveva dimostrato era successo anche alla fine dell'ottocento.

Per l'Italia la continuità del comunismo anarchico fu rotta da vari eventi, fra i quali quello più disastroso è stato senz'altro l'influenza economica dell'anarchismo antiorganizzatore a aclassista italo-americano legato al giornale "L'Adunata dei Refrattari" durante il fascismo e nel secondo dopoguerra. Una "ribellione" contro quella tendenza che si era impadronita negli anni '50 dell'anarchismo italiano era stata l'organizzazione di tendenza Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (G.A.A.P.), che aveva ottimi militanti in varie parti d'Italia, dispersi dopo la "cacciata" dall'anarchismo "ufficiale" da parte della F.A.I.. Per fortuna molti di questi militanti - che avevano continuato un'azione di classe nonostante le "scomuniche" - , rintracciati, erano disponibili a raccontare, a riagganciare esperienze di ieri e degli inizi degli anni '70.

In più in quegli anni avevamo anche geograficamente vicina l'esperienza francese dell'Organisation Révolutionnaire Anarchiste, dei gruppi spagnoli che si stavano riorganizzando contro il franchismo e ancor più dopo la caduta di Franco. L'impegno di molti giovani fu di lì in poi quello di ricostruire, riannodare i fili dell'intervento politico nel territorio sugli aspetti specifici della lotta di classe con la ricerca di più adeguate strutture che rappresentassero a livello politico questa prassi. In conclusione è stata l'unione di queste forze che ha permesso nel corso degli anni '70 la nascita di gruppi territoriali (ORA pugliese, UCAT toscana, FCA emiliana romagnole, ORA milanese, FdCL ligure, ecc.) che hanno ripreso i fili interrotti dell'anarchismo comunista e classista in Italia, ridando visibilità a questa tendenza.

Una parte di questi gruppi e federazioni tentò l'entrismo nella FAI per "riportarla sulla retta via", ma inutilmente. La maggior parte dei gruppi e federazioni locali intrapresero invece la strada delle strutture federative territoriali, regionali, su basi comuniste anarchiche, in varie parti d'Italia, con quel processo che ha portato poi nel 1985 alla costituzione della Federazione dei Comunisti Anarchici, l'organizzazione che ancor oggi rappresenta nell'area italiana la teoria e la prassi comunista anarchica.

In contemporanea riprendeva una rivisitazione della storia dell'anarchismo italiano; partendo dagli ottimi studi di Masini (non a caso era stato fra i militanti di spicco dei G.A.A.P.) arrivai a produrre il volume, "L'anarchismo in Italia: fra movimento e partito" che ha rappresentato una svolta negli studi sull'anarchismo italiano. Li si mettevano in luce non solo le basi comuniste dell'anarchismo, l'originaria teorizzazione del dualismo organizzativo che proprio in Italia durante la Prima Internazionale ha i suoi massimi teorizzatori, da Bakunin ad alcuni suoi corrispondenti come quel Celso Cerretti, a cui Bakunin scrive una lettera chiarificatrice su queste tematiche (riproposta, come molti altri documenti, all'interno del volume succitato).

Più specificatamente sul piattaformismo nell'area italiana sempre Dadà ha proposto materiali che hanno portato nuovi elementi alla storia dell'anarchismo, fino ad allora tutta incentrata sul ruolo di Malatesta, mediatore sintetista di tutte le tendenze. Si è invece scoperto che lo stesso Fabbri, Fedeli ed altri erano stati in contatto con Machno a Parigi nel momento della formulazione della Plate-forme, verificabile dalle memorie relative alle riunioni parigine di un italiano. Anche studi sul periodo fascista, sia sui compagni incarcerati o al confino che fra quelli espatriati per sfuggire alla morte, hanno dimostrato ulteriormente una continuità fra l'anarchismo comunista e classista di buona parte del movimento anarchico dal periodo pre-fascista al secondo dopoguerra.

Per semplificare possiamo dire che ha assunto un importante valore la scelta della denominazione di Federazione dei Comunisti Anarchici, anche alla luce della riscoperta dell'esistenza antecedente di tentativi di fondare organizzazioni simili - 1919, Unione dei Comunisti Anarchici d'Italia e 1944, Federazione dei Comunisti Anarchici - purtroppo rifluite poi nelle organizzazioni di sintesi UCAI e FAI.

E' ora possibile verificare alcuni di questi aspetti dell'anarchismo italiano anche con materiali storici che la FdCA ha reso ora disponibili, oltre che in cartaceo, anche online sul sito www.fdca.it (con pagine in inglese, dove sono contenuti i più importanti documenti storici e teorici, per esempio A. Dadà, Class War, Reaction and Italian Anarchists).

Adriana Dadà


La traduzione portoghese dell'articolo fu pubblicato sul periodico anarchico portoghese «A BATALHA», N. 215