Organizzazione Comunista Libertaria di Savona

organizzazione Specifica - Organizzazione di Massa

Sanremo, 1973

 

Sono ormai trascorsi quasi 200 anni da quando l'idea del socialismo nasceva nel pensiero e nell'azione dei rivoluzionari e, da allora ad oggi, l'evoluzione stessa del socialismo è passata attraverso filtrazioni, esperienze e revisioni che hanno inciso in larga misura sul processo storico moderno, sui rapporti di industrializzazione e, in diverse misure, sul processo di trasformazione culturale della società.

Benché la vastità geografica attraverso cui le idee socialiste son passate potrebbe indurci a tracciare una sintesi esaltante, il nostro compito di militanti rivoluzionari, prima ancora che di storici, deve farci constatare l'esatto bilancio del quadro storico in cui il socialismo si è mosso nel suo sempre più diversificato complesso e in misura sempre più astratta dalla coscienza dei lavoratori.

A partire da questa doppia considerazione si può altresì affermare, senza tema di smentita, che l'ascesa della corrente statalista, parlamentare e legalitaria a scapito di quella rivoluzionaria, coincide progressivamente col declino qualitativo della coscienza di classe e della partecipazione dei proletari alla lotta per la realizzazione del socialismo ed alla conseguente frantumazione dell'unità di classe mediante la ideologizzazione delle esigenze dei lavoratori.

Tuttavia tali affermazioni non sono sufficienti per determinare le ragioni e i torti storici che, a nostro parere, non stanno in modo netto né da una parte né dall'altra dei due iniziali e principali filoni socialisti, alla cui base esistevano già i sintomi della deviazione e del fallimento. Esse vanno suffragate, compiute ed estese dalla vastissima esemplificazione di cui la storia dei proletari fornisce un incontestabile repertorio; e ciò non altro che per stabilire, finalmente, una base strategica che, elevata per una altezza organizzativa, dia ai proletari, e dapprima a quelli più coscienti, un volume politico in grado di schiacciare il capitalismo e ribaltare i rapporti di potere nella società internazionale.

Alla base della presente trattazione, dunque, vi è uno dei principali nodi la cui mancata soluzione ha disatteso sinora le aspirazioni di globale rinnovamento permanentemente presente nella coscienza, o nella subcoscienza, dei lavoratori: la definizione conseguente del rapporto tra avanguardia e movimento di classe.

Noi pensiamo, sulla base dell'esperienza storica e di una analisi strettamente materialista, che il contributo libertario possa, in futuro, divenire sempre più determinante per sciogliere tale nodo solo però, se definiremo con serietà ed onestà rivoluzionaria i compiti ed il ruolo dell'organizzazione specifica comunista libertaria lasciando poi alle proposte ed al dibattito la strutturazione più qualificata per assolvere alle esigenze tratte da questa stessa analisi.

Soprattutto oggi, crediamo ciò necessario in modo particolare nell'attuale fase di sviluppo capitalistico, nel momento in cui l'urto di classe è stato sinora scongiurato, spuntando, limando e sbollendo la combattività politica della classe lavoratrice e trasformando la potenzialità d'urto in continua frizione mediata attraverso la superstruttura statale che il capitalismo si è data e che, giorno dopo giorno, tende a perfezionare ad ogni livello.

Due dati noi conosciamo con certezza: il primo è che il perfettismo socio-politico che le frange più avanzate del neo-capitalismo cercano di imporre con ogni mezzo è una equazione sempre più complessa che vive della sua stessa complessità, ma che altrettanto facilmente tende a squilibrarsi periodicamente nella crescente marea delle contraddizioni via via partorite e mai interamente superate.

Il secondo dato che noi conosciamo con certezza è la oggettiva, inalterata potenzialità rivoluzionaria che la classe-oggetto del potere contiene in sé e malgrado l'incentivazione alle de-proletarizzazione e all'individualismo cui è soggetta, essa mantiene le sue caratteristiche oggettivamente sovvertitrici proprio e solo in quanto non riesce ad essere soggetto di potere.

Se è pur vero che la fretta non è, oggi più di ieri, in grado di costruire positivamente il nuovo movimento di classe in ogni suo rapporto strategico, tattico ed organizzativo, sicuramente, però, è questo il momento di iniziare il processo di aggregazione e di omogeneizzazione rivoluzionaria della classe stessa nella quale il comunismo anarchico può determinare nella misura in cui - e non oltre - esso stesso è aggregato ed omogeneo.

Diverse sono le esperienze di realizzazione socialistica che si sono succedute negli ultimi 100 anni di storia e, benché nessuna di esse sia in sostanza riuscita a determinare un vero e duraturo stacco globale rispetto alla struttura dominatrice del capitale, tali esperienze nel loro complesso rappresentano un grande bagaglio di esperienza a livello strategico ed organizzativo, vive al punto che nessun colpo di spugna socialdemocratico ed opportunista riuscirà mai a cancellare nel ricordo e nella coscienza dei lavoratori.

Se non la prima, certamente la più luminosa di queste esperienze fu la Comune di Parigi del marzo 1871, esempio storico delle grandi capacità auto-organizzative di un popolo in armi che scopre spontaneamente la possibilità di autogovernarsi al di fuori dei classici schemi dello Stato, sia esso monarchico, bonapartista o repubblicano e che afferma la completa esigenza proletaria a costruire il comunismo economico nella libertà politica contro gli interessi di qualsiasi vecchia e nuova espressione della classe dominante.

La rivolta parigina ebbe il torto, di fronte alla storia, di cadere sotto i colpi di cannone del capitalismo senza riuscire a precisare i termini organizzativi idonei a costruire, espandere ed orientare la rivolta più generalizzata delle masse lavoratrici in mancanza del cui apporto globale, ai livelli politici ed economici di partecipazione, ogni rivolta è destinata a morire soffocata nel sangue stesso di chi l'ha mossa. Ma nel sangue ancor caldo delle migliaia di parigini assassinati per aver osato alzare le bandiere rosse della rivolta operaia contro i padroni ed i loro strumenti di repressione, bandiera che da allora a tutt'oggi per i libertari rimase listata a lutto, nacquero le premesse, poi cadute, per la costituzione della grande organizzazione internazionale dei lavoratori messa in crisi dalla polemica tra Marx e Bakunin.

Quali erano tali indicazioni? Sostanzialmente tre:

1. La necessità di unire tutte le forze proletarie sulla base di un programma strategico minimo, che faccia escludere dalla direzione del movimento l'ala radicale borghese o intellettuale la quale per sua naturale tendenza, spesso dettata anche da ragioni di ordine economico-individuali, mira a riassumere i ruoli dapprima avanguardisti ed ideologici e poi politici ed economici esclusivi che erano della vecchia classe egemone da abbattere.

2. La necessità di autonomizzare le esigenze di classe che esplodono in particolari momenti rispetto alle tendenze inquadranti dei ceti medi e parassitari e, per far ciò, di battere sul piano economico organizzativo l'efficientismo della produzione e distribuzione privatizzate accreditando e riempiendo di fiducia nelle capacità auto-organizzative della classe e negando, quindi, lo spazio al corporativismo.

3. La necessità di predeterminare organizzativamente gli agganci di classe con tutti i ceti proletari, cioè privi di potere, ai livelli territoriali più ampi per porre in difficoltà la reazione del capitalismo anche sul piano geografico oltre che, naturalmente, su quello politico, economico e militare.

Ed è a questo punto che, all'interno della I Internazionale, si aprono completamente tutte le contraddizioni già emerse negli anni precedenti la stessa Comune di Parigi.

L'abitudine, parzialmente falsata da una polemica volutamente calcata e più divaricata di quanto non fosse stata a quei tempi, ha fatto sinora ripetere a marxisti e libertari i temi della disputa tra Marx e Bakunin astraendoli dal contesto storico e politico, che essi analizzavano in modo non poco diverso, ed astraendola dai fattori astiosi che il tedesco e lo slavo, lo scientifico e lo spontaneo, il cattedratico ed il lottatore provavano l'uno per l'altro, entrambi leaders dell'Internazionale. In realtà, tra tutti i loro seguaci ed eredi, ben pochi si sono peritati di analizzare le divergenze effettivamente politiche che li dividevano e che troppo spesso si sentono dichiarate approssimativamente nelle errate qualificazioni di "super-organizzazione" e di "antiorganizzazione".

Un'analisi più approfondita e uno studio più vasto, invece, sui due grandi internazionalisti del secolo scorso mostra come al di là di una pressoché identica definizione dei problemi economici, e di una ugualmente sentita esigenza organizzativa, la vera ragione di reciproca diffidenza stava nella interpretazione differente che i due davano all'insieme dei rapporti intercorrenti tra l'avanguardia ed il movimento di classe. Un'interpretazione diversa, peraltro, e non opposta, da cui discendevano le due diverse analisi politiche ed organizzative che, nella prassi storica, si sono vieppiù divaricate e divise sino alle aberrazioni moderne dello stalinismo da una parte e della teorizzazione dell'impotenza, dall'altra. Ma gli stalinisti, gli impotenti o i castrati nulla hanno a che fare col socialismo: il loro campo d'azione, piuttosto, è il sado-masochismo in cui vogliamo lasciarli crogiolare ancora un poco.

Semplificando brevemente i termini della disputa, Marx riteneva di dover identificare le esigenze della classe nei sentimenti ideologici espressi dalla avanguardia rivoluzionaria e, con ciò, di poter attribuire a tale avanguardia un ruolo provvisoriamente dirigenziale rispetto al movimento.

"Se il proletariato... diventerà per mezzo di una rivoluzione classe dominante, e come tale sopprimerà con la forza le antiche condizioni di produzione, sopprimerà perciò le circostanze che rendono possibili i conflitti di classe, sopprimerà nel tempo stesso la sua propria dominazione, in tanto che dominazione di classe" (Marx-Engels, Il Manifesto del Partito Comunista).

E prosegue Engels in "Socialismo utopistico e socialismo scientifico":

"Il primo atto con cui lo Stato si costituirà realmente a rappresentante di tutta la società - la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della Società - sarà nel tempo stesso il suo ultimo atto come Stato; il governo delle persone lascerà il posto all'amministrazione delle cose".

Noi tutti potremmo anche essere d'accordo: ci devono però spiegare, i seguaci dell'avanguardismo moderno, come mai la supposta scientificità di questa teoria non le abbia mai permesso di realizzarsi e, qualora il passato fosse stato costruito con qualche errore, chi garantirebbe ai lavoratori che gli avanguardisti di oggi sono migliori?

Crediamo che al quesito, prima ancora che noi lo ponessimo, avesse già risposto Bakunin in quella che allora fu considerata una posizione facile, troppo semplicistica.

I lavoratori stessi, i proletari, sono gli unici garanti che sul loro sangue e sui loro sacrifici non si innalzerà un nuovo potere economico-politico oppressivo e repressivo quanto quello appena abbattuto: ma se, dunque, solo i proletari possono garantire se stessi - e la posta è troppo alta perché sia diversamente - gli strumenti organizzativi e lo spirito con cui l'avanguardia si rapporta al movimento di classe sono ben diverse da quelle che Marx, prima, e poi Lenin teorizzano e praticano.

Bakunin, invece, sostiene che l'avanguardia di classe, debitamente è parte integrante del movimento stesso, ed il suo specifico compito esclude che in qualsiasi momento essa possa assumere un ruolo diverso da quello di
propagatrice, coordinatrice e difensore della lotta rivoluzionaria in ogni istante della sua esplicitazione.

Anche i seguaci di Bakunin, a priori, dovrebbero spiegarci con quale garanzia l'organizzazione libertaria si fermerà, in un processo rivoluzionario, allo stadio promesso e non sarà tentata, invece, di costituirsi in un ruolo avanguardista ed esclusivo nella gestione del potere o di rifugiarsi nella sterile e battuta in partenza difesa dei propri interessi ideologici.

A questo punto, è la storia stessa che, con una lunga serie di esempi, risponde soddisfacendo assai più le premesse libertarie che non quelle avanguardiste.

Soprattutto, la storia e l'analisi che relativamente ne facciamo, esalta le tesi organizzative specifiche di Bakunin e di quanti, come lui, sono pervenuti alle conclusioni dualistiche dell'organizzazione stessa.

In sostanza, più nella prassi che nella teorizzazione, Bakunin sosteneva accesamente, quale condizione rivoluzionaria e quale garanzia di rapporto permanentemente libertario tra avanguardia e movimento, che la comunque accentuata strutturazione organizzativa si esprimesse in due momenti, entrambi politici e certamente corrispondenti tra loro che rappresentassero in ogni momento, il primo la certezza di coerenza strategica dell'avanguardia e, il secondo, la continua verifica ed il costante perseguimento di quella stessa strategia a livello di massa.

L'insieme inscindibile dei due momenti, la cui esistenza è innegabile sul piano della constatazione materialistica, crea il rapporto dialettico e permanente tra i militanti e la classe, il movimento.

Solo in questa interpretazione oggettiva di Bakunin si può spiegare la formazione dell'Alleanza della Democrazia Socialista all'interno della più ampia e generica Associazione Internazionale dei Lavoratori in cui, i presupposti di una organizzazione specifica, l'Alleanza, composta dai fratelli internazionali, non voleva per nulla significare un tentativo scissionistico, come sosteneva Marx al Congresso dell'Aja del 1872, ma un preciso impegno a rafforzare ed unificare la stessa Internazionale in senso rivoluzionario preservandola dalle nascenti influenze ideologiche trade-unioniste e socialdemocratiche.

Da qui l'Internazionale e l'Alleanza, qualunque siano i nomi che vengono dati a queste due gradazioni armoniche che costituiscono l'adesione e l'azione socialista (Max Nettlau - La Anarquía a travérs de los tiempos).

Lo stesso Errico Malatesta scrisse che "... vogliamo attraverso un'azione cosciente imprimere al movimento operaio la direzione che ci sembra migliore, contro coloro i quali credono nei miracoli dell'automatismo e nelle virtù delle masse lavoratrici.

Bakunin sperava molto nell'Internazionale, però creò tuttavia l'Alleanza, un'associazione segreta con un programma ben determinato - ateo, socialista, anarchico, rivoluzionario - che fu davvero l'anima dell'Internazionale in tutti i paesi latini e diede ad un filone dell'Internazionale il suo impulso anarchico, come, d'altra parte, i marxisti diedero un impulso socialdemocratico all'altro filone..." ("Volontà",
1914; cfr "Le Reveil", Ginevra 7 maggio 1914).

Fu su questi motivi che avvenne dunque la prima grave frattura all'interno del movimento socialista nel 1872.

Dal 1872 ad oggi, organizzativamente divise, le due basilari tendenze si sono spesso incontrate e scontrate ogni volta che la volontà rivoluzionaria ha coinciso con momenti di crisi o di debolezza del capitalismo e maggiore è risultato lo scontro quanto più il coagularsi delle forze di classe direttamente partecipi alla lotta rivoluzionaria è venuto meno decomponendosi nella sfiducia, nell'abbandono, nella scomparsa di entusiasmo militante e, di conseguenza, nella recessione di potere diretto, nella delegazione di gestione e nella ricomparsa di strumenti tipici della dominazione classista.

Noi considereremo, di queste esperienze, soltanto quelle che si possono ritenere più esemplificative ai fini di un'analisi definita degli strumenti organizzativi e dei loro compiti.

Non pretendiamo, quindi, di dare una casistica completa e, date le possibilità di tempo, forse neppure una analisi completa sui singoli fatti: pensiamo certamente più utile e assai meno prolisso suddividere le esperienze storiche rivoluzionarie dell'anarchismo in due principali tronconi.

Il primo è quello delle esperienze che, pure essendo organizzativamente impostate e radicate nell'appoggio della classe lavoratrice, sono state battute per i più diversi motivi, non ultimi quelli determinati da errori strategici particolarmente gravi o organizzativi certamente ancora più gravi.

Il secondo è quello delle esperienze che definiamo semplicemente "monche" ma che sarebbe più giusto dire mancanti di strumenti e di prospettive tali da riuscire a catalizzare il processo rivoluzionario e portarlo, almeno, alle soglie della fase di transizione.

Ben inteso noi siamo coscienti che non è col "senno di poi", tipico dei saputelli piccolo-borghesi che altro non sanno costruire al di là delle montagne di carta stampata, che si può e si potrà comprendere i punti deboli ed i momenti difficili della costruzione rivoluzionaria, bensì siamo altrettanto convinti che solo analizzando tutte le difficoltà, le deviazioni e le debolezze del passato, si può sperare, quanto meno, di non commettere più quegli stessi errori.

La condizione, che riteniamo domini questa relazione, senza la quale l'analisi diventerebbe inutile, deve essere, nella sua spregiudicatezza, la volontà di sviscerare la storia per darle un ruolo in positivo nella lotta per il socialismo e l'emancipazione.

Nella nostra breve analisi, la prima di tali esperienze è quella russa ma, piuttosto che una ripetizione dei fatti, dei personaggi, dei retroscena della rivoluzione sovietica russa, noi vorremmo fare una carrellata di impressioni e di deduzioni che quel movimento ci suggerisce o piuttosto, come militanti, ci impone.

Una constatazione: alla testa della volontà rivoluzionaria delle grandi masse contadine russe e del proletariato industriale urbano vi erano due sole realtà, dapprima alleate e poi nemiche: il Partito Socialdemocratico Russo (bolscevico) ed un disorganico, disperso e pur numeroso movimento libertario cresciuto soprattutto nella fase transitoria della rivoluzione che va dal febbraio all'ottobre del 1917.

Non v'è dubbio che, tanto nelle masse contadine quanto in quelle urbane, le esigenze di completezza sovietica, tipica dei libertari, fossero di gran lunga più sentite e più rispondenti all'esperienza rivoluzionaria che si stava compiendo e ciò malgrado non vi fu praticamente alcun confronto tra i leninisti e i libertari sui mezzi e sui fini che si intendevano adottare nella costruzione socialista né, tanto meno, vi fu uno sviluppo dialettico sulla funzione organizzativa e nel rapporto tra avanguardia rivoluzionaria e movimento di classe.

Se si esclude lo scontro, più che il confronto, che accadde quando la nuova sovrastruttura bolscevica era sufficientemente insediata anche nella struttura produttiva russa e quando essa s'era ormai data validi strumenti di difesa e di offesa (Armata Rossa), l'impotenza dei disorganizzati fu totale.

Kronstadt, la Makhnovicina, le migliaia di casi di ribellione individuale e di gruppi ristretti non furono certamente il sintomo di una costruttiva volontà rivoluzionaria ma, piuttosto, l'estremo atto di coraggiosa affermazione del principio sovietico contro il nuovo zarismo rosso che s'andava consolidando. Quei fatti, cioè, rimangono degnamente presenti, nella storia degli sfruttati, più come testimonianze in negativo della lotta proletaria contro il potere che come risolutive e positive proposte di opposizione costruttiva all'avanguardismo, prima, e al potere, poi, dei bolscevichi. Era inevitabile, così come è stato inevitabile, che la disorganizzazione dell'avanguardia libertaria portasse al disfacimento del movimento popolare di classe russo e alla disfatta della stessa rivoluzione proletaria internazionalista.

Ma occorre precisare, per altro, che l'organizzazione libertaria non avrebbe potuto garantire altro, in quelle condizioni socio-economiche, che una diversa e probabilmente positiva, impostazione della fase transitoria dal capitalismo zarista primitivo e prevalentemente agrario, al comunismo attraverso un socialismo evolutivo, tendente cioè, ai rapporti di collettivizzazione cosciente a tutti i livelli produttivi.

Vi fu, invece, una proletarizzazione urbana forzata laddove era ritenuto necessario ai piani di sviluppo industriale, vi fu la militarizzazione operaia e la introduzione generalizzata del taylorismo, vi fu la repressione del movimento contadino laddove esso era meno a disposizione degli interessi particolari del neo-Stato cosiddetto sovietico.

L'eliminazione del potere bianco servì oggettivamente soltanto a fare spazio al potere rosso e questo lo capirono bene tutti gli ex-zaristi che mostrarono pentimento per il loro passato e trovarono largo spazio nelle nuove strutture bolsceviche.

Dopo qualche anno soltanto dal fatidico ottobre 1917, il Terrore Rosso sostituì il decaduto Terrore Bianco. Nessuna forza organizzata si oppose, da parte proletaria, a contrastare la degenerazione e l'affossamento della Rivoluzione d'Ottobre: fu tardi anche per la sinistra bolscevica e per l'Opposizione Operaia quando s'accorsero che, forse, qualcosa nei piani di Lenin faceva acqua e che sarebbe stato necessario a loro difesa un nuovo impegno - che non venne mai - dai lavoratori.

Stalin completò l'opera che altri avevano iniziato.

E' stato, però, significativo che dopo una così amara esperienza, gli uomini stessi che l'avevano vissuta, sofferto e pagato, ormai in terra d'esilio ed impotenti di fronte ad una realtà già consolidata, riflettendo su quanto era stato fatto e su quanto, invece, si poteva e doveva fare molto prima del 1917, traessero alcune conclusioni di parte libertaria che, anziché essere maestre agli anarchici, furono pressoché dimenticate.

Archinov e i suoi compagni ex-militanti della makhnovicina, lungi dal lasciarsi cogliere dalla isteria anti-organizzativa che coglierà, invece, molta parte del movimento anarchico, come risposta al bolscevismo ed al capitalismo borghese, due momenti della concorrenza al potere, varavano a Parigi, nel 1926, una storica "Piattaforma organizzativa" strettamente coerente al comunismo anarchico e alla strategia organizzativa di Bakunin, di cui abbiamo accennato.

Fu una bomba: l'isteria anti-leninista degli anarchici-bene esplose, radicalizzando sempre più le tendenze anti-organizzative, individualiste e anti-sindacali che, bene o male, s'erano sopportate fino a quel momento con quelle organizzate.

Anche dalla parte opposta, forse escluso il movimento spagnolo, gli organizzatori si buttarono chi sull'attivismo sindacale (i pansindacalisti) e chi sull'efficientismo organizzativo, man mano sempre più isolato dal movimento di classe.

Erede diretta del Bakuninismo e fedele allo spirito organizzativo e strategico impressole già dai tempi delle missioni politiche del Fanelli ai tempi della I Internazionale, è la esperienza comunista anarchica e collettivista spagnola.

Cinquant'anni di minuziosa preparazione ed elaborazione interrotta da soventi repressioni anti-proletarie dello Stato Monarchico e bigotto, riuscirono dapprima ad unificare un crescente numero di "sezioni" internazionaliste, ad imprimere loro un carattere organizzativo specifico e contemporaneamente, quanto coerentemente, di massa; una rete insolubile di militanti operai e contadini riuscì a passare per decine di volta, intatta, dalla lotta politica aperta alla clandestinità e alla guerriglia; una grande esigenza organizzativa ed una profonda coscienza classista riuscirono a condurre la FAI-CNT-FIJL iberiche nelle condizioni, storicamente riconosciute, di essere la più grande e la più prestigiosa organizzazione rivoluzionaria che, dopo il luglio '36, si poté permettere di avviare contemporaneamente la fase di transizione in mezza Spagna repubblicana e una accanita resistenza al fascismo iberico-italotedesco.

La vera storia della Rivoluzione Spagnola non è mai stata scritta ma, certamente, esiste tale e tanta documentazione da poter estrarre da essa, quanto ci può servire a delineare l'aspetto che qui ci interessa.

L'Organizzazione ed il rapporto tra essa ed il movimento di classe era, e lo è stato almeno fino al 1937 - come abbiamo già detto - strettamente fedele nello spirito e nei fatti alle soluzioni che Bakunin aveva avviato tra l'Alleanza e l'Internazionale, e la dimostrazione più evidente del rapporto dialettico direttamente democratico che si esprimeva ad ogni livello del dualismo organizzativo ci è fornita proprio dal fatto che la partecipazione al Fronte Popolare ed al governo di Madrid di alcuni dirigenti della FAI-CNT, ritenuto un palese tradimento di ogni concetto della democrazia libertaria, provocò sommosse e violente dimostrazioni di protesta nelle colonne CNT-FAI su tutti i fronti e in tutte le maggiori città repubblicane, in testa a tutte le quali, nel maggio 1937, venne a trovarsi Barcellona.

Alla testa delle giuste rimostranze di base verso la deviazione opportunista ed inopportuna di quei dirigenti - fatto che veniva ad aggiungersi ad altri non del tutto graditi agli anarchici quali la militarizzazione forzata, conseguenza della stabilizzazione del fronte sulla difesa anziché della condotta di una guerra di disturbo e di attacco (guerriglia), e la sempre meno accentuata collettivizzazione e progressione rivoluzionaria delle strutture sociali, imposta dal P.C.E. in difesa del medio ceto e per accattivarselo all'antifascismo - alla testa di quel movimento era la FIJL.

La Rivoluzione, disattesa da alcuni anarchici, continuò ad essere difesa dagli anarchici: questo è il dato più importante ed interessante che, ai nostri fini, venne a verificarsi in quella vicenda.

Tutti coloro che, in qualche modo, si opponevano alla militarizzazione ed al frontismo furono, comunque, assassinati e, certamente, un giorno qualcuno si preoccuperà di dare alle stampe tutte le prove esistenti delle responsabilità che Stalin il PCE, e non loro soltanto, ebbero nella eliminazione di Andrés Nin (POUM), di Camillo Berneri, di Buenaventura Durruti, di alcune centinaia di militanti della FIJL riuniti a convegno e fatti saltare con la dinamite, di migliaia di operai libertari, socialisti, comunisti internazionalisti fucilati dalla famigerata NKVD, la polizia militare stalinista agli ordini di "Alfredo" (al secolo Palmiro Togliatti) per essere stati colpevoli di rivendicare i "consigli di democrazia militare" o di rifiutare il saluto agli ufficiali russi, di decine di migliaia di proletari contadini massacrati per non aver voluto restaurare il potere di alcuni latifondisti...

Il torto dei rivoluzionari spagnoli, e particolarmente degli anarchici fu, ancora una volta, quello di essersi lasciati schiacciare prima ancora che dal nemico frontale di classe, il capitalismo internazionale, dai falsi alleati (e da dirigenti conquistati ormai all'interclassismo e alle posizioni socialdemocratiche e pansindacali).

Vi fu, certamente, poca convinzione nei militanti anarchici a sciogliere con decisione il nodo essenziale che rappresenta la funzione della Organizzazione Comunista Anarchica nell'intero momento dl periodo transitorio: "... E quando l'ora della rivoluzione sarà suonata proclamerete la liquidazione dello Stato e della società borghese, l'anarchia giuridica e politica e la nuova organizzazione economica dal basso in alto e dalla circonferenza al centro - e per salvare la Rivoluzione, per portarla a buon fine, cioè al centro di questa anarchia, occorre l'azione di una dittatura collettiva di tutti i rivoluzionari non investita di un potere ufficiale qualsiasi..." (Bakunin, lettera agli amici in Francia, in occasione della Assemblea del 13 maggio 1870 a Lione).

Salvare la rivoluzione era un problema indubbiamente legato allo sviluppo rivoluzionario su scala mondiale ma, tra i suoi fattori interni, esso dipendeva  fare gli strumenti organizzativi anarco-comunisti contro le restaurazioni, le instaurazioni, le ingerenze e i tentativi di divisione certamente tentati da vecchi o nuovi partiti avanguardisti.

Ciò, come sostiene Bakunin, non può avvenire senza una dittatura antistatale proletaria la quale eserciti su di sé il controllo delle proprie funzioni unicamente economiche.

Tale dittatura di classe, in sostanza, secondo i fedeli interpreti del comunismo anarchico, spagnolo, particolarmente presenti nella FIJL, avrebbe dovuto sforzarsi, nella realtà spagnola del '36, di approfondire il potere proletario vittorioso tramite il rafforzamento delle strutture produttive rivoluzionarie, garantendo, così, che la espressione politica della transizione al comunismo - per forza di ibrida - fosse permanentemente condizionata dalla volontà classista popolare ed indeviabile sui binari della controrivoluzione e, qualora tale deviazione avesse anche dovuto verificarsi, come si verificò, la sovrastruttura politica isolata avrebbe dovuto con relativa facilità essere spazzata violentemente con tutte le tendenze ideologiche in essa espresse.

Alle più esemplificative esperienze rivoluzionarie fin qui accennate, non uniche nella loro impostazione generale, si affianca una lunghissima serie di altre esperienze che, per brevità, non è possibile sottoelencare e valutare come, forse, sarebbe giusto ed utile.

E' sufficiente, però, indicare almeno i due filoni essenziali che in campo organizzativo, mancando di uno o dell'altro dei momenti indicati come essenziali allo sviluppo dell'azione e delle sue prospettive, noi vogliamo definire "monche" per non osare maggiore pesantezza di giudizio.

Evidentemente, negli ultimi 50 anni della storia del socialismo, molti fattori negativi hanno influito anche a livello soggettivo nel modificare non poco e comunque nel far scemare l'entusiasmo rivoluzionario che animava il secolo scorso e ciò troppo ha influito particolarmente sui movimenti libertari che, sempre più spesso, hanno adeguato esattamente in modo inverso la loro struttura organizzativa agli umori e alle esigenze di classe. Nei momenti di riflusso politico essi si sono scagliati contro il sistema; nei momenti di effervescenza si sono lasciati sopravanzare da avanguardie meno scrupolose; nei momenti di lotta costante e di ripresa della coscienza di classe essi si sono disaggregati.

La lunga quanto condensata digressione storica sinora tracciata era necessaria per inquadrare nella sua giusta luce questa (seconda) parte avente, per tema, gli aspetti più specifici dell'organizzazione, della strategia e delle tattiche indispensabili oggi, ad un nuovo corso del comunismo anarchico.

E nemmeno può essere dimenticata, sia pure negli aspetti parziali, l'attuale situazione politico-economica nelle sue linee di sviluppo e di contraddizione.

Da quanto già premesso nella prima parte della relazione e coi presupposti di cui sopra pensiamo che nelle grandi linee l'analisi che ci apprestiamo a tracciare possa ritenersi sufficientemente esauriente per sviluppare un movimento dialetticamente positivo il cui risultato - questo ci auguriamo - possa rappresentare la premessa ad una organizzazione comunista-anarchica orientata e federata atta a risolvere i nostri compiti rivoluzionari nell'attuale fase dello scontro di classe ma, soprattutto, per quelli che l'attenderanno nel prossimo futuro.

L'organizzazione specifica comunista anarchica è l'avanguardia di classe che, operando all'interno delle reali esigenze del proletariato, ed essendo essa stessa composta unicamente di proletari "oggettivamente tali" si rende ad ogni istante disponibile a una sempre maggiore coscienza politica di classe e, per questo motivo, deve necessariamente polarizzare attorno a sé la maggior militanza possibile utile ai fini preposti.

I termini di militanza sono vincolati a singoli fattori soggettivi ma devono nel loro complesso essere tali da armonizzarsi con l'intera struttura organizzativa senza, pertanto, arrecarle danni né materiali né morali.

Armonizzazione vuol dire esattamente il contrario di appiattimento poiché, mentre nella prima si suppone l'esistenza di dialettica, di collaborazione, di comprensione, di solidarietà e quindi di affiliazione disinteressata e cosciente dettata da ragioni pertinenti agli interessi di classe, la seconda nasconde quelle priorità gerarchiche che sono il presupposto dell'attuale divisione del potere e persegue automaticamente interessi contrari a quelli generali della classe proletaria.

Ne consegue un ruolo di militanza originale in cui gli interessi particolari sono sempre e comunque subordinati a quelli generali non soltanto dell'organizzazione specifica, ma dell'intera classe oggettiva.

L'Organizzazione in tal modo filtrata assume un aspetto chiuso nella forma ma assicurante una sostanziale apertura alle nuove militanze debitamente vagliate e sperimentate sulla base del lavoro di massa, della preparazione ma, soprattutto, dell'etica rivoluzionaria.

Tale dato organizzativo deve essere costante e permanente onde garantire con assoluta facilità e sicurezza il passaggio indenne dell'organizzazione specifica attraverso ogni stadio delle situazioni politiche più diverse e attraverso le variazioni più repentine dei regimi capitalistici.

Coerentemente allo scopo che persegue, l'organizzazione specifica deve tendere ad una totale unificazione strutturale al livello internazionale ed è solo a questa dimensione che le sarà possibile elaborare una prassi strategica coerentemente internazionalista.

Non si è tali, infatti, solo nelle dimensioni geografiche o in quelle solidaristiche bensì in quanto l'attacco coerente e coordinato al nemico di classe viene posto sul piano supernazionale.

Ciò soprattutto, oggi ed è ancor più nel futuro prevedibile, nel momento in cui il capitalismo mostra di evolversi su dimensioni di scala mondiale per soffocare le sue più evidenti contraddizioni economiche.

Tale strategia non può, a tal punto, disgiungersi da una serie di considerazioni fondamentali, classiche del primo internazionalismo libertario e del comunismo anarchico.

La prima considerazione deriva dalla constatazione della suddivisione del potere in chi lo esercita e chi lo subisce e ciò a prescindere dal diverso grado di questo esercizio o di questa sottomissione al potere.

La classe dominante e la classe proletaria hanno, al di là di ogni altra considerazione, due interessi assolutamente contrapposti che si identificano nel possesso del potere e la lotta che scaturisce tra i due contendenti ha come oggetto unicamente il Potere.

Qualsiasi altra interpretazione o presentazione della lotta tra le classi non può che essere idealismo, interclassismo e comunque destinata a non produrre neppure incisioni laddove dice, invece, di voler abbattere tutto. La ragione del potere è soprattutto economica: ogni altro motivo che il potere adduce a giustificare se stesso e la propria logica rappresenta soltanto la ideologia contingente espressa dal Potere stesso.

Tale definizione del potere non vuole in sé essere né positiva né negativa: constata soltanto l'esigenza di un dato oggettivo che solo l'eliminazione di una delle due classi antagoniste potrà annullare.

Ciò non ci può, tuttavia, né ci potrà mai permettere di annullare il Potere in sé, come tale, perché una società civile - cioè non individualista - in realtà eserciterà sempre e permanentemente un qualche potere su se stesa e su ciò che la circonda.

L'organizzazione sociale, il rapporto intercorrente tra produzione e consumo sono comunque Potere strutturale la cui assenza può significare soltanto autodistruzione del genere umano, anche in senso biologico.

Ciò che oggi il Potere significa, invece, è ben diversa cosa e ciò innanzitutto perché la sua gestione, più o meno personalizzata, è suddivisa tra chi la esercita e chi la subisce, tra chi ne è soggetto e chi oggetto, in sostanza, tra capitale e lavoro.

L'unica logica possibile per riunificare il Potere e trasformarlo da dominio sugli uomini ad amministrazione delle cose, è quella che impone di strapparlo ai pochi che lo gestiscono per assumerlo collettivamente impedendo a chiunque di riprivatizzarlo.

L'antagonismo di classe, latente, deve trasformarsi in lotta di classe dei proletari contro chi e che cosa esercita il potere su di loro.

Ad ogni livello di sviluppo di tale lotta di classe, l'Organizzazione Comunista Anarchica deve adeguare con assoluta convinzione il proprio ruolo decisivo ma unificante.

Ed è questa, la seconda considerazione strategica da farsi.

Il Potere dominante tende, nell'attuale fase di sviluppo capitalistico, a distribuire piccole parti di sé a quanti più individui riesce e in quanti più modi possibili: in realtà queste particelle di potere finiscono con l'apparire immediatamente come un ottimo veicolo di riproduzione dell'ideologia dominante pur senza rappresentare in realtà Potere effettivo. Anzi tutt'altro.

La responsabilità diventa gerarchia, il benessere consumismo, la partecipazione cogestione, la cultura ideologia, la soddisfazione sadismo, la solidarietà masochismo, la soggettività individualismo.

Ognuna di queste deviazioni tende a riprodurre se stessa e, tutte insieme, a conservare intatta l'ideologia dominante ed il Potere privato che essa nasconde e giustifica. Esse, però, hanno come presupposto e come scopo il sempre maggiore frazionamento del fronte proletario, coscienti - coloro che esercitano il dominio di classe o che vi aspirano ideologicamente - che la divisione e la frantumazione del movimento oggettivamente rivoluzionario ne riduce la forza accrescendo la propria.

L'Organizzazione Comunista Anarchica, tra i suoi punti strategici fondamentali, deve perciò considerare prioritaria l'unificazione del movimento proletario sulla base delle reali esigenze di classe che esso esprime in quanto si rende cosciente che la propria aspirazione prioritaria è il Potere, tutto il Potere.

La terza considerazione strategica deriva dalla coscienza che la affermazione unitaria del movimento proletario rischia pericolosamente di scivolare su posizioni interclassiste ed opportuniste se non si afferma molto chiaramente che tale unità è possibile solo su temi e obiettivi di classe.

I piccoli industriali, i contadini diretti, i commercianti, gli artigiani ricchi, l'aristocrazia operaia sono, in realtà, ceti sociali soggettivamente ed oggettivamente pressoché privi di Potere dominante e, pur tuttavia, essi sono destinati ad assumere sempre più un ruolo di garanzia rispetto alla attuale classe dominante proprio per l'esigenza di potere cui essi aspirano a detrimento ed in antagonismo con chi di Potere non ne ha affatto.

Sono, questi strati sociali in decomposizione, da una parte e dall'altra destinati a porsi sempre più in conflitto con la struttura produttiva e distributiva del capitalismo avanzato; l'unica loro salvezza non è nella opposizione ma nella integrazione all'interno della struttura. Perciò non potranno mai, come oggi non possono né vogliono, essere alleati del movimento di classe e perciò stesso i proletari debbono rivendicare ogni loro giudizio ed ogni loro esigenza in stretta e concreta autonomia da coloro che - oggettivamente - sono nemici di classe alleati al nemico di classe.

Autonomia, per l'Organizzazione Comunista Anarchica non ha soltanto un significato strategico in negativo (autonomia dai nemici di classe, dai loro alleati, da tutte le formazioni avanguardiste e sostanzialmente disponibili a nuove avventure di Potere) ma assume un corrispondente significato "in positivo", quando, assunta come programma di lotta e di costruzione rivoluzionaria, serve per proclamare la più vera tra le storiche affermazioni socialiste e cioè che:

"L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi".

Per tramutare in prassi costante, permanente, controllata e disciplinata la lotta di classe unificante, internazionalista ed autonoma, l'Organizzazione Comunista Anarchica, momento specifico della militanza, scioglie ogni suo sforzo all'interno delle masse e delle loro organizzazioni per trarne quella verifica indispensabile allo sviluppo della lotta, il quale è rappresentato dalla affermazione delle stesse linee strategiche e dall'ulteriore irraggiamento organizzativo.

L'attuazione del programma strategico il cui scopo è l'impostazione delle fase di transizione dal capitalismo al comunismo, non può essere che rigidamente vincolante per l'intera organizzazione, la aderenza alla quale presuppone la completa accettazione di tutti i suoi punti da parte di tutti i suoi membri.

Tuttavia, nella fase di trasformazione pratica ma coerente delle indicazioni strategiche nelle linee tattiche - passo indispensabile a creare una perfetta osmosi tra l'avanguardia ed il movimento - occorre vagliare sulla base della oggettività gli interventi più opportuni.

Le tattiche, dunque, possono e spesso debbono essere difformi da realtà a realtà, ma ogni loro spigolosità deve essere vagliata ed eliminata dall'Organizzazione nell'ambito di una coerenza generale.

Tali sono le premesse di finanziamento e di rendimento del lavoro di massa, presupposto indispensabile alla creazione della organizzazione stessa di massa e del momento operativo che essa rappresenta parallelamente a quello specifico.

E' altresì indispensabile tracciare le linee generali di comportamento del rapporto tra i due momenti organizzativi fra loro, coerentemente col già proposto ed indicato rapporto tra l'avanguardia ed il movimento di classe.

Tale rapporto, infatti, non può essere di affiliazione, né di dirigenza, né di sudditanza ideologica pena lo snaturamento dei compiti organizzativi libertari e dei postulati strategici indicati dal comunismo anarchico, dei due momenti l'uno verso l'altro.

Deve essere, invece, un rapporto rigidamente e coerentemente autonomo quanto compenetrato sulla base programmatica tattico-strategica dei fini perseguiti e semplicemente sviluppati sui due diversi piani della militanza specifica, l'uno, e delle esigenze del movimento, l'altra. Il movimento, ossia la parte della classe oggettivamente rivoluzionaria che si riconosce nella necessità di lotta, non è precluso a priori a nessuno dei diversi settori del lavoro ma occorre, analiticamente, riconoscere che nell'attuale fase di sviluppo capitalistico la maggiore parte di esso è raffigurabile ed identificabile nel settore industriale ed operaio oltre che in quella fascia di ricambio e di sottoccupazione cui il sistema produttivo costringe larghi settori proletari.

Indubbiamente, per questi motivi, l'attività sindacale intesa nella sua accezione classica deve rappresentare uno dei poli maggiori dell'attività di massa dell'organizzazione rivoluzionaria e lo sviluppo tattico di tale rapporto operativo ha una priorità fondamentale che occorre tracciare a partire dall'attuale situazione per costruirvi una linea generale.

Il sindacalismo, come tale, è un momento parziale della lotta di classe o, almeno, dell'antagonismo tra le classi; è il momento di frizione economica che presuppone la conservazione, la gestione e l'ampliamento di alcuni rapporti di potere, conquistati dai proletari strappandoli ai capitalisti sia nella fabbrica che fuori.

E' un momento assolutamente parziale dello scontro tra gli opposti interessi anche perché sul piano economico il potere - seguendo vecchi meccanismi - subisce un rapido processo inflativo ogni volta che in piccole parti passa nelle mani di chi non detiene il potere complessivo.

Nulla vieta, però, di far assumere alla lotta economica un ulteriore aspetto politico ben più difficilmente riassorbibile dal capitalismo e che è, fondamentalmente, quello di assicurare una crescita partecipativa alle lotte economiche ed ai loro risultati, trarre e far trarre ai proletari stessi quelle conclusioni che immancabilmente elevano il grado di coscienza di classe sempre più rivoluzionaria nella misura in cui saranno fatte saltare le contraddizioni che, oggi, l'ideologia dominante ha congelato.

Il sindacalismo libertario muove da questi presupposti e fornisce gli strumenti di democrazia diretta utili a sviluppare coscienza e partecipazione.

Nella fase attuale è necessario un impegno particolarmente attivo in tutte le situazioni che offrano spazio ad un intervento positivo del sindacalismo libertario ed alle sue prospettive: certamente, in linea generale, ciò è possibile nelle strutture di base del sindacalismo confederale dove il nodo della democrazia diretta non è possibile a sciogliersi se non aprendo proprio quegli spazi politici in cui ci si deve inserire.

Se la parola non fosse stata inflazionata dalle ambigue tattiche della strumentalizzazione gruppettistica, si potrebbe dire che la manovra da organizzare è l'entrismo nelle strutture orizzontali del trade-unionismo per agevolare dall'interno una fermentazione ed una decomposizione delle contraddizioni in cui esso naviga e per offrire, a livello di corrente organizzata, alternative di politica sindacale unitaria, autonoma e classista ai lavoratori tutti. Questo, peraltro, è l'unico modo agevole e sicuro per dare contenuti di classe al gradualismo che i lavoratori, oggi, vedono mascherato di riformismo socialdemocratico, alleato del neocapitalismo, e di cui non osano contestare gli scarsi contenuti di rinnovamento solo per una reale mancanza di alternativa.

Il sindacalismo libertario, invero, nel suo stadio di corrente organizzata all'interno delle confederazioni e del movimento sindacale in generale, non può essere in grado di fornire reali alternative di linea globale, ai lavoratori, e forse non è neppure accettabile che l'alternativa, sia pure in prospettiva, possa essere offerta per una via autonoma e globalmente anarco-sindacalista. (USI - sindacato rivoluzionario).

Lo stadio di sviluppo e di controllo che il capitalismo ha raggiunto certamente non è più in grado di permettere l'esistenza di centrali sindacali potenti e combattive garantite dal rischio del riassorbimento in una sorta di trade-unionismo avanzato; e certamente anche qualora esistessero tali garanzie sarebbe comunque limitata la possibilità di mantenere un corretto rapporto fondamentale tra avanguardia e movimento di classe.

E' pensabile, invece, che un allargamento alla base del controllo sui vertici, che una generalizzata rigenerazione del consigliarismo a democrazia spinta e a larga partecipazione dentro e fuori della fabbrica, che un rigido rapporto di crescita classista ordinata e autodisciplinata incontrandosi in un momento qualsiasi di crisi capitalista con l'esigenza generale di radicale mutamento sociale, possa ribaltare le condizioni di integrazione e sviluppare rapidamente un movimento rivoluzionario che, stando alle dimensioni internazionali che va assumendo il capitalismo, sbocchi a livello mondiale.

Occorre, comunque, che l'incontro dei fattori spontanei e dei fattori oggettivi - scientificamente non determinabile - veda predisposti tutti gli indispensabili mezzi di controllo e di garanzia ad imboccare il periodo di transizione dal capitalismo al comunismo e ad affrontare con forza la più acuta fase della lotta di classe.

I nemici interni ed esterni della Rivoluzione Comunista Libertaria dovranno essere battuti dalla organizzazione specifica e dal movimento dei Consigli generalizzato, pena un'altra dolorosa sconfitta del proletariato e l'ascesa al potere di sempre più forti padroni.

Le condizioni oggettive di crisi del capitalismo non sono una utopia: il proletariato, oggi, le subisce ogni giorno e le paga soprattutto per l'assenza di una traduzione organizzativa cosciente di istintive indicazioni e di naturali suscettibilità.

Le espansioni imperialistiche ed i loro conflitti, la forsennata logica del profitto in funzione anti-ecologica, l'esplosione dei tassi demografici nei paesi sottosviluppati, la crisi stessa delle democrazie parlamentari e del Potere delegato, gli squilibri di sviluppo, la meccanizzazione e la cibernetizzazione, l'inurbamento squilibrato, la veloce e diseguale soddisfazione consumistica e tanti altri fattori incontrollabili quanto imprevedibili, rendono sempre più precario l'equilibrio di potere all'interno di ogni società.

L'ultimo dei tentativi di salvarsi dalla catastrofe è compiuto oggi dal neocapitalismo e dalla sua linea razionalizzatrice: esso, se necessario, giungerà alla eliminazione del taylorismo, umanizzerà i rapporti di produzione, tenterà di sdrammatizzare ancora il conflitto di classe, stringerà altre alleanze che se ieri sembravano impossibili oggi lo sono un po' meno...

Lo scopo del capitalismo è di ritardare il proprio sfacelo;
il compito dei proletari è di accelerarne la disgregazione;
il dovere dei rivoluzionari è di organizzare il compito dei proletari tutti.

La posta in gioco non è piccola; o si farà il socialismo o l'umanità sarà preda della barbarie e correrà incontro all'autodistruzione.

 

(Relazione presentata al 1° CNLA di Bologna nel 1973 e successivamente pubblicata nel bollettino C.N.L.A. – “Dibattito sul dualismo organizzativo” – Bari, 1976.)


(Originale cartaceo presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)