Appello dei lavoratori libertari per la ripresa dell'opposizione di classe

 

Il nuovo ordine mondiale

Un nuovo ordine capitalistico sta nascendo dalle macerie del vecchio, uscito dagli accordi di spartizione seguiti alla fine della seconda guerra mondiale.

La crisi d'assetto iniziata negli anni settanta è entrata nella fase più acuta, ma anche nella fase in cui le tracce della nuova struttura cominciano a delinearsi.

L'attuale situazione è quella di una generalizzata contrazione dei mercati internazionali, mentre la recessione induce profonde ristrutturazioni. Il capitalismo deve erodere i margini di un mercato in contrazione per sopravvivere e drenare capitali da investire oculatamente, per presentarsi pronto all'appuntamento con la prevista onda espansiva, che comunque non è dietro l'angolo. Da qui l'esigenza di comprimere la spesa del capitale variabile attaccando le retribuzioni ed il loro potere d'acquisto, assieme alla richiesta di sensibili incrementi della produttività del lavoro.

Non è il mercato interno la prospettiva di sviluppo, ma il mercato estero che di nuovo, dopo un secolo, si ripropone senza limiti apparenti.

Italia: ristrutturazione "dura"

Assisteremo in Italia ad una ristrutturazione "dura", ma che lascerà tuttavia la presenza di una base produttiva poco meno vasta dell'attuale. Una pesante ristrutturazione subirà invece il settore terziario ed i servizi: diminuzione dell'occupazione, aumenti strutturali di produttività, attacco al salario, così come è già avvenuto nei settori industriali.

Una delle conseguenze della ristrutturazione sarà la redistribuzione del reddito verso fasce sociali alte, con depauperamento delle risorse della fasce medie e basse, con il conseguente incremento della povertà e delle marginalizzazioni.

I tagli ai salari nell'industria e nel pubblico impiego, l'attacco alla scala mobile ed al sistema di indicizzazione dei salari, i tagli alla spesa pubblica, alla sanità ed in generale ai servizi sociali, l'attacco alle pensioni, all'assistenza sociale ed alla sicurezza sul lavoro, la pervicace iniquità del sistema fiscale e della politica dei redditi, così come l'uso massiccio della Cassa Integrazione e dei licenziamenti, costituiscono le linee forti della manovra tramite la quale padronato e governo intendono garantirsi la ripresa, facendo pagare i costi della crisi ai lavoratori ed agli strati sociali meno abbienti.

Nonostante l'alta percentuale di disoccupazione (11% media nazionale, con punte di 21% al Sud), la tensione sociale continua ad essere bassa. Questo dato di fatto è determinato sia dalla profonda divisione del movimento dei lavoratori, sia dal sostegno economico e di solidarietà a livello familiare, così come dal clientelismo, dilagante al punto da svolgere una funzione di ammortizzatore sociale.

Inoltre si estende sempre di più un'area vastissima di attività e di soggetti non regolarizzati, che si collocano al confine tra occupazione e disoccupazione, nei cosiddetti "lavori non consuetudinari", dove prospera la precarietà e lo sfruttamento più selvaggio, laddove risulta estremamente difficile ogni tentativo di sindacalizzazione.

E' soprattutto nelle situazioni di crisi che la politica sindacale dovrebbe unificare ciò che il capitalismo tende a dividere; ma la strategia delle Organizzazioni Sindacali Confederali ha scelto, già da molto tempo, la strada della divisione dei lavoratori, della frantumazione e dell'isolamento delle loro lotte, della sistematica distruzione della coscienza di classe.

Ciò si è verificato attraverso un processo, lento ma costante, che dalla paralisi dei Consigli di Fabbrica e dei Delegati, insostituibili strumenti per la gestione della contrattazione e delle lotte da parte dei lavoratori, giunge alla Legge 146 sulla regolamentazione dello sciopero; questa legge, sostenuta dai Vertici Sindacali Confederali, complica grandemente il ricorso allo sciopero, privando così i lavoratori del loro più importante strumento di lotta.

Gli ulteriori e ripetuti richiami alla "ripresa produttiva" profusi da parte delle Organizzazioni Sindacali Confederali, celano la volontà di sostenere il rilancio imperialista sui mercati esteri, attraverso la "competitività dell'economia nazionale" che spinge i lavoratori italiani allo scontro fratricida con quelli di altri paesi.

Questo avvitamento attorno agli interessi dell'imperialismo italiano è dettato dalla speranza di poter cogestire i benefici di una eventuale espansione economica.

Conseguentemente i Sindacati sposano la "centralità d'impresa" e anziché difendere gli interessi dei lavoratori, si fanno paladini del contenimento salariale (l'accordo del 10 dicembre sull'abolizione della Scala Mobile e l'accettazione dei tetti programmati d'inflazione per i lavoratori del Pubblico Impiego), della flessibilità della forza lavoro, della differenziazione sempre più accentuata dei livelli salariali, attraverso le quote di salario accessorio legato a parametri individuali e di mercato, offrono l'eliminazione della contrattazione, sostituita dalla "concertazione" e dalla "politica dei redditi".

Ma la bancarotta di una simile strategia appare evidente:

Riprendiamo le iniziative di lotta

Pertanto, solo riuscendo a rilanciare una opposizione di classe capace di contrastare il processo di ristrutturazione capitalista, riusciremo a far rinascere un forte movimento di massa.

E' quindi interesse comune a tutti coloro che lavorano alla ripresa dell'opposizione di classe, sulla base dell'unità dell'autonomia, lotta e coordinarsi per:

  1. rilanciare la lotta sul salario per recuperare la svalutazione dei salari conseguente all'inflazione, e la richiesta di aumenti tendenti alla ricomposizione dell'unità delle categorie. Deve quindi essere contrastata la tendenza a concedere aumenti retributivi "ad personam" o legati alla produttività e all'andamento del mercato; le forme consociative del "gainsharing" e gli aumenti del salario accessorio, cioè quello non pensionabile, dovranno essere rifiutate. Aprire una nuova stagione di rivendicazioni egualitarie legate da un forte principio di solidarietà. Sviluppare un ampio movimento per la definizione di una legge che difenda realmente il potere di acquisto dei salari. Sollecitare e ampliare la battaglia sugli integrativi aziendali e sulle vertenze settoriali nel Pubblico Impiego, sforzandosi di riportare tali vertenze nella logica dell'unità di classe.
  2. La rappresentatività reale dei lavoratori deve essere affermata e difesa, a partire dalle strutture di base in fabbrica, nei vari comparti del Pubblico Impiego e in ogni posto di lavoro. Si dovrà tendere alla ricostruzione delle strutture territoriali, le uniche in grado di allargare l'opposizione dei singoli settori sul territorio e nel sociale. Opposizione quindi alle Rappresentanze Sindacali Unitarie (R.S.U.) ed a ogni altra struttura che voglia imporre rappresentanze fittizie dei lavoratori, in una logica di divisione spartitoria tra organizzazioni sindacali e componenti di partito, soffocando le esigenze di rappresentanza diretta dei lavoratori.
  3. Sviluppare l‘opposizione alla Legge 146 relativa alla regolamentazione dello sciopero, strumento di contenimento delle iniziative di ripresa della lotta di classe.

Per la rinascita dell'organizzazione di classe

Su questo programma di mobilitazione i lavoratori libertari lavorano da sempre.

Ora, riteniamo indispensabile che tutto il movimento di opposizione, comunque si collochi, purché realmente rappresentativo di realtà di base, a non sommatoria di singole avanguardie, si mobiliti ed esprima una capacità complessiva di lotta.

La battaglia politica per la rinascita dell'opposizione di classe in Italia deve partire dal collegamento fra le realtà che si oppongono alla logica della ristrutturazione capitalistica e della conseguente normalizzazione e concordano sul programma minimo di lotta salariale, per la democrazia delle strutture di rappresentanza dei lavoratori e per il diritto di sciopero e di auto-organizzazione.

La sconfitta subita dai lavoratori e la loro divisione, la verticale caduta della coscienza di classe e la constatazione che le lotte categoriali non costituiscono, da sole, la base dell'unità di classe, tutto ciò riafferma la necessità di ostacolare il riformismo anche sul suo stesso terreno. Per questi motivi i lavoratori comunisti anarchici e libertari riaffermano l'utilità della loro presenza all'interno delle Organizzazioni Sindacali Confederali, rendendo visibile all'esterno che la linea seguita non è quella che serve ai lavoratori. Unificando con rapporti programmatici l'esperienza del sindacato vertenziale, rafforzata all'interno della CGIL dalla costituzione di "Essere Sindacato", con le aggregazioni autonome di classe, i lavoratori libertari si impegnano, attraverso attivi locali, regionali e nazionali, a coordinarsi tra loro e con i compagni su posizioni di classe per la crescita delle iniziative sugli obiettivi programmatici che abbiamo sommariamente enunciato.

Per la rinascita dell'opposizione di classe in Italia, per un sindacato di classe autogestito, per l'unità internazionale dei lavoratori.

i lavoratori libertari
aprile 1992