Il solco

 

La guerra che si combatte in Irak  non è la prima e non sarà l’ultima, e non è tanto diversa da quelle che l’hanno preceduta per le motivazioni che la muovono: uno scontro di potere tra classi dominanti e aspiranti tali che usano tutti e tutte noi come carne da cannone, e  non badano a spese per  convincerci  a combattere morire per la causa. E quale migliore causa, sia pure abusata, del morire in nome di un dio?

Ma in questa ubiquitaria guerra post-moderne la morte indiscriminata di civili supera per numero e per volontà di distruzione ogni logica di guerra che conoscevamo. In oriente e in  occidente le case e le strade non sono più luoghi sicuri ma di terrore, bambini e adulti sono vittime casuali e premeditate insieme.  Senza nessuna regola se non quella del petrolio e del potere avvengono le prove della guerra civile, del pantano del tutti contro tutti.

Il rapimento delle due volontarie di “un ponte per …”, così come la strage degli innocenti in Ossezia, i reiterati sequestri di giornalisti e le esecuzioni sommarie rispondono allo stesso obiettivo e allo stesso disegno: scavare un solco di sangue e di follia invalicabile che strazi qualunque tentativo di commistione e di riconoscimento reciproco, che abbatta qualunque passerella gettata sull’abisso, che non permetta più alcuna mediazione.

Le vittime siamo tutti noi.

Siamo noi, gente comune e povericristi, popolo della pace e attivisti di classe, noi che abitiamo tutto il pianeta e che ci ostiniamo a resistere alla retorica dello scontro delle civiltà, a praticare solidarietà attiva, a riconoscere negli altri dei corpi umani, e non maschere di odio, a denunciare la follia di una guerra che si voleva preventiva e preventiva è stata, nel senso che è pre-venuta e ormai ci pervade, e ci costringe a lottare contro barbarie che pensavamo dimenticate invece di costruire mondi migliori.

Non c’è nessun impero e non c’è il disordine ai suoi confini, non c’è la presa del tempio da parte dei nemici di un’altra religione ostile, non ci sono crociate con cui guadagnarsi il paradiso in cielo o in terra: piuttosto siamo di fronte al solito, vecchio meccanismo di lotta per l’appropriazione delle risorse, per la scalata dei mercati finanziari.

E non è  un nuovo presidente in america, o  un diverso governo in Italia, che potrà e vorrà cambiare gli scenari. 

Solo noi, dal basso, rivendicando la pace, la dignità, la libera circolazione, la libertà come diritto inalienabile di tutte e di tutti, a prescindere dal luogo di nascita o di residenza, a prescindere dalla religione di appartenenza, tutti insieme potremo ricostruire ponti e cancellare il sangue e l’odio versato in questi tempi bui.

 L’Italia è presente come esercito d’occupazione in Irak.

Noi, civili,  che siamo tutti le prime vittime di questa guerra,
esigiamo la fine dell’occupazione italiana in Irak
 il ritiro unilaterale e immediato delle truppe del nostro paese,

chiediamo la liberazione di tutti i civili,  compresi gli irakeni
che vivono prigionieri dell’esercito internazionale di occupazione,
e prigionieri delle élites religiose, dei signori locali delle varie mafie
che proliferano attorno alla disgregazione di un tessuto sociale,
rivendichiamo la libertà per gli attivisti sindacali e delle organizzazioni per i diritti umani,
in irak come ovunque.

 

 Federazione dei Comunisti Anarchici