Terzomondismo

 

Secondo le tesi terzomondiste -delle quali sia la "Teoria della dipendenza", sia la "Teoria dello scambio ineguale" possono essere considerate le piattaforme di lancio di tale teoria- una delle cause principali del sottosviluppo, della mancanza dello sviluppo delle forze produttive, è l'imperialismo per mantenere tali paesi in condizioni pre-capitalistiche.

Ciò credo non sia vero, in quanto l'imperialismo non impedisce lo sviluppo delle forze produttive e mantiene i paesi sotto la sua influenza in una fase precapitalistica, anzi aiuta a sviluppare le forze produttive, distruggendo le forze feudali e precapitalistiche, facendo entrare i paesi arretrati nell'orbita del mercato mondiale del consumo.

Si può certamente dire che l'imperialismo porta ad uno speciale sviluppo delle forze produttive: sviluppo deforme, unilaterale, limitato e per giunta lento a causa dell'assorbimento dei capitali da parte delle metropoli imperialiste, ma (in questa fase) non porta certamente sottosviluppo.

Che un paese possa avere uno sviluppo elevato e allo stesso tempo essere sottomesso all'imperialismo lo dimostrano gli esempi della Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Brasile, Messico, Argentina, ecc.

Viceversa possiamo vedere che i paesi più sottosviluppati con ancora forme economiche feudali e precapitalistiche sono rimasti quei paesi che sono stati quasi sempre privi di contatti con le metropoli imperialiste, come Afghanistan, Birmania, Nepal, Yemen, ecc.

Altro elemento che gioca a favore della necessità di sviluppo dei paesi del Terzo Mondo per gli interessi dell'imperialismo è la constatazione che il paese-guida dell'imperialismo (USA) esporta soprattutto articoli addetti ad aumentare la produzione (macchine, attrezzature e altri beni captali, in altre parole tecnologia) e prodotti per livelli di reddito elevati e in aumento (automobili, elettrodomestici e altri articoli durevoli).

Tale tendenza è confermata e incentivata dalle dichiarazioni di uomini chiave del sistema economico americano, come il presidente della National Association of Manufacturers(1) e Albert Hirschman, membro della direzione della Federal Reserve System(2). Inoltre gli Stati Uniti esportano anche notevoli quantità di materie prime come il cotone, il petrolio, il frumento, la farina, il carbone.

E' chiaro che l'imperialismo non è certo interessato a sviluppare le forze produttive dei paesi dipendenti, ma ad aumentare i profitti, tuttavia non può esistere elevato profitto senza un certo livello di sviluppo.

E' nota la tesi in base alla quale: "i paesi sottosviluppati tendono ad esportare materiale greggio e meno altamente lavorato, mentre importano materiale più altamente lavorato".

Tale posizione - (nazionalista di sinistra) che di riflesso ci dice che in tal modo l'imperialismo logicamente alleato delle oligarchie terriere avrebbe interesse a frenare l'industrializzazione del paese dipendente, perpetuando la sua condizione di importatore di prodotti manufatti e di esportatore di materie prima - era valida all'epoca dell'imperialismo inglese, ma a partire dagli anni '60 con l'arrivo dei capitali nordamericani l'antagonismo tra industrie nazionali e imperialismo è inesistente.

La decadenza del vecchio modello di imperialismo "anti-industrialista" è provocata dalla sostituzione dei monopoli del settore estrattivo -che sfrutta materie prime: miniere, petrolio, prodotti agricoli- con i monopoli dei beni di produzione industriale. I monopoli estrattivi -in particolare quelli che sfruttano il petrolio- sono effettivamente interessati a frenare l'industrializzazione dei paesi dipendenti, poiché questa richiederebbe l'uso delle stesse materie prime, necessarie per le industrie. E' per questo che i monopoli estrattivi sostengono i regimi politici più reazionari e si oppongono a ogni specie di nazionalismo borghese e riformista e industrializzatore.

Detto questo, possiamo ben vedere come l'imperialismo non è un blocco omogeneo di interessi, e per analizzarlo correttamente occorre saper distinguere tra le sue forme vecchie e nuove -esportazioni di prodotti manufatti e l'importazione di materie prime o l'esportazione di tecnologia per l'industrializzazione e investimenti nei paesi dipendenti sia nell'industria leggera che in quella di base- come anche tra i diversi gruppi effettivi di interessi a volte contrapposti che lo compongono.

Ed è in questo universo di conflitti che si va ad inscrivere la "rivoluzione islamica" dell'Iran. La "rivoluzione islamica" è, secondo me, niente altro che la ridefinizione (con aggiunta di altri fenomeni: religioso, sociale) dei rapporti di forza tra vari blocchi imperialisti o tra vari settori di uno stesso blocco, che tante volte stanno dietro le quinte di tante "rivoluzioni socialiste" e di tante "rivoluzioni nazionali".

Finora non si hanno abbastanza elementi per poter dire se ha vinto un blocco o un altro blocco, se ha vinto un settore o l'altro settore imperialista: si può solo dire che chi ha perso è stato il popolo iraniano.

E dipende da questo -cioè dalla predominanza dei vari settori di blocchi imperialisti- se il Terzo Mondo avrà uno sviluppo deforme o un sottosviluppo permanente, ma dipende di compagni rivoluzionari sia dei paesi del Terzo Mondo sia di quelli industrializzati (noi compresi) se tali paesi avranno uno sviluppo adeguato alle esigenze delle masse lavoratrici e delle masse diseredate.

TEORIA DELLO SCAMBIO INEGUALE(3)

La legge dello "scambio ineguale" consiste nello scambio di merci che contengono una minore quantità di lavoro, grazie all'alta composizione organica del capitale (maggiore tecnologia) dei paesi avanzati con merci prodotte con una maggior quantità di lavoro a causa della bassa composizione organica del capitale (bassa concentrazione tecnologica) nei paesi sottosviluppati. Come conseguenza di questo scambio di quantità ineguale di lavoro, i paesi avanzati fanno pagare l'eccedente salariale dei propri operai ai paesi sottosviluppati. Gli operai dei paesi avanzati possono godere di salari più alti perché la diminuzione di plusvalore è compensata dal plusvalore estratto ai paesi sottosviluppati, tramite lo "scambio ineguale". In tal modo l'operaio del paese avanzato trae vantaggio dallo sfruttamento del paese dipendente ed è quindi complice della borghesia, ha smesso di essere sfruttato da questa ed è diventato uno sfruttatore dei paesi dipendenti. Quando si afferma ciò, si applicano i rapporti di sfruttamento al livello di scambi commerciali tra due paesi, mentre in realtà i rapporti di sfruttamento si ritrovano solo a livello di produzione; per dirla più semplicemente: lo sfruttamento esiste solo tra proprietari dei mezzi di produzione da un lato e lavoratori dall'altro, tra capitale e lavoro.

Gli operai dei paesi avanzati hanno salari più alti e lavorano un minor numero di ore perché l'alto livello tecnologico e l'efficienza aziendale (sic!) fanno sì che il lavoro degli operai sia più produttivo e, quindi, che si possa estrarre un saggio di plusvalore elevato. Il grado di sfruttamento dell'operaio non è nel suo livello di vita, ma nel plusvalore che si ricava dal suo lavoro.

La "teoria dello scambio ineguale" portata fino alle sue ultime conseguenze, insegna agli operai dei paesi dipendenti che il loro padrone è a sua volta vittima dell'imperialismo e quindi loro alleato, mentre l'operaio del paese imperialista è loro nemico perché si avvantaggia dello sfruttamento dei paesi dipendenti. Lo sfruttamento di un paese da parte di un altro serve a negare lo sfruttamento tra le classi. I benefici di questa teoria vanno, ovviamente, alle borghesie locali dei paesi dipendenti che riescono a persuadere le masse lavoratrici che la loro miseria non è dovuta allo sfruttamento di classe di cui sono vittime, ma allo sfruttamento nazionale da parte di un altro paese.

Altra affermazione terzomondista che si può smentire è l'accusa di imborghesimento che i terzomondismi fanno alla classe lavoratrice europea e nordamericana; a smentire ciò c'è il maggio francese, la rivolta negra e portoricana, il grande sciopero degli operai della General Electric del '69-'70 e lo sciopero selvaggio della Posta nel '70 negli USA, i grandi scioperi del Belgio e dell'Inghilterra, l'autunno caldo in Italia, ecc. Tutto questo dimostra che l'assopimento della classe lavoratrice europea e nordamericana è durata ben poco (fine della guerra - anni '60) e che i lavoratori dei paesi avanzati non sono completamente persi per la rivoluzione. Per cui solo la cooperazione e la coordinazione delle lotte dei lavoratori dei paesi avanzati come di quelli dei paesi sottosviluppati, attraverso l'internazionalismo proletario, possono far fronte e vincere il nemico comune: il Capitale Monopolistico.

Lorenzo Schiavone
Nocera Inferiore, settembre 1979 

 

NOTE:

(1): National Association of Manufacturers, equivalente della Confindustria italiana. Dichiarazione del Presidente: "Non vi può essere errore maggiore di credere che il nostro commercio d'esportazione dipenda dal ritardo economico di altri paesi. Il principale ostacolo che abbiamo nel commercio d'esportazione con l'America Latina è il basso potere d'acquisto della gente. Questo mercato non sta crescendo tramite l'aumento della ricchezza delle materie prime, ma tramite l'industrializzazione….I consumatori migliori non sono i paesi che producono prevalentemente materie prime, ma quelli che hanno sviluppato le 'industrie'". Da "Terzo Mondo, mito borghese".

(2): Federal Reserve System, organizzazione bancaria nazionale statunitense, coordinatrice delle azione delle banche dei vari stati dell'Unione; dichiarazione di Albert Hirschman, membro della Direzione: "…Al contrario di un paese come il Regno Unito, le nostre esportazioni consistono soprattutto in articoli adatti ad aumentare la produzione (macchine, attrezzature) o per livelli di reddito elevati e crescenti (automobili e altri simili articoli). Per queste ragioni, le nostre esportazioni non solo non sono minacciate dall'industrializzazione all'estero, ma al contrario guadagnano notevolmente con l'espansione della produzione e l'elevamento dei redditi in altre regioni dei mondo…". Da "Terzo Mondo, mito borghese".

(3): La "teoria dello scambio ineguale" è stata formulata dall'economista greco-francese Arghiri Emmanuel - considerato il Carlo Marx del Terzo Mondo - e seguito tra gli altri dall'egiziano Samir Amin e dall'argentino Oscar Braull.


(Già in "Crescita Politica", notiziario a cura dell'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica, n°2, anno II, ottobre 1979. Originale ciclostilato presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)