C’E’ STORIA E STORIA

NON TUTTA LA STORIA CONOSCIUTA E’ IMPORTANTE.

QUELLA DIMENTICATA NON E’ TUTTA DA DIMENTICARE

di Gennaro Gadaleta Caldarola

Cinquantamila anni fa iniziarono a funzionare nel cranio dell’homo sapiens l’intelligenza, la ragione e l’etica; al bisogno di mangiare, di dormire, al dolce abbandonarsi di un uomo e di una donna si aggiunse la coscienza di esistere e di dover morire; ma anche la catena millenaria di cause ed effetti immutabili e sempre uguali fu contaminata dalla iniziativa cosciente della nostra specie.

Da 50.000 anni, ancora oggi e per chissà quanto altro tempo ancora, io e ciascuno di voi, membri di questa specie animale che costruisce arnesi, viene buttato in questo mondo di vivi da una causalità estranea alla coscienza, in un luogo ed in un tempo arbitrari, casualmente, in un corpo ora stanco ora felice, ora bisognoso di sicurezza, ora sazio, che comunque un giorno o l’altro deve finire portandosi dietro nella fine del tempo le gioie e le memorie ed i sentimenti di un’intersa vita vissuta insieme agli altri.

Non più di 5000 anni fa alcuni uomini, alcuni di noi, costruivano la loro prima città e conoscevano l’allevamenti degli animali, l’agricoltura e in Anatolia a Catal Huyuk sapevano già trasformare il terreno argilloso in ceramica; vivevano raggruppati in famiglie e le famiglie formavano i villaggi e i villaggi i popoli; ciascun popolo formò e trasformò nel tempo la sua struttura economica, sociale e religiosa.

Da 5000 anni e ancora oggi, cause naturali, bisogni, manufatti prodotti dall’intelligenza, ideologie o religioni hanno formato e trasformato le condizioni di vita di ciascun individuo, di ciascuna famiglia, di ciascun villaggio, di ciascun popolo. Più ancora le condizioni di vita hanno forgiato sia la volontà di migliorare sia anche la paura di cambiarle, in un perenne progredire e ripiegare della storia verso una socialità più rispondente ai più profondi bisogni di ogni uomo sano di mente.

Oggi, ciò che stupisce davvero è l’immensa potenza che l’intelligenza della nostra specie ha offerto alla nostra società di popoli: la scienza e la tecnica e cioè, in fondo, la migliore comprensione delle leggi della materia applicate alla costruzione di "arnesi" sempre più perfezionati, ha reso il potere dell’uomo pari a quello della natura.

Non abbiamo, è vero, il potere di vincere la morte, ma certamente quello di sconfiggere molte malattie, la fame e il freddo, quello di immaginare e realizzare i più arditi desideri: raggiungere la Luna, robotizzare le industrie, comunicare con tutta l’umanità contemporaneamente tramite la televisione ed anche purtroppo quello di togliere la vita di colpo o lentamente a chi vogliamo.

Ma nel XX secolo ciò che ancora più stupisce è l’IMPOTENZA della ragione; 5000 anni di guerre, di delitti, di violenze, di stupri, 5000 anni di storia, di religioni, di filosofie e di dolori non sono bastati a dimostrarci la irragionevolezza del nostro modo di vivere al punto che per la maggior parte degli uomini viventi in questo scorcio di esistenza dell’umanità, è ammissibile ed è ammesso come ragionevole mantenere un arsenale di armi atomiche INNESCATE sufficiente a spazzare via "varie volte" la vita della Terra; è ammissibile ed è ammesso come ragionevole che un uomo per il semplice fatto che è nero di pelle e vive in Africa sia trucidato o lasciato morire di fame; è ammissibile ed è ammesso come ragionevole che una categoria o classe di persone possa determinare la vita dell’intera umanità sulla base di cosiddette leggi economiche legate esclusivamente al valore di scambio di tutto ciò che esiste e che è quindi ritenuto commerciabile.

Ma ciò che alle soglie del 2000, in questi violenti anni ’80, sconvolge è l’infantilismo dell’ETICA dell’uomo cibernetico. Per l’uomo della nostra epoca, la conoscenza del bene e del male, il criterio delle virtù e del peccato sono atti che non attengono all’uomo, a ciascun uomo vivente, ma ad un’autorità che trascende l’individuo reale sia essa la chiesa oppure lo stato o anche soltanto le leggi economiche così come sono fatte o disfatte da Agnelli o dall’"opinione comune". Così avviene che da 5000 anni l’etica dominante risponde al problema di ciò che è bene e di ciò che è male per l’uomo soprattutto dal punto di vista degli interessi dell’autorità ed anzi l’etica (moderna ed antica) proclama senza pudore che l’obbedienza è la virtù principale e la disobbedienza il principale peccato; pochi si fermano a pensare che solo alla propria coscienza è lecito obbedire, se si ha abbastanza coraggio.

Per mantenere l’ubbidienza e per sconfiggere la coscienza, un esercito di preti e di carabinieri, una caterva di giornali, di telegiornali, di televisioni e di rumori, una banda di giudici costruisce idoli ed ideologie più o meno false e consolatorie, più o meno distruttive della gioia di vivere; più o meno irragionevoli, tutte uguali da secoli.

Oggi, un gruppo anonimo di manager esperti nelle tecniche di manipolazioni del consenso, determina con scelte individuali scellerate e per buona parte casuali i governanti di questa umanità, oppressa e impedita di decidere veramente della propria sorte.

Oggi ci tocca di assistere quasi impotenti ai folli effetti della logica economica dell’attuale sistema di scelte e di governo che l’umanità si è trovata ad avere: uomini che muoiono di fame in Africa, uomini che muoiono ammazzati per le loro idee di giustizia e libertà in America Latina; e da noi in Europa una malattia inguaribile si abbatte sui ben pasciuti e civilissimi borghesi: l’infelicità di un sistema di vita in cui trionfa la disintegrazione della socialità, della libertà individuale, in cui la ragionevolezza è ridicolizzata e trionfa la sadica ebbrezza di poter sprecare indisturbati la terra, l’aria e l’acqua dei nostri figli.

Ma in Europa e nel mondo occidentale i suicidi sono stati la seconda causa di morte nei soggetti fra i 15 e i 25 anni! Mai in Europa e nel mondo occidentale le malattie mentali, compreso quindi l’alcolismo, le tossicodipendenze e le grandi forme di fanatismo religioso o sportivo, sono state tanto diffuse da richiedere una nuova configurazione del concetto di "normalità" non più coincidente con quello di sanità mentale.

Ma di tanto che è successo e di tutto quello che si prepara a succedere, chi è il colpevole? Qual è la causa? Per rispetto di noi stessi e della difficile verità evitiamo di semplificare la risposta sputando in giro frasi vuote di senso e di ragione e dense di affermazioni dogmatiche.

Se le cose stanno così, se la sinistra esiste da quasi 200 anni, se quello che ci separa dalla morte nucleare o dalla pazzia è una barriera troppo facile da abbattere, se la tigre di carta dell’imperialismo continua a vendersi coca-cola, se il proletariato segue con molta attenzione Pippo Baudo e Maratona e si vende la vita e la salute per un secondo lavoro, se i santoni della sinistra continuano a piangersi addosso e a fare i profeti di vittorie troppo facili o impossibili, anche noi dobbiamo per rispetto a noi stessi ricostruire i nostri errori, analizzare i nostri facili dogmatismi se vogliamo davvero che la sinistra libertaria abbia una risposta da dare.

Mai come oggi, oggi che le parole sono usate per nascondere la verità, ci tocca osare, continuare a pensare e a dire l’impensabile e anche e soprattutto ad agire, entro i limiti di quello che è realisticamente possibile.

E noi che, anche se non più adolescenti, veniamo da una nascita recente e dall’esperienza dei moti del ’68, noi che ci sappiamo figli di un’umanità divisa in due dalla storia di due culture, che sono di due etiche, che nascono da due diverse situazioni economiche e politiche, noi che siamo qui e che ci apprestiamo a vivere e a determinare con le nostre scelte la prossima epoca dell’umanità, noi della sinistra libertaria possiamo cominciare a partire nella nostra riflessione su noi stessi dal luglio 1936.

Quell’anno infatti, per la prima volta nella storia, una parte dell’umanità consapevole di sé, dei suoi antagonisti e del suo progetto, lottò per una società libertaria in quanto collettività di individui, ciascuno libero ogni giorno e per ogni cosa di scegliere se partecipare o fuggire e tutti e ciascuno dei tutti arrivarono fino in fondo alla lotta per migliorare davvero la propria vita, fino a scegliere di poter morire con una lucidità, una passione ed una fiducia in se stessi che ci lasciano ancora oggi, dopo 50 anni, sgomenti per l’ammirazione stupita di cui dobbiamo farci carico per poterci credere.

E mentre la memoria degli uomini che vissero quell’esperienza si sta spegnendo col giungere al termine della loro vita vissuta, questa memoria si trasforma in "esperienza storica" per la sinistra libertaria. Quelle che prima del 1936 erano ipotesi razionali, idee "giuste" pensate da Proudhon, Bakunin o Malatesta e praticate solo nei tentativi insurrezionali dei gruppi comunisti-anarchici, nel 1936 diventano fattori propulsivi nella lotta politica ed anche militare di una parte delle famiglie, di un popolo di questa nostra specie.

Alcuni individui, alcune famiglie ed alcuni dei villaggi di questa specie che si chiama homo sapiens praticarono in tutti i campi della vita reale l’uguaglianza, la fraternità e la libertà e costruirono eserciti, cooperative, sindacati, poesie, nuove idee, un progetto di felicità finalmente libero di esprimersi, con un’economia, una socialità ed un’etica prodotta dall’uomo per la libera e completa espressione dell’uomo in tutte le sue universali e particolari caratteristiche. Senza paura della libertà.

E oggi che tutto ciò è per tutti solo la storia di un esperimento non riuscito, per noi è anche l’esempio da seguire; non ci resta quindi che usare il nostro senso critico ed esaminare senza pregiudizi, senza rancori, senza paura, quella che potrebbe essere stata l’esperienza della nostra vita se fossimo nati 80 anni fa e che invece è, deve essere, il punto di partenza del prossimo esperimento di liberazione dell’uomo cui anche noi, speriamo, potremo partecipare.

La mancata vittoria della rivoluzione spagnola e, all’interno della sinistra rivoluzionaria, la sconfitta della frazione libertaria, hanno cause che sono militari e politiche, alcune legate a quel preciso momento storico, altre più fondamentali e cioè legate alle difficoltà di un passaggio da un’epoca dell’umanità basata sul patriarcato, lo stato e dio, ad un’altra in cui tutto si basasse sul libero sviluppo dei bisogni e delle aspirazioni degli uomini e delle donne nell’organizzazione autogestita delle famiglie, dei villaggi e dei popoli.

Certamente i problemi furono e sono più numerosi delle proposte di soluzione, certamente i problemi furono e sono innumerevoli; ben più solidi e reali del desiderio e della speranza di risolverli; ben più crudeli delle futili e giocose semplificazioni di coloro che credono di avere in mano la verità.

Ma con certezza ancor più certa possiamo dire che i nemici furono molti e molto numerosi e forti e gli amici pochi anche se indimenticabilmente coraggiosi e fraterni e giunti da ogni parte del mondo a difendere, anche e perfino con la loro morte, la lotta per la vita.

A sconfiggere la Spagna fu il fascismo e Hitler, Mussolini e Franco, ma anche e soprattutto gli esecutori dei loro ordini e i seguaci della loro ideologia: coloro cui mancò il coraggio di vivere senza un’autorità che li possedesse e che gridavano "Viva la morte"; e la loro forza fu anche nel numero degli ignavi, cioè di coloro cui mancò la coscienza di ciò che stavano facendo e che, pur se malvolentieri o costretti, sparavano pallottole che uccidevano comunque.

E poi le grandi potenze occidentali, eredi della rivoluzione francese, che rimasero immobili nella loro borghese impotenza di capire che c’è altro oltre le leggi di mercato e i loro colti o incolti figli che si "facevano" di lotte democratiche e parlamentari per frenare la loro paura di cambiare. E dietro l’angolo la pazzia dell’assurda carneficina che fu la II Guerra Mondiale. MAI tanti morti nella storia dell’universo, mai tante vedove, tanti orfani, tanti mutilati, tanto dolore solo per la pazzia di ubbidire ad un potere cieco che chiede di offrire la vita in pegno di fede per una patria, una bandiera e degli idoli che non sono mai esistiti realmente.

E il grande traditore, l’omicida di Camillo Berberi, il folle realista, il capo di Togliatti, l’innominabile erede di Lenin, colui che dette il colpo di grazia alle speranze internazionaliste dei rivoluzionari spagnoli. Un lucido esecutore delle necessità storiche del potere. Un sadico esecutore delle più folli menzogne che il realismo socialista abbia mai potuto concepire.

E’ faticoso e triste pensare che sia esistita nella storia del socialismo tanta grande sconfitta degli ideali del socialismo; eppure milioni di persone che vissero da compagni furono truffate da quella terribile ipotesi sul futuro autoritario del marxismo che fu di Bakunin e che divenne purtroppo realtà, e tanti uomini che si dichiaravano e credevano di essere comunisti imbavagliarono la propria e l’altrui coscienza per fare quello che la storia li ha visti fare.

Nessuna speranza aveva la rivoluzione spagnola, nessuna speranza ha la storia di produrre una società di uomini liberi fino a quando non sarà sconfitta l’ipotesi di una via autoritaria al socialismo; non solo dimostrata l’impossibilità, ma combattuta l’organizzazione politica di questa idea ed in ultimo individuati e combattuti come nemici coloro che, nella teoria o nella prassi di qualunque struttura politica o sociale, danno all’idea di un socialismo autoritario la possibilità di esistere.

Ma un altro grande ostacolo rese difficile la vita degli amici di Durruti e contribuì alla loro morte: se anche Hitler fosse stato sconfitto militarmente, se anche Stalin fosse stato abbattuto dalla ragione dei comunisti, rimaneva pur sempre il problema, in mezzo all’orribile violenza della guerra rivoluzionaria, di ricomporre il tessuto sociale ed economico del popolo spagnolo lacerato dalla violenza di una lotta che, al di là delle sue giustificazioni e dei suoi obiettivi, era pur sempre una guerra che uccideva uomini, costruiva invalidi e procreava orfani. Se la violenza mortale dipendeva dalle condizioni storiche, quali conseguenze pratiche ne erano l’effetto?

Durruti diceva "Tutto funziona con la precisione di una macchina. Con ciò non voglio dire che cessano di essere uomini. No, i nostri compagni al fronte sanno per chi e per cosa combattono. Si sentono rivoluzionari, non lottano per la difesa di nuove leggi più o meno promesse, ma per la conquista del mondo, delle fabbriche, dei cantieri, dei mezzi di trasporto, del loro pane, della nuiva cultura. E sanno che la loro vita dipende dal successo. Noi, e questa non è una mia opinione, poiché le circostanze lo esigono, facciamo insieme nello stesso tempo la guerra e la rivoluzione".

Ma già nasceva il problema di "militarizzare" la colonna di ferro e di sottoporla al comando governativo e già qualcun altro aveva detto "Noi vogliamo essere miliziani della libertà non soldati sotto l’uniforme, L’esercito si è dimostrato un pericolo per il popolo; solo le milizie popolari proteggono le libertà pubbliche: MILIZIANI SI’! SOLDATI NO!".

Il problema allora era: come combattere chi uccide organizzato militarmente gridando "Vuva la morte", mentre contemporaneamente si deve costruire una nuova società senza creare né un potere militare, né uno del terrore? Il problema era: come non essere vinti né dalla violenza dei nemici né dalla violenza del potere del proprio esercito? Come riuscire a far sopravvivere i bisogni di pace e di fraternità alle necessità che la lotta imponeva ed ancora alle trasformazioni sociali, politiche e culturali che l’economia e la cultura della guerra si portavano dietro?

Purtroppo questo problema non diventò fondamentale giacchè tutti si coalizzarono per distruggere completamente, sia fisicamente che politicamente, il movimento libertario. Tutti, nessuno escluso, badarono bene di disperdere le ceneri della sua memoria con le menzogne sulla storia e il silenzio sulla verità.

 

"L’EMANCIPAZIONE E’ POSSIBILE SOLTANTO PER COLORO CHE DENTRO DI SE’ E ALL’ESTERNO DI SE’ SI PREPARANO AD USCIRE DAL CAPITALISMO, CHE SMETTONO DI SVOLGERE UN RUOLO E COMINCIANO A DIVENTARE DEGLI ESSERI UMANI"

(Gustav Landauer, "Auf Zum Sozialismus", 1911)

Cinquant’anni sono passati dalla guerra di Spagna e 80 da quando G.Landauer scrisse queste righe. Il mondo è molto cambiato, molto più di quanto non sia cambiata la sinistra, anche quella libertaria.

Gli Americani sono arrivati sulla Luna, e non con la fantasia; da quel giorno la Terra non è più al centro dell’universo, ma certamente è diventata il centro dell’attenzione dell’uomo, visto che è l’unico posto in cui è possibile vivere se "qualche industriale" non ci metterà la coda.

Americani, Russi, Cinesi, Francesi e chissà quanti altri hanno tante di quelle bombe atomiche che potrebbero giocare alla guerra finale senza problemi per almeno tre o quattro volte a patto che provino gusto a farlo dopo la prima volta…

Nei paesi industriali, all’interno di ogni nazione ad economia avanzata, la lotta di classe come ipotesi della sinistra, una rivolta del proletariato che spazzi via il capitalismo, non esiste più, o meglio, esisteva solo per le B.R.; la lotta "violenta" è tutta fra nazioni ricche e capitaliste e nazioni povere e proletarie.

Intanto però, la coscienza internazionalista si è strutturata, grazie anche all’espansione dei mass-media, in una reale ipotesi globale di cambiamento, per alcuni solo culturale, per altri economica, sociale e politica; certamente il mondo ormai non è più un concetto astratto ma una realtà che si conosce, per cui le conseguenze di qualunque modificazione politica o economica o sociale, in qualunque posto avvengano, rapidamente si manifesterebbero in tutto il resto del mondo.

Eppure la condizione umana non è cambiata: aggrappati a questo pianeta che chiamiamo Terra, lanciati nello spazio infinito, senza certezze teologiche, con tante droghe pere lenire la paura dell’unica certezza che abbiamo, ancora sopravvive il desiderio, il bisogno di vivere in libertà e di costruire una società a misura d’uomo.

Nel 1968 una generazione di giovani, spaventati e felici, scoprì nuovamente e collettivamente la necessità di contrapporsi a questa struttura sociale, economica e politica in cui avrebbe dovuto, per forza di cose, vivere per superarla.

Costoro dentro di sé ed all’esterno di sé si prepararono vent’anni fa ad uscire dal capitalismo, smisero di svolgere un ruolo e diventarono degli esseri umani.

Purtroppo il respiro corto dei giovani compagni del ’68, il loro grande appetito di certezze facili e soprattutto la morte in Spagna dell’unica generazione di veri rivoluzionari che l’aveva preceduta, lasciò il loro desiderio di trasformare rapidamente il mondo in cui avrebbero dovuto vivere in mano a sistemi culturali e politici alternativi di sinistra già sconfitti. Marxismo, maoismo, spontaneismo, leninismo: tante ideologie false ed astratte fatte apposta per favorire il settarismo, il dogmatismo e i capetti, i frustrati e i cretini.

L’esperienza, anche quella di questi ultimi anni, che rimane l’unica maestra di vita per quelli come noi cui sono state rotte le ossa e i ciglioni dai legittimi esercenti la repressione e dai legittimi esercenti la politica (militanti intontiti di sicurezze di ogni tipo e natura) ci ha costretto a vedere e a leggere con meno ingenuità e più attenzione la storia della sinistra.

Anche la sinistra oggi, come tutto del resto del mondo, è divisa, spaccata in due da un incredibile e tragico dissenso: da una parte la fetta più potente e influente, quella che persegue la ricerca del suo improbabile scopo con l’autoritarismo e dall’altra una sinistra dispersa, sperduta, più o meno cosciente di sé, della sua reale forza e della sua correttezza, che si sforza di essere, nonostante tutto, libertaria e continua a subire per motivi e cause ancora da chiarire l’assurdo, tragico e illogico destino che ebbero 50 anni fa i libertari di Spagna.

Ma non solo la nostra storia comincia 50 anni fa: la storia dell’umanità è divisa in due da quella guerra; prima del 1936 l’ipotesi di una società senza stato era carta straccia, dopo il 1936 inizia la ricerca concreta e pratica di una società reale e libera; l’era della liberazione dalla paura di non aver più né capi né santi è cominciata proprio dalla strage dei comunisti-anarchici spagnoli operata da chi, fascista o ignavo o stalinista scelse –tradendo la vita- di avere fede in idoli rassicuranti ma falsi.

Da una parte c’erano i contadini, i proletari e gli intellettuali liberi di decidere secondo la propria coscienza liberata e dall’altra i contadini, gli operai, i servi dell’ideologia del potere delle cose sull’uomo, privi di capacità di sapere, di scegliere, di decidere, privi della coscienza di sé e dei propri interessi.

Non è lontano dal vero ritenere che quella guerra non è finita né può finire fino a che ci saranno motivi per volere una società in cui cessi il potere della religione, dell’economia e della politica sugli interessi reali (materiali ed emozionali) dell’uomo e fino a che non sarà reale la sua libertà di decidere della sua vita.

Quella lotta continua ancora; e la sinistra libertaria dispersa, derisa, tradita dalla sinistra realista, vissuta un attimo nel ’68 quasi come forza politica, ricomincia a studiare, a parlare, a cercare un terreno di incontro e di confronto, a vivere anche tramite questa rivista che vuol vivere solo se è la voce di coloro che vogliono emanciparsi preparandosi dentro e fuori di sé ad uscire dal capitalismo, coloro che pur a fatica non possono che smettere di svolgere un ruolo cominciando così ad essere degli esseri umani.

(Articolo pubblicato in "HOMO SAPIENS - rivista di materiali della sinistra libertaria", Bari, agosto-ottobre 1987, n°0)


(Originale cartaceo presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)