Organizzazione Libertaria Cimarrón

 

CARTA DEI PRINCIPI

Approvata nel 1º Congresso della OLC, il 12 luglio 1998, data di fondazione della nostra organizzazione

 

 

INTRODUZIONE
L’IMPERO NEOLIBERALE
AUTODISSOLUZIONE DEL "SOCIALISMO AUTORITARIO"
ECOLOGIA E ANTICAPITALISMO
IL POTERE E IL PROBLEMA DEL POTERE POLITICO
AZIONE DIRETTA
AUTOGESTIONE
DEMOCRAZIA DIRETTA
FEDERALISMO E INTERNAZIONALISMO
LOTTA SOCIALE E PRATICA POLITICA
METODOLOGIA DI LOTTA
POLITICA DELLE ALLEANZE
OBIETTIVI GENERALI
 

INTRODUZIONE

 

Ci è toccata una difficile tappa nello sviluppo della lotta di classe. I popoli assoggettati all’economia e questa all’immensa avidità di coloro che occupano posizioni eminenti sul podio della dominazione sociale e mondiale.

Qui oggi stiamo patendo gli effetti di un’antiutopia realizzata. Dietro le vetrine della modernità artificiale e dell’alchimia discorsiva dei suoi promotori e panegiristi sta la decadenza di un mondo crudele e fratricida, piagato dall’ingiustizia, dalla miseria e dal dolore, da repressione, impunità e bugie.

L’incremento, in intensità e profondità, delle condizioni di sfruttamento e dominio, che lascia come saldo il vertiginoso avanzamento del sistema capitalista, al pari dell’insuccesso che delle esperienze che, nel corso del sec. XX°, hanno cercato di instaurare il socialismo da e con gli stessi strumenti con cui la borghesia esercita il suo potere, ratificano e potenziano le idee anarchiche sulla rivoluzione sociale ed il socialismo come alternativa pienamente valida per le lotte degli oppressi. Ma al di là di etichette e denominazioni l’insorgenza zapatista in Messico e le impronte strategiche e metodologiche dei vari movimenti latinoamericani sono l’espressione viva di quest’alternativa, di quest’intendimento rivoluzionario.

 

Ci è toccato vivere una difficile fase nello sviluppo della lotta di classe, non si deve fare i conti solo con la superbia quasi onnipotente del nemico dichiarato o il paradigma dell’accomodamento che profetizza il cambiamento senza strappi e la trasformazione per una via professionale e chirurgica che prescinde dallo stesso popolo organizzato; la grande sfida consiste nel superare le nostre stesse debolezze ed incapacità, nell’autocostruire una prospettiva storica, qui ed ora senza pregiudizi e senza settarismi. L’organizzazione rivoluzionaria che proponiamo si identifica con una componente in più nella trincea dell’oppresso, cercando di forgiare – in un momento di tanta confusione e rinuncia – questa prospettiva storica con capacità di riscattare i più profondi valori socialisti. In questo senso una cosa ci è rimasta chiara: non si realizzerà un mondo nuovo in virtù delle nostre migliori aspirazioni, ma saranno solo l’atteggiamento concreto, il progetto e la proposta di fronte ad un mondo di ingiustizie e disperazione, a riaffermarci come rivoluzionari, a giustificarci come organizzazione.

 Saremo implacabili, sereni e decisi, agendo in mezzo al nostro popolo, legati alla nostra utopia, confidando che, più presto che tardi, la speranza sconfigga la ghigliottina e la vita disarticoli la menzogna.

Quel che si sviluppa in queste pagine sono solo le basi di un progetto più ampio che dovrà maturare, crescere e consolidarsi insieme alla lotta del popolo, la quale in definitiva è l’origine, il centro ed il referente di questa nascente organizzazione. Qui si sviluppa il pensiero politico-ideologico che configura la nostra identità come organizzazione, e non si pretende di dare la versione unica e completa dell’anarchismo. Si tratta semplicemente della nostra interpretazione teorica e pratica di quello che consideriamo lo strumento migliore a disposizione dei poveri, con la pretesa di chiamare ad organizzarsi per lottare e recuperare la propria storia ed essere protagonisti di questo grande legato di lotte che ancora devono dipanarsi.

 

PER LA LIBERTÀ E IL SOCIALISMO

ORGANIZZARSI PER LOTTARE!

 

Quest’intenzione esige il meglio di noi stessi.

Nessuno è esente dal sognare un mondo nuovo e diverso in cui la poesia, più che un poema, sia vento, carne e terra.

 

L’IMPERO NEOLIBERALE

 

Come articolazione storica del capitalismo nel momento attuale, il neoliberalismo rappresenta un progetto egemonico di dominazione mondiale, dove il mercato illimitato si consacra come fondamento non discutibile dell'organizzazione della vita moderna, diretto e orientato dalle grandi imprese transnazionali e dai grandi organismi internazionali del credito. Nella genesi del modello neoliberale è rilevante la capacità rigenerativa del sistema capitalista per superare i suoi ricorrenti cicli di crescita e depressione senza incidere sostanzialmente nelle alte sfere del potere economico e politico. Il "Keynesismo" o "Stato del Benessere" - riformulazione capitalista che, mantenendo ferme le strutture caratteristiche del sistema, introdusse una serie di riforme tendenti a superare la crisi del '29 e confrontarsi col modello sovietico - di fronte all'emergere del collasso economico dell'inizio degli anni '70 fu il principale scoglio da superare e - una volta finita la "guerra fredda" - un anacronismo necessariamente da eliminar. Dopo un prolungato processo di incubazione, l'ideologia liberale trovò nei governi della Thatcher e di Reagan e nel progressivo processo di svolta a destra dei governi europei forti e diligenti portavoce capaci di fornire strumenti al ricettario di cui esso era portatore. Nella nostra castigata America Latina, le dittature militari furono il suo brodo di coltura. Non sono pochi i pensatori che individuano nel Cile pinochetista lo scenario sperimentale della dottrina neoliberale, e dopo in Bolivia, scenario diventato (sebbene con gradazioni diverse) il modello migliorabile che sarebbe stato applicato dai governi borghesi nell’ultima parte degli anni ’80. Un altro fattore per nulla secondario ai fini dell’avvento e del consolidamento del neoliberalismo è stato l’autodissolversi del "Socialismo dell’Est", utilizzato e riutilizzato per l’irrobustimento e la gioia della dottrina privatizzatrice, per il monopolio del pensiero, per l’affermazione del capitalismo come sistema insuperabile, per predicare la fine delle ideologie... La logica del mercato come regolatore assoluto ed agente dinamico dell’economia e della società ha proiettato nel sistema profonde riforme in favore del capitale. Il suo tessuto ideologico assoggetta ogni attività umana alla capacità di consumo e di possesso, riducendo il comportamento sociale ad un’attività di compravendita.
L’aggressivo avanzamento della cultura consumista è un chiaro indicatore dei valori fomentati dal neoliberalismo, privilegiando il profilo mercantile su quello umano, esacerbando il più scettico  individualismo, convertendo la speranza in un’offerta di fine secolo, la realtà in un’antiutopía concretizzata.
"L’altra faccia del paradiso". La c.d. globalizzazione è un capzioso eufemismo applicato alla più cruenta guerra, che ha causato più vittime e lacerazioni all’umanità nel corso della storia, e che continua a torturare ed a fare sparire milioni di persone, guerra interimperialista. Il commercio massificato domanda più produzione con sempre meno mano d’opera, ed i neoliberali stabilità monetaria, restrizione dei consumi sociali, apertura economica e conseguente ondata di privatizzazioni, pagamento degli interessi  del Debito Estero, etc.  Tutti questi aggiustamenti
strutturali sono digitati e controllati minuziosamente dai primi Enti finanziari nati dopo la Seconda Guerra Mondiale a Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Su un altro versante si parla di rimpicciolimento dello Stato, di amputazione dei suoi ruoli e delle sue funzioni, e di allentamento dei suoi obblighi, concezione questa che non condividiamo. Una lettura ideologica di queste modifiche ci lascia come risultato non un rachitismo dello Stato, bensì, e al contrario, una riaffermazione dei suoi motivi di esistenza in conformità alla natura del nuovo modello, ossia: tecnizzazione e rafforzamento dell’apparato repressivo-coercitivo, scalata autoritaria sul piano legale, dando appoggio e sostegno all’abuso ed alla violenza da un lato, e facilitando il cammino per i pirati della speculazione e per i flussi di capitale internazionale da un altro lato.

Seguendo lo stesso cammino i sistemi politici assumono un ruolo sommamente verticista ed autoritario, sempre al servizio degli interessi mercantilisti come garante della classe dominante. Infine non c’è nessun indizio. Infine, non esiste alcun indizio strutturale che porti argomenti concludenti alla tesi dell’indebolimento reale dello Stato in quanto struttura della classe oppressiva e privilegiata. È per questo che al momento di riconoscere i movimenti e le tattiche del progetto neoliberale non si possono avere visioni ambivalenti. È chiaro che senza uno Stato forte e concentratore nelle sue funzioni inerenti non esiste articolazione liberale possibile. La macroeconomia è questione privata delle lobbies internazionali; ma il dovere di far tacere la protesta e la lotta contro la fame e la miseria - oggi come ieri - resta competenza dello Stato. Fra le conseguenze più significative del neoliberalismo troviamo: società sempre più escludenti e polarizzate, in cui vi è l’abisso delle differenze economiche, esistono la recrudescenza delle tendenze alienate dalla xenofobia, dal radicalismo religioso e dal neonazismo, la tumefazione ed il progressivo deterioramento del tessuto sociale, il collasso della mobilità sociale unito ad un maggior autoritarismo dei sistemi politici. Nell’ultimo lustro c’è stata una crescita solo dell’1,40% in concomitanza con la crescita del capitale finanziario, arrivando a calcolare che per ogni dollaro proveniente dall’attività produttiva provengono invece dalla speculazion4e finanziaria fra 30 e 50 dollari. Si fortifica la condizione di autonomia del marcato, il venir meno delle regole è rilevante nella finanza e nel commercio, ma risulta fondamentale nel mondo del lavoro, e l’attacco alle organizzazioni sindacali esprime in forma chiara le nuove condizioni di cui ha bisogno il capitale per poter imporre oggi il suo sviluppo. Il neoliberalismo è oggi la conferma della vigenza della lotta di classe. Le tecnocrazie borghesi, deliberatamente in base ai propri errori, hanno realizzato un forte puntello con la trasformazione discorsiva, con la diffusione di nuove parole per esprimere le sue vecchie idee. Nessun progetto dalle magnitudini propagandate dalle lobbies internazionali arriva a concretizzarsi senza una virata profonda nelle mentalità e nelle norme psicosociali che danno coesione alle società. Da qui il coerente desiderio postmoderno di un’apatia collettiva; da qui lo scambiare le speranze per illusioni e le utopie per sogni prefabbricati. Il neoliberalismo, in definitiva, è la conferma del fatto che anche la storia è un legato di lotte che devono essere portate a soluzione.

"Non è lontano il giorno in cui ci sarà pane per tutte le bocche, tetto per tutte le teste, felicità per tutti i cuori" (Bartolomeo  VANZETTI).

 

 

AUTODISSOLUZIONE DEL "SOCIALISMO AUTORITARIO”

 

La rapidità e la repentinità che hanno caratterizzato il processo di caduta dei regimi del paesi dell’est europeo non sono state se non la conseguenza di un complesso processo di smembramento strutturale. Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, Repubblica Democratica Tedesca e l’emblematica URSS iniziarono fra l’altro processi irreversibili di destrutturazione dei loro regimi sociali. Processi questi che, in buona misura, hanno caratterizzato il confuso scenario di questo fine secolo, in cui il capitalismo ha la vanagloria di presentarsi come unico sistema praticabile, e pertanto postula come un utile ogni sforzo per eliminarlo. Convinti come siamo che l’insurrezione popolare costituisce l’unica istanza genuinamente trasformatrice delle strutture sociali - ci riferiamo alle rivoluzioni che dettero inizio a questi tentativi di cambiamento che oggi definitivamente abortiscono - quale verifica del potenziale trasformatore di un popolo in lotta per la sua emancipazione. Dal divenire dei processi iniziati con questa rottura emerge anche un’altra verifica: se questo potere trasformatore non continua ad articolarsi in forma orizzontale ed ugualitaria nella vita sociale, il processo rivoluzionario finisce col dirigersi verso il polo opposto rispetto a quello perseguito da ogni rivoluzione. In questo senso rimarchiamo l’importanza che nel quadro di ogni progetto rivoluzionario ha il problema del potere. L’articolazione politica di quelle esperienze - direttamente influenzate dal marxismo-leninismo - spiegano in grande misura il perché della loro autodissoluzione. Fra i tratti caratteristici di questi processi culminati nel collasso abbiamo:
*L’installazione di uno Stato con profili di onnipotenza subordinato all'unico canale di espressione politica accettato: il Partito Comunista. A modo di esempio, nel caso sovietico, questa congiunzione venne a stabilire un apparato di controllo che esautorò gli incipienti soviet, genuino fermento del potere popolare. La concentrazione di potere scatenò una pratica di verticalismo politico che, oltre ad un’oppressione soffocante, generò privilegi, corruzione e impunità su grande scala. L’inefficienza della panificazione economica - realizzata in base alla concezione dello sviluppo delle forze produttive come possibilità di rapida installazione del socialismo, sottostimava la socializzazione reale dei mezzi generatori della ricchezza ed il potere di decisione sulla gestione, che venne progressivamente disallineato dalla concezione dei punti di base di un’economia socialista. Il ritardo tecnologico nel settore produttivo, dovuto al salto di gran parte dello sforzo nello sviluppo tecnico per la produzione di armamenti, provocò un  sistematico logorio per la strategia della "guerra fredda" delle potenze capitaliste.
La rigidità della struttura del potere politico, che fiaccò l’estendersi dei cambiamenti, stabilì prebende ed installò una nuova classe dominante interessata a difendere tale rigidità, cioè la burocrazia, signora degli strumenti di controllo sociale forniti dal nuovo Stato.

Ora, la caduta di dette esperienze si è trasformata in un reddito ideologico per l’imperialismo capitalista, dando luogo al discorso "postmoderno" della "fine delle ideologie" e della "fine della storia". All’interno di molte correnti socialiste si sono vissuti "disorientamenti" in merito ai fondamenti ideologici, il che ha accompagnato un’avanzata controrivoluzionaria sviluppatasi a livello mondiale.

Parlare di autodissoluzione significa non mascherare un fallimento, non abbordarlo come una curiosità storica o un risultato di errate concezioni dei dirigenti rivoluzionari intervenuti nel processo. Parlare di autodissoluzione vuol dire interrogare strutture, metodologie, orientamenti e fatti concreti che lo hanno provocato. In base a tutto ciò sosteniamo che è impossibile parlare di socialismo e di Stato come fattori combinabili, e che l’autodissoluzione significa una conferma della validità del socialismo libertario. Tuttavia lungi da noi sta la superbia della pseudo superiorità o la iattanza del credere di possedere una formula infallibile. Abbiamo chiaro che  il socialismo è un processo e non un destino e - come tale - se si pretende di erigerlo come alternativa valida si dovrà procedere analizzando in profondità quelle esperienze che con buoni o cattivi risultati, tanto hanno dato un apporto all’intenzione di rivoluzionare la vita.

"Libertà senza socialismo è privilegio ed ingiustizia. "Socialismo senza libertà è schiavitù  brutalità" (BAKUNIN).

 

ECOLOGIA E ANTICAPITALISMO

 

Senza dubbio ai nostri tempi ha acquisito una grande importanza la problematica riguardante l’ambiente. La situazione attuale del nostro pianeta - considerato come un sistema complesso di relazioni fra le forme di vita ed il loro ambiente - rappresenta senza dubbio un punto ineludibile al momento di analizzare lo stadio attuale di sviluppo del sistema capitalista, giacché come mai prima nella storia dell’umanità un sistema sociale è arrivato così vicino al mettere a rischio la vita nella sua interezza. Vari esempi possono darsi del carattere drammatico della situazione: la contaminazione dell’aria, dell’acqua e della terra per l’emissione incontrollata di gas tossici, residui chimici e materiali radioattivi; la desertificazione di grandi estensioni di terreno; la progressiva deforestazione del pineta; la distruzione irreversibile a breve termine della cappa di ozono; l’aggravarsi del c.d. "effetto serra", etc... Tutti questi fenomeni hanno come conseguenza la degradazione degli ecosistemi e l’attacco continuo alla biodiversità. In questo modo non solo sono condannati all’estinzione numerose specie animali e vegetali, ma anche si vedono pregiudicate nelle loro forme di esistenza tutte le forme di vita del nostro pianeta. In particolare, vasti settori di esseri umani ne soffrono le conseguenze sotto la forma di contaminazione, infermità, desertificazione, erosione ed impoverimento del suolo, pauperizzazione generale delle loro condizioni di vita. Da un altro lato si ha lo sviluppo di diversi progetti senza valutazione delle conseguenze dirette ed indirette in relazione all’ambiente, come strade, ponti, centrali termo e idroelettriche, piante industriali, centrali nucleari, etc.

Parlare di sviluppo del capitalismo vuol dire parlare - fra le altre cose - di tutti questi problemi ambientali, che come conseguenza inevitabile sorgono dallo svilupparsi del medesimo. Il capitalismo, avendo come obiettivo il profitto, è condotto dalla sua propria logica al supersfruttamento delle risorse naturali, a forme di produzione basate sulla distruzione dell’ambiente quanto più esso presenta benefici. Perciò lo sviluppo del sistema capitalista e la preservazione del fattore ambiente sono opzioni incompatibili. Esprimiamo allora il nostro rispetto per tutte le lotte che hanno come fine informare ed interrogare, elevare i livelli della coscienza su questa problematica specifica. Ma essendo queste lotte necessarie, riteniamo che non debbano essere separate dal problema politico, economico e sociale di fondo; che se ne debba evitare la parcellizzazione e l’isolamento per non  cadere così nella sterilità dell’attaccare gli effetti senza arrivare alle cause dei problemi posti. .

La necessità del rispetto  verso la natura e l’idea che le condotte umane devono attenersi ad essa sono - isolate da questo contesto, separate dalla critica al sistema capitalista - accettabili anche da coloro che sono impegnati nello sviluppo del sistema attuale. Il discorso sullo "sviluppo di forme di produzione responsabili", "in accordo con le necessità del fattore ambiente", delle imprese transnazionali - la loro "faccetta verde" - sono un chiaro esempio di ciò. Anche i partiti "verdi", che assumono come fondamento della loro azione lo sviluppo sociale ed economico nel rispetto dell’ambiente, pretendono di procedere solo con riforme parziali del sistema attuale, con cambio di  orientamenti, essendone non necessaria - o impossibile - l’eliminazione in quanto tale, ed in questo modo rimangono prigionieri di una contraddizione insanabile.

 Diciamo allora non solo che le lotte ecologiste sostenute da un’ottica classista ed anticapitalista formano parte della nostra lotta, ma che la lotta contro il capitalismo è anche la lotta per il superamento delle attuali relazion i fra gli esseri umani con il loro ambiente e per questo la ricerca di un mondo che permetta l’armonia fra lo sviluppo umano e la natura.

“L’ideale è la meta ultima, è il faro che guida o dovrebbe guidare gli uomini, ma è pur certo che a determinare soprattutto l’accordo o il disaccordo è pensare di fare domani quello che si fa o si potrebbe fare oggi” (MALATESTA)

 

 

IL POTERE ED IL PROBLEMA DEL POTERE POLITICO

 

Il potere come asse centrale su cui si sviluppa la lotta di classe, richiede un’analisi rigorosa ed un approccio da varie angolazioni. In questa sede cerchiamo di avvicinarci a tre aspetti che ci sembrano prima di tutto ineludibili: in primo luogo, Che cosa è il potere e come si esercita? Sa un altro lato, Come è distribuito lungo il tessuto sociale e che effetti produce in esso? E per ultimo Come intendere il potere politico nel quadro della lotta tra le classi?

In primo luogo, concepiamo il potere come capacità inerente agli individui di esercitare una forza trasformatrice del contesto in cui si trovano; come diritto di ogni individuo a partecipare attivamente alla formazione delle decisioni sociali, così come ad accedere alle ricchezze intellettuali e materiali generate lungo la storia dell’umanità tutta, ed a sfruttarle. Nelle nostre società capitaliste, tanto il potere politico come il potere economico si trovano monopolizzati da una minoranza, da una classe sociale, quella che ha la capacità di esercitare il. suo dominio sul resto della società. Mantenere questo monopolio del potere richiede una macchina perfettamente accettata che attraversi tutto il tessuto sociale. Dobbiamo trasformare quelle concezioni che pongono questo potere come qualcosa che solamente reprime; si deve tener presente che il potere produce molti effetti, penetra tutto il campo sociale e si riproduce, modella i discorsi e gli atti, genera soggettività. Il sistema di dominazione che ha come volto visibile lo Stato, si riproduce nelle varie istituzioni in cui trascorre la vita di un individuo. Si tratta di quelli che chiamiamo apparati ideologici dello Stato, i quali hanno come fine la riproduzione ideologica del sistema, il che assicura la riproduzione della società di classe.. Le attuali formazioni sociali capitaliste si caratterizzano per una sempre più sviluppata centralizzazione del potere intorno ai grandi gruppi economici che  dirigono la vita dei paesi. È dallo Stato, come espressione tangibile del potere politico, che si esprimono questi grandi gruppo economici, elaborando politiche che successivamente applicheranno i governi di turno. Si rende allora necessaria  una maggiore verticalizzazione del sistema politico e la riduzione delle sue funzioni all’essere garante della libera attività di questi gruppi economici, che accaparrano i grandi mezzi di produzione e le ricchezze naturali. Questa centralizzazione del potere - conseguenza del medesimo funzionamento del sistema - impone la necessità dello smantellamento e della distruzione di ogni germe di potere popolare. Si tratta della vecchia storia della lotta tra le classi se si riedita sotto nuove forme: oppressi contro oppressori, sfruttati contro sfruttatori. Questa monopolizzazione del potere si esprime allora non solo nella concentrazione del potere politico, ma anche nel disuguale accesso ad una quantità di beni culturali, come l’educazione e l’informazione, che sempre di più si convertono in privilegio di pochi. Questo trae come conseguenza il disarmo tanto ideologico come politico delle classi popolari, le quali - per ora - non hanno potuto generare i propri strumenti di lotta capaci di far ravvisare un’alternativa. Gli effetti visibili che si producono sono, a grandi linee: delega delle decisioni, passività disimpegno politico, acriticismo, istituzionalizzazione di determinati strumenti che un tempo servirono alla lotta. Tutto questo segna un’epoca in cui sembra primeggiare il sentimento della mancanza di speranza e dell’impossibilità del cambiamento sociale. Tenendo conto di quanto sopra esposto, pensiamo allora che nel midollo della lotta la nostra concezione dell’organizzazione del potere nella società come potere popolare, fonda il lungo cammino della lotta rivoluzionaria che rende possibile il superamento della contraddizione madre, la distruzione dell’attuale ordine stabilito e l’edificazione (nel quadro del processo storico concreto) di un nuovo sistema politico, sociale ed economico che imposti come aspetti essenziali e indissolubili, tanto la socializzazione dei mezzi di produzione come anche la socializzazione del potere politico. Sono questi pilastri fondamentali che sostengono la nostra lotta, nel senso che non c’è socialismo senza libertà e che non esiste libertà senza socialismo. Si tratta di quel che chiamiamo potere popolare, socializzazione dell’assunzione delle decisioni che forma un collettivo sociale organizzato dal basso verso l’alto attraverso le sue organizzazioni popolari di base. Potere popolare inteso allora come la strutturazione del potere politico ed economico realizzata dal popolo signore del suo proprio destino. Concezione questa che raccoglie vecchi principi libertari come quelli dell’azione diretta  e della partecipazione che rendono possibile lo sviluppo la discussione ed il confronto di nuovi modelli di organizzazione sociale attraverso cui il popolo vada tracciando il suo cammino. Ricordiamo che in ogni periodo rivoluzionario, e per conseguenza di crisi capitalista, il popolo è stato capace di produrre i suoi propri organismi di autogoverno (soviet, consigli operai, etc.) nel quadro di un determinato processo storico. Questi esempi ci contrassegnano da un lato la possibilità della trasformazione e dall’altro ci indicano che non si tratta di una copia di esperienze, giacché ognuna è conseguenza di un certo contesto storico. Si tratta allora di esser capaci di apprendere dal nostro passato per poter comprendere i compiti del presente..

 

L’AZIONE DIRETTA

 

Ogni sistema come l’attuale, caratterizzato dalla centralizzazione e dal monopolio degli organi del potere politico fomenterà la scuola dell’apatia sociale come ideologia suprema e cercherà due obiettivi che gli sono essenziali: da un lato fomentare il distacco dal collettivo e la conseguente mancanza di fiducia nelle proprie forze e nelle possibilità di autorganizzazione, il che comporta – come inevitabile- la legittimazione dello Stato quale unico agente regolatore della convivenza sociale. Da un altro lato, inculcare l’indifferenza di fronte all’ingiustizia, e pertanto di fronte alla perpetuazione del regime di sfruttamento. Questo indurimento del tessuto sociale consacra i privilegi e dà la luce verde a tutte le atrocità del capitalismo.

Per questo la critica - come espressione innovatrice di fronte ad un sistema di relazioni che si sostiene sull’obbedienza e sul disimpegno - è fondamentale per l’intento di generare una nuova cultura, un’arte di vivere in modo solidale orientata alla costruzione di una nuova forma di convivenza, che fa parte della costruzione di una nuova società. In questo modo, i mezzi devono sempre essere coerenti con il fine perseguito e con una metodologia di lotta congruente – oltre al fatto di prefigurare gli obiettivi – e va constatata nel quotidiano la praticabilità della proposta propugnata. Così possiamo dire che l’azione diretta come elemento indispensabile dell’azione trasformatrice, costituisce una delle idee forza ed un tratto caratteristico dell’anarchismo. Nella pratica dell’azione diretta si uniscono la critica ed il confronto verso il regime capitalista, con una proposta che si contrappone al medesimo, parte vitale di un progetto rivoluzionario.

L’azione diretta è allora confronto con il regime dell’oppressione. Il non delegare i propri interessi vuol dire adozione di coscienza ed attuazione, di conseguenza, della volontà di lotta. Manifestata in diverse forme, l’azione diretta configura la riappropriazione da parte del popolo del potere che legittimamente gli spetta, col suo esercizio diretto, in luogo delle mediazioni di coloro che si pretendono suoi rappresentanti. Si tratta della partecipazione attiva e cosciente degli individui nella gestione dei loro interessi, nella costruzione dei loro progetti. Si tratta della non mediazione del potere di decisione e pertanto, della pratica effettiva e costante della libertà.

L’azione diretta è strumento di resistenza ed insurrezione ed in questo senso è strumento belligerante degli oppressi organizzati. In questo quadro, l’azione diretta rappresenta un elemento essenziale del progetto libertario, tanto oggi come domani.

 

L’AUTOGESTIONE

 

L’autogestione, come forma di organizzazione per il compimento di varie funzioni e vari compiti (produttivi, amministrativi, educativi, etc.) significa la concretizzazione di un lavoro liberamente concordato sulla base della necessità di portarlo a termine al di fuori del controllo delle istituzioni proprie di un  sistema di dominazione.

Sorge avendo come obiettivo il beneficio collettivo e non il lucro individuale, giacché questo finisce sempre col fomentare e proteggere l’esistenza di piccoli gruppi privilegiati. Pertanto, la concretizzazione dell’autogestione ad ogni livello, implica necessariamente l’instaurazione di nuove forme di funzionamento, fondate su valori di solidarietà, appoggio mutuo e cooperazione; vale a dire, nuovi valori socio-culturali che portino ad un modello sociale basato sulla partecipazione, l’uguaglianza e la libertà, in cui il strutturante sia l’antica consegna  “a ciascuno secondo le sue necessità, e da ciascuno secondo le sue possibilità”.

Non vi è condizione storica che renda impossibile la pianificazione autogestionaria di differenti progetti, sempre che una corretta analisi identifichi i condizionamenti oggettivi che ogni congiuntura impone, e permetta di elaborare le forme più effettive per portare avanti tali progetti di interesse collettivo.

L’autogestione, come strumento trasformatore, non ammette obiettivi immediati, bensì deve essere legata a progetti a lungo termine. Pertanto, riteniamo che non ogni pratica autogestionaria costituisca necessariamente un apporto reale al processo rivoluzionario. Se non è sostenuta ed assunta nel quadro di un progetto di cambiamento radicale dell’attuale organizzazione sociale, la pratica autogestionaria assume  un semplice compito testimoniale.

Le pratiche autogestionarie isolate dalla lotta popolare e sviluppate a prescindere da una visione politica rivoluzionaria, anche quando posseggano valore come riferite ad un paradigma alternativo, termineranno riflettendo, riproducendo o affiancandosi involontariamente al funzionamento del sistema che pretendono di superare. Non per questo si possono negare le esperienze di questa indole, molto meno senza cercare di comprenderle nel quadro del processo dal quale sono emanate.

Non è futile nessun progetto che implichi il distanziamento dai valori e dai modelli che sono propri dell’attuale sistema di dominazione, ma questo non porta a considerali come esperienze capaci di destabilizzare la vigente organizzazione sociale.

Ricche e numerose esperienze esistono nella storia dell’autogestione popolare. Molte sono state anche le loro sconfitte per mano di politiche controrivoluzionarie o di concezioni rivoluzionarie che negavano l’apporto dell’autogestione al processo di trasformazione sociale.

Esperienze autogestionarie operaie e contadine che – non senza opporre resistenza – furono schiacciate o sottoposte ad essere parte dell’articolazione statale, vedendosi controllate da regimi burocratici. Per citarne  solo alcune, possiamo nominare quella di Kronstadt e quella dell’organizzazione contadina Makhnovista dell’Ucraina, entrambe nel periodo rivoluzionario dal 1917 al 1921 in quella che dono sarebbe stata l’URSS; i Consigli Operai nelle fabbriche occupate nel decennio 1920 dagli operai italiani o l’autogestione generalizzata di cui fu protagonista il popolo spagnolo nel periodo della Guerra Civile. Nessuno di questi esempi può essere trascurato, in quanto riferimenti molto importanti,  conquiste ottenute e difese con costi elevati dai popoli che ne furono protagonisti. In definitiva, non vi è esperienza autogestionaria che si sviluppi dipendendo da organismi vincolati ad un sistema di dominazione o che lo faccia fomentando la  fomentando la riproduzione dei suoi modelli;  la pratica autogestionaria – come referente di un sistema socialista e libertario – non sarà tale se non in una situazione di autodirezione ed  autogoverno, partendo dal mutuo accordo, basata sulla e la partecipazione popolare.

L’autogestione, allora, come elemento costitutivo del potere popolare, è parte fondamentale delle lotte sostenute con un spirito di cambiamento profondo dei valori umani e di superamento delle forme di vita sociale.

 

“Il limite dell’oppressione del governo sta nella forza che siamo  capaci di opporre ad essa” (MALATESTA).

 

DEMOCRAZIA DIRETTA

 

Diversi strumenti e metodologie si presentano nello sviluppo di un processo rivoluzionario che, disarticolando la forma di ordinamento del sistema attuale, cerca di stabilire nuove linee per il funzionamento sociale.

Come già abbiamo detto, l’autogestione è fattore imprescindibile per la riappropriazione del potere di gestione da parte di coloro che sono direttamente coinvolti, in ambiti della sfera produttiva, amministrativa, educativa, etc.. La democrazia diretta, costituisce un altro dei fattori che riteniamo non possano restare assenti nello sviluppo di un  processo rivoluzionario che abbia come obiettivo la socializzazione del potere politico ed economico, immancabile pertanto nella costruzione di una società libera e giusta.

La democrazia diretta rappresenta la riappropriazione del potere politico da parte del popolo; la creazione di istanze permanenti in cui attraverso un’indelegabile partecipazione di tutti gli interessati si prendano le decisioni, si stabiliscano forme di funzionamento, si fissino orientamenti e criteri, si assegnino e si revochino responsabilità, senza mediazione di apparati burocratici e senza l’intervento di organismi esterni al controllo diretto. Riteniamo che la democrazia diretta sia la base dell’articolazione di una società libera; non come un versetto portatore di un progetto unico di organizzazione sociale, ma come principio da tenere presente nel disegno dei meccanismi di funzionamento di ogni collettivo sociale concreto in vista della costruzione di una nuova società. Si tratta di una componente fondamentale per ottenere che queste nuove forme di funzionamento siano sempre più espressione di uguaglianza e libertà, per estendere i risultati ottenuti e così rendere difficile il regresso a forme di relazione sociale basate sulla dominazione e lo sfruttamento. Attualmente, esistendo un potere centralizzato detenuto da una classe sfruttatrice, le varie lotte sociali caratterizzate dalla partecipazione diretta e dall’organizzazione degli oppressi rappresentano segni vivi - per quanto isolati - di potere popolare. Potere questo che deve essere costruito avendo come un o dei fondamenti la democrazia diretta, cercando di combattere gli ostacoli dell’inoperatività (prodotto dei vizi che il sistema ci impone) e facendo in modo che a poco a poco si configuri la dinamica propria di una politica che procede dalle mani e dalle menti di ogni individuo. Questo potere socializzato, cioè “popolare”, che ha come fondamento la democrazia diretta, i allora uno dei risultati del laborioso compito di creazione di un mondo nuovo.

 

 

FEDERALISMO E INTERNAZIONALISMO

 

Il nostro rifiuto dell’attuale organizzazione sociale, basata sullo sfruttamento del lavoro umano, che sostiene una struttura sociale gerarchizzata, articolata su principi di autorità, legittimati dall’ideologia dominante, non va isolato da un progetto futuro, in cui figurano quelle che per noi sono le premesse basilari di un compito di reale trasformazione.  Progetto di organizzazione sociale, questo, che dà impulso a nuove forme di relazioni, legate ai principi di base del socialismo libertario, propugnati dalla nostra organizzazione, e che pertanto, risulta antagonista verso il modello sociale che vogliamo abolire. La nostra organizzazione politica trova nella concezione federalista un riferimento fondamentale per questo compito di elaborazione e creazione, concezione che essendo il legato di numerose esperienze di lotta di differenti popoli, riunisce in sé la proposta e la critica. Intendiamo per federalismo la più vitale espressione della partecipazione diretta, organizzata dal basso verso l’alto, dagli estremi al centro, con l’intenzione di sviluppare progetti o obiettivi comuni, sorti dal libero e comune accordo.

Questa partecipazione, basata sull’accordo raggiunto attraverso la decisione di tutti e di ciascuno dei componenti, che si dà nel quadro dell’uguaglianza e del rispetto, è espressione concreta di libertà collettiva ed individuale. Il federalismo implica lo stabilirsi di legami diversi, di relazioni differenti liberamente adottati fra associazioni di individui - tali come: gruppi di lavoro, sindacati, comuni, città, regioni, etc. - ed è pertanto espressione di solidarietà e rispetto per l’autonomia di ognuna. La concezione federalista, sempre espressione della possibilità di creare un’organizzazione sociale basata sulla libertà, deve essere adeguata ad ogni congiuntura storica, alle circostanze di ogni tempo e luogo, per elaborare in base ad essa progetti realizzabili capaci di orientare l’azione politica.

Questa concezione federalista, che manifesta la possibilità e la necessità di marcare le relazioni fra collettivi nel rispetto, nella solidarietà e nell’autonomia, dà fondamento allora alla lotta contro il potere centralizzato - espresso tanto nelle sue forme organizzative come negli strumenti che lo mantengono - e comporta la necessità di unione degli oppressi in questa lotta. Così il federalismo trova necessariamente il suo sbocco e giunge al suo pieno sviluppo unicamente col vincolarsi alla concezione internazionalista della lotta. Questo internazionalismo, che è valore accumulato durante decenni e decenni di lotta degli sfruttati di tutto il mondo, è espressione di solidarietà che supera tutte le frontiere politiche che le classi dominanti hanno disegnato ed imposto ai popoli. Questo vincolo di fratellanza, forgiato dai popoli in lotta, basa la sua ricchezza sulla diversità dei distinti gruppi umani, la sua forza sui differenti apporti, caratteristici e particolari di ciascuno di essi.

Pertanto la concezione internazionalista è contraria all’uniformità culturale promossa dai centri internazionali di potere, per i quali "unione dei popoli" equivale ad omogeneizzazione dell’oppressione. Per questo, non c’è progetto rivoluzionario internazionale che non passi per lo sviluppo dei processi di liberazione nazionale a cui danno impulso differenti collettività umane nella loro legittima lotta per rendersi indipendenti politicamente, economicamente e culturalmente.
La lotta di ogni popolo che cerca di determinare il proprio destino, impiegherà i mezzi che considera necessari, secondo il suo sviluppo storico concreto e la congiuntura nazionale ed internazionale. Ora, dobbiamo mettere in chiaro  che per noi la nazione non è altro che lo spazio di origine comune, l’ambito di relazionamento sociale, le caratteristiche geografiche e culturali proprie, la lingua, i costumi, storicamente determinati. Il combattimento per la liberazione nazionale non tralascia di iscriversi allora nel processo della lotta di classe; e formando parte della lotta contro l’oppressione, per svilupparsi in forma totale segue necessariamente i cammini della rivoluzione sociale. Conseguentemente, manifestiamo il nostro rifiuto della concezione statalista della nazione, in base a cui il costituirsi della nazione va unito inseparabilmente allo stabilirsi di una organizzazione politica statale, ed il processo di liberazione si realizza attraverso  la formazione di uno Stato proprio.

La lotta basata su questa concezione della nazione non mette in discussione le funzioni coercitive dello Stato e pertanto il suo ruolo come strumento che assicura la società di classe, di modo che la difesa della nazione tende a convertirsi in difesa della borghesia nazionale. Si tratta allora di rompere i limiti politici creati dagli interessi delle classi dominanti, cercando il mutuo rafforzamento dei popoli attraverso l’unione che abbia come base il rispetto e l’autonomia, giacché l’uguaglianza si forgia avendo come mezzo il rispetto verso l’identità di ogni collettivo sociale. Nella nostra concezione internazionalista risiede la convinzione che gli interessi comuni degli oppressi non possono essere divisi, isolati o frammentati eternamente da queste frontiere imposte con la forza. La nostra organizzazione pretende allora di essere una fibra in più per rafforzare il pugno di cui si ha bisogno per abbatterle

"Non sono veramente libero se non quando tutti gli esseri umani saranno ugualmente liberi. La libertà dell’altro, lungi dall’essere un limite ovvero la negazione della mia libertà, è al contrario la sua condizione necessaria e la sua conferma" (BAKUNIN).

 

LOTTA SOCIALE E PRATICA POLITICA

 

Iniziando l’esposizione delle basi ideologiche che sono fondamento dell’azione dell’Organizzzione Libertaria Cimarrón, crediamo necessario chiarire due concetti essenziali nell’impianto di ogni organizzazione che abbia fini rivoluzionari: lotta sociale e pratica politica. Nella nostra ottica, la lotta sociale è l’insieme delle azioni e degli sforzi destinati alla difesa ed all’avanzata degli oppressi dinanzi alla politica di sfruttamento e di dominio.

La lotta sociale prende forma nell’azione diretta dei dominati che combattono con le istituzioni dell’ordine stabilito, ed a sua volta si esprime nel miglioramento e nel superamento dei codici stabiliti fra gli oppressi medesimi. Si tratta, pertanto, di azione dei medesimi interessati alla ricerca dell’eliminazione dei privilegi e volti alla creazione di nuove forme di interrelazione a partire dal riconoscimento della loro uguaglianza.

Per il suo sviluppo, ogni lotta sociale che pretenda di essere organizzata, si avvale di pratiche politiche. Per pratica politica intendiamo il complesso tessuto prodotto dalle relazioni di potere stabilite fra forze antagoniste o nel seno di una stessa forza.

La pratica politica è tanto l’espressione di interessi, come l’insieme delle modalità materiali utilizzate per concretizzarli. In questo modo, la nostra pratica politica si manifesta in azioni volte a mettere in questione - attraverso il confronto -lo Stato e le sue forme concrete di coazione, ed anche ogni relazione che abbia il suo sostegno nell’imposizione e nell’ingiustizia. Ma le dinamiche e le caratteristiche delle nostre iniziative e dei nostri progetti, delle forme di lotta e di organizzazione, costituiscono anche pratica politica. In questo senso tutta la nostra attività militante coincide con una determinata concezione rivoluzionaria dell’organizzazione sociale, che entra in diretta collisione con le strutture autoritarie di convivenza e relazione. Si tratta di una concezione che definisce e ridefinisce le sue tattiche di incidenza in base ad una strategia unica -rivoluzionaria, socialista e libertaria - propugnando l’azione diretta a tutti i livelli, promovendo la politicizzazione e la presa di coscienza di tutti i settori sfruttati ed oppressi, come passo ineliminabile per fare fronte alla difficile impresa del vero cambiamento sociale.

In questo senso, l’insurrezione sociale, come massima espressione nella lotta di classe, acquista un valore intrinseco, marca un impegno irrinunciabile che viene assunto attraverso lo sforzo e la responsabilità di una lotta organizzata, inserita in ogni settore della zuffa quotidiana, puntando sempre sulla creazione, l’irrobustimento ed il consolidamento della coscienza rivoluzionaria e delle organizzazioni popolari che - in quanto ambito di potere popolare - debbono impiantare una nuova forma di relazioni sociali, critica ed innovatrice, fungendo così da germi della nuova società. Coscienza e volontà sono allora elementi ineludibili nella ricerca della creazione di un mondo nuovo e rappresentano molto più che fattori secondari di azione nel "processo storico verso il socialismo"  aprioristicamente già determinato dalle "crisi del capitalismo" e dalle crescenti contraddizioni fra forze produttive e rapporti sociali di produzione. La nostra lotta sociale si esprime nell’azione quotidiana, coerente, organizzata e sempre sincera. La lotta rivoluzionaria è - così sempre sarà da intendersi - una lotta a lungo termine, ardua e sacrificata. In base a questo rivendichiamo la necessità e l’importanza dell’organizzazione politica e della sua corrispondente pratica, come ambito idoneo per l’analisi e la comprensione della realtà, per l’elaborazione teorica alla ricerca dei mezzi più efficaci per sviluppare la lotta sociale ed il necessario e indilazionabile processo di accumulazione di forze. Pratica politica vuol dire inserirsi ed influire negli ambiti popolari per renderli agili ed immetterli in una logica di funzionamento indipendente in cui la libertà sia prodotto dello sforzo e della responsabilità, della giustizia e dell’equità, della partecipazione e della orizzontalità operativa; senza trasferire responsabilità proprie a sovrastrutture politiche slegate dagli interessi degli oppressi.

La pratica politica rivoluzionaria deve tenere sempre presente, e lasciare chiaramente stabilita, quale sia il vincolo con le lotte parziali e le rivendicazioni immediate. Molte di queste sorgono da necessità valide e - nella maggioranza delle volte - si sviluppano con la radicalità imposta dalla fame e della miseria. E sebbene queste lotte debbano contare sul nostro apporto, non possiamo dimenticare di fronte all’urgenza che la frammentazione e la visione a breve termine contribuiscono al rafforzamento del sistema, e che abbandonarle senza cercare di giungere al chiarimento delle cause, vuol dire permettere l’eterna sterilità, e l’autocorrezione e perpetuazione del regime di dominazione. In detto quadro, non si tratta di una questione minore, e per questo non si può né si deve agire alla leggera.  Ci si deve sempre rivolgere all’analisi della natura delle situazioni.

 

METODOLOGIA DI LOTTA

 

La metodologia di lotta dell’organizzazione costituisce un accordo di base sulle linee generali che ne devono caratterizzare la pratica politica. Linee generali che relazionate con l’esperienza nella lotta rivoluzionaria, possono cambiare col modificarsi della congiuntura; ma che a loro volta vengono impostate non come semplice riflesso di essa, bensì come elementi idonei a chiarire la nostra pratica con nel senso di definirla, attivarla e potenziarla.

Due aspetti fondamentali ed intimamente relazionati della metodologia propugnata dalla OLC sono la lotta organizzata e l’inserimento. Lotta organizzata che potenzia l’inserimento, in base ad un progetto politico comune; inserimento come forma concreta del portare avanti la lotta politica nel campo sociale.

Questo inserimento è strumento fondamentale per impiantare l’organizzazione politica quale fattore dinamico dell’azione politica rivoluzionaria nel campo delle lotte popolari, per realizzare la sua pratica conseguente con i suoi fini. Così, invece di una propaganda logorroica ed autocompiacente, slegata da una pratica reale, puntiamo al lavoro concreto, ai piccoli e grandi risultati conseguiti con il lavoro quotidiano, in cui la diffusione degli ideali e delle aspirazioni viene data  dai fatti medesimi. In questo compito di inserimenti viene data priorità agli spazi propizi per il lavoro a lungo termine, cercando la conformità ed il consolidamento delle organizzazioni sociali con l’obiettivo del cambiamento strutturale, della riattivazione delle lotte, della polarizzazione dei conflitti.

Pertanto, un altro elemento fondamentale nel lavoro della OLC è la lotta ideologica, la delegittimazione dell’ordine stabilito, la presa di coscienza delle condizioni di oppressione e la propulsione dell’azione politica corrispondente.
Per questo, la OLC non pensa a sé stessa come ad un organismo captatore delle "masse", bensì punta al valore qualitativo di ciascuno dei suoi aderenti, alla loro formazione ideologica ed alla loro coerenza nella pratica. Formazione che lungi dal rappresentare uniformità implichi una necessaria compatibilità. Coerenza dimostrata in una pratica assunta come impegno etico e politico, in un atteggiamento militante basato nella pratica, nella diffusione e nell’incitamento verso l’azione diretta in ogni ambito di inserimento possibile, tenendo presente che in ogni ambito sono impliciti i fini, la degerarchizzazione e la mancanza di delega - come forme di organizzazione e di azione - intese come critica e proposta insieme alla creazione di spazi di libertà.

Gli obiettivi generali saranno sempre inseriti nel lavoro verso la concretizzazione di processi insurrezionali, nella ricerca di crepe nell’attuale ordine sociale. In vista di ciò vengono elaborate strategie proprie per ogni spazio dio inserimento, effettuando prima una valutazione dei diversi aspetti congiunturali e strutturali che determinano la realtà attuale, gli obiettivi a medio termine, la capacità operativa, etc.

Essendo coscienti dei nostri obiettivi ultimi, è chiaro che questa organizzazione rivoluzionaria non può scartare a priori metodi di lotta. Ma qualsiasi strumento capace di apportare elementi per il raggiungimento di una vittoria rivoluzionaria deve essere analizzato nel contesto specifico in cui si svilupperà ed in indissolubile vincolo con il complesso dei fini politici dell’organizzazione. Ogni teoria rivoluzionaria deve essere avallata da una pratica, ma anche ogni pratica rivoluzionaria deve essere coerente con l’ideale che vuole realizzare.

"In generale, noi ci intendiamo meglio, ed abbiamo più interesse ad intenderci con coloro che percorrono lo stesso cammino benché vogliano andare in un luogo diverso, piuttosto che con coloro che dicono di voler andare dove noi vogliamo ma prendono un cammino opposto" (MALATESTA).

 

POLITICA DELLE ALLEANZE

 

Una pratica politica libertaria che, combattiva e belligerante, è orientata ad una trasformazione radicale dell’organizzazione sociale e che si identifica come parte ulteriore di questo processo integrale, deve intendere bene che astenersi dal partecipare ad un movimento collettivo ogni volta che gli obiettivi o i mezzi non siano concretamente anarchici, non significa mantenere una linea coerente ed indiscutibile bensì che al contrario può portare a trasformare l’organizzazione politica in una cappella di culto, ad assumerla nell’autocompiacimento e nel quietismo. La nostra organizzazione intende le alleanze come una linea di accordo fra organizzazioni che in un determinato momento  e di fronte alla necessità marcata dalla dinamica dei fatti, abbordane linee di azione comuni verso obiettivi tattici - o anche strategici - condivisi. Ogni alleanza ha senso se viene stabilita per arricchire e consolidare il lavoro comune, e non per una semplice compatibilità ideologica che nasconda la mutua incapacità a sviluppare progetti concreti. In questo senso, la politica delle alleanze deve coadiuvare il reciproco rafforzamento per accelerare il processo rivoluzionario.

L’alleanza si dà a livello di tutta l’organizzazione ed implica pertanto una responsabilità collettiva reciproca. L’importanza degli accordi interorganizzativi è irrefutabile, ma si deve avere chiaro che questi accordi implicano una mutua concessione, benché in termini tali che non risultino mutilati i principi vitali di ciascuna organizzazione. Le alleanze avvengono in piani distinti ed in ciascun caso ne vanno valutate la profondità, la qualità e gli approdi. La congiuntura, gli obiettivi tattici o o strategici, la metodologia di lotta e le coincidenze nella militanza sono alcuni degli elementi più importanti che devono essere inclusi nella valutazione di questa o di quell’alleanza. Le alleanze politiche sono accordi stabiliti da settori del popolo politicamente organizzati, e sono espressione dell’intenzione di tali settori di rafforzare, ampliare e approfondire la lotta sviluppata dal popolo, di offrire ad essa ogni mezzo possibile a questo forzo, di aumentarne la forza e la capacità. Oggi più che mai vale dire che davanti alla globalizzazione della fame e dell’ingiustizia si impone l’internazionalizzazione della resistenza dei popoli che non s rassegnano ad essere digetti dal neoliberalismo.

 

OBIETTIVI GENERALI

 

La necessità di una lotta attraverso il tempo, trova nell’anarchismo - come corrente politico-ideologica - la carenza di una concezione del cambiamento rivoluzionario che trascenda il promuovere azioni di tipo distruttivo, la mancanza di proposte alternative concrete e praticabili, e pertanto, l’assenza di progetti ricostruttivi della dinamica sociale. Questa valutazione, tuttavia, non riguarda gli elementi fondamentali che costituiscono le idee forza del socialismo libertario, e non disconosce così che oltre alla capacità di critica verso l’attuale ordine sociale, è presente in esso la visione creatrice capace di generare proposte costruttive. Intendiamo come progetto costruttivo quello che dà base alla trasformazione di questo ordine sociale ingiusto sui piani economico, politico e culturale, cercando la costruzione di un altro ordine basato sulla libertà, la solidarietà ed il benessere umano. Costruzione che si realizza rifiutando e combattendo le strutture centralizzatrici del potere politico ed economico, e puntando all’abolizione delle relazioni di sfruttamento, giacché tale progetto ha la sua origine nella necessità intransigibile di eliminare ogni forma di oppressione.

Pertanto, il progetto socialista libertario non traccia una divisione fra il suo proposito strategico di rottura di un ordine ingiusto ed il suo obiettivo finale; il processo di distruzione e costruzione è uno, ed in esso, nel mentre si scava a danno delle fondamenta dell’attuale ordinamento sociale e delle sue istituzioni, si cerca l’elaborazione e l’avvio di nuove forme di  relazione fra gli esseri umani. Tuttavia il progetto socialista libertario - per non essere destinato a dare forma ad un programma politico e cui possano dare impulso organismi propri del potere statale, bensì contando principalmente sulla fiducia che la permanente valorizzazione e discussione possono sempre arricchirlo - non trova una forma conclusa e permanente, e non soddisferà sicuramente le aspettative di coloro che pretendano di trovare in esso una esplicazione dettagliata, una strutturazione predefinita e minuziosa della società a cui si aspira e che si auspica. In questo quadro dobbiamo sì precisare le premesse basilari che configurano la nostra concezione della trasformazione sociale attraverso una rottura rivoluzionaria. Questa rottura sappiamo che non si presenterà a breve termine, ma che sarà il risultato di una prolungata, ardua e sacrificata azione militante, alla quale come anarchici parteciperemo quale settore ulteriore fra quelli impegnati a dare impulso ad un cambiamento nella correlazione di forze in favore delle classi oppresse. Rottura e trasformazione che allora avrà luogo quando sia lo stesso popolo organizzato ad assumere la lotta per la sua emancipazione. In questa lotta saremo presenti spingendo verso gli obiettivi che consideriamo ineludibili per una liberazione effettiva.

Molti di questi obiettivi che facciamo nostri sono stati modellati nella lotta costante degli oppressi contro gli oppressori, nell’azione di generazioni di uomini e donne che dettero il meglio di sé nel compito di costruire un mondo nuovo.

Sono questi gli obiettivi generali che crediamo debbano sostenere la lotta rivoluzionaria, e pertanto risultano fondamentali per la nostra azione politica.

Poiché siamo convinti che non esista giustizia che non parta dall’uguaglianza, e vediamo nello Stato un’istituzione creatrice di disuguaglianze e privilegi, nonché uno strumento destinato a tutelarli, diciamo che risulta imprescindibile, nell’opera collettiva volta a fondare le basi di una nuova società, l’abolizione di ogni Stato. Il che implica l’eliminazione di tutti gli ambiti di decisione separati dal popolo lavoratore, tutte le istituzioni politiche proprie della democrazia borghese, che - legittimate da diverse forme - hanno come funzione primordiale l’assicurare la stabilità politica e sociale in condizioni che permettano lo sfruttamento capitalista. Questa abolizione allora è la riappropriazione da parte della società - organizzata in forma orizzontale, degerarchizzata - della capacità di determinare il proprio funzionamento. Si tratta dell’eliminazione anche dei ruoli destinati a mantenere il funzionamento dello Stato, cioè i quadri dedicati al controllo sull’applicazione delle normative, alla riscossione dei tributi ed all’amministrazione delle finanze statali.

Pertanto si tratta dell’eliminazione dei governanti e dei funzionari; dell’assunzione da parte del popolo del compito di elaborare le norme che reggano la vita sociale e di metterle in pratica, della soppressione del parlamento e della burocrazia. In terzo luogo, l’abolizione dello Stato vuol dire la distruzione dei suoi apparati repressivi, dei corpi specializzati nell’uso della violenza statale, che costituisce la forma ultima  con cui le classi o gruppi sociali assicurano la loro posizione dominante, e che sono pertanto la barriera di contenzione ultima posseduta dagli oppressori per opporsi agli oppressi. L’abolizione dello Stato implica anche l’invalidazione dell’ordine giuridico da esso stabilito, giacché essendo lo Stato una forma concreta per la difesa dei privilegi politici ed economici, le norme che esso genera non sono altro che una forma di regolamentazione dell’ingiustizia. Ogni forma di amministrazione della giustizia, ogni prescrizione di pene e castighi in base a questo ordinamento giuridico è, in definitiva, una maniera di portare avanti - da parte degli oppressori - un combattimento fra i detentori del potere e coloro che ne sono esclusi.

Poiché sentiamo come un affronto alla dignità umana l’accaparramento da parte di gruppi o individui dei beni che l’umanità ha creato per il suo sviluppo, e delle ricchezze naturali che lo consentono; poiché vediamo nella proprietà privata una relazione sociale che esprime una determinata forma di organizzazione dello sfruttamento del lavoro umano, diciamo che nel cammino verso una società giusta, si presenta come ineludibile l’abolizione della proprietà privata. Questa abolizione della proprietà privata deve andare unita inscindibilmente ad una socializzazione dei mezzi di produzione, che permetta il lavoro collettivo, l’utilizzazione di questi mezzi sotto nuove relazioni sociali basate sull’uguaglianza. Pertanto, proprietà comune della terra, delle officine e delle fabbriche; la loro gestione in forma congiunta da parte degli stessi lavoratori. L’abolizione della proprietà privata implica anche la socializzazione dei mezzi di trasporto, delle abitazioni e dei mezzi di comunicazione, la loro gestione collettiva per il servizio ai lavoratori ed alla società in generale, la loro eliminazione come fonte di lucro e beneficio individuale. Essendo la società che auspichiamo di realizzare quella in cui tutti e ciascuno dei suoi membri abbiano libero accesso ai beni che gli consentano il pieno sviluppo, e dove il lavoro sia solo una forma di apporto al benessere personale e collettivo - per questo noi diciamo che nostro obiettivo è lo sviluppo al più ampio livello dell’educazione da una prospettiva libertaria. Educazione concepita come formazione integrale e piena dell’individuo, che elimini la distinzione fra lavoro manuale ed intellettuale, in cui non si realizzino distinzioni di razza, sesso o credenze. Avendo presente che il raggiungimento di un nuovo tipo di società nella quale si favorisca il superamento  dell’essere umano, implica determinate condizioni materiali che assicurino il benessere individuale e collettivo, consideriamo compito necessario lo sviluppo generale ed ampio della scienza e della tecnologia. Sviluppo che - slegato dalla logica capitalista - dia impulso a nuove forme di produzione, con l’obiettivo di garantire alla società il maggior benessere e prosperità che siano possibili, e uno sviluppo in accordo con la stabilità e la necessaria preservazione dell’ambiente. Ecco qui nelle linee generali, i nostri obiettivi, i motivi della nostra organizzazione, i fondamenti della nostra lotta. Lotta rivoluzionaria che come tale, aspira alla distruzione di tutte le iniquità proprie dell’attuale ordine sociale, ma che a sua volta, consideriamo inseparabile dai fini che vogliamo realizzare, e che pertanto deve contenere in sé il germe del mondo nuovo verso cui ci si incammina, affermando i principi di libertà, solidarietà e giustizia.

Non pensiamo che l’inizio di questo nuovo mattino sia una questione semplice. Se di qualcosa siamo sicuri è che, nei limiti delle nostre possibilità, ci daremo da fare politicamente organizzati nella Organizzazione Libertaria Cimarrón, dando il meglio di ciascuno di noi per contribuire - dal presente, ed insieme al popolo di cui facciamo parte - alla concretizzazione di un trionfo collettivo.

“Possiamo costruire un mondo nuovo poiché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori” DURRUTI