DALLA SCONFITTA DEL REFERENDUM
ALLE ELEZIONI DEL 14 GIUGNO 1987

 

Il risultato del referendum sui punti di contingenza è stata la prima importante verifica di massa della politica del Governo Craxi: una nuova fase si è aperta con questa importante vittoria del pentapartito, sostenuto dalla energica azione filogovernativa di CISL e UIL, appena infastidito dalla molle opposizione del PCI e della CGIL.

Il segno della prima presidenza socialista del consiglio è stato quello del calo dell'inflazione: oggi è ormai noto che esso è dipeso non già dall'azione di governo. Ma dalle benefiche, quanto impreviste conseguenze della situazione internazionale e dal crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha permesso alle imprese di realizzare enormi profitti, conducendo avanti, con rinnovate energie, quel processo di ristrutturazione dei cicli produttivi, determinando la frammentazione della classe, battendo l'opposizione dei lavoratori, ridimensionando il potere sindacale nelle aziende, aumentando i livelli di sfruttamento, realizzando un enorme incremento della disoccupazione ed un'ulteriore concentrazione della ricchezza.

I maggiori profitti realizzati non hanno creato nuovi posti di lavoro, ma invece sono stati riversati su investimenti largamente remunerativi , di scarsa utilità sociale ed a bassissima intensità di lavoro (industria del nucleare civile, industria degli armamenti). Tutto ciò ha agevolato grandemente l'offensiva del capitale contrastando l'affermarsi di un proletariato forte ed unito, in grado di imporre, in collegamento con gli emergenti movimenti sociali, la riconversione ad altri fini di questo tipo di industrie, in una prospettiva che saldasse gli interessi spesso uniti in una sola persona del lavoratore e del cittadino per un lavoro sicuro e ben retribuito e per un ambiente naturale e sociale non nocivo. Inoltre, l'evoluzione di questi fenomeni economici e sociali ha determinato la liquidazione di ogni residua coscienza di classe assieme all'insorgere ed al rapido affermarsi della cultura del capitale, che si realizza nel mito della promozionalità sociale e del profitto. Questo non ha certo agevolato il buon funzionamento dei servizi sociali, che in molti casi sono stati ridimensionati, a scapito dei settori sociali più deboli, dei giovani, dei malati, degli anziani e delle donne.

Acquisendo i contenuti culturali propri della ristrutturazione capitalistica ed abbinando ad una politica economica reazionaria demagogia e movimentiamo, il disarticolato fronte del PSI si è ricostituito riuscendo a far convivere la passerella degli esponenti socialisti per i tribunali e per le carceri della Repubblica con la questione morale, la lottizzazione sfrenata con la lotta alla partitocrazia, la firma del Concordato.con l'anticlericalismo di facciata, la completa sudditanza agli USA con Sigonella. Questa doppiezza è rapidamente divenuta prassi costante tramite la quale il PSI, con singoli fatti, ha mascherato l'intero, la propria strategia appiattita sugli interessi particolari e strategici della Confindustria. Il PSI ha organicamente collaborato, in quanto forza di governo alla elaborazione del Piano Energetico Nazionale, per poi sbandierare la sua contrarietà alle centrali nucleari (ad elezioni vicine); ha favorito, con la politica governativa, disoccupazione ed emarginazione, per poi dichiarare la propria attenzione nei confronti degli strati più deboli della società: i fatti veri e concreti, la miseria economica e sociale prodotta da questo disuguale modello di sviluppo, divengono irrilevanti, rimpiazzati come sono dal mito e dalla retorica.

Il PCI, imballato nelle idee e nei fatti, incapace di produrre strategie credibili in opposizione all'arroganza del pragmatismo craxiano, dimostra oggi tutta la propria debolezza. La strategia della governabilità, perseguita con pervicacia fin dai tempi della "doppiezza togliattiana" e successivamente passando attraverso la strategia del "compromesso storico" e "l'unità nazionale", non ha realizzato nessuno degli obiettivi preposti. La strategia dell'austerità e lo scambio pace sociale/riforme, di berlingueriana memoria, hanno piegato il movimento operaio italiano e tutti i lavoratori che hanno visto, contratto dopo contratto, svendere importanti conquiste, in virtù di promesse su occupazione e riforme. L'arida gestione Lama della CGIL ha prodotto guasti irrimediabili tra i lavoratori. I vertici CGIL riescono solo ad esprimere il discutibile concetto che sviluppo economico significhi necessariamente benessere sociale. Sfugge a costoro che gli squilibri interni ai paesi che hanno subito un relativo decollo economico, sono tutt'altro che smorzati, anzi, tale decollo, basandosi proprio sulla ristrutturazione selvaggia e sull'immissione nei cicli produttivi di tecnologie sofisticate, si rivela spesso come un potente strumento per il mantenimento del potere da parte di oligarchie reazionarie ed un fattore essenziale nel depauperamento dell'ambiente a favore di pochi ceti privilegiati e delle multinazionali.

Il mancato riconoscimento delle caratteristiche proprie dell'attuale sviluppo economico ha spinto le organizzazioni sindacali ad assumere marcatamente una funzione di supporto alle istituzioni, intese quali strutture al di sopra delle parti, tutto ciò in sintonia con quello che è stato definito "il sindacato dei collegi", cioè con la presenza sempre più massiccia di uomini provenienti dalle file del sindacalismo, e dai sindacati stessi designati, nelle strutture amministrative dello Stato, consolidando così l'integrazione tra sindacato e Stato. In un simile contesto un sindacato che lotta, un sindacato che si oppone alla ristrutturazione ed al comando capitalistico, è un potente freno alla strategia perseguita dai vertici sindacali che ormai hanno sposato i miti più deteriori della mistificazione modernista (profitto e produttività) dai quali discende necessariamente una rigida organizzazione del lavoro ed un aumento dello sfruttamento, della disoccupazione e dell'emarginazione, della razionale e sistematica devastazione ambientale. Con ciò il sindacato abdica alla sua primaria funzione, quella cioè di difesa degli interessi immediati dei lavoratori per un vago e futuribile progetto di gestione della crisi.

La subordinazione alla strategia padronale spinge il sindacato a potenziare gli apparati burocratici allo scopo di mantenere comunque il consenso, abolendo in pratica la funzione rappresentativa dei Consigli. Si realizzano forti compressioni contrattuali, che generano tra i lavoratori una profonda sfiducia. In questa situazione di smobilitazione delle lotte, dell'organizzazione e della cultura dei lavoratori, si riaffaccia lo spettro della recessione e contemporaneamente maturano gli scontri per i rinnovi contrattuali 87/89. Le lotte sono settoriali ed aspre. Non si chiede per tutti, ma ogni categoria inizia a contare sulle proprie forze, partendo dai suoi specifici bisogni. Dal referendum sull'accordo Alfa Romeo, alle lotte degli insegnanti fino alle recenti vicende del contratto dei ferrovieri, il sindacato con le sue proposte inique tutte interne alla logica produttivistica ed efficientistica della ristrutturazione ed impostata sullo scambio tra salario ed occupazione, viene pesantemente contestato dai lavoratori, i quali nella scuola e tra i ferrovieri, si danno autonomi strumenti per la conduzione della lotta. Le lotte degli insegnanti e dei ferrovieri nascono da veri e propri cumuli di problemi non risolti che rendono spesso inaccettabili le condizioni di lavoro. I tentativi per saldare questi due importanti momenti sono poco più che simbolici, relegati al massimo tra le buone intenzioni di qualche generoso militante, proprio perché la maggioranza dei lavoratori oggi ignora l'importanza strategica della solidarietà e dell'unità di classe, caratteristica delle fasi avanzate dello scontro. Su questi limite fa leva il tentativo ambiguo dei vertici sindacali di adeguarsi, almeno in parte, alle richieste dei lavoratori allo scopo di spezzare il fronte di lotta, elargendo qua e là alcune concessioni.

Tra i lavoratori va detto, non vi è una comprensione di questa manovra, ma semmai un barricarsi dietro una reale forza contrattuale che spesso però tradisce una vera e propria assenza di contenuti, una incapacità nel gettare ponti verso l'esterno, verso altre categorie di lavoratori, che può condurre il movimento nel vicolo cieco della sconfitta.

Le elezioni del 14 giugno sono una prima dimostrazione di come lo scontro di classe non riesca a generalizzarsi.

Il clima elettorale si fa teso ed infuocato, caratterizzato dallo scontro DC/PSI, che si accusano reciprocamente di aver voluto le elezioni anticipate. Tale contrapposizione non avviene tra diverse strategie ma bensì solo ed esclusivamente per la gestione del potere. Si configura quindi come uno scontro occulto nel quale ognuno giuoca tutte le carte che ha. Il PSI accusa la DC di aver, per esclusivi interessi di cassetta, causato la fine del pentapartito e del buon governo, cambia repentinamente idea sulle centrali nucleari, diviene visceralmente anticlericale, parla di rifondazione della sinistra gettando ponti verso radicali e verdi. La DC accusa il colpo sempre più ripiegata sulle sue laceranti contraddizioni: i risultati elettorali premieranno ancora una volta il PSI.

Settori emergenti dei ceti medi, strati di classe operaia premiati dalla ristrutturazione, ma anche settori operai e popolari penalizzati da quest'ultima scelgono la grinta del decisionismo craxiano perché "almeno qualche cosa contro la DC conclude"; votando quindi per la stabilità politica e per la pace sociale. Il PCI esce pesantemente ridimensionato dallo scontro, dopo una complessa e difficoltosa campagna elettorale. La doppiezza del PCI, formalmente all'opposizione ma che nelle commissioni parlamentari vota per le leggi proposte dal pentapartito, che sostiene con la sua pattuglia di amministratori le scelte antipopolari degli enti pubblici, ha confuso e fiaccato, con la sua inesistente opposizione, settori di classe, spingendoli verso il PSI. Dopo le elezioni, la situazione sindacale si presenta più che mai complessa.

Da una parte l'indubbia necessità di sostenere ed alimentare l'opposizione dei lavoratori alle piattaforme contrattuali, dall'altra quella di impedire che ancora una volta le burocrazie sindacali isolino tale opposizione in angusti spazi categoriali. Crediamo che in questa fase, nella quale si stanno ricomponendo ampi livelli di unità tra i vertici partitici dei sindacati, la crisi del controllo degli apparati sindacali sulla classe sia tutt'altro che scontata. Il limite massimo dell'attuale scontro di classe risiede proprio nella frammentazione delle lotte; esse, proprio perché devono fare i conti con le realtà categoriali e con i livelli di coscienza dei lavoratori, possono essere aspre e determinate, ma contemporaneamente suscettibili di essere soffocare e recuperate dai vertici sindacali, proprio in virtù delle numerosissime contraddizioni, dei bisogni spesso contrastanti che agitano ogni categoria del mondo del lavoro. E' su queste contraddizioni, su questi contrasti che i riformisti operano le spaccature, così come è avvenuto nella vicenda del referendum Alfa Romeo.

Con queste argomentazioni non pretendiamo certo di esaurire l'argomento , ma crediamo oggi siano sufficienti per abbandonare ogni illusione circa rapidi sviluppi, da più parti ipotizzati e auspicati, di un processo di scavalcamento del sindacato da parte delle lotte dei lavoratori. Le lotte per la difesa dei propri interessi materiali e di classe non realizzano necessariamente nel breve periodo simili obiettivi; il comando riformista non si supera con una stagione contrattuale e con la volontà dei singoli o di ristretti gruppi di avanguardie. Viceversa, l'azione dei militanti che operano oggi nella complessità dello scontro di classe, deve trovare un punto di riferimento strategico allo scopo di massimizzare le forme, operando sempre nella direzione della difesa degli interessi dei lavoratori, allo scopo di porre le basi per la ricomposizione organica della classe antagonista. Questo è compito prioritario per una organizzazione che voglia operare come parte della sinistra rivoluzionaria, rifuggendo ogni, sia pur suggestiva, scorciatoia. E' quindi necessario riprendere le fila del dibattito, in una fase che come questa presenta i sintomi della ripresa dello scontro di classe, allo scopo di realizzare precisi riferimenti strategici ed operativi per tutti coloro che sono impegnati nell'azione sindacale.
In questa logica rifiutiamo proposte di nuove aggregazioni stabili allo scopo di non dividere ulteriormente i lavoratori e contemporaneamente rivendichiamo la nostra presenza dove essi si organizzano, difendendo i livelli di autonomia espressi dai lavoratori, accettando comunque lo scontro con i vertici sindacali. La nostra azione politica e sindacale non deve mirare esclusivamente verso i settori più combattivi del movimento, fermo restando la giustezza delle rivendicazioni espresse, ma rivolgersi verso la maggioranza dei lavoratori riuscendo a far capire loro le ragioni degli insegnanti e dei ferrovieri.

Ciò implica una costante azione sindacale allo scopo di sconfiggere i riformisti ed i loro piani, tenendo presente che questi ultimi non si sconfiggono ignorandoli.

Diventa fondamentale in questa fase organizzare un intervento mirato tra i lavoratori, che esca da un generico darsi da fare e si cali in forme di coordinamento politico delle avanguardie. Esiste una forte esigenza di studio e di confronto ed è necessario iniziare a dare risposte in questa direzione.

L'FdCA sta preparando un convegno sulla situazione post/contrattuale, un primo momento di confronto aperto a tutti i compagni che svolgono intervento sindacale e che rifuggono frazionismi ed ideologie.

Commissione Sindacale Nazionale - FdCA 
Lucca, settembre 1987