Perché un PROGRAMMA MINIMO

 

Nell'immaginazione dei più gli anarchici sono personaggi rispettabili, sognatori, onesti, integerrimi ed anche un po' patetici. La loro innegabile coerenza li rende inidonei a confrontarsi con la realtà che scorre sotto i loro piedi, incurante delle loro giuste utopie e ripagata dal medesimo interesse. Chi ricorda o sa che furono proprio gli anarchici a dare corpo organizzativo al movimento operaio, formando in Francia i primi sindacati e le Camere del Lavoro ? Chi ricorda o sa che nel primo dopoguerra i dirigenti del Partito Socialista mostravano grande preoccupazione per il crescente radicamento sociale della Unione Anarchica Italiana e della Unione Sindacale Italiana? Chi ricorda o sa quale sia stato il ruolo positivo e determinante svolto dagli anarchici in tante zone industriali e nella Torino dei Consigli di Fabbrica nel Biennio Rosso?

Come è stato possibile un tale mutamento, che ha trasformato un movimento da sempre centrale nella vita della sinistra di classe di una miriade di piccoli e sparuti gruppi di tenaci propugnatori di un ideale rispettabile, ma privi di una possibilità di incidenza?

Sicuramente ha pesato la repressione dell'avversario di classe, come pure non possono non aver lasciato il segno le sconfitte subite dal movimento dei lavoratori nel suo complesso , con il loro strascico di disillusione e di prospettiva storica e politica. Ma ha agito anche un cancro interno: l'anarchismo religioso! Cos'è questa malattia è presto detto. E' quella forma di pensiero che sacrifica tutto ad una presunta coerenza degli ideali, per cui si finisce per affermare soltanto quelli, ripetendoli all'infinito, senza cercare le vie concrete che ad essi possano menare. In altre parole, in questa concezione, generalmente estranea dichiaratamente alla lotta di classe, l'anarchico diviene colui che addita agli infedeli la meta,faro luminoso dell'avvenire, ma che non può scendere a nessun patto con il divenire reale del mondo, perché ciò rappresenterebbe inevitabilmente una contaminazione inaccettabile, e tale contaminazione porterebbe senza scampo l'anarchico a non essere più tale, impedendogli pur anco di additare la meta.

Se la società è borghese, qualsiasi commistione con essa, col suo modo di essere, con le sue regole rappresenta un tradimento.

Con questo modo di ragionare ed operare gli anarchici si sono autoesclusi da ogni forma di azione politica, da ogni processo di crescita nell'azione quotidiana (vista come riduttiva e riformista), per chiudersi in un'attività di pura propaganda atta a reclutare fedeli.

Purtroppo, questo modo semplicistico e sterile di pensare, che tanti danni ha provocato al movimento anarchico in specie in Italia, trova echi anche in quei settori di rinato anarchismo di classe (o comunismo anarchico) che faticosamente hanno cercato di ricostruire una presenza libertaria all'interno del movimento degli sfruttati negli ultimi trent'anni, come già nel lontano scadere del secolo scorso i Pelloutier, i Pouget, i Monatte e tanti altri oscuri militanti portarono l'anarchismo fuori dal tunnel senza fondo della propaganda col fatto. Per intenderci fa male veder finire ogni pur brillante analisi, con la fatidica formula "solo la ripresa della lotta di classe può ...", non perché ciò non sia vero, ma perché il ribadirlo serve sovente a coprire l'assenza di una qualsivoglia proposta.

E' ovvio che solo un completo cambiamento dei rapporti sociali, e prima di tutto di quelli economici e di proprietà, può avviare un vero ed irreversibile processo di uguaglianza nella libertà, ma il problema concreto è come arrivare a questo sovvertimento: fuori dai giri di parole il problema è quello della strategia e della tattica.

Ora ogni azione quotidiana concreta, quella sindacale in testa, ha un limite preciso nel non essere in sé rivoluzionaria, e quindi di essere recuperabile o strumentalizzabile dalla controparte. E' compito dell'organizzazione politica vedere questi limiti, analizzarli, operare per aggirarli. Ma ciò non può significare immobilismo, perché il constatare che ogni operazione porta con sé delle tare derivanti dal suo inscriversi in questo contesto sociale e produttivo, sfocia, con una certa banalità di pensiero, nel rifiutarla perché non sufficientemente pura.

Con questo meccanismo è facile criticare chi si muove, facendogli constatare come si stia compromettendo, solo perché non sta facendo evidentemente la rivoluzione. Similmente non diviene praticabile alcuna forma di alleanza, seppur limitata a specifici problemi, perché non si possiede un programma tattico per l'agire dell'oggi. Molto si dibatte attualmente nel movimento anarchico sul deperimento dello stato sociale; ma al di la di coloro che inorridiscono al solo sentire la parola stato - non sopportandola nemmeno come participio passato del verbo essere, e non riuscendo per ciò a distinguere tra apparato burocratico e collettività e perdendo quindi la dimensione di quanto il primo deturpi ogni afflato solidaristico della seconda - esiste una mistificazione di sinistra.

Non è comprensibile il portato dell'ovvia constatazione che lo stato sociale nasce anche per esigenze del capitale nella sua fase tayloristica, poiché nello stesso ambito prospera un periodo di espansione salariale, che nessuno con un po' di sale in zucca ha mai pensato di mettere in discussione.

La verità è che l'anarchismo di classe deve agire nel vivere quotidiano degli sfruttati se vuol far crescere in loro la consapevolezza che questa società può essere cambiata e che, per far questo, deve indicargli una strada di crescita del tenore di vita e dei successi, ora e subito, ( e questi, lo sappiamo, non sono il socialismo), senza rinviare il raggiungimento del benessere al paradiso della vita futura nell'anarchismo realizzato. Diceva giustamente Malatesta che l'anarchismo è riformatore, perché vuole dei cambiamenti ora, non in quanto essi portano passo passo alla società utopica (perché se questo pensasse, sarebbe riformista), ma in quanto il proletariato, nell'ottenere questi cambiamenti, fa ginnastica rivoluzionaria e migliore la sua vita quotidiana, il che non fa schifo a nessuno!

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Per tutto ciò è indispensabile, per una organizzazione comunista anarchica che non rinunci a fare politica, approntare un programma minimo che guidi la sua azione nel presente e le consenta di costruire su di essa delle alleanze sulle quali esercita l'egemonia senza rincorrere le scadenze altrui; ma soprattutto che le permetta di presentarsi ai lavoratori con proposte concrete e praticabili e non con le promesse fideistiche in un lontano futuro migliore.

Su questa linea di lavoro, di intervento politico si sono mosse e si muovono nel mondo molte organizzazioni comuniste anarchiche e noi con loro.

La Segreteria Nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici

Assunta dal Congresso

Firenze, 13-14 dicembre 1997