L’UNIONE FA LA FORZA

 

Nell’era della guerra globale e preventiva gli uomini e le donne della terra vivono ingabbiati in uno stato di “terrore permanente”. La globalizzazione capitalistica, con la distruzione delle economie locali, costringe masse crescenti di diseredati all’esodo forzato: la fame e la guerra accompagnano e segnano il “Nuovo Ordine Mondiale”.

Milioni di migranti che fuggono dai loro paesi di origine inseguendo il sogno della “terra promessa”, un occidente  che sia  una vita più dignitosa, e trovano recinti e fili spinati,  con l’incubo dei charter del rimpatrio, resi invisibili dalla clandestinità.

Milioni di persone trattate come schiavi,  che cercano di risalire una spirale dannata  che dalle mani della malavita,  li porti, irregolari, a rinforzare i circuiti del lavoro nero e dell’economia sommersa, gli consenta di svolgere via via i  peggiori lavori, con paghe da fame e senza alcun diritto, nella speranza di una sanatoria, ennesimo “pizzo”  da pagare  allo Stato, se non ad altre organizzazioni criminali,  per tornare ad esistere.

Milioni di persone che, arrivate nell’opulento occidente, scoprono di non essersi lasciate alle spalle miseria e sfruttamento. E milioni di  donne migranti, poi,  sulle cui spalle si scaricano in più anche le contraddizioni create dai rapidi cambiamenti sociali e culturali che attraversano l'occidente, dal lavoro di cura  alla richiesta di prostituzione e di mogli “tradizionali” ad uso e consumo di uomini incapaci di reggere un  confronto paritario.

E se la guerra  è una delle cause principali di questi esodi, la paura di invasione e il senso di assediamento di una Europa che si è fatta fortezza alimentano il razzismo e le politiche discriminatorie che sono alla base dell’odio per il diverso, per lo straniero e sostanziano la guerra stessa contro il nemico esterno.

Ma il “terrore permanente” non è solo una condizione della guerra globale, esso è intrinseco alle società in cui viviamo, è espressione di un rapporto di dominio prodotto dall’affermarsi delle leggi del mercato capitalista.

Questo dominio oggi si concretizza attraverso una selvaggia aggressione alle condizioni materiali di milioni di lavoratori e lavoratrici, che si vedono dimezzare il potere d’acquisto dei propri salari e sono costretti ad accettare condizioni di lavoro sempre più precarie e deregolamentate, con l’attacco alle condizioni dei pensionati e  la privatizzazione dei servizi sociali primari (sanità, scuola, ecc.).  

Dentro questo quadro, dove le politiche del governo di centro-destra si fanno sempre più aggressive ed autoritarie, la risposta non si è fatta attendere e cresce e si diffonde la conflittualità sociale che gli apparati repressivi dello Stato cercano di contenere attraverso la criminalizzazione delle lotte.

In questa fase acquistano ancora più importanza le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici  migranti che si devono coniugare con le lotte di tutti i lavoratori e le lavoratrici del nostro paese per rivendicare più diritti per tutti: diritto alla libera circolazione oltre i confini e le frontiere, diritto alla casa, ad un lavoro ed un salario dignitoso, diritto allo studio e ad una sanità pubblica e gratuita.

Per questo oggi i lavoratori e le lavoratrici migranti debbono uscire dal vicolo cieco delle politiche assistenzialiste e caritatevoli e farsi soggetti attivi, protagonisti della proprio riscatto sociale, soggettività politica. L’integrazione sociale passa attraverso la ricomposizione delle soggettività politiche che la classe lavoratrice esprime nelle diverse fasi dell’autorganizzazione degli sfruttati contro lo Stato e il capitale.

In questo senso, l’appuntamento del 31 gennaio può diventare una buona occasione per il rilancio dell’iniziativa antirazzista con l’obiettivo di trasferire dentro le contraddizioni tra capitale e lavoro le rivendicazioni di questa nuova soggettività, per la liberazione dallo sfruttamento capitalista e dallo Stato suo fedele servitore.

Le lotte che il Movimento dei lavoratori sta sostenendo in questi ultimi anni con sacrificio e determinazione non potranno raggiungere il pieno successo se non faranno proprie anche le rivendicazioni dei lavoratori migranti, anello debole del segmentato e gerarchizzato sistema di sfruttamento capitalista

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