Il diritto che fu

 

La globalizzazione dell'economia ha inciso in modo profondo sulla natura e funzione dello Stato, disgregando la sua sovranità interna e trasformandolo in uno dei tanti produttori di norme, senza alcun ruolo privilegiato rispetto ad altri Tra questi soggetti primeggiano certamente le imprese economiche transnazionali, che condizionano gli stati e sottraggono ad essi sempre più poteri di direttiva nell'ambito economico. Così la globalizzazione economica si accompagna a un più generale processo di globalizzazione politica, culturale e giuridica che sfugge al controllo dello Stato. Apparentemente il processo sembra svilupparsi per eventi e tappe casuali, frutto dell'interazione di molti agenti più o meno consapevoli e induce profondi cambiamenti anche in ambito giuridico, poiché la globalizzazione muta la tradizionale configurazione spazio-temporale delle fattispecie e degli ordinamenti giuridici. Risultano così modificate anche le interazioni giuridiche che sembrano seguire logiche "orizzontali" o "reticolari" - Sabino Cassese in La crisi dello stato - e viene messa in discussione la supremazia della legge, mentre entra in crisi il principio di certezza del diritto e la stessa sovranità dello Stato. 

Sembrerebbe giunto il momento tanto atteso di chi, come gli anarchici, hanno da sempre invocato la crisi dello Stato come precondizione per la rivoluzione e il trionfo delle libertà individuali oltre che collettive tanto più che a farsi spazio sono i "diritti umani", e la loro difesa come diritto primario. L'ineluttabilità della loro difesa ha sottratto alla legge il ruolo centrale, tanto che la loro tutela legittima un popolo, nonché gli altri Stati, a violare il principio di sovranità, scatenando una guerra giusta, come afferma l'internazionalista Antonio Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Bari, 2004.

E invece è il trionfo del capitalismo più selvaggio e dello sfruttamento più totale, grazie ad un potere che è divenuto istituzionalmente ma lecitamente occulto, che è legittimato dalle regole del mercato e dell'economia, che domina, controlla e determina le economie di aree territorialmente definite senza il limite della territorialità, senza il limite del tempo. E' un governo dell'economia che si ripropone in forma inedita, è la nuova forma di uno Stato, superstatale, che assorbe e condensa ruolo e funzione dello Stato dell'ottocento e del novecento. E' un super Stato che non si dota di leggi ma le ricava dal mercato stesso attraverso una contrattazione costante e continua dei soggetti forti che rideterminano costantemente i rispettivi equilibri come nell'oscillante percorso dei titoli azionari sul listino di una borsa.

Un ulteriore corollario della perdita del carattere privilegiato della legge come fonte del diritto è la crescita del valore e dell'importanza della giurisprudenza e del protagonismo delle corti. Nell'era della globalizzazione la produzione giurisprudenziale di diritto sembra adattarsi meglio alla logica dell'opportunità, opposta alla logica della sicurezza, cui risponde la legge, dall'altra parte le corti a carattere sovranazionale e internazionale si pongono ora "come produttrici di un diritto sostanziale e procedurale in gran parte autonomo e indipendente dagli Stati" (M. R. Ferrarese Le istituzioni della globalizzazione, 70 s.).

 

La supremazia del contratto

Sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un mondo privo di un "governo centrale", privo di un luogo privilegiato senza uno strumento di formazione del diritto e delle regole. Invece questa funzione è svolta dal contratto, che, grazie alla sua capacità di contestualizzare le decisioni e al suo potere di erosione della netta distinzione tra società civile e poteri pubblici, non limita più la sua efficacia all'ambito tradizionale del diritto privato, ma si impone ormai anche negli ambiti del diritto pubblico e del diritto penale.

Apparentemente la nuova situazione sembra liberare energie positive favorendo lo sviluppo del pluralismo normativo e del pluralismo giuridico. In una parola gruppi aggregati su basi etniche e/o su basi religiose e diversamente e non uniformemente distribuite sul territorio creano norme e diritto che convive, coabita con quello di provenienza statale e viene rispettato sulla base di un rapporto contrattuale che lega l'individuo al gruppo. Si tratterebbe di forme di diritto cosiddetto "diritto spontaneo", anch'esse più adeguate alle necessità di efficienza economica. Così, la fonte legislativa "nonostante i persistenti fasti quantitativi, va incontro ad un sicuro declino qualitativo", costretta sempre più "a rinunciare al suo originario fondamento decisionistico" per "accettare la contaminazione con le nuove forme giuridiche soft, 'miti', 'fluide', ecc." (ancora, M. R. Ferrarese, 72).

Così utilizzato il contratto non solo perde completamente il carattere di strumento di cooperazione sociale, ma si allontana anche dalla logica dei diritti soggettivi. Diventa l'archetipo delle relazioni di mercato. La contrattualizzazione spinge verso un vero e proprio mercato delle regole. Il diritto si fa strumento di un'economia speculativa e si trasforma da garante di un assetto a produttore di rischio. Questo rischio diffuso non è il rischio globale, ma un rischio che passa inosservato, inoculato a piccole dosi dalle negoziazioni che hanno luogo sul mercato, sfugge alla decisione politica, si insinua nei rapporti di lavoro, inquina e distrugge le relazioni sociali e affettive, precarizza ogni cosa, rende incerto ogni rapporto. La distribuzione del rischio diviene così una questione puramente privata da questione politica per eccellenza, quale in effetti è, e produce la fine del welfare state, ma anche la fine della nozione di responsabilità, che era alla base delle azioni umane nella concezione liberale dello Stato e del vivere sociale. Al centro del dibattito contemporaneo, della filosofia della vita, emerge il tema dell'accettabilità del rischio. La "nuova società" si ammanta di precarietà, di instabilità, di ricerca quotidiana della sopravvivenza.

Il diritto della globalizzazione sembra così rinunciare - Ost, Le temps du droit, Paris, Odile Jacob, 1999 - a molte delle esigenze cui intendeva rispondere il diritto moderno, quali la valenza simbolica, la capacità di aggregare intorno ai valori comuni, il rigore delle procedure, la certezza giuridica, la sicurezza sociale e dei rapporti, per aprirsi invece alla logica della deroga e ad obiettivi di semplice gestione degli eventi congiunturali e momentanei. Le istituzioni si "alleggeriscono" anzitutto liberandosi dei vincoli verso il passato e, soprattutto, verso il futuro.

A questa negoziazione non sfugge nemmeno il diritto costituzionale tanto che le corti scelgono interpretazioni "evolutive" delle norme costituzionali, conferendo alla tutela un valore contingente e fortemente condizionato dai rapporti di forzo piuttosto che dalla neutralità del diritto e della legge. In tal modo, il diritto costituzionale sembra trasformarsi, sul modello statunitense, sempre più in una giustizia costituzionale sic et simpliciter. Anche l'istituto della costituzione grazie alla modificazione delle sue caratteristiche, può internazionalizzarsi e a una giustizia costituzionale statale può sovrapporsi allora una giustizia costituzionale transnazionale come avviene ormai da anni ad opera delle corti europee e dei diversi tribunali internazionali, costituiti per dare copertura legale a operazioni politiche che hanno creato una profonda lesione dell'ordine internazionale.

 

Gli effetti giuridici della globalizzazione: precarizzazione della vita

Pertanto la globalizzazione non si caratterizza soltanto come un'evoluzione estrema del capitalismo, ma come un processo le cui caratteristiche vengono alla luce chiaramente se si analizzano i mutamenti che esso induce nella sfera istituzionale, identificati nel processo di frantumazione della sovranità statale, da un lato, e nei cambiamenti che investono l'ambito del diritto. Gli attori stessi del processo giuridico, le modalità di produzione e di funzionamento delle norme si trasformano profondamente, sotto l'influenza della logica della negoziazione propria della ratio economica, che si impone su quella dei diritti persino in campo penale e costituzionale. Ciò non può avvenire che a discapito della valenza normativa del diritto, che viene costantemente indebolita, così come vengono profondamente cambiate anche le tecniche applicative. Ciò rende il diritto ancora più permeabile a realtà sociali esterne ma si tratta di realtà forti e solo di quelle. Siamo di fronte a un "gioco giuridico" nel quale si inseriscono i nuovi soggetti protagonisti dei processi di globalizzazione: le organizzazioni non governative e le corporations multinazionali. Un "gioco" che, a sua volta, detta delle regole, ma seguendo iter del tutto inediti, nei quali le norme scritte passano la mano ad un processo attivo caratterizzato da una "razionalità strategica" nel quale si susseguono decisioni sempre provvisorie ad opera di soggetti privati, protagonisti di un nuovo mercato globalizzato, le cui caratteristiche starebbero nell'intensificazione degli scambi e nel predominio dell'economia finanziaria. La società civile viene insomma sostituita in tutto e per tutto dal mercato: il diritto viene sostituito dalla lex mercatoria e il cittadino dal consumatore che, come tale, può venire tutelato soltanto da relazioni contrattuali.

 

Globalizzazione e guerra irakena

Una possibile verifica empirica delle sommarie e sintetiche riflessioni che precedono può essere cercata nello sviluppo delle recenti vicende irakene. Basta sottolinearne alcuni passaggi:

  1. l'aggressione come difesa preventiva di un danno supposto e ipotetico supportato da una presunzione di colpevolezza;
  2. la negazione della sovranità dello Stato irakeno in ragione della violazione dei diritti umani;
  3. la costituzione di una autorità di occupazione che si autoattribuisce la rappresentanza del potere a livello internazionale, come espressione di interessi localizzati sul territorio: assicurare e organizzare la ricostruzione;
  4. la compresenza di eserciti privati e eserciti statali, compresenza operativa, supportata da contratti di appalto o di gestione di aree con imprese multinazionali che tali eserciti finanziano, al punto da cogestire l'occupazione del territorio;
  5. inapplicabilità di qualsiasi legge agli occupanti appartenenti agli eserciti privati (compresa quella internazionale). Solo diritto applicabile quello contrattualmente stabilito nelle regole di ingaggio.

Per questo motivo l'opposizione alla guerra irakena è necessaria e doverosa, a prescindere dal carattere integralista di molte delle componenti della resistenza irachena e della guerriglia terroristica condotta dal fondamentalismo islamico. Ciò non vuol dire che nel mentre diamo la nostra solidarietà internazionale non dobbiamo sviluppare una forte critica al carattere religioso di molti movimenti politici e portare avanti su un terreno certamente difficile la nostra battaglia per la laicità e il superamento di ogni forma di "peste religiosa" come ci insegnava ormai più di 120 anni fa il buon Most nel suo famoso opuscolo invitandoci alla lotta "... contro tutti i venditori di pioggia e di bel tempo in attività di servizio".

Giovanni Cimbalo
Docente di Diritto Ecclesiastico
Università di Bologna