Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica

Linee politiche d'intervento dei Comunisti Anarchici per l'unità di classe, per un sindacato dei consigli, per un'alternativa autogestionaria della società

 

Questo breve documento nasce dalla necessità di dare come organizzazione una proposta organica di lavoro politico nella classe ai propri militanti.

Non pretendiamo di esaurire all'interno di questo documento i problemi che qui affrontiamo, ma solo di precisare quei contenuti che sono fondamentali per una strategia dei comunisti anarchici.

Partiamo ovviamente da un minimo di analisi della situazione attuale, cercando di essere il più precisi possibile.

Per una maggiore completezza di analisi cercheremo di sviscerare i problemi esistenti rispetto alla produzione, al lavoro industriale e al terziario. Va detto che a una fase di crescita dell'economia, che a caratterizzato la seconda metà del '78 a livello mondiale, sembra debba far seguito una fase recessiva di lungo periodo dovuta alle difficoltà dell'economia statunitense, difficoltà esportate sui mercati internazionali anche grazie al sistema monetario vigente.

Rispetto alla fase di stagnazione che si profila, l'Italia assume un comportamento anomalo, poiché si registra una crescita costante del Prodotto Nazionale Lordo e dei profitti, mentre fortissima è la caduta dell'occupazione "forte", cioè dell'occupazione industriale distribuita nelle grandi fabbriche. Di contro, cresce l'occupazione nel settore della piccola impresa e del lavoro a domicilio e cresce il lavoro nero.

In sostanza il mercato del lavoro in Italia, a partire dal '74, ha riacquistato una straordinaria fluidità sconfiggendo, attraverso la ristrutturazione produttiva e il decentramento, la rigidità imposta dalle grandi lotte alla fine degli anni '60.

Questo processo di ristrutturazione si è accompagnato all'introduzione di una nuova tecnologia con conseguenti aumenti dei ritmi di lavoro, eliminazione del mercato delle aziende più deboli, aumento progressivo dello sfruttamento.

La ristrutturazione è stata molto profonda nei settori tradizionali della produzione italiana, minacciati dai minori costi produttivi esistenti nei paesi emergenti; si sono ristrutturati il settore tessile e delle confezioni, il settore del cuoio, delle borse e delle scarpe.

Non tanto ci troviamo di fronte a nuove tecnologie o alla riconferma della validità delle piccole o piccolissime aziende, caratteristiche di questi settori, quanto ad accordi di produzione su licenza, di vendita di tecnologia o di "stile", che sta portando da un lato alla riunificazione finanziaria e direzionale delle aziende e alla nascita di grandi holdings, dall'altro allo sviluppo di una struttura produttiva diffusa sul territorio.

Meno globale la ristrutturazione nel settore meccanico, dove si avverte un ritardo soprattutto nel settore dell'auto, e per l'impossibilità di parcellizzare, oltre una certa misura, il ciclo produttivo e per le forti resistenze opposte dalla classe operaia all'aumento dei ritmi e dello sfruttamento (vedi le recenti lotte alla Fiat).

Si sono sviluppati nuovi settori produttivi, come ad esempio quello della robotica, mentre sempre più difficoltosa appare la ristrutturazione del settore chimico e petrolchimico.

Si ha così una situazione economica abbastanza rassicurante e, quel che più conta, strutturalmente avanzata rispetto agli standard internazionali per quanto concerne occupazione (o meglio suo ridimensionamento), lavoro precario e quindi mobilità, presenza sui mercati.

La felice posizione dell'Italia appare inoltre facilitata dall'ottimo andamento del settore turistico, che ha portato il paese a disporre di masse rilevanti di valuta pregiata, e dalla posizione della lira sul mercato monetario ultima, o quasi, moneta dello SME (nel senso del poco coinvolgimento del nostro paese nella politica monetaria europea) ed al tempo stesso importante settore dell'area del dollaro.

Questi fattori portano l'Italia a beneficiare della concorrenzialità del dollaro, grazie all'indice di svalutazione, ed al tempo stesso ad utilizzare la stabilità offerta dall'area del marco.

Il raggiungimento di questi nuovi equilibri è stato possibile grazie alla politica di unità nazionale, al contenimento qualitativo e quantitativo delle lotte, al punto che, malgrado momenti di lotta spesso duri, è calato notevolmente il potere d'acquisto dei salari, mentre l'inflazione ha provveduto ad un riaggiustamento costante dei profitti. Altro elemento favorevole all'operazione è stata la politica dell'EUR scelta dalle confederazioni sindacali. Inoltre essa è stata applicata solo come strumento di sostegno alla ristrutturazione e non lo è stata in quegli aspetti partecipativi che potevano sembrare suscettibili di sviluppi positivi (controllo degli investimenti, diritto all'informazione, ecc) per chi non ricordasse le sconfitte subite dalla classe operaia nei suoi tentativi di controllo dell'economia all'interno del quadro capitalistico.

In conclusione, sul piano dello occupazione e della struttura del mercato del lavoro, si registra una pesante sconfitta. Le caratteristiche garantiste della legislazione sociale vigente in Italia per effetto delle lotte, sono sotto pressione da parte padronale per essere modificate. Il ripristino della mobilità, l'attacco allo stesso diritto di sciopero ed alla libertà di picchettaggio (vedi vertenza giudiziaria FLM–Confindustria durante lo sciopero generale dei metalmeccanici della primavera estate scorsa), l'aumento del lavoro nero e precario, l'imbarbarimento delle condizioni di lavoro si sono accompagnati al crescere della sfiducia operaia per i contratti conclusi con risultati formalmente positivi, ma in realtà rivelatisi peggiorativi delle condizioni di lavoro e di livello politico. D'altra parte tali condizioni sono insidiate da attacchi globali: politica della casa, sblocco degli sfratti, politica fiscale mirante a colpire i contribuenti a reddito fisso, aumento dei prezzi, ticket sui medicinali, congelamento (rinnovabile per un anno) delle pensioni con la scusa della prossima riforma "egualitaria".

Tutto ciò ha prodotto la sconfitta elettorale delle sinistre ed ha generalizzato il clima di sfiducia, in assenza di reali soluzioni alternative. Ed è per dare corpo a queste soluzioni alternative che noi comunisti-anarchici, forti della nostra tradizione storica e delle esperienze fatte, dobbiamo darci una comune linea di intervento politico tra i lavoratori.

Ma questa linea, per essere praticabile, deve tener conto dei livelli di coscienza e di organizzazione della classe, in poche parole il livello di unità che la classe ha raggiunto.

Vedere quindi la classe operaia, dopo le grandi lotte del '68-'69, in una fase di riflusso, sia politico che organizzativo, incapace a rispondere in maniera adeguata alla fase di ristrutturazione capitalistica che punta ad una nuova organizzazione del lavoro nel territorio, attraverso l'uso massiccio della mobilità, del lavoro decentrato, del lavoro nero, ci dà la possibilità di fare delle scelte politiche discriminanti in merito.

Le stesse lotte degli ospedalieri e degli assistenti di volo, pur dimostrando una notevole omogeneità interna alla categoria attorno ad obbiettivi posti in maniera alternativa alla linea delle confederazioni sindacali, non sono riuscite ad uscire dalle categorie stesse, ma anzi hanno finito per isolarsi dalle altre categorie.

Ma la cosa si presenta ancora più complessa: con la rinascita dell'Unione Sindacale Italiana, ricostruita ufficialmente pochi mesi fa ad opera di una parte della Federazione Anarchica Italiana si crede di dare a queste categorie (soprattutto gli ospedalieri) e a tutta quell'area di opposizione alle confederazioni uno sbocco organizzativo.

Noi non crediamo ad un sindacato partorito da un'organizzazione politica e tantomeno ad un sindacato che sia espressione soltanto di alcune determinate categorie. Siamo quindi convinti che l'USI rappresenti solo un elemento di debolezza, di divisione e di isolamento all'interno del movimento operaio.

Non crediamo quindi alla possibilità attuale di realizzare forme di organizzazioni sindacali alternative alle confederazioni, perché si tradurrebbero inevitabilmente in uno scavalcamento delle reali esigenze dei lavoratori. Per questo abbiamo definito 3 punti fondamentali, dai quali si sviluppano le nostre proposte di lavoro di massa:

1. I comunisti anarchici e la loro organizzazione politica non definiscono come deve essere il sindacato, non solo per un rapporto che butta a mare i suoi principi, ma perché la classe si è sempre autodefinita.

Noi comunisti anarchici dovremmo proporre nei momenti unitari i nostri contenuti, riferiti alla crescita dell'unità di classe.

Si intende cioè che temi come l'azione diretta delle lotte non devono darsi finte coloriture anarchiche, ma forti spinte unitarie dai livelli più bassi dei Consigli di Fabbrica alle situazioni più allargate.
Con questo noi non ci neghiamo come comunisti anarchici, ma ci caratterizziamo invece per qualcosa di "solido".

2. I comunisti anarchici devono "tra loro" farsi carico di studiare e progettare momenti e proposte politiche da riportare nelle strutture e nei momenti unitari che già esistono. In tal caso occorre una forte maturazione politica, in quanto bisogna costantemente tenere presente il livello di coscienza politica in generale del paese, e in particolare della propria zona, per evitare spinte in avanti o rincorse affannose. La necessità che l'ORA arrivi ad elaborare una strategia politica che sia proponibile e praticabile appare dunque evidente. E' necessario quindi dar corpo a quelle proposte che storicamente ci caratterizzano ed essere capaci di inserirle nella situazione attuale come progetto di cambiamento graduale e rivoluzionario della società. Evidentemente per arrivare a questo occorrono delle fasi intermedie; non si tratta di lanciare periodicamente parole d'ordine eclatanti ma, seguendo i criteri costruiti di politicizzazione, presentarsi con un progetto politico chiaro e organico sul quale i lavoratori possano riconoscersi.

3. E' quindi una nostra necessità impellente definire i caratteri che l'organizzazione deve assumere e il supporto che essa deve dare a chi interviene politicamente tra i lavoratori e chiarire il ruolo che essa assolve come portatrice di un progetto politico di cambiamento, che ad altri livelli parallelamente viene portato avanti all'interno della classe.

Diversi compiti e diversi ruoli, quindi, ma complementari e indispensabili l'uno all'altro.

E' necessario operare sia all'interno dei Consigli di Fabbrica sia all'interno delle organizzazioni sindacali per arrivare allo sviluppo di un sindacato che sia sensibile ai problemi concreti dei lavoratori, e che ponga come sua base di lavoro la ricerca costante dell'unità della classe lavoratrice che si esplica soltanto attraverso la pratica delle lotte gestite direttamente dai lavoratori e la pratica della solidarietà operaia che rompa le barriere costruite dal capitale per dividere.

Se per ciò che riguarda la nostra partecipazione ai CdF non ci dilunghiamo, essendo le nostre posizioni in merito abbondantemente conosciute e praticate, con risultati molto soddisfacenti, da anni, rispetto al nostro inserimento nelle confederazioni occorre essere un poco più precisi.

E' chiaro che noi non condividiamo la strategia delle confederazioni che riteniamo sempre più pericolosamente interna alla logica capitalistica, ma riteniamo indispensabile nell'ottica di una creazione di nuovi rapporti di forza che sia necessario operare al loro interno; scelta che si impone per riuscire a ricucire un minimo di unità della classe lavoratrice, continuamente minata da spinte disgregatrici sia interne che esterne.

Un breve appunto: come comunisti anarchici ci interessa soprattutto la costruzione dell'unità di classe e la sua crescita. Non ricerchiamo la nostra affermazione come movimento politico nel camuffarci leninisticamente dietro sigle sindacali (di cui l'USI e i collettivi autonomi sono gli esempi classici più recenti), né sacrificheremo l'autonomia e l'unità della classe lavoratrice, unico metro valido per valutare la nostra affermazione.

Questa scelta assume un tono che è evidentemente strategico, articolabile già nell'immediato. Di fronte anche alla ristrutturazione organizzativa che soprattutto la CGIL sta portando avanti (ristrutturazione che vede l'eliminazione del livello provinciale e la costituzione delle zone legate direttamente a livello regionale) la nostra scelta sarà quella di incidere maggiormente a livello di zona in quanto è più possibile imporre legame e controllo da parte dei lavoratori. Per questo ci caratterizza come componente di base del Sindacato e ci si differenzia all'interno per una strategia alternativa di costruzione da parte dei consigli di un sindacato dei consigli.

Dare quindi maggior spazio all'interno dei sindacati dei consigli, fargli assumere un ruolo veramente dirigente, che per noi vuol dire togliere la gestione delle lotte di fabbrica e di zona ai funzionari sindacali e rimetterla nelle mani dei lavoratori è l'obbiettivo centrale che abbiamo come componente. Obbiettivo che andrebbe ulteriormente specificato e approfondito, anche se per ora ci accontentiamo di lasciare questo compito al dibattito che seguirà all'uscita di questo documento.


(Originale ciclostilato presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)