7 luglio 1960

La cornice storica

L'Italia del 1960 era ancora fortemente impregnata dell'autoritarismo fascista, quello che venne definito "Miracolo Economico" aveva proiettato una nuova generazione di giovani nelle lotte sociali e politiche, si usciva dalla depressione degli anni 50 con nuova combattività coniugando le lotte per i diritti ed il salario all'antifascismo militante, consapevoli della necessità di opporsi ad un disegno autoritario che avrebbe nei fatti pregiudicato miglioramenti e speranze dei ceti subalterni.

Un ruolo importante lo ebbero sicuramente i partiti della sinistra ed il movimento sindacale, da sempre fautori di conquiste parlamentari che agissero sulla dimensione politica e normativa del paese, i fatti di luglio, e le lotte sociali che si intrecciavano con l'antifascismo misero in evidenza una generazione che non si accontentava del mutare della forma, anticipando le lotte studentesche e dei lavoratori di alcuni anni dopo,seppero coniugare la rivolta e, come a Genova l'insurrezione, che spiazzò più di un burocrate della sinistra e nel sindacato, troppo protagonismo di massa.

La Polizia si vendicò a Reggio Emilia per lo smacco subito a Genova, dove la determinazione dei lavoratori aveva fatto naufragare la provocazione governativa, i portuali l'avevano scritto su "Rinnovamento Sindacale", Il fascismo non si discute, il fascismo si schiaccia. Erano parole di Durruti.

La sinistra parlamentare ed il PCI in modo particolare furono colti di sorpresa dal protagonismo proletario, si continuava a pensare che il Governo Tambroni potesse cadere attraverso le formule democratiche della propaganda, furono invece i giovani, soprattutto i comunisti che con la loro azione portarono alla caduta del governo, e forse il sacrificio di molti non venne propriamente riconosciuto dai burocrati di partito.

In tutte le città dove gli scontri con la polizia si erano prodotti più duramente, Palermo, Genova, ed anche a Reggio Emilia, le macchine delle Camere del Lavoro che avevano indetto gli scioperi di protesta percorrevano le strade invitando i lavoratori ad abbandonare le piazze e a fare ritorno a casa,e spesso la voce degli altoparlanti non era quella dei giovani che in quei giorni avevano messo in mezzo le proprie vite in nome della libertà e del progresso sociale.

La forte caratterizzazione antifascista di quelle lotte è sicuramente dovuta alla forte presenza del quadro partigiano, a soli quindici anni dalla fine della guerra le strutture del movimento partigiano videro la costituzione nel febbraio del 1960 del "Consiglio Federativo della Resistenza" che con l'avvento del governo reazionario di Tambroni si trovarono a ricoprire un ruolo politico, sollecitando anche a livello locale la formazione di organi unitari antifascisti.

A Reggio Emilia i fatti del 7 luglio misero in rilievo le ambiguità del clero, che unì al proprio anticomunismo il cinismo politico davanti a dei giovani ammazzati, ai funerali partecipò per la DC il solo Corrado Corghi,reggiano e segretario regionale della Democrazia Cristiana, cattolico attivissimo da sempre nelle lotte sociali a fianco degli oppressi.

Al Processo che si tenne a Milano e che impiegò 9 anni ad emettere la sentenza,con l'impegno dei familiari e del Partito Comunista di Reggio Emilia che settimanalmente organizzava il pullman per assistere alle udienze la polizia venne assolta, come sempre lo Stato non si processa.

FdCA - luglio 2010


Cronologia delle lotte

8 aprile 1960: Il Ministero Tambroni riceve la fiducia della camera con 300 voti favorevoli e 293 contrari. Hanno votato a favore i parlamentari della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale Italiano ed i Monarchici.

9 aprile 1960: I ministri democristiani Bo, Pastore e Sullo si dimettono per non far parte di un governo dove i voti dei fascisti del MSI sono determinanti.

11 aprile 1960: Il Governo Tambroni si dimette sotto la spinta della protesta popolare.

11 aprile 1960: Viene dato l'incarico ad Amintore Fanfani (DC) di formare un nuovo governo.

22 aprile 1960: Fanfani rinuncia all'incarico a causa dell'opposizione della destra interna alla DC.

23 aprile 1960: Il Presidente della Repubblica respinge le dimissioni di Tambroni e lo invita a presentarsi al senato per ottenere il voto di fiducia.

25 aprile 1960: In tutta l'Italia si manifesta nell'anniversario della liberazione contro il governo clerico-fascista di Tambroni.

26 aprile 1960: A Reggio Emilia 500 giovani manifestano contro il fascismo, nella notte erano apparse svastiche dipinte sui muri cittadini.

27 aprile 1960: A Reggio Emilia, Genova, Milano, Abbadia S. Salvatore ed in altri luoghi si hanno sospensioni dal lavoro e scioperi di protesta contro il governo Tambroni.

29 aprile 1960: Il governo Tambroni riceve la fiducia anche al Senato con i voti di DC, MSI e Monarchici.

29 aprile 1960: A Milano e a Sesto San Giovanni la polizia disperde cortei di giovani che manifestano contro il governo fascista, cinque fermi e diverse denunce.

30 aprile 1960: A Reggio Emilia una forte contestazione impedisce a Giorgio Almirante del MSI di tenere il proprio comizio, scontri con la polizia in Piazza Trampolini con diversi feriti e contusi, 24 antifascisti vengono denunciati.

5 maggio 1960: A Firenze il prefetto vieta la piazza ad un comizio dei partiti di sinistra.

6 maggio 1960: A Reggio Emilia, a Pesaro ed in altre città i prefetti minacciano l'agibilità politica dei partiti di sinistra qualora non si arrestino le proteste contro i fascisti del MSI.

21 maggio 1960: A Bologna la polizia carica la folla ad un comizio del Partito Comunista Italiano, diversi feriti, alcuni anche gravi vengono ricoverati all'ospedale, dieci arrestati.

23 maggio 1960: I giovani comunisti, socialisti e radicali di Reggio Emilia firmano un manifesto comune di condanna all'operato di governo e polizia a Bologna.

7 giugno 1960: A Genova, i partiti della sinistra sottoscrivono un manifesto di protesta contro il progettato congresso del MSI a Genova.

14-22 giugno 1960: A Genova ed in tutta la Liguria continua la lotta degli antifascisti e dei partiti della sinistra contro il congresso del MSI, ritenuto ormai una provocazione governativa.

25 giugno 1960: A Genova scendono in sciopero i portuali, gli insegnanti e gli studenti, due ore di scontro tra polizia ed antifascisti. La polizia attacca un corteo che si recava a rendere omaggio al monumento dei Caduti Partigiani.

27 giugno 1960: A Palermo, dove i sindacati CGIL, CISL e UIL hanno indetto uno sciopero per il lavoro e migliori condizioni salariali, scoppiano violenti scontri con la polizia. Salvatore Capizzi, un lavoratore di 35 anni, viene ferito dai colpi di pistola esplosi dalla polizia e quaranta dimostranti vengono fermati.

28 giugno 1960: A Genova 30.000 antifascisti partecipano alla manifestazione indetta dal PCI e dagli altri partiti di sinistra contro il progettato congresso del MSI; comizi, manifestazioni e scioperi si svolgono nel contempo a Savona, Vado, Casale Monferrato, Novara, Padova, Bologna, Ravenna e Torino.

30 giugno 1960: A Genova scendono in sciopero 100.000 antifascisti; durissimi scontri con le forze di polizia, decine i feriti ed i contusi. La lotta determinata dei lavoratori genovesi prende di sorpresa gli stessi partiti di sinistra e le organizzazioni sindacali.

1 luglio 1960: Da Reggio Emilia e da moltissime altre parti giungono agli antifascisti genovesi attestati di solidarietà.

1 luglio 1960: Genova in sciopero generale è stretta in stato d'assedio dalle forze di polizia; in centro compaiono i reticolati, gli scontri tra lavoratori e polizia continuano a Ferrara, La Spezia e Sarzana. Viene proclamato lo sciopero generale in solidarietà con la lotta genovese contro i rigurgiti fascisti, fermate dal lavoro e gli scioperi si moltiplicano in diverse località.

2 luglio 1960: Il popolo antifascista genovese esulta per la vittoria, il congresso del MSI non si fa!

2 luglio 1960: In tutta Italia sono in sciopero un milione di braccianti e mezzo milione di mezzadri per rivendicazioni salariali e per il lavoro; a S. Ferdinando di Puglia la polizia spara sui braccianti in sciopero, tre lavoratori rimangono gravemente feriti.

4 luglio 1960: Si tengono manifestazioni in tutta Italia contro il fascismo promosse dal Consiglio Federativo della Resistenza. A Reggio Emilia avvengono duri scontri con la polizia che presidia la sede del MSI. Negli scontri che si protraggono fino a notte si hanno diversi contusi tra le forze di polizia.

4 luglio 1960: A Ravenna la casa di Arrigo Boldrini, presidente dell'ANPI, viene incendiata da una banda di fascisti.

5 luglio 1960: A Licata (Agrigento) la polizia spara contro i dimostranti in sciopero, Vincenzo Napoli di 25 anni cade ucciso, cinque altri dimostranti restano gravemente feriti dal piombo della polizia.

6 luglio 1960: A Roma un corteo di antifascisti diretto al Sacrario dei Caduti di Porta San Paolo viene attaccato dai reparti di polizia motorizzati ed a cavallo: decine di feriti e di arresti. Lo sciopero generale di protesta viene proclamato in molte città, fra cui Bologna, Livorno, Firenze, Roma e Reggio Emilia.

7 luglio 1960: A Reggio Emilia durante lo sciopero generale di protesta per l'aggressione di Roma reparti di polizia aprono il fuoco sui dimostranti che attendo l'inizio del comizio, provocando 5 morti e 22 feriti. 21 antifascisti vengono arrestati. La CGIL proclama lo sciopero generale di protesta in tutto il paese per l'8 luglio.

8 luglio 1960: A Palermo in sciopero generale, reparti di polizia sparano sui manifestanti provocando 3 morti, 51 feriti gravi e centinaia di contusi. 374 dimostranti vengono arrestati e rinchiusi nel carcere dell'Ucciardone.

A Catania la polizia spara sui manifestanti. Salvatore Novembre di vent'anni rimane ucciso. 25 i feriti, più di cento i denunciati e 44 arresti.

Ai funerali dei caduti di Reggio Emilia partecipano 150.000 persone. Le forze di polizia sono consegnate in caserma.

19 luglio 1960: Cade il governo Tambroni.


Il 7 Luglio a Reggio Emilia

La sera del 6 luglio la CGIL reggiana, dopo una lunga riunione (la linea della CGIL era sino a quel momento avversa a manifestazioni politiche) proclama lo sciopero cittadino. La polizia ha proibito gli assembramenti, e le stesse auto del sindacato invitano con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare. Ma l'unico spazio consentito - la Sala Verdi, 600 posti - è troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti: un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decide quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una violenta carica di un reparto di 350 celerini al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico investe la manifestazione pacifica: "Cominciarono i caroselli degli automezzi della polizia. Ricordo un'autobotte della polizia che in piazza cercava di disperdere la folla con gli idranti", ricorda un testimone, l'allora maestro elementare Antonio Zambonelli. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dalle bombe a gas, dai getti d'acqua e dai fumogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, "dove c'era un cantiere, ricorda un protagonista dei fatti, Giuliano Rovacchi. Entrammo e raccogliemmo di tutto, assi di legno, sassi...". "Altri manifestanti, aggiunge Zambonelli, buttavano le seggiole dalle distese dei bar della piazza". Respinti dalla disperata sassaiola dei manifestanti, i celerini impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare: "Teng-teng, si sentiva questo rumore, teng-teng. Erano pallottole, dice Rovacchi, e noi ci ritirammo sotto l'isolato San Rocco. Vidi un poliziotto scendere dall'autobotte, inginocchiarsi e sparare, verso i giardini, ad altezza d'uomo".

In quel punto verrà trovato il corpo di Afro Tondelli (1924), operaio di 35 anni. Si trova isolato al centro di piazza della Libertà. L'agente di PS Orlando Celani estrae la pistola, s'inginocchia, prende la mira in accurata posizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Tondelli dice: "Mi hanno voluto ammazzare, mi sparavano addosso come alla caccia". Partigiano della 76a Sap (nome di battaglia "Bobi"), è il quinto di otto fratelli, in una famiglia contadina di Gavasseto. Sposato, è segretario locale dell'ANPI.

Davanti alla chiesa di San Francesco è Lauro Farioli, 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bimbo. Lo chiamavano "Modugno" grazie alla vaga somiglianza con il cantante. Era uscito di casa con pantaloni corti, una camicetta rossa, le ciabatte ai piedi: ai primi spari si muove incredulo verso i poliziotti come per fermarli. Gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto. Dirà un ragazzo testimone dell'eccidio: "Ha fatto un passo o due, non di più, e subito è partita la raffica di mitra, io mi trovavo proprio alle sue spalle e l'ho visto voltarsi, girarsi su se stesso con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca. Mi è caduto addosso con tutto il sangue".

Intanto l'operaio Marino Serri, 41 anni, partigiano della 76a brigata si è affacciato piangendo di rabbia oltre l'angolo della strada gridando "Assassini!": cade immediatamente, colpito da una raffica di mitra. Nato in una famiglia contadina e montanara poverissima di Casina, con sei fratelli, non aveva frequentato nemmeno le elementari: lavorava sin da bambino pascolando le pecore nelle campagne. Militare a 20 anni, era stato in Jugoslavia. Abitava a Rondinara di Scandiano, con la moglie Clotilde e i figli.

In piazza Cavour c'è Ovidio Franchi, un ragazzo operaio di 19 anni. Viene colpito da un proiettile all'addome. Cerca di tenersi su, aggrappandosi a una serranda: "Un altro, racconta un testimone, ferito lievemente, lo voleva aiutare, poi è arrivato uno in divisa e ha sparato a tutti e due". Franchi è la vittima più giovane (classe 1941, nativo della frazione di Gavassa): figlio di un operaio delle Officine Meccaniche Reggiane, dopo la scuola di avviamento industriale era entrato come apprendista in una piccola officina della zona. Nel frattempo frequentava il biennio serale per conseguire l'attestato di disegnatore meccanico, che gli era stato appena recapitato. Morirà poco dopo a causa delle ferite riportate.

Ma gli spari non sciolgono la manifestazione: sono proprio i più giovani - tra i quali è Rovacchi - a resistere: "La macchina del sindacato girava tra i tumulti e l'altoparlante ci invitava a lasciare la piazza, che la manifestazione era finita. Ma noi non avevamo alcuna intenzione di ritirarci, qualcuno incitava addirittura alle barricate. Non avremmo sgomberato la piazza almeno fino a quando la polizia non spariva. E così fu. Mentre correvo inciampai su un corpo senza vita, vicino al negozio di Zamboni. Era il corpo di Reverberi, ma lo capii soltanto dopo".

Emilio Reverberi, 39 anni, operaio, era stato licenziato perché comunista nel 1951 dalle Officine Meccaniche Reggiane, dove era entrato all'età di 14 anni. Era stato garibaldino nella 144a Brigata dislocata nella zona della Val d'Enza (commissario politico nel distaccamento Amendola). Nativo di Cavriago, abitava a Reggio nelle case operaie oltre Crostolo con la moglie e i due figli. Viene brutalmente freddato a 39 anni, sotto i portici dell'Isolato San Rocco, in piazza Cavour. In realtà non è ancora morto: falciato da una raffica di mitra, spirerà in sala operatoria.

Polizia e carabinieri sparano con mitra e moschetti più di 500 proiettili, per quasi tre quarti d'ora, contro gli inermi manifestanti. I morti sono cinque, i feriti centinaia: Zambonelli, riuscito a entrare nell'ospedale, testimonia di "feriti ammucchiati ai morti, corpi squartati, irriconoscibili, ammassati uno sull'altro". Drammatica anche la testimonianza del chirurgo Riccardo Motta: "In sala operatoria c'eravamo io, il professor Pampari e il collega Parisoli. Ricordo nitidamente quelle terribili ore, ne passammo dodici di fila in sala operatoria, arrivava gente in condizioni disperate. Sembrava una situazione di guerra: non c'era tempo per parlare, mentre cercavamo di fare il possibile avvertivamo, pesantissimi, l'apprensione e il dolore dei parenti".

Tratto da "Reti Invisibili"


Per i morti di Reggio Emilia

1961
Testo e musica di Fausto Amodei

Compagno, cittadino,
fratello partigiano,
teniamoci per mano
in questi giorni tristi:
di nuovo a Reggio Emilia,
di nuovo là in Sicilia
son morti dei compagni,
per mano dei fascisti.

Di nuovo, come un tempo,
sopra l'Italia intera
"Fischia il vento e urla la bufera".

A diciannove anni
è morto Ovidio Franchi
per quelli che son stanchi
o sono ancora incerti.
Lauro Farioli è morto
per riparare al torto
di chi s'è già scordato
di Duccio Galimberti.

Son morti sui vent'anni,
per il nostro domani:
son morti come vecchi partigiani.

Marino Serri è morto,
è morto Afro Tondelli,
ma gli occhi dei fratelli
si sono tenuti asciutti.
Compagni, sia ben chiaro
che questo sangue amaro,
versato a Reggio Emilia
è sangue di noi tutti.

Sangue del nostro sangue,
nervi dei nostri nervi,
come fu quello dei fratelli Cervi.

Il solo vero amico
che abbiamo al fianco adesso
è sempre quello stesso
che fu con noi in montagna;
ed il nemico attuale
è sempre ancora eguale
a quel che combattemmo
sui nostri monti e in Spagna;

uguale è la canzone
che abbiamo da cantare:
"Scarpe rotte, eppur bisogna andare..."

Compagno Ovidio Franchi,
compagno Afro Tondelli,
e voi, Marino Serri,
Reverberi e Ferioli,
dovremo tutti quanti
aver, d'ora in avanti,
voi altri al nostro fianco
per non sentirci soli.

Morti di Reggio Emilia,
uscite dalla fossa
fuori, a cantar con noi "Bandiera Rossa"!


Bibliografia:

Giulio Bigi, I fatti del 7 luglio, Ed. Libreria Rinascita
Pollicino Gnus N° 75, monografico su "7 luglio 1960, in memoria"
Camera del Lavoro di Reggio Emilia, 7 luglio 1960 - 7 luglio 1990
100 anni della Camera del Lavoro di Reggio Emilia Ed. EDIESSE 2002
"Il 30 giugno a Genova", Movimento 30 giugno 1960