Resistenze e alternative I. Un sistema
fondato sulla dominazione e lo sfruttamento
I.
1 Il capitalismo come sistema
ideologico Il capitalismo non può essere ridotto alla sua dimensione
economica. Si tratta di un sistema globale di
comprensione del mondo e delle regole che lo devono regolare, e come tale
necessita della coesione ideologica di tutte le sfere sociali: politica,
sociale, culturale e certamente economica. Il perpetuarsi del capitalismo
dipende dalla concentrazione del potere politico-economico, nelle mani di una
minoranza, quale che sia lo spazio geografico
considerato. Conciato o no come dal “volto umano” o che lo
si voglia keynesiano o neo-liberale, i
rapporti di dominazione e di sfruttamento che costituiscono la sua struttura
restano allo stesso posto. Questi forgiano il modello dominante dei rapporti
sociali a livello planetario, nonostante l’opposizione crescente dei
movimenti di contestazione. La polarizzazione
Est-Ovest degli anni della guerra fredda ha lasciato il posto ad un nuovo
ordine internazionale che non ha smesso di rinforzare la potenza dei paesi
industrializzati occidentali, Stati Uniti in testa. Al predominio di alcuni stati sul resto del mondo fa eco quello di
alcune transnazionali (multinazionali) che decidono ciò che deve essere
prodotto, da chi, per chi, e in quali condizioni secondo la ricerca del loro
proprio profitto immediato. In questo quadro le disuguaglianze su scala
nazionale e internazionale non smettono di approfondirsi, mentre un cartello
di decisionisti, nonostante o attraverso la scappatoia (prospettiva, lato)
delle lotte d’influenza, orienta il cammino del mondo in spregio dei bisogni
e delle richieste delle popolazioni.
I.
2 Rapporti di dominazione e
neocolonialismo I rapporti di dominazione che determinano oggi le
relazioni internazionali hanno le loro radici
nell’impresa coloniale e nello schiavismo che hanno permesso ai paesi
dell’Europa dell’ovest di consolidare il loro dominio sulla scena mondiale.
Il loro sviluppo è stato indissociabile dall’economia coloniale (e in un primo momento
addirittura dalla schiavitù) che ha permesso, e continua a permettere, un
accesso privilegiato alle materie prime ad un costo di mano d’opera che non
ha concorrenza. Il divario tra le potenze industrializzate e il terzo mondo
agricolo è, alla stessa maniera della logica coloniale e del saccheggio ad essa collegato, tranquillamente mantenuto a tutt’oggi a tutto vantaggio dei primi. Convinti della
loro superiorità civilizzatrice, avendo i mezzi materiali per la sua
imposizione, le grandi potenze europee, raggiunte su questo terreno a metà
del secolo scorso da Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina, si distribuirono o
si disputarono corridoi, linee o zone di influenza.
L’indipendenza o l’arricchimento di alcuni paesi del
sud grazie ad una industrializzazione posta sotto controllo dei paesi
dominanti, o alla rendita del petrolio, hanno di fatto mantenuto questa
partizione del potere e delle ricchezze su scala mondiale. Il cambiamento alla
metà del XX secolo legato alle guerre mondiali,
all’emergere degli Stati Uniti come potenza economica inevitabile,
all’instaurazione del blocco dell’Est e ai processi di indipendenza, hanno
modificato i rapporti di potere tra potenze occidentali senza allo stesso
tempo modificare i loro meccanismi sul piano globale. Nonostante
la costituzione a Bandung nel 1955 del movimento
dei paesi non allineati, che si ponevano a rappresentare gli interessi del
terzo mondo, il mantenimento a sovranità limitata dei cosiddetti paesi in via
di sviluppo rispetto ai
paesi dominanti si rinforza tanto economicamente quanto politicamente e
culturalmente.
Questo dominio è stato reso più forte da un debito pubblico e privato di
cui il saccheggio umano ed economico
dei paesi del sud da parte di quelli del nord,
basterebbe da solo a giustificarne l’annullamento. La fine del blocco
sovietico all’inizio degli anni novanta allo stesso modo fondato su un
capitalismo di stato e sul colonialismo da parte della Russia delle
repubbliche che lo componevano, ha permesso al capitalismo liberale di
ordinare il mondo principalmente sotto la guida di Stati Uniti ed Europa.
Questa situazione di neocolonialismo che beneficia della complicità della maggioranza dei paesi dominati da élites locali, ben rappresenta l’impronta di una
globalizzazione che mira a standardizzare i sistemi sociali e i modi di vita
per rispondere ai bisogni del consumismo di massa, ad assicurarsi l’adesione
all’ideologia dominante e smantellare i movimenti di contestazione che
continuano a denunciare un ordine internazionale iniquo.
I.
3 Guerra, nuova militarizzazione, e
neo colonialismo
mondiale Il contesto internazionale è
dominato dalle conseguenze politiche degli attentati dell’11 settembre e dal
seguito politico e militare che ha voluto dare ad essi l’amministrazione americana.
Sotto la copertura dell’antiterrorismo l’amministrazione
USA, sostenuta nelle sue imprese dai dirigenti di governo britannici ed
aiutata dall’atteggiamento acquiescente dell’Unione Europea, mette in atto
dopo questa data una strategia di espansione imperialista. Una strategia di
cui la guerra in Afghanistan è solo l’inizio. Si
tratta di mettere in ginocchio gli Stati e anche i popoli che rappresentano
se non una minaccia almeno un ostacolo alla difesa degli interessi americani.
La difesa di questi interessi passa particolarmente per un
controllo più sicuro della produzione di petrolio, ben sapendo che gli Stati
Uniti consumano il 25% dell’energia del pianeta. Una lobby del
petrolio i cui interessi sono strettamente legati al
clan Bush, come l’ultima campagna elettorale ha
messo in risalto. Richiamandosi ad una crociata, che sia una guerra giusta e
di civilizzazione, la dirigenza USA maschera la vera
posta della sua guerra, che consiste in un rafforzamento del suo dominio
internazionale. L’amministrazione degli Stati Uniti tiene
un discorso parallelo a quello di Bin Laden e allo stesso tempo lo combatte dopo averlo
lungamente sostenuto, finanziato, preparato ed equipaggiato. Gli Stati Uniti
si trovano a capo di una lotta assunta da tutte le altre potenze (tra cui la Francia) e sostenuto dalle multinazionali, a quanto
risulta una impresa per la ri-colonizzazione e la ri-militarizzazione del mondo. Questa impresa si traduce
con un rafforzamento della loro dominazione, dei legami di dipendenza tra i
paesi del Sud e le grandi potenze (attraverso il debito e le privatizzazioni)
ma anche un nuovo dispiegamento militare dei paesi imperialisti attraverso i
trattati (ALCA), i piani (piano Colombia), la
creazione di veri e propri protettorati sotto mandato occidentale (Kosovo Afghanistan), la progressiva trasformazione delle
economie come dipendenti direttamente dal dollaro (Panama, Equador, Argentina) il progetto di porre sotto tutela
quegli stati inadempienti secondo le banche internazionali (Argentina). Il
nostro compito è quello di costruire ovunque un grande
fronte anticapitalista mettendo insieme movimenti popolari e forze politiche
per opporsi insieme alla guerra e far indietreggiare le forze che la vogliono
espandere. Guerre che non possono che aizzare le popolazioni a combattere tra di loro, rinforzare
i regimi autoritari, ma anche le politiche di distruzione e di
“pulizia etnica”. Questa politica suscita le resistenze delle popolazioni
come si può notare in occasione delle mobilitazioni contro i summit internazionali
dei dirigenti del mondo. E’ senza dubbio in America Latina che la presa di
coscienza è la più forte ed è più ricca di insegnamenti.
Noi assistiamo in questa regione ad una crisi senza precedenti della
rappresentanza politica e alla messa in causa radicale delle politiche di privatizzazione e di sottomissione alle istituzioni
internazionali. Gli esempi di mobilitazioni delle masse si moltiplicano
contro questi tipi di scelta politica portando un po’ ovunque dei successi
ponendosi a resistenza di privatizzazioni dell’acqua
e dell’elettricità per esempio ( Perù, Paraguay, Equador, Bolivia). Questi movimenti innescano
parallelamente uno sviluppo
nell’autorganizzazione in
Brasile e soprattutto in Argentina (
assemblee popolari, cooperative e imprese autogestite)
e sono portatrici di aspirazioni democratiche e di
autogestione. Mobilitazioni entro le quali sia libertari e
libertarie sia le organizzazioni che fanno parte di Solidarietà
Internazionale Libertaria come la FAU (Uruguay), l’OSL (Argentina) e la FAG
(Brasile) sono parte fondamentale. La componente
libertaria rappresenta la parte trainante dei movimenti di disoccupate/i di
contadini/e, di donne, cercando legami con i movimenti dei/lle lavoratori/trici. Il nostro
compito è quello di farli conoscere e di rendere queste esperienze popolari
per il loro valore esemplare. Tredici anni dopo della caduta del muro di Berlino il mondo non ha conosciuto un anno di pace
(Slovenia, Guerra del Golfo, Croazia, Bosnia, Kosovo,
Cecenia, Afghanistan). Solo il sogno dei popoli
contro l’imperialismo, l’integralismo, il capitalismo, per la libertà,
l’uguaglianza, la solidarietà potrà mettere fine a questo incubo.
L’urgenza è dunque quella del risveglio delle coscienze e
di una mobilitazione di massa contro una guerra che minaccia di mettere i
popoli gli uni contro gli altri per il raggiungimento del maggior profitto di
chi li governa. Questa urgenza è anche quella della riappropriazione
di una democrazia da parte di queste stesse
popolazioni, democrazia che da quando esiste è di volta in volta e sempre
maggiormente divenuta censitaria ed espropriata dai
rappresentanti (attraverso la delega), che rappresentano solo l’espressione
della sua negazione. II. Capitalismo e globalizzazione I.2 Gli attori e i mezzi della dominazione L’integrazione regionale attorno ai poli industrializzati
(Comunità Europea, ALENA, CEI, ASEAN...) corrisponde dalla fine degli anni 70
ad una transnazionalizzazione economica e
finanziaria che confonde i riferimenti territoriali che strutturavano
fino a quel momento la percezione del mondo. La complessità dei rapporti tra
Stati o gruppi di Stati e potentati economici e finanziari privati perturba ancora la comprensione del sistema internazionale
e la possibilità di stabilire le responsabilità delle decisioni che vengono
prese. Tuttavia se le multinazionali e altri flussi e reflussi di capitale
sembrano essere solo un’ astrazione lasciano poca
possibilità di comprensione ai non iniziati, mentre gli effetti concreti di
questi meccanismi sono del tutto tangibili. In un contesto
in cui i danni della globalizzazione capitalista colpiscono (delocalizzazioni) e sensibilizzano (disastri ecologici)
l’opinione pubblica dei paesi del Nord, gli Stati ricchi tentano di dare
lustro all’immagine della loro mondializzazione in occasione degli incontri
come quelli del G8 o dell’OMC. I rappresentanti di questi paesi fingono di
preoccuparsi dei grandi problemi della terra e,
adducendo a pretesto l’ineluttabilità della mondializzazione capitalista,
pretendono di renderla più umana. Infatti la
pubblicità che viene fatta durante
questi incontri serve a legittimare le loro azioni e a farne
dimenticare il carattere antidemocratico.
I capi di Stato eletti sono posti in prima linea per meglio mascherare
le forze e le lobbies che agiscono senza nessun
controllo dei cittadini. L’invito ai rappresentanti dei paesi poveri o delle
ONG a incontrarsi negli stessi momenti rientra
perfettamente in questo scopo di legittimazione. Le organizzazioni e
istituzioni internazionali che si tratti di ONU o
delle sue articolazioni, del FMI o della Banca Mondiale, sono
fondamentalmente al servizio dei potenti come i “gruppi d’interesse”, come
l’OMC, il G8, o l’OCDE esplicitamente create per questo scopo . Le istanze
internazionali nei loro modi di funzionamento dalla loro costituzione, sia
che siano politiche, economiche o di altro tipo, hanno sempre difeso il
sistema capitalista e coloro che lo utilizzano per dominare ed arricchirsi.
Le differenti potenze si affrontano per difendere i propri interessi, ma gli
accordi si fanno sempre a scapito delle popolazioni più vulnerabili. Queste
istituzioni emanate da un sistema disuguale e sono dirette dai rappresentanti
di questo sistema. Queste non possono che riprodurre le disuguaglianze e ciò
che le fonda. Nonostante il loro carattere profondamente anti-democratico e
l’assenza di diritto delle popolazioni rispetto all’avvenire del pianeta, le
decisioni delle istanze internazionali hanno valore
di legge. Tutte le loro azioni dal semplice aiuto umanitario fino agli
interventi militari sono condizionate da un unico obiettivo: far perdurare il
sistema in tutto il mondo. In materia di commercio le decisioni sono
notoriamente inique: i paesi del Sud devono aprirsi totalmente al commercio
internazionale subendo il protettorato economico del Nord.
Ma è nell’insieme delle grandi scelte dei paesi in via di
sviluppo
che le istituzioni
internazionali intervengono al fine di rendere questi paesi sempre più
dipendenti. I disegni di aggiustamento strutturale
promossi dal FMI, in cambio di rateizzazione e di
alleggerimento del debito, ne sono un chiaro esempio. Il diritto dei popoli a
disporre di loro stessi non ha molto peso di fronte
agli interessi delle potenze dominanti. In questo momento, l’interventismo
occidentale non ha più la garanzia dell’aiuto allo sviluppo
visto che i crediti della cooperazione crollano a vista d’occhio. In questo stesso ambito
si trovano anche le istituzioni che denunciano l’assenza di
assistenza dei paesi ricchi verso i paesi poveri. II.2 Effetti di devastazione Dall’impoverimento di intere
regioni, nonostante che esse abbiano importanti ricchezze naturali, fino a
quello di settori della popolazione dei paesi ricchi, attraverso i
licenziamenti collegati
particolarmente alla localizzazione, dallo scandalo che rappresenta la
decimazione di intere popolazioni in
Africa ed Asia impossibilitate ad accedere ai farmaci anti-HIV,
fino all’ingiustizia e alla nocività evidente del sistema del debito e
dell’assestamento organizzato dall’FMI; dalle diverse forme di embargo e
dalle guerre decise dalle potenze mondiali sotto la copertura della lotta
“contro le forze del male” e contro il
terrorismo, fino al prosciugamento delle
risorse naturali per fini commerciali...la lista degli effetti devastatori
di questa mondializzazione di cui noi denunciamo i principi e le conseguenze,
è lunga. Noi ad essa opponiamo la solidarietà
internazionale e un internazionalismo che non mira a nessuna forma di
revisione dei meccanismi e delle istituzioni della mondializzazione stessa,
ma si pone l’intento di costruire un rapporto di forze capace di imporre un
altro progetto di società, diretto verso una maggiore giustizia e libertà.
III.1. Contestare le istanze e gli
organismi internazionali La posta degli incontri internazionali è duplice. Si
tratta di vere imprese di propaganda determinate a presentare la mondializzazione capitalista come il solo progetto di
società possibile; permettono soprattutto di accelerare la messa in campo
degli strumenti e delle regole di funzionamento di questa mondializzazione al
fine di renderla ineluttabile e universale. Così le mobilitazioni contro i
loro svolgimenti sono essenziali per non lasciar proseguire questo processo
antidemocratico. Le mobilitazioni di massa alleate tra di
loro per perturbare questi veri e propri congressi dl capitalismo
attraverso azioni di non violenza
attiva, permettono di rispondere a questa duplice posta in gioco. I capi di
stato reagiscono a molteplici livelli alle mobilitazioni per minimizzarne le
conseguenze. La prima è di ordine ideologico:
tentano di far assimilare il movimento anti-globalizzazione ad una forma di ripiegamento reazionario
(il rifiuto del progresso!). In secondo luogo e diversamente, i summits si danno una garanzia umanistica. Questi incontri
si appoggiano a tale menzogna, per tentare di sovvertire e integrare in
qualche modo alcuni componenti del movimento per una
differente globalizzazione (alter-monidialiste)...e
questi ultimi talvolta non aspettano altro! Infine è in quei frangenti che
gli Stati ricchi fanno il loro meglio, gli organizzatori usano la criminalizzazione e la repressione. Questi tre livelli
procedono con la stessa logica, si tratta di impedire al movimento di costruire un’alternativa alla
mondializzazione capitalista. E’ necessario fare crescere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica
sulla legittimità della contestazione e di coloro che
contestano contro istanze che hanno fondamenti e pratiche chiaramente
antidemocratiche. Le divergenze sulle forme di azione
non devono diventare pretesto per la divisione ma al contrario, il rispetto
della diversità delle tattiche deve essere il leitmotiv delle mobilitazioni.
III.2. Niente è possibile nel contesto
delle istituzioni La contestazione attraverso la sola voce dei
contro-summit ha mostrato i suoi
limiti ed è giocoforza constatare i segnali di
affanno. Ora occorre trasformare le mobilitazioni di protesta in luoghi di incontro, di coordinamento, di elaborazione e di
costruzione di una alternativa. Questo coordinamento si deve basare su azioni
dirette e concrete per essere ancorato alla realtà. Tali azioni devono
rispettare l’autonomia delle diverse componenti.
Alcune (né ATTAC, né Rifondazione Comunista all’occorrenza) non devono poter
far prevalere una posizione dominante o una legittimità superiore in questo
movimento, pena il fatto di sviarlo. La partecipazione alle istanze capitaliste, in particolare ai governi quali essi
siano, resta la principale linea di frattura per rigettare coloro che vorrebbero
infiltrarsi nel movimento per il loro solo tornaconto. Così il coordinamento
dei movimenti sociali è una priorità per far assestare le mobilitazioni
internazionali sulla linea di un prolungamento delle mobilitazioni locali,
cosa che da loro forza e potenzialità recettiva nelle popolazioni e assicura
loro un carattere offensivo. Questo ancoraggio tra le lotte sociali è la conditio sine qua non per
garantire da un lato le mobilitazioni di massa, e dall’altro una indipendenza di fronte alle istituzioni. A questo
titolo “l’appello dei senza” di Porto Alegre può
permettere a una volta di far convergere le
rivendicazioni e le lotte ma allo stesso tempo di proseguire la lotta contro
i misfatti del capitalismo tra due “tempi forti” internazionali. Ma i contro-summit e i forum che li accompagnano sono
vittime del loro successo e si assiste ad alcuni tentativi di recupero.
L’aspetto più grottesco di questi tentativi è stato
quello della presenza dei ministri social-democratici (loro stessi artigiani
della globalizzazione capitalista) a Porto Alegre,
o addirittura i nazionalisti (chevèmentistes, RPR).
Niente mette in discussione che la loro presenza turba la leggibilità del
movimento. Così grave è la pressione che esercitano coloro
che vorrebbero farne dei semplici spazi di regolazione del capitalismo
denunciandone le ingiustizie più lampanti senza concentrarsi sulle basi del
sistema che ha prodotto queste ingiustizie. Oltre la demobilitazione
e l’incomprensione che trascinano queste derive, è certo che queste implicano
una integrazione al sistema e dunque una
riconoscenza del capitalismo come orizzonte unico. IV. Un
internazionalismo offensivo IV.1 Alcuni esempi di solidarietà
concreta Il capitalismo colpisce
in maniera diseguale e alcuni popoli del pianeta vivono una situazione
drammatica di fronte alla quale non possiamo rimanere inattivi. Anche noi esaltiamo un internazionalismo basato sulle forme
di solidarietà concreta in aperta rottura con l’assistenzialismo delle
istituzioni che garantiscono concessioni dalle conseguenze terribili. A questo
titolo, le mobilitazioni sindacali in favore dell’Europa dell’Est e dei
Balcani (convogli per la Bosnia) sono esemplari perché rimarcano ad una
volta un rifiuto del ripiegamento dei nazionalismi e soprattutto stabiliscono
dei legami diretti di solidarietà tra sfruttati. La solidarietà passa anche
attraverso campagne allargate o legami bilaterali. Queste campagne di
solidarietà non possono risparmiare l’immigrazione nei paesi occidentali. La
prima ragione è che le persecuzioni laggiù sono la causa di numerosi esili. La seconda è che questi
temi toccano particolarmente le popolazioni immigrate o risultanti da
immigrazioni. Queste campagne rappresentano l’opportunità di un lavoro comune.
IV.2 Solidarietà internazionale libertaria
Oltre al
coordinamento delle differenti forze libertarie, la
SIL è concentrata sulla
messa in atto di campagne d’azione locale che si danno il cambio ovunque nei
paesi in cui le organizzazioni membri sono presenti.
Così il SIL permette di articolare l’azione locale e l’azione internazionale
e di sostenere delle vere e proprie sperimentazioni sociali di autogestione. Dopo 18 mesi di esistenza
della rete SIL, alcuni limiti cominciano a mostrarsi: mancanza di reattività
per portare a termine i progetti, carenza di dibattiti e di prospettive,
mancanza di una visione chiara su ciò che vogliamo fare insieme. Migliorare
il funzionamento di questa rete è una condizione necessaria perché non sia
una fuoco di paglia limitato ai soli progetti sud-americani. Non si tratta
per questo di finire nelle trappole burocratiche né di spingere per la
proclamazione di una “nuova Internazionale”. Ma
alcuni strumenti di decisione e di comunicazione sono indispensabili per
permettere a tutte le organizzazioni della rete di utilizzare pienamente la
rete stessa e di vederne l’utilità. IV.3 Costruire realmente e subito un altro mondo In maniera evidente l’alternativa
non può inserirsi nel quadro del capitalismo che ha prodotto queste relazioni
internazionali basate, sulla dominazione, la miseria e la rovina ecologica
del pianeta. Al contrario, bisogna diffondere u
altro progetto di società, che gira le spalle allo sfruttamento dell’uomo e
si fonda sulla soppressione delle frontiere e la libera circolazione, la
solidarietà e la redistribuzione delle ricchezze,
la riappropriazione del potere da parte dei
cittadini e una forma di sviluppo
economico ragionato ed ecologico. Dal rifiuto di
un sistema alla messa in movimento di altri valori e
pratiche, c’è un passo che dobbiamo fare. Le lotte internazionali devono
essere l’occasione della costruzione di un’alternativa
alla mondializzazione capitalista. Prima queste permettono di stabilire dei
legami internazionali diretti tra le popolazioni del pianeta senza passare
attraverso i dirigenti, cosa che costituisce un elemento preponderante per la
riappropriazione del potere da parte dei cittadini
e delle cittadine. In questo senso la democrazia diretta negli spazi di incontro e nelle lotte, è una posta determinante al
fine di non rimpiazzare gli intermediari di stato attraverso altri
intermediari. Subito dopo si tratta di promuovere nuove forme di lotta (o di
rinnovarle con delle forme abbandonate come la requisizione o la presa di
controllo dei mezzi di produzione). Gli spazi di
Alternative
Libertaire (traduzione di Monia
Andreani/fdca) |
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