Economie ad alto potenziale di instabilità

 

"Nostra patria il mondo intero, nostra legge la libertà", quale elettore di questa rivista non ricorda questo incipit? Ebbene, esso sembra diventato il motivo conduttore dei comportamenti "razionali" degli operatori economici in ogni Paese. Siamo d'altronde nel pieno di un processo di trasformazione profonda, che investe progressivamente tutte le realtà economiche e territoriali della Terra. E' noto che il cuore della dinamica in atto è costituito dalle tecnologie dell'informazione, le quali hanno prodotto un'incredibile accelerazione dei flussi di merci, persone e informazioni a livello internazionale. Meno noti e quindi meno analizzati sono alcuni effetti della transizione odierna. Su di essi è opportuno soffermarsi, al fine di cercare di comprendere le possibilità di sviluppo di differenti traiettorie evolutive delle economie e di stimare il potenziale di instabilità che è alla base di ciascuna economia e del cosiddetto "sistema-mondo". In queste note proponiamo quindi un piccolo viaggio verso zone poco esplorate (ed impervie) del paesaggio economico attuale, nel tentativo di orientarsi in attesa di ulteriori eventi.

Innanzitutto, il decennio '80 passerà alla storia come il periodo in cui si è creato un vero e proprio spazio "transnazionale delle comunicazioni", per parafrasare un concetto elaborato da Shiller nel volume Capitalismo digitale (Bocconi Editore). Innovazioni telematiche (per tutte la "commutazione per pacchetti") hanno portato negli USA ad una serie di liberalizzazioni nello sviluppo delle reti, che si sono successivamente generalizzati in molte altre economie. L'ambito economico in cui si sono maggiormente diffusi gli effetti amplificati dei mutamenti in atto è la sfera finanziaria. La de-regolamentazone dei mercati dei capitali e la riduzione progressiva degli ostacoli ai movimenti di risorse tra le varie "piazze" hanno interagito con l'espansione telematica secondo un circuito auto-rafforzantesi: maggiore la spinta tecnologica verso la fluidità delle informazioni e la contrazione delle regole, più elevata l'esigenza di mobilità finanziaria in grado di sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, ancora più forte l'ulteriore accelerazione telematica, quindi l'incremento delle fluidità e così via. Questo processo cumulativo ha generato un fenomeno alla lunga dirompente per molti soggetti, ovvero quella che possiamo definire "contrazione del tempo e dilatazione dello spazio" delle decisioni. Ci riferiamo al fatto che sempre più il processo decisionale dei consumatori (individui, gruppi sociali) e operatori (individui, imprese, istituzioni) dipende dalle decisioni prese da altri soggetti (individuali e collettivi), operanti a migliaia di km di distanza, con tempi di reazione misurabili in "nanosecondi". Pensate a un sub-fornitore della Pignone che deve competere con produttori messicani o neo-zelandesi nel rispondere ad un'asta elettronica, in cui si confrontano offerte per produrre bulloni o altra componenti. Per quanto riguarda i consumatori, si pensi alla commistione dei modelli di vita (valori, stili, immagini) indotta da flussi inarrestabili e crescenti di informazioni.

Un'altra conseguenza rilevante, forse decisiva, della dinamica indicata è la seguente: soprattutto negli USA, ma progressivamente anche in altri Paesi, la funzione degli investimenti viene alterata in profondità. E' in sostanza accaduto questo: l'interdipendenza dei mercati finanziari e l'accelerazione dei flussi (informativi e monetari) hanno indotto le imprese ad adottare un orizzonte di breve termine, nel senso che esse investono risorse verso attività che hanno una redditività sempre più a breve (attività finanziarie nazionali e internazionali). Come affermano spesso gli studiosi di management e gli stessi managers, poiché bisogna "creare valore" velocemente, si investe nelle attività finanziarie con l'aspettativa di variazione di valore più promettente. L'ondata di fusioni, acquisizioni, cambi di pacchetti azionari e di afflussi di denaro verso economie in forte crescita (per es. le cosiddette "tigri asiatiche") è stata appunto originata da queste potenti spinte propulsive, ma è con preoccupazione crescente che alcuni (pochissimi) analisti oggi si chiedono: se, specie negli USA, si è affermato un modello di impresa dove il programma di produzione e quindi l'operatività di lungo periodo diviene elemento sempre più secondario, non c'è il rischio che l'apparato produttivo diventi progressivamente più debole, dal momento che alle imprese non interessa lo sviluppo di una tecnologia o di un prodotto, che richiedono necessariamente un orizzonte temporale più ampio? Non è un caso, infatti, che le fusioni tra aziende e le acquisizioni si sono quasi sempre caratterizzate per successivi licenziamenti, liquidazioni di attività reali, quindi per "distruzione di capacità produttiva".

Strettamente connessa a quest'alterazione è un'altra, concernente l'impiego del lavoro oppure, nella terminologia degli economisti, del capitale mano. Lo studioso americano L. Thurow (The future of capitalism) ha segnalato la contraddizione fondamentale tra l'esigenza delle imprese di utilizzare personale già formato, per poi sostituirlo quando ne occorre dell'altro, e il fatto che quel capitale umano richiede processi di formazione medio-lunghi, soprattutto nell'odierna "società ad alta intensità di conoscenza". La contraddizione tra la logica di breve periodo dell'impresa e la logica di lungo periodo dell'investimento in capitale umano può minare alla base la funzionalità di un sistema economico in uno scenario evolutivo che si sviluppi in un arco temporale ampio. Appare evidente l'incompatibilità di fondo tra decisioni individuali (capitalistiche) e esigenze formative, che non possono essere lasciate agli individui, il cui orizzonte decisionale raramente si proietta su più decenni. In altri termini, quante persone sono in grado di elaborare e attuare piani di spesa in formazione proiettati su più decenni, in assenza di certezze e con la prospettiva di un impiego a tempo (fin quando il sapere accumulato è ritenuto utile)? Questa contraddizione di fondo tra due logiche (di breve e di lungo periodo) è una contraddizione insita nel sistema capitalistico odierno, soprattutto nell'attuale epoca storica, nel corso della quale i processi telematici e i fenomeni descritti all'inizio portano il mondo delle imprese a postulare l'assoluta libertà e la riduzione delle regole, fino alla versione estrema dello "Stato minimo". La contraddizione evidenziata acquista ancora più valor dirompente se si riflette su un altro elemento: stiamo vivendo una fase contraddistinta da una vera e propria "discontinuità tecnologica", dagli effetti estesi e permanenti. E' in atto - su scala planetaria - un cambiamento di traiettorie economico-produttive, perché un insieme di attività è destinato a essere ridotto o azzerato, mentre altre sfere sociali vedranno emergere esigenze e quindi processi lavorativi in grado di soddisfarle. Le tecnologie dell'informazione sono definite "pervasive" per indicare appunto che penetrano in ambito della vita economico-sociale, determinando mutamenti diffusi e irreversibili dei tradizionali modi di soddisfare i bisogni, di organizzare le imprese e le attività mane in genere. Quotidianamente ciascuno di noi verifica questo e la dinamica in corso è per molti versi simile a quanto è accaduto con la diffusione dell'energia elettrica, esempio impiegato proprio da un famoso studioso (lo storico P. David). Si stanno in sostanza trasformando i sistemi produttivi di tutto il mondo ed emergono nuove "tecnologie critiche" o "guida", con la conseguenza che fasce ampie fasce di differenti società mutano la loro configurazione, dal momento che aree economico-territoriali possono entrare in decadenza, mentre altre sono protagoniste dello sviluppo e ampie quote di persone sono costrette a cambiare lavoro, competenze, professionalità, saperi, e così via. E' evidente, come sostiene sempre L. Thurow, che si aprono "linee di faglia" potenzialmente distruttive per le tradizionali configurazioni sociali e gli assetti capitalistici, perché sono inevitabili gli squilibri e le asimmetrie tra soggetti individuali e collettivi. Se questi sono lasciati a se stessi, infatti, è inevitabile una fase di "polarizzazione sociale", ovvero di differenze di reddito, di status normativi e di collocazione fisico-territoriale. Si pensi per un attimo alle tendenze sempre più forti, rilevate da R. Reich (L'economia delle nazioni, Ed. Sole-24ore), verso quello che egli definisce "modello secessionista": nelle città americane esiste una crescente differenziazione fisica tra gruppi sociali, per cui i quartieri e le aree di caratterizzano in base a proprietà tendenzialmente omogenee (reddito, colore, stile di vita, ecc.). 

E' evidente la portata squilibrante di questo modello socio-economico nella sua espressione urbano-territoriale. E' legittimo allora nutrire qualche dubbio sulla vitalità di lungo periodo di un sistema con le descritte componenti interne destabilizzanti. Appare quindi giusto porsi altri interrogativi in merito alla stabilità del sistema, specialmente quello statunitense. E' noto che il modello USA è considerato (quasi) universalmente di successo, ma quali sono le condizioni basilari delle sue prestazioni? Guardiamo al meccanismo fondamentale per l'accumulazione, cioè gli investimenti. Ebbene, il vero e proprio boom negli anni '90, soprattutto nella seconda metà del decennio, è stato finanziato da una "bolla speculativa" (vedi le riflessioni iniziali) di dimensioni tali - per le risorse impiegate, l'entità dei flussi internazionali di capitali affluiti negli USA e la "generosità" della politica monetaria- da far dire ad un analista finanziario: siamo nel pieno di un'inondazione monetaria seconda solo al diluvio universale. E' sostenibile nel lungo periodo questo modello di accumulazione?

Bisogna però interrogarsi anche su un'altra questione. Esso non si è basato solo sulla libertà quasi assoluta delle imprese di investire e orientare i flussi di risorse secondo i desiderata del momento. Studiosi americani di varia tendenza sono concordi nel riconoscere che proprio lo sviluppo di nuove traiettorie tecnico-scientifiche e produttive (per tutte si pensi a Internet) è dovuto fondamentalmente agli impulsi esercitati dalla spesa pubblica a fini militari. Ciò è avvenuto ed avviene sulla base di un deficit pubblico elevatissimo. Non è una novità, ma vi è un fenomeno nuovo: gran parte del deficit federale USA è finanziato dai "colossi" dell'estremo Oriente (Giappone, Cina), che hanno acquistato grandi volumi di titoli del Tesoro statunitense. Un analista finanziario ama ripetere: essi sono diventati il "salvadanaio degli USA e del mondo". Non sembra assurdo chiedersi: è solido un modello di accumulazione che si basa su uno squilibrio di quella natura, per di più alimentato da meccanismi propulsori dovuti ad altre economie?

Veniamo allora ad un ultimo (per il momento) quesito. I tassi di sviluppo, ma soprattutto la rilevanza e l'entità dei cambiamenti in atto in Asia, sono probabilmente destinati a cambiare profondamente il paesaggio delle leadership tecnico-economiche a livello mondiale. Economie che producono circa 50-70000 ingegneri l'anno (Cina, India, Giappone, Corea) costituiscono un blocco continentale destinato a spostare il centro dell'accumulazione mondiale. Si pensi al fatto che il Ministro dell'Industria sud-coreano stima al 2006 la parità tecnologica cino-coreana nel possessori di conoscenze per la produzione di schermi di computer (tecnologia ritenuta "critica" per una enorme serie di ricadute). Lo sviluppo e il consolidamento di economie, che costituiscono di per se stesse veri e propri "continenti", delineano un universo alternativo, destinato necessariamente ad offuscare la leadership economica e in prospettiva politica degli USA. Questi ultimi, secondo l'Istituto di Studi Strategici di Washington, iniziano ad ipotizzare per il 2017 la "competizione strategica" cino-americana.

A meno che il potenziale di instabilità che si sta accumulando nelle economie occidentali non acceleri l'evoluzione (o l'involuzione?).

Mauro Lombardi
Docente di Economia Politica
Università di Firenze