Marx dopo il marxismo

Sullo stato della discussione attuale circa "la cassetta degli Attrezzi" di Marx.

 

"La critica non è una passione del cervello, è il cervello della passione. Essa non è un coltello anatomico, è un'arma." Karl Marx

"Per riassumere: nello stato attuale della società, che cosa è dunque il libero scambio? È la libertà del capitale. Quando avrete lasciato cadere quei pochi ostacoli nazionali che raffrenano ancora la marcia del capitale, non avrete fatto altro che liberarne completamente l'azione [...] Il risultato sarà che l'opposizione fra il lavoro salariato e il capitale si delineerà più nettamente ancora [...].
Designare col nome di fraternità universale lo sfruttamento giunto al suo stadio internazionale è un'idea che non poteva che avere origine in seno alla borghesia. Tutti i fenomeni di distruzione che la libera concorrenza fa sorgere all'interno di un paese si riproducono in proporzioni più gigantesche sul mercato mondiale [...].
In generale ai nostri giorni il sistema protezionista è conservatore, mentre il sistema del libero scambio è distruttivo. Esso dissolve le antiche nazionalità e spinge all'estremo l'antagonismo fra la borghesia e il proletariato. In una parola, il sistema della libertà di commercio affretta la rivoluzione sociale.
" (Marx, 1971, "Discorso sulla questione del libero scambio", in Miseria della filosofia, Ed. riuniti, Roma, pp.175-177)

Una autentica e rigorosa discussione sui problemi del blocco della teoria marxista non avviene più da almeno trenta anni. Non è qui il caso di affrontare le cause di questo arresto di dibattito; è bene però, ricordare che ci sono organizzazioni italiane neo-bordighiste, neo-trotzkiste, neo-staliniane e altri gruppi molto più ampi, quali il Pdci, la corrente dell'Ernesto, area critica del Prc, nonché la corrente che fa capo a Ferrando, che si definiscono "di classe", in rapporto ai due temi classici di derivazione marxista.

Il primo tema classico (su cui oggi, per altro, ci imbattiamo di necessità, data la condizione del capitalismo globalizzato e, in specie, del capitalismo imperialista americano) è

  1. il problema del soggetto rivoluzionario anticapitalistico di classe;
  2. e, connesso ad esso, il problema della lotta di classe in generale.

Esso ci consente di domandarci se oggi c'è, e se c'è, qual è, un soggetto rivoluzionario anticapitalistico strutturale e fondamentale e, in secondo luogo, se la lotta di classe sia tuttora da considerarsi il motore principale della storia.

Tutti sanno che il soggetto rivoluzionario anticapitalistico fondamentale è identificato dalla teoria classica marxista nella classe operaia salariata, che, a sua volta, viene identificata con la classe proletaria generale. (Ma è bene sapere che furono Engels e Kautsky a sistematizzare il primo paradigma teorico marxista, negli anni 1875-1895, cosa che Marx non fece mai...).

La definizione rivela che si tratta di una classe economica, quella dei salariati, che è oggetto di sfruttamento capitalistico e di estorsione del plusvalore assoluto e relativo, che viene identificata con la classe dei proletari, i quali, a loro volta, sono destinati a emancipare se stessi e tutta l'umanità.

Tale soggetto rivoluzionario anticapitalistico nel corso dei decenni non era più sufficiente a cogliere le trasformazioni in ambito lavorativo, e allora, a questo profilo fondamentale sono stati, di volta in volta, aggiunti vari altri soggetti, quali: l'esercito industriale di riserva, ovvero i disoccupati, gli immigrati, i tecnici, i lavoratori socialmente utili (sic!), i lavoratori precari e flessibili, i salariati a basso e medio reddito; negli ultimissimi tempi, poi, sono stati aggiunti a tale classe fondamentale, altra categorie, come i giovani, le donne..., utilizzando, forse, più la sociologia e la statistica che la teoria marxista.

Potrebbe sembrare, e per qualche studioso marxista lo è, che alla base di questa teoria ci sia una filosofia idealistica della storia che affonda le sue radici nel romanticismo tedesco e non una concezione materialistica e dialettica della storia stessa.

Circa il secondo aspetto, ovvero il ruolo della lotta di classe nello schema generale della riproduzione dei rapporti sociali, attualmente si è pervenuti, di fatto, attraverso vari passaggi, a una sorta di lotta per la ripartizione del reddito fra salario, profitto, interesse e rendita: è una concezione distributiva della lotta di classe.

Essa però non ha nulla a che vedere con la concezione marxiana della lotta di classe, che è, per sua propria natura, intermodale, ovvero è lotta di classe solo se riesce a mettere in discussione la riproduzione complessiva dell'intero rapporto di produzione.

E' bene ricordare che il marxismo è una critica dell'economia politica nella sua totalità, cioè dell'insieme della riproduzione del modo di produzione capitalistico e non è, come, ad esempio, il più noto keynesismo sociale, una "economia politica di sinistra.

Forse è bene, per comprendere i processi avvenuti, ripercorrere alcune tappe. Il tema del soggetto rivoluzionario anticapitalistico è stato affrontato dalla tradizione marxista attraverso almeno tre passaggi principali: all'inizio troviamo la posizione di Marx e di Engels elaborata nel 1848, quando stavano scrivendo il Manifesto del Partito Comunista, secondo cui il soggetto rivoluzionario è il proletariato; esso però, all'epoca, indica una specie di "popolo" interclassista, a base soprattutto artigiana, anche perché Marx non aveva ancora elaborato la teoria del plusvalore e la altre sue teorie scientifiche; e anche perché Marx stabilisce una analogia fra le due classi sociali antagonistiche (borghesia e Proletariato) e due sistemi sociali precedenti, lo schiavismo e il feudalesimo; ma tali sistemi sociali non sono stati sistemi globali, e anzi si sono manifestati in una parte del mondo europeo occidentale e, in secondo luogo, non furono certamente i servi della gleba a superare il modo di produzione feudale, né gli schiavi a superare il modo di produzione schiavistico. Occorreva pertanto dimostrare scientificamente che questa classe sociale, il proletariato, avrebbe avuto una capacità "intermodale " di superamento dello sfruttamento, che né schiavi né servi della gleba avevano potuto fare.

Una dimostrazione di questa teoria fu effettivamente elaborata da Marx negli anni 1850-1870: in questa fase il soggetto rivoluzionario anticapitalistico non è il general-generico proletario, ma il lavoratore collettivo cooperativo (secondo la formulazione dell'economista Gianfranco La Grassa), che va dal direttore di fabbrica al manovale, e che si alleerebbe con il cosiddetto "general intellect" (così definito da Marx, in termini inglesi), ovvero le potenze mentali create dalla grande produzione capitalistica; si vede bene che in questa elaborazione Marx non parla né di proletariato né di classe operaia.

E' stato dimostrato filologicamente che questa è stata l'autentica teoria di Marx sul soggetto rivoluzionario anticapitalistico ed infatti essa è del tutto coerente con la sua tesi di fondo che saranno le stesse forze produttive che il capitalismo, per valorizzarsi al massimo, crea, che costituiranno i suoi demolitori storici.

Una terza teoria fu elaborata da Engels e Kautsky e sostiene che il soggetto rivoluzionario è il proletariato di fabbrica, ovvero la classe operaia organizzata in sindacati e partiti, teoria a cui Marx, finché visse (1883), dette il proprio assenso, probabilmente perché, mentre il "general intellect" non era allora oggettivamente visibile e rintracciabile, la classe operaia della seconda rivoluzione industriale era lì, presente e rappresentabile secondo i canoni positivistici, allora vigenti.

Il dato che sconcerta è che tale teoria è arrivata fino ad oggi, nonostante siano accaduti due fatti davvero epocali, come il sempre più evidente integrarsi della classe operaia e dei salariati nelle società capitalistiche e il fallimento e l'implosione delle esperienze del comunismo storico del Novecento.

Quindi, in sintesi, direi che, dopo essere passati attraverso la fase della teoria della cosiddetta "aristocrazia operaia" che sarebbe stata corrotta dai sovra-profitti imperialistici, si è pervenuti, oggi, a leggere (ma non tutti se ne sono convinti) la storia del movimento operaio nei paesi capitalistici avanzati sostanzialmente, come il sociologo polacco Bauman ha da tempo individuato: e cioè che la classe operaia di fabbrica è stata capace di attivare comportamenti rivoluzionari solo nella prima fase della sua esistenza, quando è uscita dalle comunità pre-capitalistiche, ma che poi ha dimostrato in sede storica in modo inesorabile di integrarsi regolarmente nelle società capitalistiche.

E' un caso clamoroso di manifestazione storica del contrario di quanto affermato nel primo modello marxista del 1875-1895.

Dunque il paradigma scientifico, che è alla base della teoria marxiana, è entrato in crisi ormai da tempo, ma non si sono verificati momenti di crisi conclamata, discussa e superata, come avviene, ad esempio, nei casi di anomalia del paradigma delle scienze che, come sappiamo, procedono per rivoluzioni.

Dunque questa teoria è durata più di cento anni, a causa, io credo, di una ragione epistemologica che ci riguarda tutti, e cioè che una teoria scientifica tende a mantenersi stabile, nonostante evidenti falli e anomalie, quando non si siano trovate altre teorie in grado di sostituirla: questo credo sia proprio il caso del soggetto rivoluzionario anticapitalistico fondamentale.

Oggi, pertanto, se è vero che la lotta di classe si identifica -di fatto-, anche se non dichiarata, con la lotta per la ripartizione del reddito, si tratta di riconoscere che questa lotta per il salario individuale e sociale e per la diminuzione degli orari di lavoro, in sé assolutamente legittima e da sostenere, potrebbe essere stata ipotizzata anche se Marx e i suoi interpreti non fossero mai esistiti: sarebbero bastate le categorie di David Ricardo, per altro utilizzate per molti decenni dagli economisti seguaci di Pietro Sraffa.

Forse è utile compiere un breve excursus anche sul tema della centralità della lotta di classe, intesa come motore principale della storia.

E' bene ricordare subito la posizione di Lenin, secondo cui si era davvero marxisti solo se si passava ad organizzare, una volta riconosciuta l'esistenza della lotta di classe, la dittatura del proletariato che era necessaria per qualunque società di "transizione" dal capitalismo al comunismo, attraverso il socialismo.

Per dittatura del proletariato si intendeva la dittatura della classe proletaria organizzata in consigli di autogoverno politico e autogestione economica, i noti "soviet", che però - è bene ricordare, sono esistiti in situazioni del tutto temporanee.

E circa la questione della lotta di classe, la teoria della tradizione marxista sostiene che essa è collocata entro il "nesso dialettico fra crescita delle forze produttive e natura classista dei rapporti sociali di produzione"; ovvero, la lotta di classe si sviluppa fra due poli dialettici, da una parte si manifesta e si osserva lo sviluppo di forze produttive, dall'altra essa consente, nel suo procedere, di pervenire ad una trasformazione del rapporto sociale di produzione.

Nei fatti, però, si sono sviluppati due aspetti estremi nel modo di concepire teoricamente il ruolo della lotta di classe nella storia universale: quello che possiamo definire "l'economicismo marxista" che ritiene centrale lo sviluppo delle forze produttive e che è stato di fatto dominante, da Kautsky all'attuale dottrina ufficiale del partito comunista cinese; e il "classismo marxista" che, al contrario, considera centrale la trasformazione rivoluzionaria del rapporto sociale di produzione: è la strada percorsa da Mao Tse Tung e dalla sinistra maoista negli anni 1956-1976.

Un dato degno di interesse è che entrambe le varianti oppositive della teoria si sono manifestate ambedue nella Cina, ovvero in una società che è la più grande del mondo: tutta da compiere una analisi seria e rigorosa.

Come si vede, il nucleo più caduco del marxismo sta nella concezione del capitalismo come società mercantile, nella visione neutrale ed evolutiva dello sviluppo delle forze produttive e nella presupposizione di una tendenza cooperativa immanente alla dinamica del modo di produzione capitalistico.

E nella situazione storica nella quale ci troviamo che posto occupa il problema della centralità della lotta di classe, come motore della storia universale e come chiave teorica principale per l'interpretazione della società?

In estrema sintesi, ognuno sa che la divisione in classi della società deriva dalla divisione sociale del lavoro che produce differenze di sostanza e di struttura nel possesso e nell'uso di sapere e di potere; esso poi sviluppa forme di proprietà giuridica dei mezzi di produzione, e via a procedere, fino alle differenze di consumo di beni e di servizi.

A questo punto si inserisce l'ideologia delle classi dominanti che presenta la divisione sociale del lavoro, che è una divisione classista, come se fosse una divisione tecnica, dovuta a cause oggettive di riproduzione della società, indipendenti dall'antagonismo classista.

Ma è anche vero che se, per fare un esempio, nell'epoca contemporanea Internet è stato inventato per ragioni militari, di tipo classistico, capitalistico e imperialistico, è innegabile che, una volta inventati, promuovono un avanzamento tecnologico e culturale universalistico (benché non da tutti fruibile in modo egualitario).

Perciò nella situazione storica in cui viviamo la lotta di classe è più attuale che mai, perché oggi sono ancora più potenti le differenze sociali di sapere e di potere, di denaro e di forza militare...

La lotta di classe presenta perciò due aspetti, uno particolare, per cui essa rinasce sempre in forme diverse e non è di fatto eliminabile, e l'altro universale, per cui è lecito ancora domandarsi se essa sia tuttora motore necessario per promuovere un nuovo comunismo.

Io ritengo che si possa rispondere di sì.

Certo, è avvenuto, nello sviluppo delle forze produttive sociali, (ma questa parte richiederebbe una sua specifica trattazione, per cui semplifico eccessivamente) sia la diminuzione numerica prima dei contadini e poi degli operai e, di seguito, il decentramento produttivo su larga scala in paesi in cui il costo del lavoro salariato è inferiore, ma la questione non cambia circa la domanda se si sia verificata e ancora sussista la capacità rivoluzionaria "intermodale" della classe operaia.

E la lotta di classe in un'epoca dominata dall'imperialismo americano presenta caratteristiche coerenti.

Infatti, oggi, gli Usa esportano nel mondo un modello economico e militare che è quello di un capitalismo totale, in cui la democrazia è del tutto svuotata e resa impotente dalle oligarchie finanziarie dominanti e dalla forza mediatica di manipolazione, e in cui il dominio del mercato del lavoro sulle forze organizzate dei lavoratori salariati è totale; mentre il modello militare, della guerra preventiva, è quello dell'affermazione del diritto unilaterale dell'intervento armato, oltre ogni diritto internazionale concordato fra nazioni.

Dunque, oggi è evidente che una attenta critica al doppio modello americano comporta una critica anticapitalistica e antimperialistica insieme.

Pertanto si deve tenere fermo, io credo, il principio della lotta di classe contro le disuguaglianze di potere e di sapere che si trovano dietro, e incorporate, nelle disuguaglianze di consumo della attuale società.

La cassetta degli attrezzi di Marx da questo punto di vista è ancora del tutto valida.

E' indubbio che l'aspetto cha ancora ci colpisce e ci avvince di Karl Marx è l'atteggiamento scientifico-razionale che verifica le ipotesi fatte con i dati storici osservabili: questo atteggiamento di metodo lo abbiamo fatto nostro in tanti anni di studio e di analisi delle forze in campo.

E se proviamo a verificare ora, dopo cento e venti anni, la sua teoria possiamo constatare che:

  1. si è rivelata inesatta l'ipotesi della incapacità della borghesia capitalistica di sviluppare le forze produttive, scientifiche e tecnologiche (certo, si tratta di uno sviluppo distorto, che è ora, ad esempio, nell'epoca presente, favorito dalla concorrenza intercapitalistica che ha bisogno, in questa fase in cui domina il capitale finanziario, di drenare risorse al salario diretto e indiretto dei lavoratori e allo stesso profitto industriale).
  2. Così la sua ipotesi scientifica centrale, ovvero la formazione del lavoratore collettivo cooperativo associato, alleato con il "general intellect", non è di fatto avvenuta, anzi se mai si è verificato il contrario.
  3. Infine mi sembra che si possa dire che al posto della dicotomia progressiva Borghesia/Proletariato che si sarebbe dovuta verificare, si è invece manifestato uno sviluppo costante di classi medie, ceti medi, gruppi intermedi, che dipende evidentemente da come si riproduce il modo di produzione capitalistico nella sua profondità.

Allora, alla fine di questo ragionamento, forse potremo dire che dei quattro concetti fondamentali del marxismo (modo di produzione, forze produttive, rapporti di produzione, ideologia) dobbiamo senz'altro conservare la nozione di modo di produzione capitalistico e di lotta di classe che al suo interno lo muove, mentre ci pone qualche problema l'accettazione del sistema dicotomico di borghesia e proletariato e di sparizione progressiva delle altre classi sociali intermedie.

Ma certo ci resta il problema di come connotare e definire l'innegabile scissione antagonistica fra la classe dei proprietari privati dei mezzi di produzione e la classe che deve vendere sul mercato la propria forza-lavoro.

Qualcuno ha proposto di usare, al posto di borghesia e proletariato, i termini marxiani di "agenti attivi e passivi della riproduzione capitalistica", in modo da distinguere la proprietà giuridica dei mezzi di produzione e il possesso reale degli stessi, con il ruolo decisivo connesso dei gruppi manageriali di tipo strategico.

Così è possibile comprendere meglio che la borghesia e il proletariato sono soggetti storici, sempre plurali al loro interno, veramente esistiti e tipici di tre fasi della vita del modo di produzione capitalistico (protoborghese, medioborghese, tardoborghese), ma non riferibili all'intero modo di produzione capitalistica esteso nello spazio e nel tempo.

Oggi, ad esempio, il sistema capitalistico in fase di ri-mondializzazione è culturalmente post-borghese e anche post-proletario e la sua forza sta nel fatto di avere allargato la propria base sociale; eppure resta lo stesso, e in toto, modo di produzione capitalistico.

Inoltre è innegabile che si è verificata una tenace persistenza dei ceti medi o classi medie (da preferire forse alla dizione ideologica di piccola borghesia) che deve essere analizzata in modo più serio e meno moralistico di quanto non sia stato fatto: un tipo di ceto medio, ad esempio, è stato la base sociale dei regimi fascisti che, nel corso del Novecento, hanno imposto il loro dominio politico attraverso l'uso diretto dello Stato, così un altro tipo di ceto medio post-socialista è stato l'attore delle restaurazioni capitalistiche nei paesi ex-comunisti; con questa impostazione, di fronte a questi eventi storici macroscopici, si può cessare di considerare le classi medie come residui, rispetto alla dinamica bipolare del modello marxista.

E ancora non possiamo negare che sono stati spesso usati, all'interno della dicotomia borghesia-proletariato, due sotto-concetti come quello di "proletarizzazione e imborghesimento" per rappresentare tutti i processi dinamici in ascesa o in discesa nel movimento sociale, creando una sovrana confusione dei reali processi in atto, sia perché vengono rappresentati in senso moralistico, sia perché in senso economicistico (ad esempio, alla fine i borghesi vengono identificati coi ricchi e i proletari coi poveri), dove si vede bene che il metodo scientifico di Marx è davvero morto e sepolto.

Dunque, per concludere, sulla base dell'utilizzazione della cassetta degli attrezzi di Marx, si può affermare che è ancora oggi possibile il superamento rivoluzionario del modo di produzione capitalistico, contro ogni teoria di "fine della storia", ma forse non si può insistere e poggiare in un unico soggetto rivoluzionario anticapitalistico strutturale che avrebbe in sé, nella sua essenza sociale, la capacità di superamento del capitalismo; infine ancora, si può ritenere la lotta di classe, se non l'unica, certo il principale motore della dialettica della storia universale.

Adriana Miniati
Redattrice della rivista "L'Ernesto"

 

(sono stati utilizzati articoli di G. Lagrassa, C. Preve, E. Screpanti. G. Pala)