Gli attori in gioco

 

Lo sciopero generale indetto dalla sola CGIL ha avuto un grande successo, la partecipazione ai cortei è stata massiccia, l'astensione dal lavoro ha avuto picchi significativi anche se ben lontani dalla serrata. Ancora una volta la dimostrazione che il più grande sindacato italiano mantiene una capacità di mobilitazione elevata e consistente, nonostante il tentativo depotenziante della segreteria nazionale CGIL, costretta, non lo si ripeterà mai abbastanza, all'indizione dello sciopero generale da settori importanti delle camere del lavoro e da categorie di lavoratori, la FIOM in testa, e da quella nuova soggettività, comunemente riconosciuta come precaria, che, sia attraverso le assemblee di Uniti per lo Sciopero, sia con modalità del tutto autonome, ha intrecciato i propri percorsi nel tentativo di ricomposizione sociale che vede nella forza della CGIL la possibilità di tenere aperta la critica ed una battaglia antagonista, contro la deriva autoritaria impressa dal capitale.

Uno sciopero di questi tempi, seppur galvanizzante era condizione necessaria ma non necessariamente sufficiente a mantenere aperta la possibilità ad un percorso di lotta e di critica all'esistente che troppi vorrebbero relegare a folclore. Un passaggio del percorso, peraltro da continuare a costruire, per mantenere l'iniziativa e tenere aperta la possibilità dell'azione collettiva.

Infatti nonostante il successo assolutamente non scontato della mobilitazione appare chiara la risposta politica ribadita dalla segreteria CGIL nella riunione del CDN 10-11 maggio. Non solo vi è l'ennesimo tentativo di rientro sullo schema contrattuale del 2009, a suo tempo rifiutato dalla stessa CGIL, ma la conferma di una netta chiusura rispetto a una pratica democratica che porti le categorie ed i territori ad un dibattito e ad una riflessione sulle proposte della segreteria. Qualcosa più della tentazione di chiudere in fretta rilanciando una vecchia ipotesi di pace sociale e di rilancio della competitività sistemica sacrificando ulteriori masse di lavoratori sull'altare del profitto dei pochi.

Così le differenti valutazioni sulla fase in atto, nonostante la manifesta impraticabilità delle tesi che hanno vinto il congresso, sono deliberatamente escluse dal dibattito politico.

Così ci si priva di qualunque strategia convincente di fronte a un attacco coordinato e perseguito con coerenza dal padronato.

Nel frattempo Confindustria, nell'assemblea di Bergamo, mentre tributa applausi all'amministratore delegato di Thyssen-Krupp, riaffermando arrogantemente la loro solidarietà di classe imprenditoriale sulla pelle e sulla sicurezza dei lavoratori, ribadisce la propria strategia sui due punti chiave necessari a consolidare i risultati ottenuti dal 2009, e in base a questi due punti elabora una sua ridefinizione organizzativa funzionale.

La Marcegaglia sfiducia, si fa per dire, la "politica", invocando un deficit riformista: regole da riscrivere a tutti i livelli, codici norme amministrative, leggi ordinarie, costituzionali, forma di governo, forma dello stato: tutto da rifare. Che sia chiaro che non ci si può aspettare di governare non tagliando l'IRAP o addirittura nominando, sia pure a bassa voce, l'imposta patrimoniale. Si delinea e si respira tutto l'autoritarismo di chi ha lavorato senza risparmiarsi per cambiare la costituzione materiale e ora stringe per cambiare anche quella formale con l'obiettivo di consolidare il vantaggio di classe.

La politica ridotta ad amministrazione, a gestione del ciclo del debito: se il controllo del debito pubblico è affidato all'UE che fissa le leggi di stabilità, ai governi nazionali rimane l'entità e la distribuzione dei tagli nei vari settori, oltre che la gestione dell'ordine pubblico e della repressione. Di altro non c'è nulla d'aspettarsi, non c'è budget, visto che da qui al 2014 la spesa pubblica, al netto degli interessi, deve diminuire del 7%. Così i padroni si dichiarano pronti alla gestione diretta di funzioni tipicamente statali dove giudicano l'intervento governativo insufficiente: è l'esempio dell' l'istituto per il commercio estero.

Che lo Stato intervenga là dove il padroni non azzardano l'uso di capitali di rischio per le infrastrutture, meglio ancora che aumenti i servizi per le imprese a spese di quelli per i cittadini o assicuri, come nel caso dell'acqua, la remuneratività per legge della privatizzazione di parti sempre più consistenti di stato sociale quali pezzi di istruzione, sanità.

Tanto, in questo paese non vi sono più problemi di rappresentanza di interessi al di fuori di quelli delle aziende, se il sindacato è quello costruito con l'accordo del 2009: un sindacato aziendale, responsabile, disponibile a costruire il consenso dei lavoratori al sistema aziendale, sanzionabile, una struttura di servizi. Contratti nazionali o aziendali a scelta derogabili, flessibili, leggeri, esigibili dalle aziende ma ancora di più avanti sino al contratto individuale. Ribadendo e confermando la linea strategica sulla derogabilità ai contratti di secondo livello e all'inesistenza del CCNL per il prossimo futuro.

Va sancita la fine della contrattazione e del sindacato che non può più essere il rappresentante dei lavoratori. La Camusso traghetti la CGIL nel nuovo modello contrattuale, con i mezzi che riterrà più opportuni: la FIOM e quello che rappresenta, nella pratica e nell'immaginario di questo paese, è il male assoluto.

Eppure oltre agli operai e ai lavoratori sindacalizzati vi sono quasi 5 milioni di lavoratrici/ori non "riconducibili", in costante aumento, ad una pratica sindacale definiamola classica (precari, intermittenti, in nero, disoccupati, potenziali disoccupati, false partite IVA) ai quali vanno aggiunti gli studenti. E il popolo dei referendum, che sta forse superando con il fare la sindrome della scomparsa della sinistra.

Non basta più SOLO l'azione sindacale sempre più complessa e difficile da costruire e da praticare, guarda caso, per quello che l'azione del capitale ha concretamente prodotto negli ultimi 20 anni, accelerando negli ultimi 3 (della serie si può fare), sempre maggiormente ci si sposta anche sul "sociale".

È stata la battaglia, di base, che migliaia di lavoratori e di lavoratrici hanno da tempo intrapreso, dentro e fuori la CGIL che ha permesso al sindacato di restare una strumento di difesa del proletariato e non subire la deriva complice imposta dalla politica del governo e di Confindustria, ed ha permesso di mantenere aperta la contraddizione all'interno della CGIL, evitando, per il momento un rientro della Segreteria Camusso nel "grande gioco patriottico" ormai delineato a grandi linee.

Nonostante le difficoltà della stessa opposizione interna della CGIL, a un anno dal congresso ancora incapace di strutturare e rendere incisiva un'area di minoranza che non vada a traino della FIOM e che sia capace di sostenere e valorizzare le richieste di partecipazione e ci conflitto che vengono da delegati e lavoratori.

Le lotte intraprese da ampi settori di lavoratori, e l'offensiva del governo e di Confindustria mettono in difficoltà la segreteria Camusso, rendendogli arduo ogni tentativo di accomodamento neoconcertativo, che nonostante i tentativi avrà una accelerazione solo nell'ipotesi di un cambio di quadro politico, quando le politiche di aggiustamento finanziario imposte dalla BCE diverranno esigibili.

Le difficoltà, evidenti, di sottostare al vecchio schema partito sindacato, o meglio l'impossibilità di avere oggi nel PD un partito di riferimento è dovuta principalmente alla composizione interna del PD, dove la CISL sta dettando l'agenda politica ed il punto di arrivo nella nuova prossima futura compagine governativa del dopo Berlusconi.

È quindi di fondamentale importanza per tutto il sindacalismo conflittuale, e per chi si pone antagonisticamente su di un terreno di classe continuare nel cercare di impedire questa deriva, attraverso l'azione sindacale ma non solo, accelerando la ricomposizione, anche su basi culturali di segmenti e di soggettività alle quali è oggettivamente impossibile la pratica del sindacalismo.

La crisi esplicita in cui si trova il sindacato in senso generale è la crisi della rappresentanza sindacale, che investe anche la CGIL, e qualunque tipo di costruzione collettiva che parte dal posto di lavoro, sindacalismo di base incluso.

La frantumazione dei contratti, la diffusa precarietà questa sì generalizzata, la parcellizzazione dell'attività lavorativa a seguito di politiche neoliberali, fenomeni mondiali che confermano che l'attacco, economico, politico, culturale uscito dai pensatori del neoliberismo ha centrato l'obbiettivo, il Welfare e il sindacato conflittuale sono stati fortemente disarticolati ed indeboliti.

È quindi di fondamentale importanza avere uno sguardo su questo fenomeno che non si limiti solamente alle faccende nostrane, ma che apra lo sguardo alle forme ed alle resistenze che a livello mondiale il proletariato riesce a darsi.

Ricostruire reti di militanza sul terreno della lotta di classe, aprire e difendere spazi di confronto che valorizzino l'autogestione e l'autonomia di classe dei lavoratori/trici all'interno sia dei sindacati di base che della GCIL è quindi compito dei comunisti anarchici e dei libertari.

Sostenere tutte le esperienze di lotta del sindacalismo conflittuale che vedono come obiettivo quello di una ricomposizione di classe. Impegnarsi nella CGIL a costruire nei fatti l'area programmatica la "CGIL che vogliamo", rivendicando spazi di agibilità politica anche statutari, per allargare le battaglie di resistenza sindacale, affinché l'ultimo sindacato di massa nel nostro paese non passi solo a gestire le ricadute sociali prodotte dalla ristrutturazione capitalistica in corso, ma sappia ancora ergersi, collettivamente, a difesa degli interessi di classe.

Federazione dei Comunisti Anarchici

14 maggio 2011