Il capitalismo si prende le nostre vite riducendoci in merce

Riprendiamoci le nostre vite abolendo lo sfruttamento capitalista!

 

Forse è stata la disperazione a portare gli operai della INNSE di Milano a salire su una gru per evitare la chiusura dell'azienda e la vendita dei macchinari, forse ancora una volta è stata la disperazione a spingere gli operai della LAMSE di Melfi, della CNH di Imola a fare lo stesso, o anche gli operai della Alcatel di Battipaglia a rinchiudersi nella fabbrica circondandosi di taniche di benzina.

Forse è stata la disperazione a costringere questi lavoratori a mettere a repentaglio la propria vita.

Ma quale infelicità ha spinto 23 dipendenti di France Telecom a suicidarsi dopo aver saputo di aver perso il lavoro, così come quel giovane di 32 anni della Chloride di Bologna che si è impiccato perché in mobilità il 24 luglio del 2009?

Quale infelicità si cela dietro le tragedie familiari di cui sono protagonisti lavoratori disoccupati o licenziati, di cui si occupa sempre più spesso la "cronaca nera"?

Cosa ne sarà dei precari del settore pubblico e privato, una volta che gli è stata tolta la possibilità di procurarsi denaro vendendo il proprio lavoro?

Il capitalismo ci ha reso merce comprando il nostro lavoro e facendo delle nostre esistenze una vita che ha valore solo se si ha reddito, solo se si lavora. Così quando il nostro lavoro non gli serve più perché i profitti si fanno altrove o in un altro modo, ce lo toglie e con questo sa di togliere valore alla nostra vita. Perché sa che se non siamo più merce umana non valiamo più niente.

La mancanza di lavoro causa la mancanza di reddito, e la mancanza di denaro ci costringe ad accettare peggiori condizioni di lavoro pur di continuare a produrre, oppure a mettere in gioco la nostra vita, a volte senza ritorno.

Così il capitalismo si prende le nostre vite 2 volte, ci uccide 2 volte.

L'infelicità totale e l'alienazione verso cui ci spinge il capitalismo, approfittando in questo periodo della crisi economica che colpisce il lavoro dipendente, non è una condizione da cui ce ne possiamo uscire in solitudine.

Dietro ogni lotta per salvare una fabbrica, dei macchinari o dei posti di lavoro occorre ricostruire un tessuto di solidarietà collettiva e di classe, occorre ricostruire un'organizzazione sindacale che non sia disponibile a mediare il conflitto contrattando una minore infelicità o alienazione, occorre riprendere una lotta dal basso ed autogestita per salvare le nostre vite dal capitalismo, una lotta per l'abolizione dello sfruttamento e del lavoro salariato.

Occorre respingere ogni ipotesi o accordo che preveda forme di cogestione e di compartecipazione agli utili aziendali, perché nascondono l'ennesimo inganno che consegna al lavoratore il giogo del proprio sfruttamento. Non si tratta più di salvare solo il contratto nazionale e ciò che rimane della democrazia nei luoghi di lavoro, occorre bensì aprire una nuova stagione di conflittualità che ponga al centro della sua azione la ragione sociale e solidaristica del lavoro, liberato dallo sfruttamento salariale.

Ogni lotta deve impedire la distruzione dei siti produttivi, ogni lotta deve mettere in conto la possibilità di consegnare il lavoro nelle mani dei lavoratori prendendo in considerazione l'autogestione della produzione, dei trasporti, della distribuzione, costruendo organismi di gestione a struttura consiliare e cooperativa autonoma che dimostrino l'inutilità e la dannosità del sistema capitalistico e delle sue forme di dominio.

Che ogni forza, organismo, struttura locale, territoriale, nazionale del sindacalismo conflittuale, della sinistra libertaria ed anticapitalista possa adoperarsi e coordinarsi in questa lotta per la vita, la nostra vita di lavoratori e lavoratrici sfruttati ed alienati!

Federazione dei Comunisti Anarchici

16 settembre 2009