CAPITALISMO INTERNAZIONALE ED IMPERIALISMO

La rivoluzione capitalistica non è la stessa cosa della rivoluzione industriale. Il capitale ha operato un netto rivoluzionamento dei criteri con cui la società stabiliva la sua attività produttiva, con cui si formavano gli incentivi allo sviluppo produttivo. Sono state liberate nuove risorse economiche e nuove potenzialità nelle risorse esistenti. Con l'abolizione del criterio mercantile nello scambio e del rapporto servile nel lavoro, si tendeva ad abolire qualsiasi criterio economico basato soprattutto sulle ricchezze preesistenti in natura e inoltre si tendeva non più ad usare il lavoro umano in base alle sue autonome (e limitate) capacità, ma in base alla sua grande potenzialità sfruttata secondo criteri scientifici. Si divise la capacità esecutivo-manuale dei lavoratori da quella intellettuale, lasciando ad essi il possesso e il libero uso della prima e trasferendo la seconda ai gestori dell'apparato produttivo. Qualsiasi funzione intellettuale lasciata in possesso al lavoratore sarà sempre la parte necessaria a coordinare soltanto degli atti lavorativi la cui organizzazione generale sarà totalmente alienata dai lavoratori stessi.

Conseguentemente, il capitalismo ha creato due importanti fattori, fondamentali e qualificanti rispetto alla sua struttura essenziale, contraddittori come il suo sviluppo: 

Formalmente, la contraddizione della forma di valore (la moneta), quando essa sia legata ad un processo produttivo, è nella sua tendenza a rendersi autonoma dallo stesso. Prescindendo dall'analisi di tutte le articolazioni di questo enunciato generalissimo, una tendenza derivante da questa contraddizione è quella (congeniale alla natura stessa del capitalismo) a sottomettere sempre più il processo produttivo della merce al processo produttivo del valore, l'apparato produttivo fisico alla funzione leader del capitale in denaro, il legame fra crescita della produzione e sviluppo delle necessità sociali al legame fra sviluppo dell'apparato produttivo e necessità di sostenere una certa crescita del valore.

Per quanto riguarda il lavoro, la sua tendenza contraddittoria generale è quella di una ricomposizione di tutte le funzioni dell'attività lavorativa sociale. Dato che la funzione manuale è subordinata nettamente a quella intellettuale e genera un rapporto di sfruttamento, sono proprio i detentori della forza manuale di lavoro a tendere, contraddittoriamente al capitalismo, a riappropriarsi della funzione intellettuale.

A livello logico e storico, questi due fattori contraddittori sono strettamente collegati fra di loro.
Il valore, di cui i gestori dei mezzi di produzione capitalistici possono disporre liberamente ed esclusivamente, è il risultato della differenza del valore distribuito al lavoro manuale dal valore complessivo prodotto dall'azione del lavoro manuale con tutte le risorse produttive.

I modi reali con cui il plusvalore alimenta il processo di valorizzazione sono legati e determinati dall'uso che si riesce a fare della forza-lavoro subordinata, dalla differenza fra suo valore e valore prodotto, dal grado di produttività della forza-lavoro.

Lo sviluppo della contraddizione formale inerente all'entità formale del valore capitalistico (moneta) viene determinato storicamente dall'articolazione contraddittoria del fattore lavorativo manuale subordinato. 

Esistono due forme -omogenee ma non identiche- della contraddizione del lavoro manuale subordinato.

La prima riguarda direttamente lo stesso processo formativo del valore. Esiste un contrasto di fondo fra necessità di corrispondere sempre meno valore al lavoro manuale e necessità che sia assicurato, attraverso un certo livello salariale, un certo livello della domanda, per quel che riguarda la componente dei detentori del lavoro manuale.

Questa contraddizione diventa capitalisticamente insanabile per certi aspetti, ma capitalisticamente controllabile per altri aspetti.

Controllabile -se viene presa nei suoi lati più "tecnici"- con una precisa attività di programmazione del livello della domanda e dell'equilibrio fra i vari settori produttivi. Insanabile se la si mette in rapporto con la seconda grande contraddizione del lavoro subordinato: la tendenza dei lavoratori ad usare la politica, per trasformare la contraddizione vissuta nel momento produttivo in programma di ricomposizione sociale della funzione lavoratrice.
Il capitale ha instaurato un rapporto di dominanza nei confronti dei detentori del lavoro manuale basato non sul fato che le prestazioni della forza-lavoro vengono sottoretribuite in quanto tali, ma sul fatto che si costringono i lavoratori ad esplicare funzioni lavorative prive della funzione intellettuale (prerogativa naturale dell'attività umana) equiparate di fatto ai mezzi di produzione fisici non umani e retribuite in quanto tali.

Di conseguenza, qualsiasi contraddizione che emerga sotto la forma della sottoretribuzione della forza-lavoro tende naturalmente a svilupparsi in una visione politica di lotta alla divisione sociale del lavoro.

Condizione necessaria per le classi dominanti, per evitare che qualsiasi contraddizione inerente la forza-lavoro si politicizzi e trasformi la forza-lavoro in alternativa sociale storicamente determinata, è la divisione fra lotta economica operaia (in quanto sviluppo autonomo di contraddizioni immediate e aspetto parziale della contraddizione complessiva fra divisione sociale del lavoro e lavoro sociale) e lotta politica operaia autonoma (aspetto complementare alla lotta economica, nella contraddizione complessiva).

Dato che lo sviluppo del sistema capitalistico è la continua soluzione delle contraddizioni su elencate, esso per sopravvivere deve avere la capacità di risolverle organicamente e complessivamente.

Ne è risultato storicamente uno sviluppo basato sulla concentrazione del controllo sui movimenti dell'entità del valore (per soddisfare alla necessità di controllo complessivo del valore sull'apparato produttivo) e sulla lotta alla forza sociale del lavoro (attacco ad una linea politica autonoma e divisione materiale della classe).

Per procedere su questa strada, data l'alta potenzialità di razionalità programmatoria insita nel processo produttivo capitalistico e data la continua virulenza della lotta sociale e di classe, il capitale ha sempre dovuto assicurarsi una capacità reale di usare, per le sue necessità, le caratteristiche geografico-naturali e politico-storiche del mondo intero.

Lo sviluppo capitalistico è storicamente basato sui rapporti di forza. La sconfitta dell'economia feudale è avvenuta ad opera dei capitalisti nella misura in cui essi ingabbiavano in maniera ferrea la forza-lavoro. La crescita economica del capitale è basata essenzialmente sulla subordinazione continua dei detentori del lavoro manuale. I contrasti interni alle stesse classi dominanti si risolvono in termini di maggiore e minore potere.

Il criterio che determina la soluzione di tutte queste forme di contrasto capitalistico è il potere di gestione del plusvalore.

Il capitale ha dato una funzione precisa e specifica a due fattori storicamente molto importanti:

rispetto ai quali si è posto quale determinante principale.

L'apparato politico ha la funzione di costruire e gestire un corpo di ideologie che vadano a sostituire le linee politiche autonome delle classi sfruttate, ingabbiando le contraddizioni economiche nella struttura dominante. A tale scopo, l'evoluzione dei sistemi politici dominanti ha sempre assecondato i movimenti della struttura sociale dominante.

Del concetto di entità nazionale il capitale se ne è appropriato attraverso il suo apparato politico, assegnandogli due funzioni principali: quella ideologica di entità sociale a carattere interclassista e quella economica di delimitare un'area-base per lo sviluppo dei primi stadi del capitalismo. L'entità nazionale politica ha avuto, per molti versi, un suo sviluppo autonomo dal capitalismo. Quando è entrata in dialettica con esso, ne è scaturita tutta una serie di effetti alla cui determinazione il capitale ha contribuito in maniera preponderante e diversa a seconda dello stadio delle sue contraddizioni strutturali.

Ai primi stadi del capitalismo, i problemi inerenti a livello della domanda ed al suo rapporto con il livello salariale, al rapporto fra i vari settori produttivi, avevano tutt'altre proporzioni. Il motivo principale consisteva nel fatto che la struttura economica e politica delle classi subordinate era tale da permettere una grande elasticità nel suo uso e, di conseguenza, assorbiva molto le contraddizioni più legate agli squilibri di programmazione della produzione; inoltre la nascente struttura capitalistica non controllava direttamente tutte le risorse economiche disponibili, per cui effetti squilibranti nell'uso delle risorse già direttamente controllate, non si ripercuotevano allo stesso modo su tutte le risorse potenziali del sistema.

Lo sviluppo stesso del capitale ha esteso il suo controllo su tutte le risorse ed ha teso ad un uso maggiore del salario, anche in termini di sostegno della domanda. Questa nuova situazione ha determinato esigenze più urgenti rispetto alle contraddizioni strutturali del capitalismo ed ha cambiato nettamente la funzionalità delle entità nazionali.

Parallelamente, con la crescita delle forme dello scontro di classe e la tendenziale ricomposizione della lotta economica con quella politica anticapitalistica, nasceva la necessità di articolare sempre più le forme di controllo sull'organizzazione delle politica delle classi subordinate e, in seguito, gli strumenti di manovra conflittuale dei livelli salariali e del livello della domanda.

Assumendo lo scontro di classe connotati sempre più radicati nello sviluppo economico ed aumentando la necessità di razionalità rispetto alle scelte produttive, la forma principale del valore ha teso sempre più a rappresentare direttamente il capitale ed a porre in posizione di relativa subordinazione l'apparato produttivo vero e proprio.

Lo stadio imperialistico del capitalismo ha segnato la sua maturità. Esso è stato il risultato delle tendenze strutturali insite nel capitalismo fin dalla sua nascita. I suoi principali connotati hanno riguardato:

  1. concentrazione del controllo del plusvalore del sistema internazionale, sotto forma di controllo della sua entità generale (la moneta e la struttura finanziaria);
  2. necessità di una settorializzazione della forza-lavoro mondiale in base ai gradi di maturità politica ed alle forme con cui essa si pone nei processi produttivi specifici;
  3. necessità di un diverso uso delle entità politiche nazionali sempre meno corrispondenti alle aree d'azione reale dei grandi capitali, ma sempre più utili per mascherare ideologicamente questa situazione ed impedire la fusione fra scala internazionale integrata dello sfruttamento e coscienza politica internazionale degli sfruttati.

Lo stadio imperialistico non è derivato da avvenimenti esterni al meccanismo riproduttivo del capitale. Il collegamento fra stadio maturo del capitalismo ed internazionalizzazione esplicita del capitale deve trovare la sua spiegazione non in termini mercantilistici o puramente geografici, ma all'interno stesso del suo sistema produttivo specifico. L'internazionalizzazione esplicita del capitale ha assunto l'aspetto imperialistico nella misura in cui si sono instaurati rapporti capitalistici -cioè di potere- fra nazione e nazione.

Ma, dato che una nazione è soprattutto un fatto ideologico borghese, il suo uso continuato da parte del capitale, pur nel suo stadio internazionale, sta a mostrare -per molti versi- una funzione obsoleta rispetto alla realtà della struttura produttiva, ma funzionale al contenimento delle sue contraddizioni.

Quando il capitale ha industrializzato una zona o ha semplicemente soppresso in essa qualsiasi forma mercantilistica di scambio, non lo ha fatto come pura convenienza o come pura autodistruzione. Lo ha fatto per non fermare il suo sviluppo, per sviluppare le sue contraddizioni che richiedono una crescita tendenzialmente positiva del valore. Questo cammino non allontana né avvicina, di per sé, la distruzione del sistema, ma risulta dallo strettissimo intreccio fra necessità di espansione del valore ed azione distruttiva della crescente socializzazione della lotta di classe. Qualsiasi passo in avanti su questo cammino produce, da una parte, nuove forme di difesa dell'espansione del valore rispetto alle armi più recenti della classe rivoluzionaria, d'altra parte conferisce nuove armi potenziali alla classe rivoluzionaria.

E' assurdo immaginare il capitalismo come un sistema volto a considerare le sue contraddizioni tecniche e la lotta di classe come un incidente occasionale in quest'opera, in quanto così non si spiegherebbe perché le soluzioni usate dal capitale tendono sempre ad attaccare economicamente e politicamente la classe rivoluzionaria.

Storicamente il capitalismo ha iniziato con l'accumulo di ricchezze da immettere nelle sue industrie. Queste ricchezze sono state rastrellate in due modi principali.

Il primo è consistito nella messa in crisi delle forme produttive artigianali e del commercio mercantilistico. La crisi dell'artigianato agricolo ha fornito grandi riserve di forza-lavoro e beni salario di sostentamento a buon mercato; la crisi dell'artigianato manifatturiero ha fornito un apporto di forza-lavoro anche specialistica, ma più che una causa è stato un effetto dell'espansione della manifattura industriale.

Il secondo modo è consistito nell'accaparramento di tutte le risorse monetarie accumulate, dai grossi commerci internazionali, nelle banche. 

Impossessatosi di queste risorse, il capitale ha cominciato ad invadere i mercati con la sua merce. Malgrado questo, il meccanismo nuovo dell'economia aveva un rapporto con il mercato del tutto diverso da quello della economia dei mercanti. Quest'ultima, infatti, si era sempre basata sul fatto che una zona possedesse o producesse in abbondanza una merce che in un'altra zona veniva particolarmente richiesta. Il capitalismo si basava invece sulla diffusione totale dei suoi prodotti, fondando il suo guadagno non sulla scarsità dei prodotti, ma sulle capacità produttive, cioè sulla capacità di garantire qualsiasi prodotto in qualsiasi posto a chi potesse pagarlo.

In un certo senso viene quindi ribaltata la ragione stessa dell'economia mercantile.

A questo punto:perché la crisi dell'economia mercantile? Quali le ragioni di crisi dell'economia capitalistica?

La prima aveva teso ad esaurirsi per un preciso ordine di fattori fisici parallelo a motivi di ordine sociale, ma i fattori fisici avevano giocato un ruolo importante rispetto ai fattori sociali, incrementandoli per quel che riguarda la nascente borghesia industriale ed incentivandoli in maniera però meno specifica (dal punto di vista del processo produttivo), per quel che riguarda le classe subordinate. 

Infatti il mercantilismo aveva aperto una dinamica di scambio e di accumulazione delle ricchezze che tendeva a mettere in crisi l'economia feudale senza però fornirne una ipotesi produttiva alternativa. Lo scambio dei mercanti, essendo basato soltanto sui connotati fisici delle risorse in sé, aveva teso ad esaurirsi sia per non aver pronto un reimpiego produttivo alternativo di tutte le finanze accumulate, sia perché gli stessi connotati che conferivano ad una merce qualità di scarsità relativa avevano una vita fisica limitata.

Il capitalismo dava una soluzione a questi due grossi problemi. Esso aveva la capacità di essere sviluppo perché aveva dentro di sé i termini dello sviluppo economico. Il capitalismo, al contrario del mercantilismo, aveva bisogno di creare mercati e non di trovarli, perché non andava a cercare la merce ma la produceva. Il denaro poteva e doveva essere impiegato in un continuo allargamento della produzione e quindi in una continua penetrazione dei mercati.
Ma la rivoluzione industriale era stata una rivoluzione gestita e vinta socialmente da classi di potere in chiave di dominanza e non di uguaglianza.

La stessa forza produttiva dell'industria capitalistica era basata su un criterio fondamentale di alienazione sociale della forza-lavoro; adesso era intimamente connessa alla disparità di distribuzione del valore prodotto. Questa connessione non era però un risultato a valle del processo produttivo, ma la ragione stessa della produzione, nel senso che le forze della produzione capitalistica erano in mano a pochi che sostituivano con i loro interessi quelli dell'intera società. Quindi, anche se il capitale si espandeva abbondando in merci che invece scarseggiavano, questo non era legato al valore derivato dalle necessità di uso di una merce, ma dal valore che i capitalisti riuscivano a realizzare con una data merce. Questo valore si realizzava sul mercato, ma si formava nel processo produttivo. La vera espansione del capitale si realizzava infatti non in base alla vendita, ma in base ai margini di plusvalore ottenibili dallo sfruttamento dei mezzi produttivi, o meglio dal massimo sfruttamento della forza-lavoro. Il capitalismo ha quindi oggettivamente realizzato una sua forma specifica di identità fra rapporti sociali e rapporti di produzione (come forse era anche nella passata economia feudale).

Lo scontento sociale sarà, attraverso forme precise, un fatto intimo del funzionamento produttivo.

Le contraddizioni del capitalismo non saranno mai contraddizioni generate dal mercato, ma -nate all'interno del processo produttivo- investiranno tutti i momenti di realizzo del valore.

Nella misura in cui la forza-lavoro reagirà ai movimenti di organizzazione produttiva del capitale o prenderà l'iniziativa, tendendo a ricomporsi socialmente, diminuirà la capacità di sviluppo del capitale e sarà messa in forse la sua stessa esistenza.

All'inizio dello sviluppo capitalistico si assiste ad una espansione della sua merce sui mercati; prima su quelli nazionali, poi su quelli internazionali. I tipi di merce sono due: quella di consumo (si considera quello socialmente significativo per tutti o quasi gli strati sociali) e quella per la produzione.

I beni di produzione servono all'espansione dell'apparato produttivo, sia per produrre beni per il controllo politico, culturale e militare dei fenomeni sociali, sia per aumentare la produzione dei beni di consumo. I beni di consumo servono per gran parte al consumo delle classi subordinate. La classe subordinata detentrice della forza-lavoro ha una funzione produttiva ed una attività di consumo. Quest'ultima deriva dal valore che questa classe ottiene in cambio della sua forza-lavoro, quindi deriva dalla differenza fra valore dato alla forza-lavoro e valore complessivo prodotto.

Ora, maggiore è questa differenza, maggiori sono i margini di plusvalore. Il plusvalore, se in crescita, può servire ad espandere i beni di produzione e quindi altri beni di consumo e/o di produzione. D'altra parte, a misura che diminuisce la differenza fra valore corrisposto alla forza-lavoro e valore complessivo prodotto, aumenta la richiesta e capacità di consumo delle classi subordinate. Ma così, per espandere il consumo, serve più plusvalore. Qual è allora il problema del capitale?

Conseguire un rapporto dinamico fra valore corrisposto alla forza-lavoro e plusvalore, tale da equilibrare la produzione di beni di consumo e beni di produzione.

Questo sarebbe un problema tecnico se dietro i movimenti verso l'alto del valore dato alla forza-lavoro non si affacciasse continuamente la lotta sociale della classe subordinata.

Questa è la molla dei movimenti di salario, gli aumenti del salario sono spesso solo un effetto (spesso il meno importante) di questa dinamica sociale.

Il rapporto del salario con l'economia capitalistica è un rapporto sociale, per cui sia i capitalisti che i salariati sono capaci di atti autonomi sulla struttura economica.

Per questo l'equilibrio fra salario e plusvalore, beni di consumo e beni di produzione, è un fatto sociale e non meccanico e neanche unidirezionale.

A seconda del livello dello scontro di classe, i meccanismi di determinazione della produttività sono diversi e diversamente connessi, variano i livelli di consumo dei lavoratori e varia la necessità di produrre merci per il controllo politico, culturale e militare della società.

In seguito allo stadio della prima accumulazione, il capitale si è espanso sul territorio (nazionale ed in seguito internazionale). Le ragioni di questo allargamento sono scaturite non solo dalla necessità di vendere di più, ma dalla necessità di crescere mantenendo certi equilibri.

A questo scopo sono serviti e servono gli usi di nuovi mercati di consumo, di produzione, di diverse forze-lavoro, ecc. L'espansione non è mai stata un puro fatto di mercato, ma la differenziazione dei mercati è uno degli strumenti per articolare gli ambiti produttivo-distributivi complessivi.

Infatti, a mano che certi ambiti geografici sono arrivati ad un equilibrio produttivo-distributivo pericoloso per il dominio sociale del capitale, si è cercato di sfruttare equilibri (o potenziali equilibri) diversi, di altri ambiti geografici, integrandoli fra loro.

Il capitale non ha mai conosciuto altre frontiere che quelle derivate dalle sue contraddizioni frontali. Tutti i sistemi politici, culturali, etnici, geografici e militari sono sempre serviti a questi scopi.

In questo continuo processo di integrazione di ambiti con diverse connotazioni sociali (ambiti con una funzione produttiva individuata dagli equilibri su esposti), il capitale ha costituito interazioni sempre più complesse e basate su un continuo rapporto di dominanza fra capitale e lavoratori e su rapporti di interdipendenza organica fra i gestori dei vari ambiti sociali.

Quando un determinato ambito sociale si integra con altri meno avanzati, pone due premesse: una, nei suoi confronti, per risolvere le proprie contraddizioni con nuovi strumenti; l'altra, nei confronti delle realtà meno avanzate, per far nascere al loro interno nuove e diverse contraddizioni. Le posizioni sono ribaltabili, ma non reciprocamente, perché permane sempre un rapporto di dipendenza di tipo gerarchico, per cui ci sarà sempre in un qualsiasi sistema capitalistico di integrazione fra diverse realtà sociali, una scala di posizioni gerarchiche che permetteranno diverse possibilità di scaricamento delle contraddizioni reciproche e, quindi, di sviluppo.

Dal momento che ogni ambito sociale è individuato da un sistema di strati dominanti ed uno di strati dominati, diversi rapporti si instaureranno fra classi dominanti e classi dominate.
Il blocco delle classe dominanti è cementato socialmente dall'aspetto socialmente alienante del sistema alla cui sopravvivenza devono le loro condizioni di frammentazione.

In questo quadro, i contrasti di potere fra le classi dominanti vengono spinti dalla lotta dei lavoratori e, perché non riesca a compiersi l'unità sociale rivoluzionaria degli stessi, devono risolversi in redistribuzioni di potere interne al fronte capitalistico, che corrispondano ad una organizzazione dei vari ambiti sociali e produttivi, tale da rendere salvo il capitale complessivo dal livello complessivo della lotta sociale rivoluzionaria.

In questo senso si muove storicamente il capitalismo.

Le differenze delle contraddizioni vissute dalle varie classi dominate, derivate da diversi modi di sfruttamento, possono anch'esse seguire due strade. La prima, basata sulla divisione fra lotta economica sindacale e lotta politica alla società del capitale, porta ad un persistere della conflittualità su livelli sfruttabili dal capitale per la sua crescita e sopravvivenza. La seconda, basata sulla fusione fra lotta economica e lotta politica in lotta sociale rivoluzionaria, porta allo sviluppo complessivo dello scontro di classe come scontro fra due diverse società, all'appianamento dei contrasti interni al blocco dominante, allo scontro decisivo fra due parti così opposte l'un l'altra come omogenee ognuna al suo interno.

Questo è il quadro del capitalismo come sistema sociale strutturalmente sovranazionale. 
Conseguentemente alla esistenza dei sistemi nazionali, la definizione passa da struttura sovranazionale in sé, a struttura storicamente internazionale.

In seguito alla visione storica del capitalismo come struttura sovranazionale -formato da ambiti socialmente caratteristici integrati- e del capitalismo come struttura internazionale e plurinazionale, si arriva all'individuazione del carattere imperialistico del capitalismo.

Carattere che non costituisce un cambiamento qualitativo dello stesso, ma anzi individua una delle fasi storiche in cui esso esprime le sue tendenze strutturali.

Tendenzialmente, se l'imperialismo è legato ad una fase internazionale del capitale, si è nella prospettiva della graduale crescita e definizione di uno stadio più propriamente sovranazionale, segnato da un livello di contraddittorietà sociale via via più articolato.

La fase imperialistica del capitalismo è caratterizzata da uno stadio esplicito di rapporti di dipendenza fra i vari ambiti sociali capitalistici del mondo. L'imperio è il rapporto di forza fra ognuno di questi ambiti: rapporto di forza relativo fra le classe dominanti e assoluto fra le classi dominanti e classi dominate. Nella fase imperialistica, i sistemi statali nazionali corrispondono, in maniera pressoché totale, agli ambiti sociali, ma non ne hanno le identiche funzioni.

Il sistema di dipendenza fra vari ambiti sociali si basa su necessità precise del capitale, riguardanti il suo sviluppo, soddisfatte da vari livelli di funzionamento sociale. Vari livelli di sviluppo sociale sono componenti di un ordine gerarchico determinato in modi conflittuali. Determinato dal capitale, nel senso di una imposizione di gradi di sviluppo subordinati agli ambiti da cui è partita questa esigenza. Determinato dai movimenti politici delle classi subordinate che tendono ad uscire da questo ordine sconvolgendo la scala di esigenze e priorità capitalistiche.

Diversi sono gli strumenti usati dall'una o dall'altra parte in questo scontro. Gli obiettivi sono, da parte dominante, l'uso di una forza-lavoro internazionale totalmente assimilata al ruolo di strumento produttivo; da parte dominata, la ricomposizione sociale autonoma dei propri atti economici e politici. Di conseguenza, da parte dominante, viene usato -in fase imperialistica- qualsiasi strumento politico ed economico, culturale e militare, per mantenere ed articolare la divisione internazionale dei lavoratori.

I sistemi statali nazionali svolgono un ruolo fondamentale e polivalente in questo quadro.
Sono distinguibili tre tipi del funzionamento generale capitalistico dei sistemi statali nazionali. 
Il primo, politico-ideologico, tende a mantenere una divisione nazionale dei lavoratori internazionali ed a creare ideologie e politiche interclassiste e nazionalistiche all'interno di ogni ambito sociale.

Il secondo, economico, riguarda l'azione di coordinamento ed appoggio -finanziario, giuridico e strutturale- alla strutturazione specifica che il capitale attua in ogni ambito sociale.

Il terzo, militare, consiste nello strutturare il proprio apparato militare in base alle precise esigenze complessive di difesa del capitale internazionale, nei confronti dei processi rivoluzionari.

L'evoluzione del capitale internazionale, essendo contraddittoria, rende contraddittoria anche le posizioni dei sistemi sociali. Se, infatti, lo stadio imperialistico del capitale plurinazionale tende ad evolversi in una fase esplicitamente sovranazionale e quindi a-nazionale, nel corso di questa tendenza i sistemi statali si dibattono fra autonomia capitalistica reale dei sistemi nazionali e tendenza in atto ad essere completamente spogliati delle vecchie funzioni di tipo nazionale, per assumerne di tipo regionale.

Questa contraddizione si articola molto a seconda dei vari livelli della lotta di classe, perché il processo di formazione è sempre quello che, partendo dalle spinte rivoluzionarie delle classi subordinate, induce spostamenti nell'area del potere capitalistico.

Le azioni rivoluzionarie hanno un loro significato autonomo nei confronti delle strutture e sovrastrutture capitalistiche nella misura in cui si basano su un sistema di rapporti sociali radicalmente alternativo e totalmente incompatibile con esse. Quindi, a livello delle classi dominanti, queste spinte non agiscono ponendo direttamente delle alternative interne alla gestione capitalistica, ma costringendo la borghesia a rivedere e modificare le sue strutture e sovrastrutture per rintuzzare le azioni rivoluzionarie e prevenirle dove è possibile.

Per quanto riguarda i sistemi statali nazionali, le ragioni delle loro funzioni si rapportano diversamente allo scontro di classe. La funzione economica è legata più direttamente alle necessità del capitale, sia perché sarebbe un grosso errore quello di unificare strutturalmente le funzioni socio-produttive dei lavoratori internazionali, inducendo così forti processi di unità anticapitalistica, sia perché appare chiaro nei suoi disegni un uso strutturale di equilibri produttivi articolati, per dare grande elasticità al sistema produttivo internazionale, allo scopo di assorbire moti sociali attuali o potenziali.

Invece, le funzioni militare e politico-ideologica e la necessità di una loro differenziazione nazionale sono legate più direttamente all'andamento della coscienza rivoluzionaria delle classi subordinate. Questo perché è proprio il livello di questa coscienza che esige dalla controparte una risposta politico-ideologica tendente a deviarla in ambiti politici settoriali e a fronteggiarla con un'organizzazione militare -diversa per ogni ambito sociale- strettamente coordinata.

Infatti, rispetto allo scontro di classe, il capitale mostra di voler tenere la divisione di tipo nazionale delle strutture economiche parallelamente ad un crescente coordinamento centralizzato sovranazionale della strategia e delle diverse tattiche dello sfruttamento. Lo stesso si può dire delle strutture militari, ponendo l'accento sulle necessità di coordinamento stretto e permanente.

Per quanto riguarda le strutture politico-ideologiche, il loro eventuale processo di perdita di certe prerogative reali di autonomia nazionale deve tener conto delle condizioni della coscienza rivoluzionaria che richiede una frammentazione politica nazionalistica proporzionale alle sue potenzialità di crescita internazionale. Ma il capitale non è un blocco sociale perfettamente omogeneo, anche se è basato su interessi di fondo identici. Il processo d'internazionalizzazione del capitale passa dalla fase imperialistica proprio perché è nato in ambiti statali nazionali. La dialettica interimperialistica è basata proprio sull'incontro-scontro fra estensione sovranazionale delle funzioni del campo decisionale e del coordinamento del processo capitalistico complessivo, da una parte, e autonomie espansionistiche dei capitali che la realizzano, dall'altra parte.

In questo quadro c'è la contraddizione dei sistemi statali nazionali tra tendenza alla totale regionalizzazione e reali spazi di autonomia nazionale. Il significato di questo contrasto è dato proprio dal fatto che i sistemi statali sono collegati ai vari capitali e ne seguono le necessità fondamentali, soprattutto quando parte cospicua di una imprenditoria nazionale è di carattere pubblico.

Conseguentemente, lo scontro di classe ha spinto i capitali nazionali ad attuare un processo di internazionalizzazione e contemporaneamente determina le necessità, per il capitale, di tenere in vita certe strutture nazionali in quanto tali. Cioè, il processo d'internazionalizzazione delle funzioni complessive del capitale è composto dai movimenti espansionistici dei singoli capitali e da un continuo processo di alleanza-scontro fra questi.

I rapporti di forza intercapitalistici determinano rapporti interimperialistici fra stati nazionali a seconda del grado di legame fra ogni sistema statale e capitale più o meno forte. I rapporti interimperialistici fra gli stati non tendono a distruggere il processo capitalistico sovranazionale, ma a determinare i tempi e le modalità interne di evoluzione. La contraddizione determinata invece dalle classi subordinate influenza e subisce -nello stesso tempo- sia il sistema intercapitalistico che quello interimperialistico, come forme permanenti di dominanza assoluta nei suoi confronti.

La prima delle indicazioni strategiche di fondo si basa sul fatto che se ai suoi primi stati il capitalismo poteva essere sconfitto con una serie di atti rivoluzionari che ne colpissero lo sviluppo nei singoli ambiti sociali nazionali, riuscendo ad infierirgli colpi mortali nei singoli centri di sviluppo, oggi ed in futuro, invece, si tratterà di fare una lotta di lunga durata che punti ad un attacco rivoluzionario intergrato su scala mondiale.

Il carattere strutturalmente sovranazionale del capitale e le sue articolazioni economiche, politiche e militari nazionali sono state frutto di continue battaglie di classe: alcune forti e decisive, altre meno decisive. Fondamentalmente, il movimento internazionale dei lavoratori si trova in una situazione di sconfitta strisciante, perché non è stato ancora realizzato dal capitale un controllo tale da poter rivoluzionarie certi aspetti obsoleti delle strutture nazionali.

Sconfitta di vecchia data (2° dopoguerra), spuntata gradualmente dal persistere di focolai rivoluzionari in alcuni ambiti capitalistici maggiori e dal nascere di nuove opposizioni negli ambiti via via introdotti nel processo capitalistico complessivo.

La costruzione di altri focolai rivoluzionari e lo sviluppo di un processo rivoluzionario nell'attuale e nei futuri stadi del capitalismo mondiale si prefigura come un fatto diverso dal precedente processo rivoluzionario. Diverso nei modi di articolazione internazionale, ma uguale nelle forme sociali di contrasto.

Si dovrà instaurare un processo che, anche partendo da focolai nazionali, dovrà instaurare collegamenti internazionali organici in fasi di lotta sempre più anticipate, in quanto anche molte tappe parziali del cammino rivoluzionario sono e saranno misurabili su scala internazionale.

L'internazionalismo rivoluzionario è quindi una condizione non ideologica (né mai lo è stato) che si porrà in termini pratici via via sempre più anticipati, rispetto a tutte le componenti del movimento rivoluzionario.

I processi che hanno generato l'attuale strutturazione sociale del capitale mondiale sono basati sulla stessa contraddizione, insita nel ruolo del lavoro umano, fin dalla nascita del capitalismo.

Le attuali e future mosse e contromosse del capitale e dei lavoratori risulteranno e dovranno risultare da articolazioni di questa contraddizione principale, insanabile se non in termini rivoluzionari. Più precisamente, i capitalisti nel complesso si muoveranno sempre sulla linea di questa contraddizione principale, ma sarà loro cura far intendere al movimento internazionale dei lavoratori che i termini reali del contrasto sono cambiati.

Il primo passo da fare è quindi quello di vedere la necessità della lotta anticapitalistica in tutti quegli ambiti in cui la società è basata sull'alienazione del lavoro e delle sue funzioni. Alienazione che si ripercuote su tutti gli aspetti dell'organizzazione sociale (economici e politici).

Dovremo distinguere nemici da amici, sistemi controrivoluzionari da sistemi rivoluzionari, non basandoci sull'ideologia né sulle strutture statali nazionali, suoi principali supporti, ma dovremo operare una netta distinzione in base alle forme sociali attraverso cui si esprime la classe dei lavoratori (sia nel senso dell'espressione permessa, che di quella conflittuale).

Questo processo di conoscenza politica è fondato sulla priorità della conoscenza della struttura sociale rispetto alle forme ideologiche con cui il capitalismo la riveste.

Infatti, conseguentemente al fallimento dei primi atti rivoluzionari che avrebbero potuto sconfiggere il capitale nei suoi ambiti originari, solo a patto di organizzare le prime parziali vittorie nazionali su scala internazionale, i sistemi statali nazionali hanno acquisito forti cariche ideologiche mistificatrici dell'internazionalismo dei lavoratori. Questo per due motivi: l'uno riguardante la sconfitta politica dell'internazionalismo già manifestatosi, l'altro per premunirsi dal futuro collegamento internazionale dei movimenti rivoluzionari, inevitabile in previsione dello sviluppo del capitale. E' necessario quindi che le forze rivoluzionarie non ripetano i vecchi errori.

Noi non accetteremo nessun tentativo di giustificazione puramente politica o puramente economica di una realtà che, interpretata socialmente, lo contraddice.

Vedremo lo sfruttamento sociale in tutti quegli ambiti nazionali in cui il sistema si basa sull'alienazione della creatività del lavoro alla classe dei lavoratori e sull'alienazione delle decisioni sociali ad una società di eguali.

Ogni sistema, basato su processi sociali alienanti in questo senso, dev'essere considerato oggettivamente integrato nel sistema capitalistico mondiale. Le sue classi dominanti devono essere considerate soggettivamente integrate in questo sistema e quindi nemiche esplicite della rivoluzione sociale.

La lotta rivoluzionaria internazionale dovrà combattere due facce dello stesso nemico: la realtà oggettiva del sistema di sfruttamento e le forme mistificatorie di questa realtà, funzionali ad essa nella divisione sociale della classe rivoluzionaria. Il respiro che devono assumere le lotte economiche dei lavoratori deve tendere ad allargarsi e coordinarsi su scala internazionale. Su queste basi solo in alcuni casi (maggiori gruppi capitalistici) si attua un immediato collegamento. Il problema è più complesso per quel che riguarda il collegamento oggettivo e non soggettivo fra diversi ambiti produttivi nazionali. In questi casi, che corrispondono alla generalità del problema, sono praticabili tre vie progressivamente più ampie.

La prima è quella dello sviluppo di una coscienza politica internazionalista di quegli strati di lavoratori impiegati in gruppi capitalistici soggettivamente multinazionali. Il mezzo è quello del collegamento fra lotta economica e coscienza politica.

La seconda via è quella dell'estensione, all'interno delle varie classi lavoratrici nazionali, della coscienza politica internazionalista acquisita dai lavoratori multinazionali del luogo. Il mezzo è quello dell'unità politica di tutti i lavoratori nazionali, realizzata attraverso temi di lotta comuni specifici di quell'ambito sociale nazionale.

La terza via è quella del coordinamento politico dei lavoratori dei vari ambiti nazionali, con lo scopo dichiarato della solidarietà di classe internazionale. Il mezzo è quello di lotte comuni, o comunque coordinate su obiettivi comuni, costituiti da una comprensione politica delle manovre capitalistiche tese ad isolare e colpire i lavoratori in base alle necessità di sfruttamento articolato.

Queste vie non sono autonome l'una dall'altra né alternative, per cui l'azione delle forze rivoluzionarie dovrà tendere a comprenderle tutte, rapportandole tra loro in base ai livelli dello scontro di classe, della forza e della coscienza dei lavoratori.

Su questa strada si devono combattere i sistemi statali nella loro triplice funzione.

Quella economica va combattuta nella misura in cui avvalla le forme peculiari di sfruttamento, che vengono man mano assegnate al sistema nazionale, nella dialettica di potere interna al capitalismo internazionale. Si tratta di combattere e smascherare tutti i momenti in cui lo Stato appoggia e collabora economicamente con questi processi, e tutti i momenti in cui usa mezzi finanziari per appoggiare il capitale e/o per deprimere le condizioni di vita dei lavoratori. Questa funzione è fondamentale per la realizzazione delle condizioni di sfruttamento articolato su cui si basa il capitale internazionale.

La funzione politico-ideologica ha due scopi: il primo è di avvallare politicamente l'azione economica ed i suoi scopi; il secondo è di creare una deviazione negli obiettivi di lotta del movimento rivoluzionario. Lo scopo è quello di spostare questi obiettivi dalla transizione internazionale al comunismo-anarchico, alla conquista di posizioni egemoniche nello sviluppo sociale nazionale; ancora: identificando queste posizioni egemoniche con un ricambio della gestione politico-ideologica della struttura capitalistica. Questa azione è legata all'evoluzione delle capacità di controllo del capitale internazionale sui lavoratori della singola nazione, così che un ricambio della gestione politica di quell'ambito specifico viene legato al maggior grado di mistificazione operato nei confronti del movimento dei lavoratori del luogo.

La funzione militare deve essere combattuta a livello nazionale ostacolandone la ristrutturazione in base alle esigenze del capitale internazionale ed attuando lotte internazionali contro l'operato degli eserciti nelle singole nazioni. 

Infatti la risposta ad un apparato strettamente coordinato a livello mondiale deve avere lo stesso respiro del nemico che si vuol bloccare e colpire.

Questi processi configurano la formazione di una forza rivoluzionaria mondiale con funzione di organizzazione politica e di organizzazione di massa.

A tale scopo vanno realizzati, attraverso la strategia su esposta, collegamenti sempre più organici fra organizzazioni rivoluzionarie internazionali e fra organizzazioni di massa libere dal controllo delle classi dominanti.

Oggi l'imperialismo è tutto il sistema articolato di dipendenze su cui marcia il capitalismo internazionale.

Storicamente ci troviamo alla presenza di blocchi dominanti che regolano per gran parte il funzionamento dello sviluppo internazionale della lotta di classe nel mondo.

Questi grandi blocchi dominanti basano la propria forza su un sistema articolato di dipendenza in cui variano ampiamente le forme di subordinazione dei vari sistemi nazionali e geografici dipendenti; ciò non vuol dire però, che con il raffinarsi delle forme di dipendenza, diminuisca l'importanza che tale rapporto ha per il paese dominante. L'importanza politica che assumono queste differenziazioni è molto grande. Esse determinano infatti diverse forme di sfruttamento, di strutture politiche e di formazione del consenso alla borghesia.

Di riflesso, con queste variazioni, variano anche le strade che può prendere lo sconvolgimento determinato da un movimento di classe tendenzialmente anticapitalistico. Qui ci si deve riferire ai modi con cui le forze della socialdemocrazia storica collaborano per incanalare le forze per la transizione al comunismo nella dialettica di uno spostamento di poteri tutto interno alla logica del capitalismo internazionale, alla logica dei blocchi imperialisti.

Noi ci troviamo a combattere l'imperialismo come sistema di dipendenze, che rimanda le lotte proletarie dei paesi subordinati alla lotta antimperialista internazionalista. Oggi le lotte proletarie dei paesi dominanti hanno bisogno oggettivo che le borghesie di questi paesi vengano attaccate anche dai proletari delle zone sulla cui dominanza si basa grandissima parte della forza di queste classi dominanti. Non esistono quindi paesi capitalistici totalmente non dominati e non dominanti: non esistono capitalismi indipendenti e soprattutto non esistono transizioni al comunismo che non si estendano come tali al quadro internazionale.

Sono utopie molto pericolose e pericolosamente vicine tra loro, quella di un capitalismo nazionale pulito, progressista e indipendente e quella del socialismo in un solo paese.
Il fatto che la tendenza storica dei capitalisti sia quella di concentrarsi superando le vecchie frontiere nazionali, avvalora il quadro finora delineato. Il fatto che i centri nevralgici della struttura produttiva capitalistica tendano sempre più a concentrarsi come controllo sempre più centralizzato del rapporto consumi-investimenti e di tutto quello che ne deriva, avvalora la tesi dell'imperialismo come forma storica del capitalismo e come sistema articolato e differenziato delle dipendenze.

Le conclusioni politiche portano inevitabilmente a soppesare la gravità di un controllo sempre più coordinato dei sistemi politici ed ideologici nazionali, degli apparati repressivi nazionali ed internazionali.

La gravità e l'ambiguità delle teorie del socialismo nazionale non sono alle nostre spalle.

La corretta linea rivoluzionaria vede nella lotta per il comunismo una lotta antimperialista e internazionalista. I rapporti imperialistici di dipendenza sono una solida ragnatela di potere, che non può subire cedimenti in nessun punto. Se questi cedimenti sono causati dalla lotta di classe organizzata, l'imperialismo provvede a ricucirli inesorabilmente, a meno che non siano generalizzati a tutta la ragnatela; in tal caso non si sarà che un affannoso tentativo di rattoppare una struttura in disfacimento.

Il dato politico fondamentale che ricaviamo da tutto ciò è che non si può più parlare (se mai lo si è potuto fare) della possibilità di avviare un processo di transizione al comunismo in un solo paese, senza mettere in moto delle contraddizioni decisive a livello internazionale. Bisogna essere pronti a gestire organicamente, in modo rivoluzionario, queste contraddizioni legate fra loro; altrimenti la reazione dell'imperialismo può avere buon gioco su delle forze oggettivamente isolate e, in ogni caso, non legate al proletariato rivoluzionario di tutto il mondo.

(documento assunto al 1° Congresso della F.d.C.A. del 1985)


A partire del 7° Congresso FdCA del 1 ottobre 2006, questo documento cessa di far parte delle tesi di Strategia di Fondo della FdCA, essendo sostituito da: Capitalismo internazionale.