Le suore, i sindacati ed il brigante

 

Nella scellerata, inutile e classista manovra del governo italiano del 13 agosto, che porta il numero 138/2011, è previsto all'art. 8 ed emendamenti che un accordo aziendale o territoriale, firmato dalla maggioranza delle rappresentanze sindacali, possa regolamentare alcuni aspetti inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione, tra cui il recesso del rapporto di lavoro, in deroga alle norme di legge e di contratto collettivo.

L'art.18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970), che vieta il licenziamento senza giusta causa e obbliga il datore al reintegro del licenziato, viene dunque aggirato con questo articolo, chiamando direttamente i sindacati a co-licenziare insieme ai datori di lavoro le maestranze in esubero o forse poco produttive e magari troppo sindacalizzate.

Dopo il Collegato Lavoro, l'accordo separato del 29 gennaio e quello unitario del 28 giugno, giunge questo macigno anti-operaio a lastricare la strada della distruzione dei diritti più elementari per i lavoratori italiani.

Il ministro Sacconi, nel difendere questo parto della sua mente, ha dichiarato che i sindacati, a cui viene proposto il licenziamento di un lavoratore, possono fare come quella suora del XVII secolo scampata - unica - ad uno stupro di massa in un convento ad opera di briganti, la quale affermò di essersi salvata grazie al fatto di aver detto semplicemente NO!

Ad oggi, la suora scampata sembra impersonata dalla CGIL e da tutti i sindacati di base che hanno scioperato il 6 settembre, le povere suore violentate sembrano impersonate da CISL, UIL, UGL e co., favorevoli all'art.8, ed infine il brigante violentatore dei sindacati/sorelle sembra impersonato dal ministro stesso! Ma al di là della facezia di pessimo gusto, questo art.8 è un capolavoro di odio di classe.

L'ultima versione dell'art.8 prevede che - fermo restando il rispetto della Costituzione, dei vincoli normativi europei ed internazionali sul lavoro - le intese raggiunte dalla contrattazione aziendale e/o territoriale sono efficaci anche in deroga alle disposizioni di legge ed ai contratti collettivi nazionali di lavoro che regolamentano le materie di contrattazione. Le imprese dunque possono ottenere dai sindacati firmatari degli accordi aziendali il via libera ad adottare nelle loro aziende una regolamentazione diversa dalle norme di legge e dal CCNL vigente.

Quali sono i sindacati che possono firmare un accordo del genere? Sono quelli, sul piano nazionale o territoriale, che risultano essere comparativamente più rappresentativi dalla applicazione dell'accordo del 28 giugno (art.7 in particolare), da cui è bene che la CGIL ritiri la propria firma per coerenza e manifesta dissidenza, vista la sua nefasta applicazione all'interno della manovra governativa.

Il via libera, concesso dai sindacati firmatari alle imprese, è praticabile quando le intese sono finalizzate a

Quindi per un fine quale la maggiore occupazione e quindi in caso di nuove assunzioni, o al contrario in caso di crisi occupazionale e di esuberi, l'intesa può prevedere la non applicabilità dell'art.18, oppure una sua applicazione limitata con riconoscimento di un indennizzo al posto del reintegro.

Ma se queste sono le ragioni di tali intese in deroga, quali sono le materie concrete su cui i sindacati firmatari possono esercitare la loro complicità in deroga anti-operaia e concedere il via libera (più elegantemente noto come opting out)?

Si va dagli impianti audiovisivi alle mansioni (inquadramento); dai contratti a termine ed altri contratti flessibili all'orario di lavoro; dalle modalità di assunzione al recesso del rapporto di lavoro. E qui, salvo situazioni legate al matrimonio, alla maternità, ai congedi parentali ed all'adozione o patologie di minori, tutte le altre sono derogabili dall'art.18.

Privati, con gli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, della loro autonoma capacità di rappresentanza e di lotta, i lavoratori vengono ulteriormente consegnati - con questa norma - al totale controllo e potere dei sindacati firmatari di queste intese proni alle scelte delle imprese, nonché all'azione repressiva di queste ultime in caso di reazione operaia di base e dal basso.

Bisogna che le categorie dell'industria della CGIL e le componenti conflittuali al suo interno si sgancino da un lato da questa logica costringendo i vertici a ritirare la firma dall'accordo del 28 giugno e dall'altro diano impulso e difesa a forme di rappresentanza dal basso nei luoghi di lavoro; bisogna che il sindacalismo conflittuale e di base affronti da un lato l'applicazione di questa normativa tutelandosi sul piano dei numeri e dell'unità per non essere definitivamente escluso dalla rappresentanza e dall'altro mantenga una forte presenza di auto-organizzazione all'interno delle aziende; bisogna che tutto il sindacalismo conflittuale, trasversale alle categorie ed alle sigle, lanci una grande battaglia per la disapplicazione degli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, per la disapplicazione dell'art.8 della manovra, per il mantenimento dello Statuto dei Lavoratori e per una nuova e più democratica individuazione della rappresentanza sindacale, che capovolga l'attuale tendenza alla centralizzazione burocratica in atto nel sindacalismo italiano e rilanci una grande stagione di lotta per le rappresentanze consiliari, elette su scheda bianca, titolari della contrattazione aziendale e tutori del rispetto dei contratti nazionali e dei diritti dei lavoratori.

Commissione Sindacale
Federazione dei Comunisti Anarchici

9 settembre 2011