71° Consiglio dei Delegati della FdCA

Pesaro, 25 gennaio 2009

presso la sede Unicobas in Via Scialoia 66

Documento finale

 

Affrontare la disoccupazione e la repressione con una stagione di rivendicazioni e di lotte auto-organizzate nelle fabbriche, nel territorio, in tutta la società

 

Il 2009 si apre con l'avverarsi delle temute conseguenze della crisi finanziaria sulla cosiddetta economia reale: crollo del credito, crollo della domanda, crollo della produzione, cassa integrazione e licenziamenti, precarizzazione occupazionale e sociale sempre più diffusa (il 12% degli occupati a settembre 2008 in Italia, si stima in 1 milione i posti di lavoro sacrificati).

Che le crisi finanziarie si sviluppino, dal punto di vista cronologico, prima di quelle della produzione, porta all'illusione che esse ne siano la causa mentre non ne sono che l'effetto, anche se, ovviamente, l'effetto a sua volta reagisce sulla causa, aggravandone le conseguenze.

E' da due decenni che in molti paesi dell'occidente, a cominciare dagli Stati Uniti, i salari reali diminuiscono, che si assiste a un reale impoverimento delle classi lavoratrici e ad una concentrazione della ricchezza in poche fasce privilegiate. Si è cercato in tutti i modi di accrescere i consumi con la vendita a credito per ogni tipo di bene, con i mutui per le case. E più il reale potere d'acquisto dei salari di buona parte della popolazione era modesta, più col credito si dava a tanti l'illusione del benessere, condannandoli a una spirale prestito/debito fatta di schiavitù verso le banche e le agenzie finanziarie. Questo stato di impoverimento salariale e di forte indebitamento sul reddito (il 48% in Italia) ha provocato un indebolimento della capacità di lotta dei lavoratori, i quali - ostaggio del bisogno di reddito - temono per il proprio posto di lavoro. Dal crescente squilibrio tra la capacità di consumo reale della popolazione e la capacità produttiva, americana o di paesi esportatori nasce l'enorme debito su cui si è formato un fantasmagorico castello finanziario.

La crisi economica, diventata recessione, ricade dunque sulla sua origine e mette a nudo quelle scelte fatte dal capitalismo che hanno caratterizzato l'attuale fase neoliberista di subordinazione della forza-lavoro e di massima estrazione possibile di profitti dal suo sfruttamento:

Ora gli Stati, del tutto conniventi con le loro politiche generalizzate di tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni dei servizi sociali, cercano di "governare" la crisi, elargendo miliardi di dollari e di euro alle banche ed alle istituzioni finanziarie, ma appaiono del tutto riluttanti a ri-mettere in campo politiche di tutele e protezione sociale che possano espandere il debito pubblico o rilanciare la domanda; preferiscono piuttosto "governare" la diffusione della precarietà e della povertà con le dure repressioni che stanno colpendo in diversi paesi le proteste e le manifestazioni dei lavoratori espulsi dalla produzione. Le cosiddette politiche neo-keynesiane, se esistono, si collocano sul campo della produzione militare e della guerra endemica che trova le sue recrudescenze ora in Afghanistan, ora in Pakistan, ora in Palestina con grande strage di popolazione inerme e distruzione di risorse. Oppure si collocano sul campo del controllo, dello sfruttamento e della commercializzazione delle risorse energetiche. Entrambe facce spietate dell'imperialismo e delle sue articolazioni regionali.

In Italia, il governo di destra, che interpreta il potere esecutivo in modo totalitario, non intende procedere sulla strada di soluzioni di sostegno ai redditi, preferendo altrimenti la strada della carità, ma soprattutto si impegna nell'inasprimento di

Si apre un durissimo anno di lotta, in cui i colpi della crisi si intrecceranno con gli effetti delle scelte politiche fatte dal governo e di alcuni contratti di lavoro disastrosi, condivisi da alcuni sindacati collaborazionisti come CISL e UIL. La firma dell'accordo che sancirà le nuove condizioni e modalità della contrattazione per i prossimi 15 anni (con tutto quello che ne consegue in termini di annullamento del conflitto sindacale e degli organismi di base operai nei luoghi di lavoro); il progetto di innalzamento dell'età pensionabile; l'applicazione dei tagli sulla scuola pubblica, non potranno che rendere più difficili le condizioni di vita dei lavoratori che verranno espulsi dai luoghi di lavoro e che si troveranno, insieme a tanti loro compagni di lavoro già licenziati, in una situazione di precarietà che si annuncia irreversibile.

E' necessario fermare ogni forma di allontanamento dal luogo di lavoro di tutti i lavoratori/trici, italiani ed immigrati; è necessario non procedere alla cassa integrazione a zero ore; è necessario ridurre l'orario di lavoro per lavorare tutti, ma senza perdita di reddito; è necessario rifiutare ogni richiesta di straordinari o di flessibilità oraria che danneggi altri lavoratori; è necessaria una battaglia salariale per aumenti sganciati dalla produttività e che non si facciano schiacciare dalla bassa inflazione, recuperando il fiscal drag ed il carico fiscale sulle retribuzioni, per sostenere una domanda popolare legata ai bisogni materiali immediati ed alla esigibilità dei diritti fondamentali. E' necessario il controllo dal basso sulla contrattazione ed occorre vigilare contro il fascismo aziendale attraverso strutture assembleari nei posti di lavoro.

La crisi economica diffonde sfiducia ed individualismo, disorientamento ed isolamento; la crisi economica porta in grembo tentazioni dirigistiche ed autoritarie che si fanno realtà con politiche di emarginazione e di punizione che puntano allo sfilacciamento di qualsiasi forma di solidarietà, di lotta, di organizzazione, di reticolarità che partendo dal basso, si opponga ad ogni definitiva normalizzazione e possa fare a meno delle compatibilità capitalistiche.

Il movimento nelle scuole e nelle università ha dimostrato di poter restituire autonomia ed iniziativa di massa a strutture nate dal basso e radicatesi nei territori, tramite i comitati popolari e le reti. Questo movimento ha bisogno del protagonismo e della partecipazione degli attivisti anarchici perché mantenga tali caratteristiche nell'affrontare le ulteriori lotte che già si approssimano.

Il movimento dei lavoratori, in più di un'occasione, con scioperi generali o di categoria nell'autunno 2008, ha dimostrato di poter riprendere con forza autonomia e capacità di mobilitazione, sostenuto dalla CGIL (trascinata dalla sua anima conflittuale) e dal sindacalismo di base; ma ora - in vista dello sciopero del 13 febbraio - ha bisogno di una solidarietà ancora più grande e di una mobilitazione ancora più ampia a fronte della stessa ampiezza della crisi economica.

Occorre costruire dal basso un movimento contro la precarietà, che attraversi tutti i settori lavorativi, che si ponga come soggetto conflittuale e rivendicativo nel territorio e nella società per ottenere il mantenimento dei posti di lavoro e le tutele sociali legate ai diritti fondamentali di vita e di cittadinanza, per sconfiggere la solitudine dei lavoratori espulsi dai posti di lavoro, per ricucire interessi collettivi e condivisi di fronte all'offensiva della crisi capitalistica.

Il movimento contro la guerra, sulla base dell'indignazione per la strage di Gaza, può riaprire una stagione di mobilitazioni e di lotte autogestite per la pace, per la smilitarizzazione, per il disarmo, per la ricostruzione di una coscienza diffusa dei mali insiti nelle politiche imperialiste (sfruttamento, guerre, distruzioni, terrorismo), e dei loro attori, per la demistificazione della guerra come volano dell'economia, per l'appoggio concreto alle iniziative anti-imperialiste ed anti-espansioniste, per la diffusione della solidarietà internazionale degli oppressi al di là delle identità nazionali, delle religioni, degli Stati.

Tali questioni sono ormai all'ordine dl giorno in moltissimi paesi europei e di altri continenti. La mobilitazione internazionale di massa ed al suo interno la presenza coordinata dei comunisti anarchici e delle loro organizzazioni politiche è auspicabile e praticabile per

rilanciare la democrazia di base e dal basso, la democrazia diretta nei nostri paesi, la difesa e la creazione di spazi collettivi di base, autogestiti e di decisionalità nel territorio e nei posti di lavoro, dove radicare la lotta anticapitalista e costruire l'alternativa libertaria alla barbarie della crisi scatenata dal capitalismo e dagli Stati.

Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

25 gennaio 2009