STRATEGIA DI FONDO 

L'ORGANIZZAZIONE POLITICA

 

I - GENERALITA' SUL PROBLEMA ORGANIZZATIVO

La nascita della coscienza di classe pone ai militanti della lotta di classe, nel loro interno, oltre al problema del disegno strategico di un processo teso a rivoluzionare le condizioni che formano il supporto all'attuale situazione politica un altro problema: quello organizzativo.

L'organizzazione del proletariato è un'esigenza, una necessità, un presupposto essenziale della sua emancipazione.

E' un'esigenza perché in qualsiasi situazione di lotta i compiti dei militanti della lotta di classe si differenziano, si distinguono, si specializzano, mentre contemporaneamente devono essere tesi a raggiungere lo stesso risultato sia a livello di obiettivi immediati che a livelli più generali e più complessivi.

E' una necessità nella misura in cui per la vittoria di una lotta non esistono alternative reali ad una qualsiasi forma di organizzazione, nel senso che ogni forma di lotta che non si traduca in CONCETTI e FORME organizzative si esprime solo con livelli di disegni politici che sono nettamente inferiori alle esigenze che hanno prodotto questa lotta. Infatti, la reazione della borghesia se non riesce a sconfiggere militarmente il proletariato per la generosità con cui esso riesce ad esprimere il proprio bisogno di liberazione, certamente è in grado di recuperare, sul piano dell'ideologia e dell'economia, le FORME in cui la lotta si è tradotta.

E' un presupposto essenziale per l'emancipazione dei proletariato perché se è vero (e questo viene dimostrato altrove) che ancora non è avvenuta la rivoluzione sociale, è conseguentemente vero che sono stati commessi degli errori e solo una organizzazione è in grado di affrontare la problematica della lotta di classe in 100 anni di storia, cioè solo un contesto organizzato di militanti della lotta di classe, che assicura la continuità del disegno storico ed istintivo del proletariato, può partire non solo dalle esigenze immediate ma anche dalla acquisizione storica nel progettare e continuare la lotta di classe.

Il concetto essenziale che sta alla base del termine "organizzazione", così come questo termine si è espresso nella prassi politica del proletariato, è quello di "autogestione" nel senso che ogni forma di lotta organizzata per noi anarchici, deve essere "gestita" solo da chi la fa ed ancora, per chiarire meglio e non lasciar posto ad equivoci, da TUTTI coloro che la fanno.

Questo concetto è nettamente discriminante nei confronti di chi, snaturando la realtà, fa dell'organizzazione uno strumento di gestione del potere.

Ma questo concetto non significa affatto che gli anarchici concepiscono la lotta di classe come un insieme di organismi di lotta prodotti dalla realtà di classe che per necessità superiore vanno verso gli stessi scopi, né significa far confusione tra interessi immediati del proletariato (che sono alla base di ogni lotta) e interessi reali del proletariato che sono invece alla base della lotta di classe.

Esistono per noi due livelli organizzativi, che corrispondono fedelmente a due livelli di coscienza e di lotta: l'organizzazione "di specifico" e l'organizzazione "di massa".

L'organizzazione di specifico o, per meglio dire, il partito raccoglie i militanti della lotta di classe la cui coscienza richiede una visione completa e definita di tutta la problematica della lotta di classe, cioè una teoria ben precisa ed un disegno storico articolato e concreto.

I membri di questa organizzazione esistono prima e, se vogliamo, anche SENZA dell'organizzazione: la loro unione ed il loro ampliamento e la precisazione e l'omogeneità delle loro tesi rappresenta il primo e necessario passo per l'avanzamento della lotta di classe.

L'organizzazione di specifico è anarchica precisamente; nel senso che è formata solo da anarchici e si distingue nettamente dalle altre organizzazioni di specifico per la sua teoria caratteristica, per la sua organizzazione caratteristica, per il suo disegno storico caratteristico e per la sua prassi caratteristica.

L'organizzazione di massa o, per meglio dire, il sindacato raccoglie sulla base immediata di sopravvivenza e sulla base del bisogno di miglioramento delle condizioni di vita le varie categorie di lavoratori.

Al sindacato non si richiede una visione complessiva dei problemi più generali della lotta di classe, ma una capacità pratica e una volontà precisa di lotta contro il capitale.

Nell'ambito sindacale l'ideologia ha un suo peso nelle lotte ma solo nella misura in cui i militanti della lotta di classe che fanno parte delle organizzazioni di specifico e che entrano in quella di massa in quanto proletari vi portano la loro.

I membri dell'organizzazione di massa sono tutti coloro tra i proletari che hanno capito che solo con la forza e non con le preghiere si può ottenere il miglioramento delle condizioni di vita.

In relazione a quanto detto prima, l'organizzazione di massa non è, né può essere anarchica; di fatto però le tesi politiche leniniste (che vedono nel sindacato la cinghia di trasmissione del partito) e la pratica riformista (che scambia una conquista salariale come un obiettivo positivo nella costruzione del socialismo) si sono tradotte, nell'organizzazione sindacale, in forme verticistiche di gestione della politica stessa sindacale per cui a livello strategico per gli anarchici si prospetta chiaramente la necessità di costruire un'organizzazione sindacale la cui organizzazione interna sia l'autogestione della linea politica da parte di tutti i proletari che ne fanno parte.

II - L'ORGANIZZAZIONE DI SPECIFICO: TEORIA E PRATICA

Parlare di organizzazione è affrontare contemporaneamente 2 problemi diversi: il CONCETTO di organizzazione e la PRATICA dell'organizzazione.

Per concetto si intende l'identificazione cosciente e chiara da parte di chi si organizza dei rapporti che devono esistere fra gli elementi di quell'insieme che è l'organizzazione politica, il partito; per pratica si intende il difficile compito di tradurre tecnicamente e normativamente nella PRATICA QUOTIDIANA di un'organizzazione politica quei concetti senza che essi abbiano la possibilità di deteriorarsi o di essere sovvertiti e senza che, d'altra parte, essi rimangano sempre identici a se stessi staccandosi dalle esigenze dell'organizzazione.

In questa sede tratteremo il primo problema, non perché sia più importante né perché lo è meno, ma solo perché è condizione indispensabile per trattare con chiarezza politica (che significa chiarezza storica) il secondo problema alla cui risoluzione di solito entrano come condizioni determinanti le "ESIGENZE POLITICHE" che di solito sono le "necessità del momento".

Quanto detto ci serve per far chiarezza sui possibili errori che possiamo commettere nell'impostare in termini complessivi il problema organizzativo:

  1. mancare di chiarezza nell'identificare il concetto organizzativo
  2. mancare di consequenzialità nell'elaborare le norme organizzative
  3. non concepire in termini corretti il problema dell'evoluzione dell'organizzazione nel suo complesso;

infatti bisogna tener sempre presente che ogni forma di organizzazione della lotta di classe è sempre il prodotto di un processo storico con cui ogni volta deve essere confrontata un'esperienza; il rischio infatti è quello di confrontare la realtà con ciò che si è oggi senza concepirsi storicamente e senza valutare ogni fatto alla luce della storia della lotta di classe; spesso succede di vedere compagni che concepiscono la lotta di classe nata con la loro militanza politica.

III - L'ORGANIZZAZIONE DI SPECIFICO: LE ORIGINI STORICHE E POLITICHE DELLE NOSTRE TESI ORGANIZZATIVE

La storia della lotta di classe, l'esperienza, da una parte dello stalinismo e dall'altra dello spontaneismo, ci ha dimostrato in termini inequivocabili come il problema dell'organizzazione sia un terreno infido e franoso su cui si gioca il futuro di ogni lotta e della rivoluzione.

Molti eroici militanti della lotta di classe hanno preso parola su questo argomento e gli avvenimenti storici hanno dimostrato i molti errori ed hanno indotto la chiarezza su questo argomento.

Ancora però molti compagni si rifiutano di giudicare dai risultati le tesi organizzative di Lenin o di Kropotkin e con la loro fede irrazionale nelle parole dei "grandi" rischiano di perpetuare errori che il proletariato ha duramente pagato e che ancora oggi continua a pagare.

La storia della lotta di classe ha prodotto 3 concetti organizzativi:

  1. quello leninista che concepisce l'organizzazione come struttura politica che si sostituisce alla classe;
  2. quello "bordighista" che concepisce il partito come l'organo della classe;
  3. quello anarchico che concepisce il partito come una parte della classe, quella cosciente del ruolo storico del proletariato.

Tutte e tre queste tesi organizzative si sono espresse mille volte nella storia della lotta di classe, alcune volte sono state applicate correttamente altre volte scorrettamente; comunque sia, oggi chi milita nelle file dei rivoluzionari ha sufficiente materiale ideologico e storico per assumere delle posizioni coscienti riguardo al problema organizzativo.

Noi abbiamo scelto la terza tesi.

Essa però ha avuto molte interpretazioni nella sua articolazione pratica e nella sua elaborazione complessiva; sostanzialmente possiamo identificare 2 linee sostanziali di INVOLUZIONE.

Il primo tipo di involuzione è quello esemplarmente stigmatizzato dalla F.A.I.(Federazione Anarchica Italiana), che dopo aver raccolto nel 1945 una larga fetta di proletariato sotto le sue bandiere è caduta nel fango di un indegno interclassismo per non aver avuto la capacità di elaborare una teoria anarchica del proletariato che i suoi componenti hanno sempre avuto in seno e per non aver avuto il coraggio di trasformarsi in organizzazione grazie all'incapacità di IMPARARE STORICAMENTE dalle esperienze fallimentari delle sue consorelle in altre epoche e in altre nazioni.

Il secondo tipo di involuzione è quello stigmatizzato dai G.A.A.P. (Gruppi Anarchici di Azione Proletaria), che dopo aver criticato la F.A.I. correttamente, non sono stati capaci di definirsi in positivo, non sono stati in grado di assumersi la responsabilità di concepire storicamente il proprio ruolo, ma hanno cercato, rinnovando le teorie anarchiche, di assumere una posizione politica "comoda" e quindi più accettabile -secondo loro- dal proletariato; così hanno perso se stessi e la loro coscienza nella prassi politica, nella tattica politica sbagliata che in breve tempo li ha distrutti.

Le nostre tesi politiche ed organizzative sono figlie della "Piattaforma dei Comunisti Anarchici del 1926" -che rappresenta il più riuscito compendio delle tesi organizzative anarchiche pur con i suoi errori- dal punto di vista storico, e sono figlie del 1968 dal punto di vista politico; ovvero dal punto di vista dell'origine delle contraddizioni borghesi che hanno provocato una riaccensione potente della lotta di classe che è riuscita a produrre un progetto politico-rivoluzionario nuovo rispetto alla situazione del capitalismo ed a iniziare in forme incerte e spesso contraddittorie l'autogestione delle lotte e della organizzazione.

IV - L'ORGANIZZAZIONE DI SPECIFICO: I PRINCIPI FONDAMENTALI

L'organizzazione di specifico degli anarchici è la identificazione cosciente dei rapporti che esistono tra gli elementi di quell'insieme che è rappresentato dai militanti della lotta di classe che fanno riferimento alla teoria libertaria.

I MILITANTI

Il fronte della lotta di classe vede al suo interno una massa eterogenea di combattenti. La eterogeneità riguarda sia il bagaglio politico con cui si affrontano i problemi reali che la lotta di classe pone, sia l'impegno politico con cui questi problemi vengono affrontati.

Molti proletari che a buon diritto dovrebbero essere il fronte più avanzato di questa lotta sono assenti: tocca a noi riuscire a coinvolgerli in questa che è la loro lotta; altri sono presenti e si danno da fare solo quando vengono toccati i loro interessi immediati: anche costoro devono essere coinvolti in modo più globale nella "loro" lotta; questi in ogni caso svolgono il loro ruolo nelle organizzazioni di massa.

Alcuni compagni si sono assunti in pieno la responsabilità delle proprie idee facendo corrispondere a questa acquisizione un impegno politico davvero ammirabile, riportando nella pratica la propria coscienza politica, anche a costo di rischi e di prezzi da pagare: sono questi i militanti della lotta di classe, sono questi coloro che vogliono l'organizzazione di specifico e sono solo questi che ne fanno parte.

Simpatizzanti sono coloro che nelle organizzazioni di massa o in genere nella vita pubblica, fanno esplicito riferimento alla concezione politica generale -e non necessariamente particolare- dell'organizzazione di specifico.

Costoro si riconoscono in un'ideologia, in un disegno politico generale, ma o non se ne fanno carico completamente perché non ne sono convinti fino in fondo, o non se la sentono di impegnarsi ai limiti delle proprie capacità nell'attività politica.

E' molto importante per un'organizzazione comunista-anarchica avere ben chiara la distinzione tra militanti e simpatizzanti, proprio perché essendo la democrazia interna assoluta e cioè siccome le decisioni vengono prese da tutti contemporaneamente, ci deve essere una precisa identificazione dei componenti dell'organizzazione.

Tutto ciò è molto "reale", nel senso che rappresenta ciò che effettivamente avviene nella realtà di ogni giorno: ciò che tutti i combattenti della lotta di classe sanno.

Quando però ci guardiamo intorno ci accorgiamo immediatamente che i militanti della lotta di classe che compongono le organizzazioni di specifico oggi esistenti non sono quelli che abbiamo definito.

Infatti la concezione che abbiamo espresso può sussistere come tale e tradursi in pratica politica quotidiana solo se inserita nell'ambito di una precisa ideologia -quella comunista-anarchica- che ne permetta una realizzazione EFFICACE; in altri termini, solo nell'ambito di una ideologia politica che sia semplicemente un'autocoscienza della realtà di classe si può conservare il concetto reale di militante della lotta di classe.

Vediamo cosa succede in un'organizzazione di specifico (di origine seconda-internazionale e terza-internazionale) in cui la burocrazia interna viene accettata e praticata.

Il militante della lotta di classe diventa funzionario di partito; la sua militanza politica diventa di fatto amministrazione di un potere in parte concesso dallo Stato (che riconosce il partito ed i suoi funzionari come "base per l'amministrazione democratica del paese") ed in parte concesso dai simpatizzanti, cioè dai consensi che la politica di questo partito (non c'importa se giusta o sbagliata) ha cristallizzato in termini di forza numerica.

La gestione reale del potere che in questo modo il partito si è "guadagnato" non è però nella mani di tutti i "funzionari" (ex-militanti della lotta di classe), ma solo di quelli che per merito o per imbroglio hanno raggiunto la qualifica di "membro del comitato centrale".

Vediamo ora cosa succede in quelle organizzazioni di specifico (varie m-l) in cui la burocrazia viene accettata ma non praticata, data la carenza di "potere", ma in cui viene accettato e praticato il concetto della "politica al primo posto" (Mao) e quello che il partito è una struttura che si sostituisce alla classe, per cui l'attività politica è tesa a far riconoscere le "masse popolari" in quel partito (Lenin).

Il militante della lotta di classe diventa militante dell'organizzazione: viene stipendiato, costruito, ha ruolo e potere in quanto egli è, soprattutto, colui che più degli altri è in grado di portare alle "masse popolari" la linea di quel partito.

Il suo luogo di lavoro è l'organizzazione; egli è diventato di fatto esterno alla classe come unità produttiva: non può scioperare perché andando contro il suo lavoro andrebbe contro il proletariato, il suo tempo -tutto- è dedicato alla politica; egli ha perso la sua individualità, si è alienato nel momento in cui, diventato militante della lotta di classe in quanto unità produttiva, si è trasformato in militante di un'organizzazione di specifico che non avendo ancora potere non ha bisogno di unità produttive, ma solo di gente con tanto tempo a disposizione perché le tesi dell'organizzazione siano le più conosciute possibile.

I militanti dell'organizzazione di specifico comunista-anarchica sono, e rimangono, prima di tutto militanti della lotta di classe, il loro lavoro nell'organizzazione è parte integrante ma non opprimente né alienante della loro vita di esseri umani e compagni.

Noi sappiamo che tutto è politica, dal modo in cui lottiamo per i nostri interessi immediati al modo in cui gestiamo la nostra vita privata e i nostri svaghi, dal modo in cui collaboriamo alla costruzione della nostra organizzazione senza alcun risparmio ma anche senza nessun privilegio, se non quello che ci deriva dal nostro lavoro politico quotidiano nella lotta di classe.

RESPONSABILITA' COLLETTIVA

Il principio, che ciascun militante della lotta di classe deve rispondere delle sue azioni a tutta la classe (ed in quanto ciò è materialmente impossibile, alla sua coscienza cioè all'organizzazione politica) se pur concettualmente valido deve essere rigettato in un'organizzazione anarchica.

Se i militanti dell'organizzazione assumono come corretta per la lotta di classe la teoria libertaria e riconoscono nell'organizzazione di cui fanno parte la forma più giusta per esprimere correttamente le proprie idee politiche, essi devono di conseguenza concepire l'organizzazione come un'unità: cioè i membri dell'organizzazione, in quanto agiscono collettivamente nella lotta di classe, sono un fatto unitario nel momento in cui si riconoscono accomunati da idee sostanzialmente simili.

A questo punto tutta l'organizzazione diventa responsabile dell'attività politica di ciascun membro che di fatto la rappresenta nella lotta di classe, e corrispondentemente ciascun membro è responsabile dell'attività politica dell'organizzazione in generale.

La responsabilità collettiva non è però una legge che in quanto definita diventa esistente per il semplice fatto che viene concepita.

Per responsabilità collettiva si intende praticamente che se i militanti prendono di comune accordo una decisione che impegna politicamente quegli stessi che l'hanno presa, ciascun militante è tenuto a rispondere del suo eventuale mancato impegno nel portare avanti il suo compito politico davanti a tutti gli altri.

Di fatto le decisioni prese di comune accordo e che riguardano i militanti d'organizzazione sono la linea politica dell'organizzazione.

Nessuno deve rispondere su problemi o decisioni su cui non è stato chiamato a decidere, d'altra parte l'assemblea dei militanti non deve porsi nei confronti di ogni singolo militante in qualità di inquisitrice (esaminando i perché di fatti o cose che non riguardano l'assemblea) né in qualità di giudice delle motivazioni addotte dal militante per il suo mancato impegno in un compito che si era assunto.

L'assemblea può solo prendere atto della responsabilizzazione o meno di quel militante o di quel gruppo nei confronti della linea politica e degli impegni assunti.

L'assemblea può solo dire: questo compagno è responsabilizzato oppure il contrario e comportarsi di conseguenza.

UNITA' POLITICA DELL'ORGANIZZAZIONE

Gli interessi storici del proletariato sono identici per tutte le categorie che lo compongono, ciò è in contrasto col fatto che gli interessi immediati di ciascuna componente spesso si diversificano notevolmente.

Questo dipende da tre ordini di fattori:

  1. le spinte corporative che la naturale esigenza dei lavoratori di star meglio crea;
  2. la volontà del capitale di dividere, frazionare e contrapporre le lotte delle varie categorie di lavoratori per poter gestire meglio e più a lungo il suo potere;
  3. l'ideologia riformista che volendo a tutti i costi partire dalle esigenze immediate dei lavoratori, dà un alibi di sinistra a quelle lotte settoriali e corporative che altrimenti si allargherebbero e si generalizzerebbero affrontando così il problema degli interessi storici del proletariato.

La lotta di classe è dunque per sua natura una lotta unitaria e, se ora non lo è, così deve diventare.

Nel nostro tempo numerose organizzazioni politiche nate ed accresciutesi nella lotta di classe sono presenti nella realtà politica a pretendere di rappresentare il proletariato con la loro linea politica; di fatto diventano un ulteriore motivo di disunione e frazionamento del proletariato.

Ciò però non è esecrabile in quanto il processo che porta al sovvertimento dei rapporti politici, economici e sociali oggi esistenti non è chiaro nella mente di nessuno e le varie forze politiche che oggi si contrappongono, svolgono di fatto un'opera interessante di chiarimento e di dibattito sui temi che la lotta di classe porta avanti, risparmiandoci gli errori che una unica organizzazione di tipo leninista (se ci fosse) potrebbe far compiere al proletariato.

Un'organizzazione comunista-anarchica deve esistere e deve porsi come alternativa reale ed efficace alle altre forze politiche oggi esistenti.

Per far ciò e per essere in grado di realizzare le proprie proposte politiche, non possiamo concepirla se non come un'organizzazione unitaria.

A ciò si aggiunge il fatto che il comunismo-anarchico è un progetto politico ben preciso e definito nelle sue linee generali, unico nel suo genere, per cui l'organizzazione che lo porta avanti non può essere che unitaria.

Ma, se è vero che l'unità politica, come abbiamo dimostrato, è una necessità, è altrettanto vero che:

  1. le decisioni politiche, essendo legate alle analisi politiche, possono essere diverse nella misura in cui spesso l'analisi politica può essere diversa: a) perché è difficile reperire dati e fonti sicuramente attendibili e scientifiche; b) perché le valutazioni sono spesso frutto di esperienze non generalizzabili e diverse;
  2. la coscienza politica del proletariato non è unica ma diversa a seconda dei momenti, delle zone e quindi così devono essere le decisioni politiche; inoltre bisogna tener presente che variando i rapporti di forza, spesso una linea politica deve tener presente quest'altro fattore;
  3. unità politica significa sia unità di linea politica che di forze politiche e quindi talvolta una linea politica unitaria può voler dire frazionamento in due forze politiche, ciascuna con una linea unitaria.

Da quanto detto si deduce che l'unità politica dell'organizzazione è e sarà sempre un obiettivo da raggiungere, mai un presupposto ovvio ed a-priori dato da cui partire.

Il leninismo, con la teoria del centralismo democratico e del comitato centrale, ha dato una risposta a queste contraddizioni che la storia del proletariato ha dimostrato essere assolutamente deleteria e piena di rischi e presupposto per molti errori e deviazioni.

La nostra risposta a questa contraddizione, come sempre, consiste nell'osservare la realtà e nel tradurla in concetti politici; fatto fondamentale è la necessità di una unità politica dell'organizzazione come presupposto della sua funzionalità; fatto impedente è la diversità di opinioni che spesso fra compagni sorge sulla linea politica da tenere.

Noi, quindi, dovremo conservare l'unità politica senza impedire la diversità di opinioni in quanto è arcinoto che il cardine dell'evoluzione di una linea politica, come di altre cose, è legato alla possibilità che il pensiero comunemente accettato come giusto possa essere messo in dubbio se naturalmente ciò nasce da una esigenza di miglioramento e si basa su fatti accaduti e su considerazioni nuove mai fatte prima; insomma la critica è giusta non in sé e per sé, ma in quanto venendo discussa e passata al vaglio viene rigettata perché RAZIONALMENTE NON GIUSTA, oppure accettata perché migliora l'atteggiamento e l'opera dell'organizzazione nei confronti della lotta di classe.

Due sono i rischi di quest'atteggiamento:

1) essere troppo liberali e permettere che chiunque (sempre però dei militanti dell'organizzazione) metta in discussione tutto in qualsiasi momento;

2) essere troppo restrittivi e permettere la massima libertà di parola, ma richiedere ai militanti dell'organizzazione di attenersi in ogni caso alla decisioni dell'organizzazione.

In altre parole, il nodo da sciogliere rimane sempre: se non c'è un capo carismatico, ci PUO' essere su alcune questioni una maggioranza ed una minoranza (tutte e due con la stessa responsabilità e lo stesso diritto-dovere nei confronti dell'organizzazione): che fare?

Abbiamo detto che la minoranza è essenziale perché tutte le innovazioni nascono prima come bagaglio di una persona o di un gruppo minoritario e poi, o perché vengono dimostrate con le parole o perché i fatti lo dimostrano, diventano patrimonio della maggioranza.

Abbiamo detto che però non possiamo né permettere che su tutto ci sia una minoranza, né possiamo altresì permettere che la minoranza come tale può solo parlare all'interno dell'organizzazione.

La conclusione a questo punto viene da sé logicamente, anche se in verità questa logica è frutto di oltre 100 anni di errori di buona parte del proletariato che si è riconosciuto in un comunismo-anarchico non ancora ben definito.

Secondo il nostro modo di vedere le cose, esiste una Teoria del comunismo-anarchico frutto di oltre 100 anni di storia: l'astrazione cioè, in termini verbali e concettuali delle esperienze anarchiche, che oggi noi facciamo, non può assolutamente venir messa in dubbio.

Le sue linee sostanziali ed essenziali sono appunto l'identificazione storica del nostro "essere politico", questo significa in termini concreti che il documento teorico, che pure non ha intenzione di compendiare il comunismo-anarchico tutto intero, riassume la nostra memoria storica valutandone gli errori storicamente e tramite l'esperienza accettati, e quindi non può venir messa in dubbio.

Per meglio dire: chi la mette in dubbio non può assolutamente conciliare questo fatto con l'appartenenza alla nostra organizzazione.

Chi entra in contraddizione con la nostra teoria essendo all'interno dell'organizzazione, nel momento in cui esprime questo dissenso non ne fa più parte.

Se fa parte del più vasto e non sempre cosciente fino in fondo Movimento Comunista Anarchico, noi dovremmo valutarlo e considerare le sue innovazioni come "evolutive" e quindi adeguarci, o "involutive" e quindi criticarle, ma sempre dopo che questa minoranza uscita dall'organizzazione sia sopravvissuta nella lotta di classe ed abbia verificato con l'esperienza e lo sforzo la sua tesi.

La nostra Teoria comunque non è nettissima, né precisissima, essa è soprattutto discriminante: cioè serve ad eliminare errori già commessi dai comunisti-anarchici e serve a discriminarci dalle altre componenti della lotta di classe, per cui è precisa fino a quanto serve, è una PIATTAFORMA su cui possono starci solo alcune persone che non necessariamente la pensano in modo identico su tutto quello che non è discriminante o che è ancora da verificare.

In termini pratici e reali: su ciò che è scritto, nessuna minoranza; su ciò che non è scritto, libertà di interpretazione.

La rigidità che abbiamo espresso nei confronti di una eventuale minoranza sulla Teoria nasce dal fatto che la riteniamo assolutamente giusta perché la storia con le sue verifiche ed i suoi fatti lo ha dimostrato e crediamo anche di poterlo dimostrare scientificamente a tutti coloro che non abbiano nessun interesse a credere il contrario.

La Strategia di Fondo della nostra organizzazione nasce dall'analisi della situazione politica attuale; più precisamente la strategia di fondo è la visione che i comunisti-anarchici hanno del potere e delle forze politiche controrivoluzionarie, la loro valutazione in termini strategici onde definire il ruolo concreto che i comunisti-anarchici devono avere se vogliono arrivare a far sì che, se le condizioni storiche soggettive ed oggettive e cioè se la lotta di classe porterà ad un "periodo di transizione", si possa costruire una società senza classi.

Quindi, se la Teoria serve a definire le premesse storicamente dedotte che permettono di definirsi comunisti-anarchici, la Strategia di Fondo serve ad analizzare le condizioni del potere politico-economico e quelle delle forze controrivoluzionarie di sinistra per definire il nostro ruolo storico oggi ed in periodo di transizione.

La Strategia di Fondo deve essere unitaria perché, definendo il ruolo storico nel momento attuale dei comunisti-anarchici organizzati nella nostra organizzazione, è l'anima stessa, la motivazione più profonda e convinta, la ragione più profonda di tutte le nostre azioni politiche.

La non-omogeneità a questo livello di elaborazione politica porterebbe inevitabilmente al caos nel decidere i più banali problemi di strategia, di metodologia e di alleanze.

D'altra parte, però, l'analisi su cui poggia la definizione del nostro ruolo (cioè l'organizzazione della lotta di classe e periodo di transizione) poggia non soltanto su ciò che discende dalla nostra Teoria, cioè dal nostro essere comunisti-anarchici, ma anche dall'analisi del capitalismo, del socialismo di stato e del riformismo. Queste analisi possono essere sbagliate in varia misura; è importantissimo che siano esatte, visto che da queste nasce la definizione del nostro ruolo; ma è pur sempre vero che possono essere sbagliate o quanto meno, nell'ipotesi meno brutta, è possibile che due comunisti-anarchici giungano alla definizione di due strategie di fondo, ciascuna delle due in linea con il comunismo-anarchico.

Il problema di una probabile minoranza si è così posto.

Da una parte la divisione interna all'organizzazione su questo grosso bagaglio politico non è possibile, dall'altra parte la divisione dei comunisti-anarchici è da rifiutarsi come altrettanto dannosa.

In primo luogo l'analisi strategica di fondo più scientifica è, meglio è; una minoranza, portando quindi all'approfondimento delle questioni, sarà oltremodo gradita ed utile, soprattutto se il superare la divergenza tra maggioranza e minoranza significherà rendere più scientifica la strategia di fondo dell'organizzazione.

Qualora il dissenso si approfondisca e non possa essere risolto, è gioco forza che si abbia una scissione nell'organizzazione a meno che la minoranza dissidente si astenga dal comunicare all'esterno il proprio dissenso al fine di non rompere l'unità dell'organizzazione e sappia portare al suo interno una critica che sia costruttiva e che non sia un impedimento al dibattito interno; e cioè a meno che il dissenso non assorba completamente tutta l'organizzazione.

In conclusione, in caso di dissenso sulla Strategia di Fondo:

  1. portare il dissenso all'interno e cercare di risolverlo rendendo maggiormente scientifica l'analisi (FERMO RESTANDO LA COERENZA CON LA TEORIA);
  2. la minoranza esce se ritiene di dover portare all'esterno il proprio dissenso;
  3. la minoranza viene espulsa se la maggioranza ritiene che la minoranza con il suo dissenso espresso all'interno, impedisce che vadano avanti le altre attività dell'organizzazione; risulta però chiaro che la minoranza uscita sarà in ogni caso la prima fra le altre organizzazioni politiche ad essere considerata alleata nella lotta di classe.

Sommando però pro e contro è possibile affermare che se è possibile che si creino due frazioni contrapposte su problemi strategici di fondo, è anche possibile che non si giunga ad una scissione a meno che non ci siano degli interessi economici o di potere in giuoco.

Concludiamo dicendo che: nella misura in cui all'interno dei militanti della nostra organizzazione non ci saranno posti di potere né situazioni di prestigio, nella stessa misura non ci saranno divisioni su problemi strategici di fondo, ma ogni dissenso razionalmente e scientificamente valido servirà in ogni caso ad una più precisa e giusta definizione del nostro ruolo nella lotta di classe.

La Strategia Politica sono le linee generali di intervento nella classe commisurate alla realtà oggettiva, alle capacità soggettive e naturalmente alla Teoria ed alla Strategia di Fondo.

L'unità cosciente e libera di tutti i militanti dell'organizzazione sul problema della Strategia Politica è ovviamente una condizione favorevole importantissima per il raggiungimento degli obiettivi che la strategia politica ha delineato.

Vediamo ora come e perché si possono creare delle minoranze e cosa deve succedere di queste minoranze.

Divergenze sulla parte costruttiva della strategia politica possono nascere:

  1. dalla non conformità di una proposta di strategia politica rispetto alla Teoria ed alla Strategia di Fondo;
  2. da divergenze sull'analisi politica;
  3. da divergenze sulla valutazione dell'analisi politica;
  4. da divergenze sulla valutazione della situazione soggettiva.

Se le divergenze nascono da contraddizioni della strategia politica rispetto alla strategia di fondo ed alla teoria, ci si comporta come abbiamo visto prima.

Se le divergenze sono legate alle diverse analisi della realtà, il problema consiste nel valutare prima di tutto se è possibile appianare queste divergenze chiarendo ed analizzando meglio, il che porta, se fatto bene, a conclusioni più esatte e complessive; se ciò non porta a conclusioni unanimi, l'organizzazione avrà una strategia politica ufficiale che sarà quella della maggioranza ed una o più ipotesi di strategia politica di una o più minoranze che potranno esprimere la loro tesi all'esterno, ma che in ogni caso nell'elaborazione della tattica e quindi nella pratica politica, dovranno non entrare in contraddizione con le tesi della maggioranza.

Se ciascuna divergenza analitica si traduce in una visione del ruolo politico dell'organizzazione in contraddizione con quella della maggioranza, succede che la tesi minoritaria per scelta libera di chi la sostiene, rimane "VERBALE", cioè si esprime (anche se all'esterno) solo a parole ed in tal caso l'unità politica rimane, oppure si esprime in una tattica contraddittoria con quella della maggioranza ed in tal caso la minoranza, rompendo coscientemente l'unità politica dell'organizzazione, deve essere espulsa.

Può capitare -e qui bisogna fare molta attenzione- che le divergenze nascano su questioni di valutazione sia dell'analisi oggettiva che delle condizioni soggettive: ciò deve venir messo in relazione a "OTTIMISMO" o "PESSIMISMO" nati dalle diverse condizioni in cui vengono a trovarsi i compagni.

Bisogna quindi stare attenti a non voler generalizzare a tutta l'organizzazione le valutazioni positive che nascono da una situazione politica circoscritta in espansione, né generalizzare le valutazioni negative che conseguono ad una situazione politica circoscritta di riflusso; che non si creino falsi problemi o fratture su questo e che si cerchi un giusto accordo e una giusta mediazione senza scadere nell'errore "massimalista" di rompere per non dover scendere a mediazioni che non devono essere considerati compromessi, bensì solo il giusto equilibrio.

In conclusione possiamo dire che un'organizzazione con una teoria e una strategia di fondo unitarie, non dovrebbe trovare difficoltà a rendere unitaria la strategia politica.

Questo succede a patto che la minoranza non entri nell'attività politica pratica in contraddizione con la maggioranza e che la necessità di essere uniti non soccomba di fronte al massimalismo dogmatico di chi non sa adeguarsi alle proprie responsabilità collettive.

Che la maggioranza abbia, però, sempre ben chiaro il concetto FONDAMENTALE che una minoranza di militanti comunisti-anarchici non nasce a caso, ma o proviene da un'esperienza negativa che la maggioranza non ha ancora fatto, o da un'inesperienza che quella minoranza col tempo supererà; per cui sia sempre presente nella maggioranza la possibilità di rendere ufficiale una tesi minorativa di fronte a fatti che la indicano come più giusta.

La Tattica dell'organizzazione rappresenta l'ipotesi di lavoro dell'organizzazione valida da un congresso all'altro, basata sull'analisi della situazione del momento e delle sue linee ipotizzabili di sviluppo; sulle scadenze politiche che si prospettano, sulle possibilità soggettive, cioè sulla forza dell'organizzazione e sulle possibilità di eventuali alleanze.

Le ipotesi di lavoro devono naturalmente essere rigorosamente legate e conseguenti dalla Teoria: bisogna infatti in primo luogo ricordare che è da rigettarsi assolutamente la tesi di chi dice che una tattica non conforme alla teoria potrebbe "di fatto", utilizzando delle contraddizioni oggettive, permettere, tramite un rafforzamento dell'organizzazione, una maggiore "forza" nel portare avanti in seguito una tattica conforme alla teoria.

Questo non è vero, in primo luogo perché è storicamente verificabile ed è inutile farsi illusioni sul mezzo tattico, che se è contraddittorio alla teoria, non può facilitarne l'attuazione; in secondo luogo perché i consensi ottenuti sulla base di una tattica contraddittoria alla teoria saranno consensi di una teoria "diversa" e quindi consensi che porteranno solo divisioni interne all'organizzazione, il che è in contraddizione col fatto che in questa vi deve essere unità politica.

Nella storia passata c'è stato chi ha sostenuto che è possibile utilizzare tatticamente le strutture del potere in modo rivoluzionario; in questa sede giova solo ricordare le conseguenze deleterie che questo modo di pensare ha portato.

La Tattica non deve essere neanche in contraddizione con la strategia di fondo e questo dipende sostanzialmente dal fatto che essendo l'analisi politica tattica una precisazione di quella più generale e complessiva già decisa per la strategia di fondo, le iniziative e le ipotesi di lavoro politico non possono essere difformi; tutt'al più si può ipotizzare che un'analisi per la Tattica possa servire a riconoscere come errate alcune valutazioni fatte per la strategia di fondo.

A questo punto, però, è necessario procedere, con le modalità che abbiamo già visto, ad una verifica della Strategia di Fondo.

Una Tattica contraddittoria, infine, con la Strategia Politica, sarebbe un non senso, in quanto la strategia politica rappresenta proprio il concetto unificatore delle tattiche che nel tempo si succedono e, dato che l'unità politica dell'organizzazione significa anche unità storica, nell'arco degli anni, dell'attività politica dell'organizzazione, è assurdo proporre tattiche in contrasto con la strategia politica.

Ma -è bene ricordarlo- un'analisi tattica può o deve, se necessario, essere punto di partenza per una costante verifica della strategia politica alla luce sia dell'evolversi delle forme di oppressione politica, sia della condizione soggettiva dell'organizzazione.

Stando così le cose, può comunque succedere, anzi è probabile che sia sempre così, che ad ogni congresso ci sia sempre un confronto fra due o più tattiche, tutte quante discendenti dalla teoria, strategia di fondo e strategia politica.

Compito del congresso è chiarire le analisi, eliminare gli equivoci, correggere le valutazioni, ecc.; in una parola eliminare fin dove è possibile tutti gli errori.

Ma rimangono ancora tattiche diverse; infatti non è possibile sempre dimostrare scientificamente ed in tutta sicurezza una tattica politica.

A questo punto sorge chiaramente una domanda: è possibile che l'organizzazione si esprima all'esterno con due o più tattiche, diverse sia nelle parole che nella prassi?

In altre parole: fino a che punto l'unità politica vuol dire unità tattica?

L'omogeneità, come comunisti-anarchici, è fondata sull'unità teorica; il ruolo storico che i comunisti-anarchici hanno, unitario, è comprovato dall'unità strategica. Gli obiettivi politici a lunga scadenza, il progetto politico portante dell'organizzazione è unitario perché è unitaria la strategia politica.

Ma, se l'unità interna dell'organizzazione e la possibilità che ogni dibattito ed ogni minoranza siano positivi ci viene da tutto questo, l'unità per gli esterni, cioè la compattezza dell'organizzazione -concetto che per molti si identifica in quello di serietà politica- è rappresentata dall'unità tattica.

Inoltre, la politica delle alleanze è di grandissima utilità in un progetto tattico, ha i suoi presupposti nell'unità tattica e anche la politica del "contrasto" con i nemici di classe e gli avversari politici è tanto più efficace quanto più è unitaria l'organizzazione.

Non v'è dubbio, d'altra parte, che una divergenza fra compagni non deve provocare nel modo più assoluto alcuna frattura e soprattutto non deve creare fazioni tra loro contrapposte, il che è il tarlo più pericoloso che possa esistere; è quello che più mina le fondamenta dell'unità politica dell'organizzazione, che in fondo risiede prima di tutto nella correttezza del rapporto politico.

Una tattica nazionale unitaria, se è giusta, è cosa molto produttiva per l'organizzazione; una minoranza ed una maggioranza possono essere utili a rendere più giusta la tattica se le divergenze vengono chiarite e superate, ma in caso contrario può anche dividere l'organizzazione.

Nell'arco di un congresso, cioè di pochi giorni, un'organizzazione deve trovare una tattica chiara e unitaria: il compito è difficile e spetterà prima di tutto alla maturità politica dei compagni e alla loro serenità raggiungere questo obiettivo.

La demagogia, i liderismi, la presunzione e la malafede che si traducono in FATTI POLITICI sono i più grandi nemici della unità.

A questo punto per concludere, diciamo che:

  1. l'organizzazione come tale si esprime ufficialmente con una sola linea tattica, ma deve dare spazio alle linee tattiche di minoranza di esprimersi in ogni caso verbalmente all'esterno;
  2. praticamente, le sezioni dell'organizzazione porteranno avanti la tattica che ritengono giusta, purché questa non sia CONTRADDITTORIA e contemporaneamente LESIVA nei fatti alla tattica ufficiale e maggioritaria, fermo restando che sarebbe auspicabile che le minoranze, per decisione autonoma e libera, si attenessero nei fatti alla tattica ufficiale.

Noi lasceremo infatti ai militanti di sbagliare tattica, seguendo la propria ragione (e a sbagliare potrà essere la minoranza come la maggioranza), senza che per questo lascino l'organizzazione, perché sappiamo che talvolta si impara soprattutto dai propri errori, a meno che una tattica minoritaria non sia DANNOSA per l'organizzazione. In questo caso:

  1. o i compagni che la sostengono ritengono opportuno astenersi dal praticarla;
  2. oppure devono essere espulsi, dato che è assurdo che una stessa organizzazione porti avanti due tattiche, una lesiva rispetto all'altra.

Però, se ci saranno tattiche diverse e compatibili, ciò farà sì che l'organizzazione tutta o la maggioranza di questa, o le minoranze, saranno sempre pronte a rivedere tempestivamente e rapidamente la propria linea tattica, nella misura in cui la presenza di tattiche diverse imporranno una continua verifica ed un costante confronto di queste.

FEDERALISMO DI QUADRI

Nell'organizzazione comunista-anarchica non c'è nessuna autorità che si assume il compito di dirigere l'attività politica, né esistono i "militanti di base" che calano nella prassi le direttive del comitato centrale.

Nella nostra organizzazione c'è identità assoluta tra chi decide e chi agisce; le decisioni operative, frutto di una adesione cosciente alla linea politica dell'organizzazione che TUTTI hanno contribuito a definire, sono prese solo da chi, dopo averle prese, le attua.

Dire questo, cioè contrapporre questi due modi di organizzarsi significa rigettare il cosiddetto centralismo democratico ed attuare il federalismo, fatto questo che è fondamentale perché una organizzazione comunista-anarchica si conservi identica a se stessa nel tempo.

Importante è sottolineare che in un sistema federalista, la responsabilità del singolo militante non è nei confronti dei suoi "capi", ma nei confronti di tutti quanti operino nella prassi quotidiana con lui (responsabilità collettiva).

Ricordiamo inoltre che ogni decisione deve essere impostata e deve essere presa a partire dalle tesi dell'organizzazione (unità politica).

Questo concetto organizzativo è valido per ogni insieme di compagni che vogliono praticare il comunismo-anarchico; e cioè se essere comunisti-anarchici significa avere chiarezza politica, comportarsi nella prassi come tali significa rispettare il principio federalista.

Ciò è corretto non solo in quanto questo modo di organizzarsi appartiene all'essenza politica del comunismo-anarchico, ma anche in quanto è utile e produttivo per la crescita della coscienza di classe.

Possiamo anzi dire di più, possiamo cioè identificare nel federalismo l'evoluzione conseguente alle forme di organizzazione autonoma ed autogestita che spesso la lotta di classe produce e dire anche che il metodo dell'autonomia e dell'autogestione di una struttura organizzativa del proletariato porta sia ad una maturazione in senso comunista-anarchico della coscienza politica, sia al concepire il federalismo come forma gerarchicamente estesa dell'autonomia e dell'autogestione.

Ci sembra a questo punto di aver centrato il problema.

Il federalismo ha, come struttura organizzativa, il compito di permettere che delle strutture autonome ed autogestite a livello locale siano una forza unitaria a livello nazionale, fermo restando l'autonomia e l'autogestione locale e poi permettendo l'autogestione dell'organizzazione nazionale.

Una struttura federalista ha bisogno, prima di tutto per esistere, di aver chiaro quali sono le unità elementari che la compongono: cioè i Militanti, compagni in grado di essere realmente elementi capaci di affrontare e risolvere i problemi che si pongono a livello organizzativo.

Questa considerazione impone una distinzione importante tra i Militanti dell'organizzazione che hanno un livello di coscienza e conoscenza sufficiente e i Simpatizzanti, che non sono a quel livello e pertanto non fanno parte delle strutture dell'organizzazione, o meglio, simpatizzano per essa ma non ne fanno parte.

L'organizzazione si regge sui suoi congressi che sono periodici e sono le decisioni di questi a rappresentare l'unità dell'organizzazione, ed ogni congresso, RIBADIAMOLO ANCORA, è gestito da TUTTI I MILITANTI e coinvolge SOLO I MILITANTI, fermo restando che sulla linea congressuale si può verificare la più ampia convergenza di consensi esterni; solo i Militanti, però, sono fra loro legati dal concetto di responsabilità collettiva.

Ora, possiamo renderci conto di come è possibile che una struttura organizzativa, quella comunista-anarchica, possa essere composta da tante unità, ciascuna autonoma, e contemporaneamente rimanga nel suo complesso unitaria, permettendo ai suoi simpatizzanti di crescere al suo interno autogestendo la propria attività politica.

Ricordiamoci, però, che se la struttura federalista ha come struttura operativa della linea politica la sezione locale, ne deriva, necessariamente, che la sua funzionalità sarà legata alla efficienza operativa di ogni sua sezione.

Ricordiamoci, inoltre, che la lotta per il comunismo-anarchico sarà vittoriosa o perderà se vinceranno o perderanno i compagni comunisti-anarchici nelle loro città o paesi e che quindi l'attività nei nostri luoghi di vita è il punto finale su cui devono convergere tutti i nostri sforzi; con questo si vuol dire che scopo ultimo di una struttura organizzativa nazionale è sempre e solo quello di rendere più produttivo (e non più FACILE!), più incisivo e credibile il lavoro politico di ciascuna sezione e -repetita iuvant- ricordiamoci che alla fine dei conti l'esistenza di una sezione deve essere funzionale e utile al lavoro politico che ciascun militante porta avanti nel proletariato.

A questo punto sorge un grosso problema: portare al massimo efficientismo possibile il sistema federalista. Perché questo è un grosso problema?

Bisogna fare molta attenzione a che, con la scusa dell'efficientismo, non siano portate avanti delle proposte organizzative che contraddicano e rendano nulli i benefici politici (autonomia e integrità del comunismo-anarchico) che il sistema federalista ci ha permesso di ottenere.

Noi vogliamo prima di ogni altra cosa che ciascun militante agisca solo se convinto fino in fondo di quello che fa, per cui accettiamo le minoranze al nostro interno; infatti siamo certi che nella pratica politica si matura e si costruisce qualcosa di buono solo se chi agisce capisce fino in fondo il valore vero delle decisioni prese (perché ne è stato partecipe). Questa è l'unica vera garanzia che ci fa essere certi che il senso vero delle decisioni prese sarà il motivo dominante delle azioni pratiche (diverse tra di loro per motivi oggettivi) che ciascun militante prenderà nel proprio posto di lotta e di lavoro.

A noi tocca ora di vedere come essere efficienti senza metter su nessun comitato centrale.

Per rispondere alle esigenze di precisione, di qualificazione e di centralizzazione che la lotta di classe impone, è necessaria la DIVISIONE DI ALCUNI COMPITI a commissioni specializzate.

Il più grosso pericolo cui si va incontro è quello di rendere queste commissioni centri di potere; per evitarlo è necessario che le commissioni abbiano esclusivamente potere esecutivo nell'ambito di una linea politica tattica decisa ai congressi ed a cui le commissioni devono scrupolosamente attenersi.

Ci saranno così due tipi di commissioni:

  1. quelle "di servizio", cioè la commissione per le relazioni, la commissione per il finanziamento, quella per la stampa, quella per i simpatizzanti e quante altre in più o in meno ai congressi verranno ritenute necessarie;
  2. quelle "di lavoro", cioè la commissione sindacale, la commissione scuola, quella per i rapporti con le altre organizzazioni politiche e quante altre in più o in meno i congressi riterranno necessarie.

Un discorso a parte merita la commissione per le relazioni internazionali; discorso che verrà ripreso quando si affronterà complessivamente il problema dell'Internazionale Anarchica.

Le commissioni saranno formate da un gruppo di militanti della stessa provincia; il controllo sull'operato delle commissioni sarà operato da tutti i militanti e tutti i militanti parteciperanno attivamente e produttivamente al lavoro delle commissioni.

Ciò che non bisognerà mai creare è la "commissione politica", cioè una commissione che abbia come compito specifico quello di prendere decisioni politiche particolari in aggiunta o in cambiamento alla tattica decisa in congresso.

Sotto qualsiasi veste o forma questa proposta sorga, essa deve essere assolutamente rigettata perché è la negazione del significato stesso del comunismo-anarchico. Non è però difficile ipotizzare la necessità che in situazioni particolarmente "calde" della vita politica sia necessario prendere decisioni rapide ed efficaci che rendano possibile un'unità di azione e quindi una maggiore incisività della nostra organizzazione nella lotta di classe.

Una volta assodato che questo compito non può venire delegato a nessuna commissione, in quanto è assurdo che una parte dell'organizzazione prenda decisioni valide per tutti, l'organizzazione si crea il CONSIGLIO NAZIONALE.

Esso è formato da un numero limitato di persone scelte dal congresso sulla base delle loro dimostrate e provate capacità politiche; suo compito è quello di riunirsi in situazioni politiche particolarmente gravi ed emettere un comunicato politico ovviamente in stretta concordanza con la teoria, la strategia di fondo, strategia politica e tattica che serva da CONSIGLIO a tutti i militanti che LIBERAMENTE E SENZA NESSUNA IMPOSIZIONE sceglieranno di accettarlo.

Più i membri del consiglio nazionale saranno veramente dei compagni politicamente qualificati, più il loro comunicato sarà chiaro ed esplicito e motivato; più i militanti saranno maturi e più questo sistema funzionerà.

I congressi successivi serviranno a valutare l'operato del Consiglio Nazionale e a definire i suoi limiti e le sue possibilità.

V - L'ORGANIZZAZIONE DI SPECIFICO E LE DEVIAZIONI FONDAMENTALI

Questa parte della Strategia di Fondo rappresenterà la memoria storica della nostra organizzazione in quanto volta per volta che ci saranno, verranno qui annotate quelle deviazioni che oggi sulla base delle nostre esperienze non conosciamo, mentre è lecito pensare che possono esistere possibilità di deviazioni in senso NON COMUNISTA-ANARCHICO pur con tutti i chiarimenti di questa piattaforma. I compagni che entreranno a far parte della nostra organizzazione dovranno tener presente anche questo e cioè che all'interno di qualsiasi struttura politica, finché esiste il capitalismo, potranno nascere linee politiche provocatorie soggettivamente od oggettivamente, sia di tipo riformista sia di tipo avventurista.

Ricordiamoci che se diventare comunisti-anarchici in questa società può essere relativamente facile, continuare ad esserlo è molto più difficile ed è forse il compito più difficile che ci tocca, perché dovremo lottare contro il fascismo, la repressione borghese, le insidie del riformismo e soprattutto contro l'educazione e l'ideologia autoritaria che questa società ci impone.

 

(documento assunto al 1° Congresso della FdCA del 1985)