25 aprile: Resistenza nel Meridione e stato di diritto

 

Un tema come quello della Resistenza, in riferimento alla situazione politico-economica attuale e rispetto alla dimensione e alla qualità che ha assunto nel nostro Paese lo scontro di classe, non può ovviamente limitarsi agli aspetti rievocativi o celebrativi. Infatti in questo articolo non vogliamo fare una cronologia della guerra partigiana con riguardo particolare, come di consueto, al contributo del movimento anarchico (circa 30.000 partigiani anarchici), e nemmeno riaffermare la continuità della guerra partigiana, per quanto riguarda il tributo di sangue, di affanni e di sudore che dopo la Resistenza la classe lavoratrice ha continuato a versare al capitale; non che questo non sia vero, ma perché vogliamo invece mettere in primo piano per questa analisi 2 ordini di motivi:

1) inquadrare la lotta partigiana in una dimensione meridionale; cioè riaffermare la partecipazione delle masse meridionali (con le loro rivolte spontanee o organizzate, con la loro opposizione e resistenza ai vari governi succedutisi dalla caduta di Mussolini fino alla normalizzazione del '48, con il loro alto contributo di sangue), al progetto di cambiamento che il movimento proletario esprimeva in quegli anni.

2) Collegamento tra situazione reale oggi – ripresa economica fondata sulla pelle dei lavoratori, normalizzazione sociale basata sull'isolamento (spinto fino alla criminalizzazione) delle minoranze dissenzienti, crisi ed uso indiscriminato della "cassa integrazione", licenziamenti di massa, aumento dei prezzi con conseguente perdita del potere d'acquisto dei salari, tendenze generali della crisi dello Stato in quanto "Stato di diritto" e dei connessi meccanismi di legittimazione legale – e le cause che porteranno il fascismo al potere e la sua conseguente caduta per opera della Resistenza.

Lotta partigiana al sud

Questo recupero meridionale della Resistenza, come abbiamo già detto nella prefazione, è volto ad inquadrare la volontà di cambiamento delle masse meridionali – con caratteristiche di lotta tutte sue – nel più conciso e organico – se pur fallito – progetto di trasformazione rivoluzionaria che il movimento proletario esprimeva in quegli anni.

Nell'immediato dopoguerra e ancora tutt'oggi, ci hanno abituati ad associare alla spontaneismo rivoluzionario del proletariato meridionale ogni idea di opposizione alla nascente democrazia italiana. Gli esempi più significativi di tale spontaneismo rivoluzionario furono oltre alle "4 giornate di Napoli", – la prima città d'Europa liberata dal popolo in armi prima dell'arrivo degli anglo-americani – la protesta di Palermo che si concluse con uno spaventoso eccidio – 90 morti e più di 150 feriti –, l'insurrezione di Ragusa, che protestava contro la guerra ed il richiamo alle armi, anche questa conclusasi con uno spaventoso bilancio: più di 40 morti (dati governativi) e un numero imprecisato di feriti; e in tante altre città e paesi come Andria, Canosa, Palermo, Napoli, Messina. Molfetta, Carano, Bari, Potenza, Cerignola, Bisceglie, Caltanissetta, Campi Salentina e tanti tanti altri. Tali lotte, iniziate prevalentemente dai braccianti, si saldavano con le lotte dei minatori, dei ferrovieri, degli operai tarantini e del proletariato delle grandi città e formavano un grande e profondo movimento rivoluzionario che cercava disperatamente la trasformazione della società capitalistica. Tutto questo è la dimostrazione della non mancanza di contributo dei lavoratori del sud alla lotta rivoluzionaria, contributo rafforzato nel mezzogiorno dalla CGL "Rossa", con spiccate tendenze di classe, la quale fu boicottata e sacrificata sull'altare della collaborazione e dell'interclassismo dalle organizzazioni sindacali del nord e dai partiti "popolari" al governo in quegli anni.

Crisi dello stato di diritto e criminalizzazione delle opposizioni

Senza ombra di dubbio possiamo dire che il fascismo è il polo simmetrico ed immanente dello stato democratico. Questo oscillamento organico tra fascismo e democrazia ha un duplice vantaggio per la classe dirigente, uno è quello di non aver paura dello stato democratico, in quanto in ogni momento esso può trasformarsi nel suo contrario, un altro è quello di costringere la classe lavoratrice ad autolimitarsi entro lo stato democratico, finché si assolutizza questa forma di stato come la più perfetta forma di organizzazione sociale possibile, prendendo ogni autonomia rispetto alla borghesia e il suo compito disperato diventa quello di inchiodare la borghesia al suo stato nella forma democratica, cercando tenacemente di impedire che questa forma democratica si trasformi nel suo polo immanente, la dittatura fascista; compito che riesce finché le contraddizioni non superano quella soglia che rimette in discussione la sopravvivenza stessa del capitale, al che lo Stato getta la maschera e confessa la sua vera natura.

In Italia (non solo in Italia però) è successo un po' l'inverso, lo Stato sotto forma di dittatura fascista si sta dissolvendo sotto i colpi della lotta di classe, e subito cambia veste e prende nella rete dello stato democratico anche i più sinceri e convinti rivoluzionari, e così da tanto sangue versato e tanti sacrifici affrontati ne esce fuori un aborto di rivoluzione e di nuovo una vittoria per il capitale.

L'aborto della rivoluzione del '43-'48 fu chiamata Costituzione, ma possiamo ben vedere che non fu altro che un cappello nuovo su di un abito vecchio. La Costituzione non ha fatto altro che sovrapporsi al vecchio ordinamento liberale e fascista, senza mutarlo, tranne che al vertice della piramide. Al posto del re c'è il capo dello stato presidente della repubblica; al posto della camera dei fasci e delle corporazioni c'è il parlamento bicamerale eletto a suffragio universale e diretto; al posto del duce capo di governo, c'è un governo collegiale responsabile innanzi al parlamento; al posto del partito unico la libertà dei partiti. Ma al di sotto di questa nuova organizzazione del vertici del potere statale, tutto l'apparato pubblico si trasferisce pari pari dal vecchio al nuovo ordinamento. Restano in vigore i vecchi codici fascisti, sia quello penale che quelle civile; resta in vigore il Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1931, il T.U. delle leggi comunali e provinciali del 1934 integrato con quello del 1915, il regolamento penitenziario del 1931, l'istituto del prefetto, i tribunali militari, i patti lateranensi, ecc., ecc.

Via via tutto l'ordinamento liberale e fascista, sua nel suo aspetto istituzionale (di organi e uffici) sia nella sua parte normativa (di regole e funzionamenti), si trasferisce senza scosse dal vecchio al nuovo ordine costituzionale.

Questo stato democratico (per altro come abbiamo visto nemmeno tanto riuscito) sta ora vacillando sempre più sotto la spinta delle esigenze del capitalismo maturo. L'ipotesi che qui avanziamo è che la democrazia rappresentativa è ormai negli stati a capitalismo maturo, poco più che un fantasma ideologico, i principi tradizionali dello "stato di diritto" sono sempre più incompatibili con le esigenze del controllo sociale e della repressione poliziesca del dissenso politico. Subentrato al vecchio capitalismo automatizzato e concorrenziale, un capitalismo concentrato, monopolistico, statualmente assistito e garantito, ha segnato la fine dello stato soltanto "politico", cioè quale apparato di potere separato dalla società e deputato a mere funzioni di ordine pubblico. Lo Stato non è più semplice garante esterno delle leggi generali del mercato, esso diviene elemento di regolazione interna – strutturale – del processo di accumulazione capitalistica, e insieme uno strumento di tutela, di organizzazione e di controllo della forza-lavoro.

Così all'antica funzione di stato "politico" si aggiungono altre due forme: una economica: quella di assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema promuovendo direttamente la valorizzazione del capitale, promuovendo e risolvendone le crisi, razionalizzando e disciplinando le tendenze caotiche conflittuali e disgregatrici dei singoli interessi capitalistici; un'altra sociale: quella di neutralizzare l'antagonismo della classe lavoratrice mediandone i conflitti con il capitale, proteggendola dalla causalità del mercato, organizzandone l'integrazione corporativa, assicurandone la disciplina sociale e la lealtà politica.

Su tale trasformazione si sono inseriti i progetti riformisti del PSI – "programmazione globale" degli anni del centro-sinistra – e del PCI – "governo democratico dell'economia", "nuovo modello di sviluppo". Nella sua nuova proposta di compromesso storico si è inserito il progetto (appoggiato senza riserva, anzi con il contributo del PSI e PCI) del capitalismo maturo – ridurre sempre più gli ambiti di legalità dell'opposizione e criminalizzare ogni forma di lotta anticapitalistica.

Perciò, coscienti di tali sviluppi, è importante più che mai lavorare sodo e aver sempre più e più profonda attenzione alle vicende delle Resistenza e della lotta partigiana affinché in un domani forse non tanto lontano non si facciano gli stessi errori, sia politici che militari.

(Da "Il Punto", periodico dei comunisti anarchici per l'unità di classe, a cura dell'ORA, n°1, Bari, aprile 1981.)


(Copia originale del giornale presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)