Rotta la pace sociale: Sciopero Generale!

In Italia finisce la consociazione

 

Ogni giorno cortei di lavoratori in sciopero percorrono strade e piazze, assediano Prefetture, sedi della RAI, aziende del Presidente del Consiglio. È una lotta continua senza esclusione di colpi.

Il 14 ottobre i lavoratori sono scesi in piazza in tutta Italia come non accadeva da almeno 20 anni. La polizia ha calcolato che sommando le grandi manifestazioni svoltesi nelle varie città in quel giorno sono scesi contemporaneamente in piazza più di 4 milioni di lavoratori.

Le astensioni dal lavoro sono state in alcune categorie, come metalmeccanici e chimici, del 95% e la media si è attestata sull’80% in tutto il paese. Larga anche l’adesione dei commercianti che hanno chiuso i loro negozi, degli studenti sia delle scuole medie che universitari, degli anziani certamente numerosi e combattivi, del mondo della cooperazione e del volontariato. Particolarmente numerosa e politicamente qualificata la partecipazione dei centri sociali e quindi di molti giovani studenti e disoccupati.

La lotta era stata proclamata dai sindacati confederali, ma alla mobilitazione hanno aderito anche i sindacati auto-organizzati e di base che hanno tuttavia deciso di fare a Roma un corteo a parte nel pomeriggio del 14 e molti sindacati autonomi tradizionalmente moderati. Le manifestazioni più grandi si sono avute a Milano con 300.000 persone, a Firenze con 250.000, a Roma con 250.000, a Napoli con 200.000, a Torino, Genova, ecc., con 100.000.

Da notare che nei giorni precedenti, a partire dall’inizio del mese di ottobre, sono cresciuti giorno dopo giorno, gli scioperi spontanei, i blocchi stradali e ferroviari, le improvvise fermate del lavoro. Solamente la legge sulla regolamentazione del diritto di sciopero - accettata in periodo consociativo dai sindacati confederali - che impone un preavviso di 15 giorni per gli scioperi organizzati dal sindacato nei servizi pubblici, ha impedito che si arrivasse prima allo sciopero generale e ostacola ora non poco la prosecuzione della lotta. Malgrado ciò la spontaneità dei lavoratori ha supplito in mille modi alle catene imposte dalla legge ai sindacati e anche dopo il 14 ottobre ogni giorno cortei di operai e impiegati, studenti e pensionati si sono svolti in tutto il paese.

Le ragioni della lotta

I motivi della protesta possono essere compresi se si tiene conto che il Governo di destra a potere ha presentato una Legge Finanziaria per il 1995 che distrugge definitivamente quello che resta dello “stato sociale”; d’altra parte i precedenti governi di Amato e Ciampi, che avevano l’appoggio del PDS, avevano già iniziato e portato avanti l’attacco ai diritti sociali dei lavoratori. I 50mila miliardi necessari al bilancio vengono trovati con tagli alla sanità: dopo l’introduzione di tickets per le visite mediche e per le medicine e il parziale ritorno degli ospedali nelle mani dei medici che possono ricoverarvi i propri pazienti in letti da loro gestiti, i malati dovranno pagare i loro pasti e, se vanno al pronto soccorso senza un grave motivo, dovranno pagare il costo della visita medica!

Ma l’attacco più grave viene portato alle pensioni che vengono ridotte in modo drastico. Si pensi che un lavoratore che va in pensione con 35 anni di contributi a 55 anni di età e percepisce oggi uno stipendio medio avrà una pensione di non più di 700mila lire mensili. Sarà cioè condannato alla fame. Le lavoratrici che in genere giungono più tardi sul mercato de lavoro e ne escono prima per supplire alle carenze dei servizi sociali in aiuto alla famiglia o perché sono le prime a perdere il posto di lavoro non riusciranno a raggiungere nemmeno il minimo contributivo per avere una pensione. Gravosa anche la situazione degli studenti che sono anch’essi svantaggiati da questo meccanismo perché devono pagare essi stessi i contributi pensionistici per il periodo dedicato allo studio.

Gli obiettivi strategici del governo

Dietro questi provvedimenti vi è un obiettivo strategico immediato del Governo delle destre che ha sposato la politica della Thatcher e di Reagan e vorrebbe attuare un ampio piano di privatizzazione in tutti i settori. Nell’immediato il Governo persegue la privatizzazione del sistema sanitario, almeno per quelle attività che sul mercato sono capaci di produrre profitti, lasciando allo Stato quella parte dell’assistenza - cosiddetta sociale - che non per permette di guadagnare.

Analogamente l’attacco al sistema pensionistico pubblico ha certamente obiettivi sociali ed è finalizzato a conseguire una diversa distribuzione del reddito, scompaginando le alleanze esistenti tra ceti e classi sociali per distruggere definitivamente il blocco sociale che si creò per effetto delle grandi lotte degli anni ’70 e così le radici stesse della sinistra. Si vuole rompere il patto di solidarietà tra vecchi e giovani per cui i lavoratori attivi alimentano le pensioni: alla solidarietà si vuole sostituire l’individualismo. Per il capitale va creata una massa di poveri strutturali, cioè di emarginati, contrapposti ai lavoratori ed ai ceti medi. E ancora, i lavoratori vanno divisi dai ceti medi e questi dalle fasce mediamente agiate dei professionisti, dei commercianti, degli insegnanti.

Inoltre il Governo delle destre annullando il rendimento delle pensioni statali ha l’ambizioso obiettivo di creare i presupposti strutturali che consentano la crescita dei fondi pensione privati. Si potrà così rastrellare il risparmio dei ceti medi e di chiunque possa permettersi una pensione privata, inducendo a sottoscrivere polizze di assicurazione e pensioni integrative in modo che i capitali raccolti dalle compagnie di assicurazione possano essere investiti in Borsa. Bisogna ricordare che l’Italia è uno dei paesi che dispone di un risparmio delle famiglie tra i più alti del mondo. Questi soldi vanno tolti dalle banche, dove giacciono immobilizzati e impiegati in acquisto di azioni, in modo che le aziende possano finalmente disporre della liquidità che un mercato finanziario asfittico come quello italiano non gli consente.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro si inasprisce la legislazione contro l’immigrazione in modo da tenere sempre ai margini questi lavoratori senza inserirli nel mercato del lavoro legale. Cresce così l’immigrazione clandestina e il lavoro nero e precario e si criminalizza questo settore della società sempre più spinto nelle mani della criminalità organizzata che sfrutta la disperazione e il bisogno di lavoro di questi proletari.

L’appoggio dei padroni al governo e la risposta dei lavoratori

Quanto detto spiega il sostegno deciso di Confindustria al Governo e la grande alleanza tra padronato e partiti di destra che vedono in questa manovra l’occasione per risanare il debito pubblico togliendo ai poveri per dare ai ricchi.

Non trascorre giorno senza che i padroni ammoniscano contro i pericoli delle rivendicazioni in atto e invitino il Governo a mantenere le sue scelte di attacco ai lavoratori.

Ma non passa giorno che non si annunci un nuovo sciopero, come quello dei lavoratori statali il 24 ottobre, quello degli Enti Locali del 28 o quello dei metalmeccanici i primi giorni di novembre. Si tratta di scioperi accompagnati ogni volta da una manifestazione nazionale di non meno di 40.000 lavoratori per volta al punto che Roma è continuamente percorsa da cortei di scioperanti. Nel Paese non passa giorno senza che qualche scuola venga occupata o un grande corteo di studenti sconvolga le vie di una città come è successo a Napoli giorno 23 ottobre quando sono scesi in piazza contro l’aumento delle tasse universitarie e la privatizzazione delle scuole pubbliche ben 60.000 studenti venuti anche da altre città. Il 29 ottobre è stata la volta delle associazioni del volontariato laiche e religiose che non intendono supplire con la loro opera allo smantellamento dei servizi sociali attuato con la Finanziaria 1995 e hanno organizzato un grande corteo a Roma molto combattivo e fantasioso con bande musicali e spettacoli mobili.

Per decisione dei sindacati nazionali ogni categoria dispone di un pacchetto di 8 ore di sciopero che saranno gestite utilizzandone 4 per iniziative nazionali e 4 per iniziative locali. L’obiettivo è costruire una grande manifestazione di almeno un milione di persone a Roma per il 12 novembre e perciò in ogni posto di lavoro si stanno raccogliendo fondi per pagare il costo di un centinaio di treni speciali e di migliaia di pullman, di 4 navi dalla Sardegna e 2 dalla Sicilia che dovranno consentire lo spostamento di una massa così grande di persone.

La richiesta immediata è che il problema pensionistico esca dalla legge finanziaria e venga affrontato a parte in modo da non essere lo strumento attraverso il quale si ripianano i conti pubblici.

Per il 12 sono previsti 5 grandi cortei in contemporanea che percorreranno le strade di Roma in direzione di tre grandi piazze dove terranno comizi in contemporanea i segretari nazionali di CGIL-CISL-UIL. Si terranno poi dei concerti offerti da cantanti e musicisti tra i più noti.

Ma con il 12 novembre la lotta non finisce e bisognerà pensare a nuove iniziative come ad esempio un nuovo sciopero generale in contemporanea con i giorni nei quali il Parlamento voterà la Legge Finanziaria. A tutt’oggi infatti niente fa pensare che il Governo voglia trattare, anche se è stata operata qualche lieve modifica dei provvedimenti che ha scontentato tutti; il nervosismo è così alto che il 20 ottobre in Parlamento i deputati fascisti hanno aggredito a pugni e calci un deputato della sinistra. D’altra parte il sindacato confederale non può cedere se non vuole essere definitivamente delegittimato; la fiducia accordata dai lavoratori è grande, ma si tratta di una fiducia sospettosa e condizionata, a causa dei tanti tradimenti. Il sindacato dunque non può cedere se non vuole morire.

Su queste mobilitazioni va costruita rapidamente l’unità dei lavoratori e il consenso per ricreare un blocco sociale ampio che riunisca pensionati e lavoratori attivi, donne e uomini, studenti e immigrati, molto presenti negli scioperi. Bisogna dire che il governo delle destre è riuscito in una impresa difficilissima: far abbandonare il consociativismo al sindacalismo riformista italiano. Dobbiamo approfittarne per rilanciare la lotta sui contratti del settore pubblico, scaduti ormai da 4 anni, per rivendicare un meccanismo per l’indicizzazione dei salari contro l’inevitabile crescita dell’inflazione che ci sarà e per contrastare la riduzione di fatto del salario, batterci per la settimana di 36 ore nell’industria, come nei servizi, a parità di salario, in modo da stimolare l’occupazione.

E’ una lotta che non possiamo perdere e come comunisti anarchici e militanti della lotta di classe vi siamo impegnati tutti, insieme ai nostri compagni di lavoro.

Gianni Cimbalo

Ottobre 1994


Articolo pubblicato su “Royo y Negro” della CGT spagnola, su “Alternative Libertaire” di AL-France, su “Confrontations” della OSL-Svizzera.