Un testimone oculare in Libano:

Nella terra dei ciechi

Il culto di Hezbollah, un anti-imperialismo dispotico e la necessità di un'alternativa reale

 

[NB: Mi chiamo Michael Schmidt; sono un giornalista comunista anarchico ed ho scritto questo pezzo esplicitamente per www.anarkismo.net. Sono entrato in Libano via Siria, dal nord durante la seconda parte della guerra, attraverso l’ultimo accesso non ancora bombardato da Israele (la zona lo sarebbe stata solo un’ora dopo). Sono stato soprattutto nei quartieri periferici di Beirut-sud ed a Sidone nel sud del paese fino a Ghazieh, viaggiando sul primo trasporto aereo militare dopo il cessate il fuoco. Vivere direttamente la guerra restringe di molto il proprio punto di vista; vale a dire che stando sul campo si ha una percezione unica delle condizioni locali, ma non si riesce ad avere una prospettiva più ampia... Per esempio, stare in un fazzoletto di 1km e mezzo nell’attesa della fine di un attacco aereo israeliano mi procurava una profonda impressione in termini di costi per il Libano: ma mi era impossibile stimare i costi per Israele da quella posizione.] 

 

Persino per giornali capitalisti conservatori come The Economist, il volto barbuto e sorridente del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah è l’immagine della recente guerra israelo-libanese; ma per me, l’immagine che definisce la guerra resterà per sempre quella del volto della bimba di 2 anni, Malak Jubeily, che giaceva esanime nell’obitorio di Sidone.

Malak viveva nel quartiere a prevalenza sciita di Ghazieh, nel sud-est di Sidone. Già alta per la sua età, si stava lamentando con suo padre Ali Mohammed Jubeily, 31 anni, che aveva fame, quando un razzo israeliano si abbatté sul piccolo cimitero a fianco a casa sua l’8 agosto. Le schegge di un razzo - lanciato contro il funerale delle intere famiglie di un farmacista di nome Khalifeh e di un pescatore di nome Badran, sterminate dal bombardamento israeliano sulla piazza centrale di Ghazieh il giorno prima - squarciava la piccola pancia di Malak e faceva a fette la sua coscia sinistra.

Malak è morta dissanguata.

Ora lei non è che un dato statistico (1), tra i 1.261 Libanesi morti (di cui 60 non-combattenti, e di cui forse 100 combattenti della guerriglia Hezbollah) ed i 159 israeliani morti (di cui 116 soldati). E tuttavia, nella inevitabile logica capitalistica, bisogna che una vittoria venga dichiarata, anche se nell’ennesima illegittima guerra imperialista dichiarata contro una popolazione civile del Medio-Oriente dagli USA con procura ad Israele.

Per cui, The Economist assegna sfacciatamente sulla sua prima pagina la vittoria a Nasrallah (2), sostenendo che l’attacco sorprendente e sostenuto dei razzi Hezbollah contro Israele incoraggia ora tra le forze islamiste come il governo di Hamas dei territori palestinesi "la vecchia illusione che la Palestina può essere liberata con la forza".

Tra i comunisti anarchici è sorto un dibattito (vedi i commenti sugli articoli di www.anarkismo.net sulla guerra) su dove dovrebbe essere posta l’enfasi all’interno delle nostre analisi sulla guerra. E’ chiaro che per i compagni che vivono nei paesi del Nord e dell’Ovest, andavano sottolineati gli interessi strategici delle potenze USA/Israele nel perseguire questa guerra imperialista tesa ad indebolire il Libano, presumibilmente al fine di spianarsi la strada per la conquista della Siria e dell’Iran, al pari dell’invasione ed occupazione dell’Iraq. Tuttavia, per molti compagni che vivono nel Sud e nell’Est, compresi i comunisti anarchici libanesi e sud-africani, la questione dell’imperialismo USA/Israele risulta alquanto ovvia, per cui le nostre analisi si spostano piuttosto verso Hezbollah che è stato sostenuto dalla sinistra per la sua "legittima difesa" contro l’attacco.

Ciò non significa affatto che si voglia rendere equivalenti la potenza nucleare di Israele con i suoi massicci armamenti convenzionali - certamente per il Medio-Oriente e per il mondo un pericolo superiore all’Iran con il suo programma di arricchimento dell’uranio - e le forze male armate della guerriglia del sub-stato marginale di Hezbollah. E non è nemmeno una mera questione di sbilanciamento militare, quanto di sbilanciamento politico tra un popolo, in gran parte estremamente povero, a lungo ostaggio della geo-politica regionale, ed un popolo relativamente agiato sostenuto dall’unica e più aggressiva superpotenza mondiale.

 

Socialismo e la resistenza Hezbollah

La stampa socialista, da cui ci si aspetterebbero commenti alquanto diversi da quelli de The Economist, ha strombazzato gli stessi argomenti, sebbene per ragioni differenti. Il Socialist Worker, il giornale britannico il cui fotografo Guy Smallman ho incontrato per poco a Beirut, proclamava che l’impero USA tremava dopo la sconfitta di Israele (3), sostenendo che "era stata rafforzata la resistenza in tutta la regione", rendendo vani i disegni Americani di far seguire all’invasione dell’Iraq quella dell’Iran, alma mater di Hezbollah. Certamente, Israele aveva ulteriori mire sul Libano che non avevano niente a che fare con la liberazione dei due soldati rapiti, e che erano state pianificate mesi prima. Le sue bombe a grappolo (apparentemente made in USA) continuano a mutilare coloro che ritornano nelle aree devastate e che vi inciampano, mentre parecchi altri sono morti dopo il cessate il fuoco ufficiale a causa di ulteriori incursioni israeliane in territorio libanese. La campagna militare imperialista contro il Libano è ben lungi dall’essere finita e qualsiasi forza multinazionale di peace-keeping sosterrà probabilmente Israele contro il suo vicino.

Simon Assaf del Socialist Worker ha dichiarato (4) che la vittoria di Hezbollah è stata assicurata da un massiccio ritorno di sfollati nel sud del Libano proprio l’ultimo giorno prima del cessate il fuoco del 14 agosto, incuranti dei continui bombardamenti israeliani e certi che le forze israeliane sarebbero state costrette a ritirarsi da questa ondata umana, che era, insomma, una "liberazione dal basso". La cosa non mi convince, perché al di là dei desideri della sinistra, "il popolo" in questo contesto significa i ragazzi del coro armati di Nasrallah.

Naturalmente, anche Israele e la destra hanno cantato vittoria, per aver danneggiato significativamente le principali basi di operazioni Hezbollah sul fiume Litani, nei quartieri meridionali sciiti di Beirut e nella Valle della Bekaa, quel nascondiglio tradizionale per ogni organizzazione radicale, dalla semi-defunta Armata Rossa Giapponese all’ormai moderato Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP).

Sul piano militare, come scrive Kenneth Besig sul Jerusalem Post (5), la “vittoria” può essere di Hezbollah: “Meno di 5.000 terroristi di Hezbollah poveramente armati hanno tenuto in scacco il potente esercito israeliano per oltre un mese. Una gang di islamici terroristi, senza carri armati, senza artiglieria, senza caccia né elicotteri, con solo alcuni razzi e qualche fucile hanno fermato 30.000 soldati israeliani esperti dotati di sofisticati tanks, della migliore artiglieria, dei caccia più veloci e più moderni e dei più efficaci elicotteri d’attacco che ci siano al mondo. E riescono ancora a far fuggire tutti dal nord del paese con i loro razzi. Se questa non è una vittoria, allora la parola non ha più senso."

In termini militari, naturalmente, questa era una guerra asimettrica, con Israele che colpiva soprattutto i civili e le infrastrutture civili con tanta precisione (e tanti “errori” come il massacro di Cana e gli spari contro un convoglio protetto dell’ONU che trasportava sfollati). Nei quartieri devastati sono stati trovati i rottami di armi molto avanzate, anche di marca USA, cosa che fa pensare ad una sorta di test fatto sul Libano, così come i nazisti fecero in Spagna.

Ho visto con i miei occhi una bomba buttare giù edifici senza rumore, come se li risucchiasse in un vuoto intenso. Dovendo competere a questo livello, Hezbollah cercava di colpire a casaccio (civili o militari) con i razzi katyusha della 2GM. Non ho visto personalmente missili Hezbollah lanciati dalle zone residenziali; ma sono stato allontanato dalla sicurezza, probabilmente uomini di Hezbollah, nel caposaldo di Ghazieh, al fine di impedirmi di vedere oggetti di piccole dimensioni spostati dal garage di una casa bombardata all’interno del bagagliaio di una Mercedes nera. Potevano essere mortai, di piccola dimensione, ma non ne ho le prove. Tuttavia, lo sbilanciamento delle forze non consente di ridurre questa guerra al rango di un “conflitto”, come sostengono alcuni analisti, né significa che gli anarchici dovrebbero sostenere acriticamente il povero diavolo di turno.

 

Una vittoria di Pirro per entrambe le parti

Ma, in termini politici, entrambe le parti che dichiarano vittoria, sbagliano. E non sono solo i morti a testimoniarlo. Israele chiaramente ha fallito non solo nel fare a pezzi Hezbollah, ma ha unito il popolo libanese, anziché dividerlo lungo quelle colpevoli frizioni religiose così dolorosamente in evidenza durante la guerra civile del 1975-1991 (questa strategia del divide et impera veniva indicata da alcuni Libanesi come un obiettivo di Israele: disunire il Libano per indebolirlo ed insediare un regime fantoccio a Beirut).

Israele è di nuovo nel sud del Libano, dove dubito volesse realmente esserci, essendosi già ritirato nel 2000, cosa che si rivelò un passo positivo nell’allentare le tensioni nella regione. La guerra ha spinto l’inevitabile negoziato con Hamas a data da destinarsi, così come il pieno ritiro dalla Striscia di Gaza non voluta e dalla Cisgiordania mai immaginata diviene ora impossibile.

Dall’altra parte pure quella di Hezbollah è una vittoria di Pirro. Il mondo arabo, in scompiglio fin dalla batosta della guerra dei 6 giorni nel 1967 e sempre più attratto dal patronato occidentale in assenza dell’opzione sovietica, non è per niente vicino all'unità in base al progetto in stile-Hezbollah, come lascerebbero intendere i segnali retorici che giungono da capitali come Damasco.

Egitto e Giordania hanno firmato la pace con Israele, mettendo effettivamente fine ai loro sogni di ributtare in mare Israele (il che è significativo in Egitto, dove Il Cairo era la capitale del parafascista “socialismo nasseriano” (6), ed in Giordania, perché è di fatto uno stato Palestinese, (con una maggioranza palestinese stabile, integrata ed economicamente attiva).

Libia e Siria non intervengono più direttamente negli affari libanesi, avendo la Siria ritirato le sue forze militari l’anno scorso (e contrariamente alla propaganda dell’”Asse del Male”, la Siria tiene i suoi palestinesi sotto stretto controllo) (7). L’Iraq è avvolto nella sua insurrezione sanguinaria, mentre i petrol-Stati della penisola araba si crogiolano nello splendore dei giganteschi progetti per l’economia del turismo.

La causa palestinese, per come l’abbraccia Hezbollah, è un articolo di fede con cui pochi Arabi si sporcherebbero le mani. Per il lontano e non-arabo Iran, Hezbollah è un oggetto d’uso spendibile finché batte il tamburo del sostegno islamista. Ma qual è la vera natura di Hezbollah, l’autoproclamatosi Partito di Dio? E’ al tempo stesso una forza guerrigliera, un movimento religioso sciita, un’organizzazione sociale... ed un convenzionale partito politico nel parlamento libanese.

 

Clerico-populisti mascherati da liberatori della nazione

Lo stesso Nasrallah ha cambiato il suo look. Dismessa la barba ben curata, tolti gli occhiali alla moda, la giacca sportiva e la camicia aperta del tipico uomo d’affari mediterraneo, eccolo oggi col turbante nero, tunica grigia, barba fluente da patriarca fondamentalista, a cui i suoi accoliti si rivolgono come se fosse il nuovo profeta, cantando “Allah! Nasrullah!”.

La maggior parte dei commentatori sottolineano come Hezbollah venne fuori nel 1985 nei campi profughi sciiti dei palestinesi nel sud del Libano - tre anni dopo la più ampia invasione israeliana - come nuova generazione di radicali stanchi dei compromessi portati avanti dalla OLP sotto il comando di Yasser Arafat e Al Fatah. La destra ovviamente vede Hezbollah come una organizzazione apertamente terrorista che si dedica alla cancellazione di Israele. La sinistra, tuttavia, non è del tutto sicura sul come considerare Hezbollah, soprattutto in considerazione del fatto che sembra essere la sola forza che abbia resistito all’invasione israeliana. Giornalisti marxisti-leninisti come Michael Karadjis del giornale australiano Green Left Weekly (8) lo considerano come “un movimento di liberazione nazionale, piuttosto che un’organizzazione 'islamista' o 'terrrorista'”, che è riuscita a rimanere non-settaria e ad evitare sia le trappole del fondamentalismo islamico (essendo ostile alla marginale presenza di Al-Qaeda in Libano) sia quelle di opporsi agli ebrei per la loro fede puntando invece al opporsi al loro sionismo per la sua innato imperialismo. Ma per quanto sia “non settaria”, Hezbollah non è molto a favore del libero pensiero, come i toni marziali della sua propaganda lasciano capire sulla loro TV al-Manar (9).

Hezbollah è “islamo-fascista” come le destre europee, americane ed israeliana dicono? Il popolo libanese dovrebbe essere in grado di dircelo, avendo diretta esperienza del fascismo di casa grazie al partito falangista Khataeb, fondato ad immagine dei Falangisti spagnoli del 1936 e responsabile del massacro – sotto gli occhi compiacenti dell’esercito israeliano - dei profughi palestinesi di Sabra and Shatilla a Beirut-sud nel 1982. Certamente Hezbollah è un’organizzazione teocratica di destra costruita su basi sociali conservatrici e su un osceno culto del capo; e sospetto che l’adozione del passo dell’oca e del saluto nazista non sia un fatto accidentale. Il gruppo più in vista del movimento anarchico libanese (10) li definisce come “reazionari”. Io preferisco il termine “clerico-populisti”.

Karadjis scrive: “Hezbollah è un’organizzazione nazionalista, non socialista, ed i socialisti hanno molte differenze con l’ideologia di Hezbollah e molte altre con la sua tattica. Tuttavia, riconoscendo che si tratta di un movimento di liberazione nazionale, anziché di una organizzazione terrorista, è importante capire il tipo di alleanze che sono necessarie nella lotta nazionale. Inoltre, non è necessario romanzare su Hezbollah al fine di riconoscere che la sua attuale evoluzione politica e molte delle sue decisioni tattiche ne fanno un fattore per la lotta nazionale migliore di tante altre organizzazioni nella regione con radici nell’islam politico, come Al-Qaeda.”

Karadjis deve aver visto una propaganda TV di Hezbollah molto diversa da quella che ho visto io. Hezbollah può facilmente essere visto come strumento dell’Iran allo stesso modo con cui molti partiti comunisti nazionali durante la Guerra Fredda erano poco più che strumenti per la politica estera dell’URSS. Messo su come forza di rottura religiosa in Iran dalla controrivoluzione clericale dell’Ayatollah Khomeini nel 1979, (pare che secondo Karadjis fosse una vera rivoluzione), il suo germoglio libanese è ancora usato per giocare una lunga partita, plausibilmente negabile, da parte di finanzieri e venditori di armi nel lontano Iran ed altrove. Ma, a dispetto della vanteria dell’Iran di aver armato Hezbollah, questo non dovrebbe essere visto come un’approvazione degli scopi USA di punire l’Iran con la scusa di Hezbollah, cosa che secondo molti analisti è l’obiettivo strategico reale dietro la guerra Israeliano-libanese: alimentare la “Guerra al terrore” dopo l’evidente fallimento dell’invasione dell’Iraq per trovare sia armi di distruzione di massa sia per fermare la resistenza irachena alla coalizione al governo.

 

Una lotta di liberazione non-nazionalista?

Alcuni anarchici come Wayne Price della North-Eastern Federation of Anarchist Communists (NEFAC) hanno sostenuto (11) che è un errore far “equivalere le due parti” - Israele ed Hezbollah – perché ciò conduce naturalmente a mancare di dare il sostegno agli oppressi contro gli oppressori. Chiaramente entrambe le parti hanno antichi rancori reciproci, per cui la questione di chi ha iniziato la guerra è irrilevante. Ma sebbene gli anarchici istintivamente sostengano i poveri diavoli, per noi stare “dalla parte del popolo della nazione oppressa, sostenendolo contro gli attacchi dei loro oppressori”, come Price la mette, potrebbe implicare di stare dalla parte di Hezbollah, semplicemente perché loro stanno facendo di più (sul piano difensivo ed offensivo) lottando dalla parte libanese.

Price sostiene in modo convincente che gli anarchici dovrebbero sostenere “la liberazione nazionale (qui nel significato di auto-determinazione nazionale: il diritto di un popolo a determinare il proprio destino)”. Ed egli si riferisce anche giustamente al modello makhnovista di “una lotta di liberazione nazionale condotta con un programma non-nazionalista”. Ma, il problema qui, in termini reali è: insomma, questa è la “lotta nazionale” (frase di Karadjis) di chi? Dei palestinesi? Dei libanesi? Degli iraniani? Ed al momento, non vi è ancora nessuna organizzazione di massa libanese con un programma chiaramente non-nazionalista che gli anarchici possano sostenere.

D’altra parte, Hezbollah si è inestricabilmente legato al Libano, ed ha sviluppato un’ampia gamma di funzioni sociali (un fattore chiave nei movimenti populisti), riempiendo il vuoto lasciato sia dalla debolezza dello Stato libanese che dal ritiro siriano, diventando ciò che alcuni hanno chiamato “uno stato nello stato”, (chiara fonte del suo potere).

Ma chiaramente, questo patriottismo libanese è stato forzato su Hezbollah semplicemente perché esso sarebbe un pesce fuor d’acqua in qualsiasi altro contesto. Certamente non si sarebbe sentito a casa sua né in Siria né in Iran, o nemmeno, si potrebbe argomentare, nei territori palestinesi: con membri dalla terza e quarta generazione libanese, essi sono naturalizzati libanesi e non più palestinesi. Sebbene il bacino di reclutamento siano i miseri campi profughi nati dopo la terra presa da Israele nella guerra del 1948, ci sono molti libanesi poveri e non-palestinesi che vivono nei campi semplicemente perché ricevono sussidi per il cibo e gli affitti, contribuendo a diluire la natura “palestinese” di Hezbollah e, quindi, in un certo grado, la stessa validità delle pretese contro Israele.

La povertà nei campi e la mancanza di futuro rende i profughi che vi abitano alimento primario dell’addestramento al culto della morte officiato da gruppi come Hezbollah. E’ la stessa cosa dell’etica deforme con cui vengono descritti i giovani in film come "Morte a Gaza" (12) che vengono addestrati dai loro cinici “fratelli maggiori” alla ricerca del martirio. Il padre di Malak mi ha detto senza ombra di dispiacere: “Noi offriamo i nostri figli in sacrificio ad Allah”, anche se sua moglie Khadija, 24 anni, tremava dalla sofferenza quando ascoltava le dure parole del marito. La martirologia è una malattia mentale nazionale in Libano con pubblica esposizione di manifesti dei bambini “martiri” di Ghazieh ed il Monumento del Martire al centro di Beirut, una statua bucherellata dai proiettili ed a cui manca, ironicamente, un braccio.

 

Le radici anarchiche del radicalismo libanese

Nella terra dei ciechi, il guercio è un re. Ma chi è un re in Libano, nel senso di chi è capace di vedere? Lo è forse il nascente movimento anarchico, al-Badil al-Chouii al-Taharruri (Alternativa Comunista Libertaria: http://www.albadilaltaharrouri.com)? Come comunista anarchico vorrei tanto che fosse così, ma per accertarlo ho incontrato un militante di al-Badil, Georges Saad, a Baabda, nel sud-est di Beirut, e dal suo balcone si vedevano gli aerei da guerra e le navi da guerra di Israele spianare interi blocchi nei quartieri vicini. Al-Badil nasce grazie ad Alternative Libertaire francese, ed è formata soprattutto da militanti libanesi che parlano arabo. E’ una piccola organizzazione in un paese di 3 milioni di abitanti. Lavora in stretto contatto con Intifada Comunista, una corrente radicale uscita dal Partito Comunista Libanese in declino, e lavorano all’interno di una più ampia formazione sociale nota come il Movimento del 14 marzo, che si oppone all’interferenza siriana negli affari libanesi, in opposizione alla fazione siriana revanscista (Siria e Libano erano un solo stato sotto il mandato francese dal 1918 al 1946).

La storia dell’anarchismo in Siria/Libano è esile, ma un nuovo studio sul terreno condotto da Ilham Khuri-Makdisi (12) mostra che dal 1904, un gruppo di radicali siriani/libanesi si riunì intorno alla figura di Daud Muja’is, iniziando a diffondere il pensiero socialista, ad istituire scuole serali e sale di lettura a Beirut e nel Mount Libano (allora una provincia semi-autonoma dell’Impero Ottomano). Questa rete interagì con altre reti rivoluzionarie della regione, in particolare con le realtà multietniche di Alessandria e del Cairo, dove era nata nel 1901 la Libera Università Popolare d’Egitto, e nel 1908 la Lega Internazionale dei Lavoratori del tabacco e dei mugnai (l’Egitto fu rappresentato da Errico Malatesta nella Internazionale Nera fin dal 1881, e nel 1895 comparvero le prime traduzioni anarchiche in arabo).

La rete di Muja’is tenne ciò che pare essere stata la prima celebrazione del 1° Maggio nel Medio Oriente nel 1907 nei pressi di Beirut. Dopo che la "rivoluzione" dei Giovani Turchi del 1908-09 ebbe rovesciato il sultano Abdulhamid II, ed i nazionalisti turchi – che inizialmente erano stati attratti dall’anarchismo rivoluzionario - ebbero mostrato il loro vero volto, la rete di Muja’is ed i suoi giornali, al-Nar di Beirut ed al-Hurriyya di Alessandria, presero una evidente svolta anarchica e nel 1909 portarono sul palcoscenico una popolarissima opera dedicata al pedagogista anarchico Francisco Ferrer, ucciso nello stesso anno dallo Stato spagnolo.

Purtroppo, lo scoppio della 1GM nel 1914 ed il sollevamento del nazionalismo arabo dopo il crollo dell’Impero Ottomano nel 1919 furono fatali al movimento anarchico siriano/libanese, fino, a quanto pare, alla fondazione di al-Badil dopo la fine della Guerra Civile (si sono perse le fonti sui palestinesi che addestrarono Resistenza Libertaria e le forze della guerriglia anarcosindacalista nell’Argentina degli anni ’70). Questa è una storia di cui al-Badil, secondo Saad, non era a conoscenza come pure di cosa significhi nei paesi medio-orientali questa mancanza di memoria delle radici, di fronte ad una tradizione che appare più liberale che socialista libertaria.

 

Opporsi alle elites di Israele, Siria e Libano

Si tratta proprio di un territorio molto difficile per l’attività della sinistra: il leader pro-siriano del Partito Comunista Libanese, George Hawi, è morto sotto una serie di bombardamenti lo scorso anno. Saad mi diceva che al-Badil è un’organizzazione saldamente atea, forse una scelta difficile in Libano, ma una che l'avrebbe potuto permettere di attraversare il settarismo religioso sfruttato dalle potenze imperialiste come USA/Israele ed Iran/Siria/Libia durante la Guerra Civile. Come scriveva nel 1995 Basina Bassan di al-Badil in un documento (quando l’organizzazione si chiamava solo Alternativa Libertaria (13), “la causa celata della guerra – la divisione religiosa - non è stata ben affrontata e così la situazione rimane esplosiva”. La società libanese rimase profondamente divisa tra le appartenenze confessionali. (14).

Il Libano è una terra di capitalismo spietato,” Bassan continuava, “con un governo a favore del liberismo economico e delle privatizzazioni; questo è un paese con poca elettricità, pochi telefoni e poca acqua pulita e potabile. I salari dei più poveri continuano a scendere, mentre i ricchi non pagano le tasse ed il governo spende i soldi che ha per il lusso dei suoi ministri.

Non c’è molto da dire sulla sinistra libanese: è in gran parte simile ai partiti piccolo-borghesi, tutta presa nel prendersi una fetta più grossa della torta piuttosto che cercare un vero cambiamento. I suoi esponenti non fanno che sostenere le politiche di economia liberista portate avanti dal governo; è strano a volte sentire i vecchi maoisti citare Marx per giustificare il loro 'provvisorio ritorno al capitalismo'.

Ma, dopo il rifiuto da parte dell'Unione Generale Libanese dei Lavoratori di piegarsi di fronte alla soppressione dello stato militare di una manifestazione nel 1994, Bassan scriveva “la sinistra radicale comunista sta iniziando a riorganizzarsi. Si tratta di molti fili politici, ma è notevole che persino i nazionalisti stanno diventando più sensibili al libertarismo, financo all’anarcosindacalismo. C’è, poi, un barlume di speranza, che induce ciascuno ad imparare le amare lezioni dell’esperienza. Se possiamo lavorare insieme nelle cose in cui vi è accordo, possiamo essere in grado di riguadagnare i begli anni dal 1970 al 1975, prima che la guerra sorprendesse la sinistra radicale.”

Nel suo comunicato sulla guerra quest’anno, al-Badil diceva (15) che questa sinistra comunista radicale si era andata consolidando: “Dal momento dell’umiliante ritiro della Siria dal Libano, si sono sviluppate due tendenze politiche: la corrente del Movimento del 14 Marzo (la data della gigantesca manifestazione avvenuta dopo l’assassinio del primo ministro Rafik Hariri) e la corrente pro-siriana dell’8 Marzo, a cui si erano uniti i sostenitori cristiani del generale in pensione filo-Hezbollah, Michel Aoun, al quale avevano promesso la carica di presidente della repubblica. Noi crediamo che l’area del 14 Marzo costituisce una corrente relativamente rivoluzionaria, se paragonata a quella dell’8 marzo che comprende elementi corrotti sotto il controllo siriano e nostalgici del nero passato del Libano (17). Il comportamento del Partito Comunista Libanese non è altro che scandaloso. Insieme a pochi altri, la maggior parte dei quali nostalgici del nasserismo arabo, sta mettendo su un terzo blocco che non ha niente da offrire (e quindi appoggia Hezbollah). C’è stata, tuttavia, una scissione nel Partito Comunista, da cui è nata Intifada Comunista, a cui al-Badil è vicina.

 

Le sfide per i comunisti anarchici nel Medio-Oriente

La condizione del comunismo anarchico in Libano è senza dubbio molto debole; va evidenziata la incapacità di al-Badil di stabilire relazioni con il movimento israelo-palestinese Anarchici Contro il Muro (il "Muro dell’Apartheid" che divide il loro territorio), e la sua mancanza di contatti con anarchici e comunisti di sinistra in paesi come l’Egitto, la Turchia (dove c’è Iniziativa Comunista Anarchica), Iran ed Iraq in particolare (i consiliaristi del Partito Comunista Operaio negli ultimi due casi), contatti che potrebbero permettere una analisi comunista anarchica più chiara sulla regione per coordinare unitariamente un approccio ai problemi da sviluppare nel Medio-Oriente (18).

Sulla guerra di quest’anno, al-Badil ha scritto: “Questo attacco deve essere collocato in un quadro più generale. A nostro avviso esso si inserisce all'interno del progetto americano di un Grande Medio Oriente. George W. Bush vuole creare una grande zona a lui favorevole e che inglobi paesi arabi ed Israele, che metteranno fine, in un modo o nell'altro, al conflitto nel Vicino Oriente. Iran e Siria si oppongono a questo progetto, il che va visto come una buona cosa, beninteso. Ma il limite sta nel fatto che Siria ed Iran, i quali sostengono Hezbollah e che combattono i progetti di Bush e del governo israeliano, sono paesi palesemente e totalmente reazionari, sotto tutti gli aspetti.

Hezbollah viene descritto come “una formazione che, malgrado tutto quello che ha fatto per cacciare Israele dal sud del Libano e malgrado il grande numero dei martiri inviati a compiere il loro dovere religioso, viaggio senza scalo verso il paradiso di miele e di donne, non risponde più, e da molti anni, alle attese dei libanesi. D'obbedienza iraniana, il "Partito di Dio" è nettamente ed ostinatamente contro le libertà ... Da essere un partito di resistenza e di sacrificio, il "Partito di Dio" è diventato un partito insopportabile…".

Noi diciamo NO ad Hezbollah in quanto partito reazionario, religioso, filo-iraniano; diciamo NO al progetto di Bush, Blair e Chirac, secondo i quali questi attacchi sproporzionati (attaccare tutto il Libano per liberare alcuni soldati) sarebbero un atto di legittima autodifesa da parte di Israele; diciamo NO al comportamento del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, timido ed ambiguo; diciamo NO al governo libanese incapace, debole, contraddittorio, che passa il tempo a chiedere aiuto, a contabilizzare i danni, ed a rimettersi ai tribunali internazionali". Questo testo è stato, ad ogni modo, oggetto di critiche da parte di altri anarchici libanesi (19) perché "prodotto da un gruppo senza contatto con la realtà di base", nonché da un collaboratore di www.anarkismo.net, critico perché "non vi è un solo NO (tra quelli elencati) contro la cricca fascista e sionista israeliana".

Tanto per un’analisi anarchica. Ma c’è una reale opzione comunista anarchica per il Libano? Come per la maggior parte dei paesi socialmente liberali nel mondo arabo, c’è una grande possibilità perché si radichi una reale politica di liberazione. Se, come Price sostiene, “solo il programma anarchico può ... liberare il Libano ed altri paesi dall’imperialismo”, un tale programma richiede almeno una solidarietà pragmatica ed una rete funzionale di organizzazioni consiliariste, comuniste di sinistra e comuniste anarchiche della regione. Solo queste organizzazioni, lavorando all’interno dei movimenti operai più ampi – come l’Unione Generale Libanese dei Lavoratori o la Federazione dei Consigli e dei Sindacati Operai in Iraq o altre forze sociali progressiste esistenti - può portare a ricostruire un contropotere che non solo resista all’imperialismo, ma anche al seducente richiamo dell’islam “radicale ed anti-imperialista”.

Michael Schmidt, Johannesburg, Sud Africa

 

Scritto per www.anarkismo.net
Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

La versione originale dell'articolo, con foto a: http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=3651 

 

Note:

(1) Le ragioni per cui parlo di Malak sono principalmente che lei rappresenta il 27% di coloro che sono morti uccisi sul versante libanese: bambini sotto i 15 anni che sono chiaramente obiettivi militari illegittimi; ed in secondo luogo perché occorre metterci dell’umanità in questi dibattiti, non per ragioni sentimentali ma perché se stiamo conducendo una battaglia per il cuore della società, dobbiamo pensare alle persone reali.
(2) Editoriale, The Economist, Nasrallah wins the war, August 19-25, 2006.
(3) Joseph Choonara, Socialist Worker, US empire is rocked by Israel’s defeat, http://www.socialistworker.co.uk/article.php?article_id=9494 
(4) Simon Assaf, Socialist Worker, Lebanon: freedom from below, http://www.socialistworker.co.uk/article.php?article_id=9517 
(5) Kenneth Besig, Jerusalem Post, citato in Mike Whitney, Restarting the 34-day War, Counterpunch, http://www.counterpunch.org/whitney08242006.html 
(6) Per le origini naziste del “socialismo arabo” di Gamal Abdel Nasser, vedi Martin A. Lee sulla sopravvivenza dopo la Guerra dell’idea fascista in The Beast Reawakens: Fascism’s Resurgence from Hitler’s Spymasters to Today’s Neo-Nazi Groups and Right-Wing Extremists, Little Brown & Co., 1997. Le tesi di Lee, va detto, sono spesso molto impopolari nella sinistra che cerca di vedere un progetto liberatorio nel centralismo degli Stati, ma una “terza posizione” arabista si è certamente dimostrata influente in certe fazioni neo-fasciste. http://www.amazon.com/gp/product/0415925460/002-4986825-1915221?v=glance &n=283155
(7) A parte la bandiera gialla e verde di Hezbollah che sventola dalla statua di Salah ad-Din – il vincitore dei Crociati – nel centro di Damasco, e parecchie dalle bancarelle sulle strade di confine col Libano, ho visto molto poco dell’ovvio sostegno siriano a Hezbollah.
(8) Michael Karadjis, Green Left Weekly, Lebanon: Hezbollah: its origins and aims, August 9, 2006, http://www.greenleft.org.au/back/2006/678/678p12.htm 
(9) Si possono vedere alcuni spot di Hezbollah a: http://www.sundaytimes.co.za/specialreports/beirut/lebanon2_encoded.wmv e http://www.sundaytimes.co.za/specialreports/beirut/AlManar2.WMV 
(10) Ne ho sentito parlare, ma senza incontrarli, di studenti anarchici alla American University di Beirut. Un (presumibilmente Libanese) gruppo della organizzazione internazionale antifascista Red and Anarchist Skin-Heads (RASH) che lavora in Europa diceva che erano tornati in Libano per provvedere ad aiuti diretti nei villaggi del sud, altrimenti irraggiungibili. Intervista con militanti anarchici in Libano, Infoshop, 23 August 2006, http://www.infoshop.org/inews/article.php?story=20060823093410576 
(11) Wayne Price, North-Eastern Federation of Anarchist Communists, Lessons for the anarchist movement of the Israeli-Lebanese war, scritto per www.anarkismo.net, 2006, http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=3614 
(12) James Miller (ucciso da fuoco israeliano durante le riprese) & Saira Shah, Death in Gaza, 2004, http://www.imdb.com/title/tt0412631/ 
(13) Ilham Khuri-Makdisi, Levantine Trajectories: The Formulation and Dissemination of Radical Ideas in and between Beirut, Cairo and Alexandria 1860-1914, Harvard University, 2003.
(14) Basina Bassan, Al-Badil al-Taharurri, Alternative Libertaire (in traduzione inglese), 1996, News from the Land of the Cedars, http://www.zabalaza.net/phorum/read.php?f=2&i=784&t=784 
(15) Comunque, una posizione atea ostinata può essere problematica se i comunisti anarchici sbattono la porta in faccia ai giovani musulmani che cercano un sentiero radicale. Potrebbe portarli dritti nella braccia di Hezbollah o persino di Al Qaeda. Per cui questo dibattito deve essere fatto primariamente ad ovest dove i musulmani sono una minoranza; ma è di grande interesse per i movimenti anarchici del Medio Oriente e del Nord Africa dove la società è dominata dall’islam. D’altro canto, gli anarchici, al contrario di gran parte della sinistra, non possono allearsi con imam di destra sul terreno spurio che “il nemico del mio nemico è mio amico”.
(16) Al-Badil al-Chouii al-Taharurri, The Lebanese and Palestinian People and Israeli Aggression, Alternative Libertaire (in traduzione inglese), 27 July 2006, http://www.zabalaza.net/phorum/read.php?f=2&i=1193&t=1193 
(17) La “Rivoluzione dei Cedri” del 2005 che obbligò la Siria al ritiro delle sue forze scaturì dalla manifestazione di massa del 14 marzo di quell’anno; si tratta di un fronte molto vasto di diversi orientamenti politici, compresi sostenitori di Hariri, cosa che ha sollevato critiche da parte di qualche anarchico libanese sull’opportunità di starci dentro o di lavorarvi. Tuttavia, gli anarchici devono lavorare all’interno della classe lavoratrice e povera, non al di fuori. Questa è una sfida reale in un paese come il Libano, in cui i movimenti sociali non partitici sembrano essere virtualmente inesistenti, mentre i partiti a base padronale ed esclusiva dominano la vita sociale dal posto di lavoro a quello in cui vivi.
(18) Questa debolezza è tristemente comune a molte organizzazioni anarchiche: ciascuna tende a relazionarsi ad altre organizzazioni sulla base di una lingua comune, che divide il mondo anarchico in blocchi anglofoni, lusitanofoni, francofoni, ecc. Ecco perché uno dei punti di forza del progetto di www.anarkismo.net è la rapida traduzione di analisi anarchiche da tutto il mondo in un pacchetto di lingue diverse (come avviene per il progetto di A-Infos riguardo le notizie anarchiche).
(19) Un membro di RASH ha inviato un commento ad anarkismo.net criticando la posizione di al-Badil sulla guerra (nota 15), dicendo che esso “non rappresenta in alcun modo la tendenza del movimento autonomo o anarchico. Costoro dovrebbe vergognarsi di se stessi e farebbero meglio a farsi vedere durante le proteste invece di scrivere propaganda senza senso”. Saad ha ammesso che al-Badil non è attiva come potrebbe essere, un problema di capacità comune alle piccole organizzazioni anarchiche del Terzo Mondo come la mia (la Zabalaza Anarchist Communist Federation). In risposta a quelle critiche, Saad ha scritto agli autori per iniziare un dialogo tra loro e al-Badil.