"Que se vayan todos!"

Ribellione popolare e proposte autogestionarie in Argentina

 

Il 19 dicembre 2001: durante una trasmissione televisiva il presidente argentino De la Rua, proclama il colpo di stato. Crede di trovare la soluzione adeguata alle razzie dei negozi, sempre più frequenti. Anche prima che lui finisse il discorso, la gente esce di casa, piano nella notte, battendo su delle pentole per manifestare la loro indignazione. Il rumore si espande e prende con se ogni minuto di più, dei nuovi manifestanti. Si formano piccoli gruppi che crescono man mano continua il corteo.

Da rumore discreto, il concerto delle pentole (cazerolazos) diventa presto un vero casino che non rimane inascoltato. Subito, si hanno delle vere e proprie manifestazioni da una parte all’altra della città. Confluiscono verso il centro e convergono sulle due piazze principali della capitale (Plaza de Mayo, piazza del congresso).

I manifestanti urlano il loro rifiuto del colpo di stato, contro il governo che si dimetterà il giorno dopo. Le manifestazioni proseguiranno per diversi giorni e faranno cadere un secondo governo. Il movimento coinvolto perseguita e fa delle conquiste politiche strabilianti.

I cazerolazos argentini, lontani da incarnare una crisi passeggera finita con il cambiamento di governo,testimoniano una profonda crisi delle istanze di rappresentazione e della gestione della società argentina. La critica al governo diventa nei fatti, una critica più larga dell’insieme della classe politica. Lo slogan più riuscito da dicembre è "Què se vayan todos! Què no quede ni uno solo!“.

Le promesse elettorali non mantenute, le belle parole dei membri dei due partiti principali al potere (giustizialisti e radicali), dopo anni di menzogne, di truffe e corruzioni, non riescono più ad ingannare la gente.

Si assiste ad una perdita della credibilità in toto della classe politica, ma anche di tutto il sistema politico e le sue capacità di rappresentazione. Le condizioni sociali per una fiducia nel sistema si sono dissolte e hanno lasciato un vuoto, che il movimento di resistenza vuole riempire.

A un sistema politico fortemente corrotto, il movimento sociale del dopo dicembre 2001, si oppone in effetti con forme alternative di pratica politica, al margine delle istituzioni consacrate dalla democrazia rappresentativa.

La partecipazione popolare, sotto forma di meccanismi orizzontali e radicalmente democratici, guadagna consensi. Le “assemblee popolari”, che sono nate nel periodo effervescente di dicembre, stanno conquistando uno spazio politico nuovo, caratterizzato da delle forme non rappresentative di presa in carico delle questioni politiche. Organizzati per quartieri, per paesini o per città, le assemblee popolari raggruppano spesso centinaia di persone di stati sociali diversi. L’organizzazione per quartiere rende possibile l’incontro d’individui e di gruppi di condizioni sociali distinte, anche se lo stesso quartiere è composto da una stessa appartenenza di classe.

I temi discussi nelle assemblee sono tanti : azioni politiche, organizzazione, problemi del quartiere, sanità, povertà e difficoltà economiche, educazione ecc. Tra le varie assemblee, si è instaurata una sorta di catena d’aiuto che permette di far fronte alle necessità elementari: cibo, vestiti, casa, asili ecc..

La dinamica delle assemblee popolari mette in atto una trasformazione dei rapporti sociali nei quartieri, che passa attraverso nuove forme di solidarietà, di scambio, e di nuove modalità di interconoscenza. Oltre alle discussioni e al mutuo appoggio, le assemblee popolari appaiono come un’officina per l’azione diretta. Nella dinamica delle discussioni, si manifestano certi bisogni, e l’assemblea tenterà di rispondervi nella misura delle sue possibilità.

A volte, si fa l’inventario dei bisogni e si decide di strappare allo stato, un sostegno sociale (vale a dire, abiti, cibo ecc..) attraverso la lotta collettiva: manifestazioni, blocchi di strada, occupazioni di uffici, banche, negozi ecc..

Al movimento delle assemblee popolari che si occupano degli spazi politici al beneficio della partecipazione collettiva, si aggiungono le occupazioni delle fabbriche da parte degli operai. La crisi economica profonda e le pratiche devastatrici dei padroni senza ritegno, hanno portato a fallimenti delle aziende, chiusure e licenziamenti di massa.

Lo scenario si conosce da diverso tempo. Ma le prospettive di lavoro, le possibilità di "uscirne" attraverso l’azione individuale, sono ridotte al minimo. “Licenziamento” significa attualmente disoccupazione, miseria e fame. L’assenza di prospettive, il discredito assoluto di una buona parte di imprenditori capitalisti, e dello stesso sistema capitalista, hanno spinto i lavoratori e le lavoratrici di prendere in mano la situazione e di sviluppare soluzione alternative. In questo contesto, si prendono carico dell’apparato produttivo organizzandolo da soli/e. Sono nate centinaia di cooperative. Le decisioni sono prese in assemblea e i lavoratori e i salari sono uguali per tutti/e, indipendentemente dalle funzioni esercitate. Due aziende (la Zanon di Neuquen e la Brukman di Buenos Aires) sono state statalizzate e i salari dipendono dunque dallo stato, qualsiasi sia la produzione.

La maggior parte delle cooperative restano indipendenti dal mercato "ufficiale": cioè dalle capacità produttive e dalla resa di prodotti sul mercato. Nell’insieme, l’intervento delle lavoratrici e dei lavoratori sul modo dell’organizzazione del lavoro, sulla via dell’autogestione, ha trasformato notevolmente le dinamiche dei rapporti di lavoro.

Il processo di delegittimazione del sistema politico e del sistema economico ha dato luogo ad un avanzamento sorprendente di forme di organizzazione e di gestione autonome.

Ma ci sono anche tensioni interne ai movimenti, divergenze politiche, confronti tra progetti diversi, che a volte arricchiscono questa nuova dinamica di lotta, ma altre la indeboliscono, questo è il caso di alcune assemblee, sciolte per divergenze troppo pesanti. Infatti, sono numerose le tendenze politiche tentate dalla conquista del potere e di fatto ostili all’autorgazzazione collettiva, cercando di sfruttare queste assemblee piuttosto che dargli vita.

Questi processi di costruzione di spazi d’autonomia politica ed economica, non sono affatto al riparo da tentativi di canalizzazione politica, che possono svuotare questi spazi del loro potere di gestione e di azione.

Poi c’è sempre la polizia, e le sue pratiche repressive, per mantenere "l’ordine",che sempre tentano di zittire il movimento in malo modo, di criminalizzare le attività di resistenza, ecc.. Niente si può dire ancora sul futuro di questa nuova dinamica politica in continuo sviluppo.

Ma ciò di cui siamo certi, è che l’esperienza argentina testimonia una formidabile esigenza d’autonomia del movimento di resistenza, di una volontà di trasformare i rapporti interindividuali in senso solidale e di mutuo appoggio, di un tentativo di elaborare - nell’urgenza e nella necessità - delle alternative a un sistema politico screditato e a un sistema economico al collasso.

Questa esperienza libera delle energie considerevoli, permettendo l’invenzione di forme di organizzazione collettive che sorpassano il modello capitalista neoliberale e il modello della delegazione politica. In questo senso, la ribellione popolare argentina appare un vero e proprio laboratorio di creazione di un altro mondo…che si inventa collettivamente nel pensiero e nell’azione!