Dicembre 2002

Questo mese ci si occupa esclusivamente degli USA e si  fa riferimento ad un’inchiesta su Il Sole 24 ore, 3 dicembre 2002, p. 9, cui si rimanda per una lettura approfondita.

Sono fatti accertati che la cura Bush ha provocato all’economia statunitense un notevole aggravamento della situazione economica: deficit federale crescente, bilance dei pagamenti e commerciale in disavanzo perennemente in aumento, produzione in calo, fallimenti a catena anche di imprese di dimensioni colossali, disoccupazione in aumento, etc.

Proprio la necessità di coprire questo disastro economico è una delle giustificazione della campagna mediatica contro l’Iraq: il patriottismo è l’ultimo rifugio dei vigliacchi e l’unico strumento per legare ad un paese claudicante e ad un’Amministrazione priva di appeal la popolazione meno informata del mondo.
Non è un caso se il rimpasto governativo, che ha recentemente investito i dicasteri economici, sia partito subito dopo la vittoria elettorale di novembre.
Ma se i successi del Governo repubblicano in campo economico sono inesistenti, è anche vero che la crisi statunitense viene da lontano e che l’aggravamento è il risultato di errori decennali. Il barlume di ripresa seguito all’11 settembre (ripresa e non crisi, si badi bene) è stato effimero, come pure effimero e di scarsa incisività è l’aumento delle commesse belliche in corso nella prospettiva della guerra mediorientale.
Gli esperti si affannano a sostenere che gli effetti di un attacco preventivo sarebbero nel giro di poco disastrosi per gli USA e che i costi per l’economia sarebbero insostenibili; c’è solo da ricordare che la Guerra del Golfo del 1991 fu sostenuta dalla comunità internazionale (la coalizione) che pagò le truppe mercenarie statunitensi, mentre nel caso odierno gli Stati Uniti isolati si accollerebbero tutte le spese militari.
La bilancia commerciale statunitense è entrata in rosso nel 1981 è ha raggiunto negli ultimi tre anni cifre pari metà del PIL italiano ed è deficitaria nei confronti di tutti i paesi industrializzati (Italia compresa, 14,1 miliardi di $) e attiva con pochi paesi Olanda, Australia, Belgio, Honk Kong, Egitto, Argentina, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Panama, Bahamas), per lo più piccoli e che offrono per l’immediato futuro scarse prospettive di assorbimento di merci, quali l’Argentina. Il deficit nei confronti del più temibile concorrente commerciale, la UE, ha raggiunto nei primi nove mesi del 2002 la cifra di 58.318,7 miliardi di $ (nell’intero 2001 era di 61.289,9 ed era già un record).
Le prospettive non sono rosee e c’è già chi pensa ad una svalutazione della moneta. La potenza militare è l’ultima risorsa per imporre i propri punti vista, ma i piedi affondano nella melma.
Lo scontro si concentra, dal punto di vista commerciale, soprattutto sull’agricoltura e mentre si progetta formalmente un abbattimento doganale senza precedenti nell’arco dei prossimi tredici anni, nella realtà le spinte protezionistiche, che trovano voce trasversalmente dentro il Congresso, si fanno sempre più forti, in barba alla filosofia imperante del mercato globale. Tant’è che ad esse, già maggioritarie, Bush ha pagato un tributo nella recente campagna elettorale (il Farm security and rural investiment act del 13 maggio 2002), varando un piano di aiuti alle imprese agricole senza precedenti che prolunga nel futuro (fino al 2008) le sovvenzioni legate ad eventi eccezionali ma momentanei (quali la siccità, el Niño, etc.).
 


chiuso il 15 dicembre 2002