PREFAZIONE ED INTRODUZIONE ALLA
"PLATEFORME ORGANISATIONELLE DES COMMUNISTES LIBERTAIRES" DEL 1926, DEL GRUPPO DIELO TROUDA,
(dal primo opuscolo della collana "StoriaDocumenti"
contenente la Piattaforma del 1926 ed il dibattito all’epoca ,
edito a Bari, a cura dell’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica, maggio 1977)

PREFAZIONE

La Piattaforma, cosiddetta di Archinov, non era solo di Archinov, ma di un gruppo di compagni comunisti-anarchici russi reduci dalla rivoluzione russa e dalla vittoria leninista all’interno del fronte rivoluzionario. Fra questi compagni c’erano ad esempio Nestor Makhno e Ida Mett: tutta gente che aveva vissuto in prima persona il dramma rivoluzionario russo, e non certo meno di Archinov.

Questi compagni, negli anni ’20, si erano stabiliti a Parigi, dove avevano fondato un gruppo, il "Dielo Trouda", che svolgeva una intensa attività pubblicistica. La loro esperienza aveva creato nei protagonisti non solo una visione chiara e spietata delle pecche dell’anarchismo, nel fuoco della lotta rivoluzionaria, ma anche una violentissima repulsione per quei compagni che maggiormente avevano contribuito alla confusione degli anarchici in Russia ed una tremenda urgenza di cambiare lo stato del movimento (ricordiamoci che la situazione internazionale era in gran fermento).

Questo, forse, contribuì ad accentuare certi toni, forse troppo messianici, con cui fu presentata la Piattaforma. Ciò non giustifica assolutamente certi risentimenti esagerati avuti da alcuni compagni rispetto alla Piattaforma; risentimenti che, a volte, sembrano giustificati più dalla forma e dai modi con cui essa veniva presentata, che non dai contenuti.

Nella Piattaforma c’erano alcune cose chiarite poco, malgrado fossero importanti, o forse anche poco spiegate; altre cose invece sono proprio sbagliate. E’ anarchicamente errata la struttura organizzativa proposta nella Piattaforma in questione. E’ inaccettabile l’esistenza di organismi e cariche investiti di delega politica dall’assemblea dei componenti dell’organizzazione. Il compito che i compagni del "Dielo Trouda" volevano dare alle segreterie e ai segretari ammetteva di fatto funzioni che andavano oltre l’espressione della linea già decisa da tutta l’organizzazione, fornendo ad essi compiti direttivi veri e propri. Questo è da respingere. Una struttura del genere non è compatibile con il concetto della responsabilità collettiva, la quale presuppone l’adesione cosciente alla linea, la sua continua verifica da parte di tutti i membri ed esclude con il massimo rigore qualsiasi meccanismo di decisione non assembleare che voglia rappresentare tutta l’assemblea, vincolandola con la responsabilità collettiva.

Questi lati negativi, però, non tolgono il grosso valore di proposta e ancor più di pietra di confronto teorico-pratico che i compagni russi avevano realmente dato con la loro Piattaforma.

Fatto sta che, a livello internazionale, molti compagni fecero tanto baccano su questo dibattito, ma non seppero discernere le cose positive accanto a quelle negative o discutibili, per far tesoro di quello di buono che c’era. Come al solito, ne fece le spese, più che i compagni russi, il movimento.

Archinov divenne poi bolscevico. La Piattaforma è divenuta per tutti la "piattaforma di Archinov". Non vorremmo che passo questo assurdo gioco di persuasione occulta. Per noi e per la storia è la Piattaforma del Dielo Trouda, di un gruppo di compagni russi, tutti comunisti-anarchici alla prova dei fatti più difficili.

INTRODUZIONE

Della Piattaforma del Dielo Trouda, nel movimento italiano, se n’è parlato. Soprattutto in quest’ultimo decennio. Tante parole e tanti pregiudizi.

Se si vuole una spiegazione, si può dire che qualche anno fa chi rilanciò questo dibattito non aveva sufficiente chiarezza politica da spiegare al movimento i motivi reali e attuali che stavano sotto a questa necessità di discussione. Chi, invece, reagì istericamente a questa iniziativa, con condanne e scomuniche, evidentemente non aveva le capacità e/o la voglia di affrontare un dibattito che più che la Piattaforma in questione, metteva in ballo necessità reali dell’anarchismo italiano.

I punti che si volevano sollevare con la Piattaforma del Dielo Trouda erano quattro:

la lotta di classe;

il dualismo organizzativo;

l’unità teorica dell’organizzazione specifica

la responsabilità collettiva.

1. LA LOTTA DI CLASSE

Su questo punto si è fatta spesso una falsa contrapposizione. Da una parte quello chiamato da alcuni "umanesimo anarchico", dall’altra la "lotta di classe". Il primo sarebbe il contenuto reale della lotta libertaria, il suo fine, la valorizzazione dell’uomo coi suoi bisogni, senza le catene dello sfruttamento e quindi della divisione in classi. Il secondo sarebbe l’ideologia marxista e leninista, la quale si serve della lotta di classe per far scalare il potere ad una nuova classe, cioè ad un nuovo partito.

Il fatto è che non bisogna qui parlare di ideologia, pretendere cioè di combattere la distorsione ideologica che i marxisti-leninisti hanno fatto della lotta rivoluzionaria della classe sfruttata, con una nuova ideologia nata da avanguardie (buone), cioè gli anarchici.

A noi pare, invece, che a chi deforma nella sua mente le istanze rivoluzionarie di massa, debbano opporsi…..le istanze rivoluzionarie delle masse.

I fatti storici che hanno dato spazio storico e vigore all’anarchismo, sono state le rivolte di una classe sociale la quale, proprio perché classe privata a forza del lavoro, del tempo e dell’autodeterminazione, si è ribellata all’altra classe, a quella degli sfruttatori.

Quest’ultima trae vantaggio immediato dalla divisione in classi e cerca di offuscare con l’ideologia interclassista una realtà così esplosiva. Gli sfruttati, invece, hanno tutto da perdere da questa divisione, sia nell’immediato sia nel futuro. Da loro è nata infatti l’idea dell’abbattimento delle classi.

Per prima cosa, quindi, bisogna accettare la loro lotta di classe, contro classe, dell’idea dell’uguaglianza contro la pratica della divisione.

Su questo terreno acquisito, bisogna poi battersi contro l’ideologia della "dittatura degli sfruttati", la quale sappiamo bene che non ha un senso rivoluzionario.

La lotta della classe sfruttata non deve degenerare nella "dittatura della classe". D’altra parte sono gli sfruttati che hanno perseguito ( e soli possono farlo) la società senza classi. Allora, in conclusione: gli sfruttati affermano la propria esistenza, i propri bisogni, lottando contro la classe sfruttatrice. Quando in questa lotta si afferma da parte proletaria (come quasi sempre avviene) l’idea della società senza classi, allora chi domina reagisce più forte e la lotta a questa classe da parte della classe degli sfruttati diviene sempre più necessaria.

C’è il rischio, a questo punto, che si affermi l’idea falsamente rivoluzionaria della "dittatura del proletariato", che nasca cioè una nuova classe dominante. Le garanzie perché ciò non avvenga si trovano nella chiarezza dell’idea egualitaria, cioè del mantenimento di questa idea nelle uniche mani che hanno interesse a farla vivere: quelle delle masse degli sfruttati. Essi dovranno sempre essere una classe compatta ed autonoma insieme a tutti quelli che a loro si uniranno nella lotta rivoluzionaria, ogni qual volta sorgesse il rischio della formazione di una più o meno nuova classe dominante.

E, ribadiamo, l’unica forza capace di realizzare l’uguaglianza e l’unico interesse materiale a perseguirla, si trovano nelle masse degli sfruttati, alla precisa condizione che restino sempre unite e che distruggano le classi di ogni tipo che vivono sulla disuguaglianza. Fuori di questo, fuori della storia delle rivoluzioni, ci sono solo pericolose e confusionarie avventure mentali.

Non è un caso che la borghesia occidentale e la burocrazia dell’Est "socialista" dicono entrambe che siamo tutti uguali e che nella loro società non esistono divisioni di classi o che esse vanno rapidamente scomparendo: cercano di negare l’esistenza del loro dominio. Non avalliamo questa tesi.

2. DUALISMO ORGANIZZATIVO

Su questo punto, purtroppo, non c’è neanche stato dibattito serio, se si escludono vari e superficiali accenni e degli ultimi risvegli giustamente preoccupati.

I militanti rivoluzionari anarchici devono unirsi alle masse sfruttate, ma nello stesso tempo devono poter svolgere la loro propaganda per far presente ad esse la loro stessa storia, gli errori e le conquiste fatti sulla strada della rivoluzione: è necessario un elemento di chiarezza

Le masse sfruttate devono organizzare la loro forza e la loro chiarezza sulla strada della lotta alla classe degli sfruttatori: da questo la possibilità materiale che si realizzi la società senza classi ed autogestita.

I rivoluzionari anarchici e gli sfruttati in quanto tali devono organizzarsi in base all’apporto specifico che possono portare alla rivoluzione sociale; ma questi apporti specifici non hanno senso se non si armonizzano tra loro. Le masse hanno necessità di dialogare con chi fornisca loro elementi per battere le mistificazioni ideologiche dominanti alla luce della stessa storia delle masse rivoluzionarie. Ciò non toglie però che questa chiarezza possa trasformarsi da possibile arma rivoluzionaria in arma rivoluzionaria reale ed agente solo in mano alle masse, che solo possono costruire la nuova società.

Questo enorme problema non si risolve cancellando naturalmente uno dei due termini. Pretendendo, cioè, che solo chi sta nell’organizzazione specifica dei comunisti-anarchici possa fare la rivoluzione, o che è sufficiente organizzare la rabbia di chi è sfruttato, senza offrire la chiarezza della visione rivoluzionaria per arrivare al comunismo-anarchico.

Quel che è grave è che si sta commettendo spesso l’uno o l’altro di questi due errori, per semplice miopia rispetto al problema reale.

E’ urgente riconoscere la nostra arretratezza rispetto a ciò: si tratta di uno dei punti cardine della lotta alle organizzazioni politiche e sindacali controllate dalla classe dominante, cioè della lotta per la rivoluzione sociale.

Concludendo: l’organizzazione specifica dei comunisti-anarchici e l’organizzazione di tutte le masse sfruttate devono esistere ed esprimersi nella loro specificità. Ma, nello stesso tempo, devono armonizzarsi sempre più nelle lotte rivoluzionarie, pena la sconfitta.

Bisogna subito esprimersi e dibattere su come ciò deve avvenire.

3. UNITA’ TEORICA DELL’ORGANIZZAZIONE SPECIFICA

Organizzazione di sintesi o di tendenza? Ai tempi in cui venne fuori la Piattaforma, questo dibattito era molto vivo ed esplicito nel movimento anarchico. Oggi, invece, pare che siano quasi tutti orientati per l’organizzazione di tendenza o, quantomeno, sembra che le polemiche si siano smussate e sgonfiate. Purtroppo c’è ancora scarsa chiarezza, per cui sarebbe bene che se ne discutesse a fondo.

La sintesi è l’unione di tutti quelli che si richiamano all’anarchismo, prescindendo dalle varie interpretazioni teoriche e strategiche, date da ognuno, e basandosi sulla sola necessità che gli anarchici abbiano la possibilità di coordinarsi quando e come lo vogliano, in base alle attività svolte sul momento.

La tendenza unitaria pone invece l’organizzazione non al servizio delle necessità del momento, ma al servizio di una linea teorico-strategica comune a tutti i compagni organizzati tra loro. Se vogliamo, possiamo dire che entrambe le posizioni richiedano una tendenza unitaria per creare l’organizzazione, variando però notevolmente il giudizio su cosa debba essere unitario: si va dal semplice dichiararsi anarchico (sintesi "pura") alla precisione dell’unità strategica (tendenza). In termini di movimento, si tratta del problema del pluralismo anarchico. Poniamo come fatto certo l’esistenza di più tendenze in seno all’anarchismo. Sono date due scelte: pretendere che tutti coloro che si definiscono anarchici debbano sopravvivere politicamente, uniti nello stesso organismo, qualunque sia l’effetto delle loro azioni rispetto agli sfruttati ed alla rivoluzione sociale (anche se alcune forme di pratica politica anarchica vengono sconfessate dagli stessi fatti storici), oppure dire che ogni tendenza, senza scomuniche pregiudiziali, si organizzi, agisca e verifichi la propria correttezza in autonomia rispetto alle altre.

Noi pensiamo che no basta definirsi anarchico per essere rivoluzionario, per essere il più politicamente utile alla rivoluzione delle masse sfruttate; se vogliamo essere corretti rispetto ad esse, dobbiamo dare la possibilità di un rapporto fra le masse e le varie tendenze anarchiche tale che quest’ultime si mostrino nella loro specifica realtà e non un calderone che fa solo confusione. Il risultato, in tal caso, è quello della confusione fra anarchici stessi (si trova bene chi di sola confusione vive) e del mancato incisivo apporto dell’anarchismo alla rivoluzione sociale. Per questo, il modo reale di dare onore al pluralismo delle tendenze anarchiche è che esse si presentino nella lotta con ben chiari connotati specifici, con la possibilità di esprimerli, con la libertà di dibattere politicamente fra loro e criticarsi se necessario.

Che le differenze reali (non gonfiate, né sminuite artificialmente) si vedano, si veda il loro confronto, si possano valutare senza deformazioni. Non paghiamo più lo scotto di una confusione impotente per una unità astratta e puramente mentale. Facciamo che ogni tendenza si assuma le sue responsabilità rispetto agli sfruttati ed alla rivoluzione sociale: chi sbaglia solo così potrà correggersi. I compagni sanno bene quanto pesa questo problema sulla realtà del movimento anarchico italiano, dal secondo dopoguerra ad oggi.

4. LA RESPONSABILITA’ COLLETTIVA

Una organizzazione è una cosa diversa da un individuo, né è una semplice accozzaglia di individui. Ci si organizza per fare qualcosa di più forte e di più incisivo. La società libertaria non potrebbe certamente permettersi che ci siano persone che perseguono solo e innanzitutto il proprio tornaconto, anzi, la riuscita di questa società è basata sul fatto che, abolite le armi del dominio dell’uomo sull’uomo, attraverso la propria coscienza autonoma, ognuno tenga presente le esigenze collettive. Si tratta pur sempre di un ambizioso progetto di superamento, seppur graduale e senza imposizioni esterne, dell’individualismo attuale. Una organizzazione specifica di militanti che lottano per questo tipo di società e che si muovono insieme perché hanno una eguale visione teorico-strategica, non può che essere basata sulla responsabilità collettiva.

Malatesta arrivò, secondo noi, a concordare con Makhno sulla sostanza del fatto, seppur parlando di responsabilità morale del singolo. Ma è chiaro che è il singolo che, con un atto di responsabilità morale, contribuisce a formare la responsabilità collettiva dell’organizzazione. Questo avviene nel momento in cui l’unità teorico-strategica, prodotto reale dei componenti dell’organizzazione specifica, determina la linea generale da seguire ed i modi con cui verificarla e cambiarla. Intorno all’asse teorico-strategico, sempre verificato e chiarito, e intorno ai nodi tattici non necessariamente uguali fra loro, ma non discordanti dalla linea generale, si costruisce una organizzazione come coscienza politica unitaria, e sempre verificata, di ognuno dei componenti.

Con la conseguente libertà di scelta tra tattiche analoghe, riportando sempre rigorosamente la discussioni tattiche alla linea generale.

Se c’è chiarezza su questo, coloro che non fossero d’accordo sulla vecchia linea teorico-strategica (fossero anche quasi tutti), se accettano il principio della necessità dell’organizzazione di tendenza unitaria (nel quadro suddetto del pluralismo), saranno i primi a cercare di costruire una nuova organizzazione che esprima compiutamente la loro visione politica generale.

Tutto questo, nei termini della responsabilità collettiva, si traduce nel fatto che un compagno sta in una organizzazione solo perché ne condivide la linea, accettando così il rapporto di responsabilità con tutti gli altri componenti. Si traduce, infine, nel fatto che su questioni tattiche particolari, egli potrà di volta in volta dichiarare il suo accordo o disaccordo, assumendosi la responsabilità di eseguire né più né meno di quello che ha detto di voler fare.

Se non si vuole che ognuno accetti una piattaforma che poi non seguirà e, peggio ancora, non sottoporrà a continue verifiche, si accetti allora il principio della responsabilità collettiva e, inoltre, -stiamo attenti- lo si faccia funzionare dotando l’organizzazione di efficaci strutture di decisione assembleare. E queste sono cose di cui oggi il movimento è profondamente carente.

Questi quattro punti sono oggi in Italia di enorme importanza. In negativo però: siamo indietro nel loro chiarimento. Eppure, fra scomuniche reazionarie e fughe fumose in avanti, di confusione se ne è fatta tanta. Secondo noi, le scomuniche assurde, da una parte, e l’incapacità di controbatterle chiaramente, dall’altra, sono servite, servono e serviranno solo a mantenere sospesi e indefiniti, privi di soluzione, quegli stessi problemi che si vollero sollevare anche con la Piattaforma del Dielo Trouda. Prova ne è il fatto che il movimento comunista-anarchico italiano è uscito da questo dibattito privo di quegli strumenti che invece doveva procurarsi o quantomeno esaminare seriamente.

Questo stato del movimento è chiaramente riscontrabile sia nell’unione giornaliera di molti compagni e gruppi, sia spesso negli ordini del giorno dei convegni delle organizzazioni che hanno finora sottovalutato l’importanza dei temi sopraddetti.

Non vogliamo aggiungere altri punti specifici. Solo una grave constatazione: su questa e altre cose, confrontiamoci in base ai risultati reali; non facciamo il gioco dei nostri nemici che pescano nel torbido della confusione e dell’impotenza.

 

(all’epoca l’O.R.A. era ancora una organizzazione regionale con sezioni a Bari, Foggia, Barletta, Bisceglie, Molfetta, Altamura)