Le conseguenze della guerra in Irak *

 

 

Conseguenze economiche,
conseguenze geopolitiche,
conseguenze umanitarie  ed ecologiche

 

Le guerra sono sempre avvenimenti storici contingenti per definizione e per natura. Ben al di là della possibilità di perderle o di vincerle in termini militari immediati, è possibile che si verifichino a più lungo termine conseguenze imprevedibili. Così, per esempio: la II Guerra Mondiale ha portato benessere e agiatezza ai tedeschi occidentali ed ai giapponesi, ed ha portato alla perdita del potere e dell’influenza per gli imperi britannico e francese.

 

Il crollo dell’impero sovietico sta ancora producendo molti sconvolgimenti, a causa di una situazione totalmente inedita, cioè l’esistenza di un superpotere planetario dal punto di vista militare; superpotere che ha l’intenzione deliberata e pianificata di usare la sua forza secondo le necessità implicate dalla conservazione della sua posizione di vantaggio.

 

La motivazione degli USA non è data soltanto dal petrolio, o meglio, è prima di tutta data dalla possibilità di utilizzare il petrolio come arma per colpire le economie concorrenti delle altre potenze del cosiddetto mondo sviluppato. Non è tanto in gioco l’accesso diretto ai pozzi petroliferi dell’Iraq, ma soprattutto la possibilità di privare dell’accesso facile e diretto i suoi concorrenti dell’Europa occidentale e dell’Estremo Oriente (Giappone e Corea).

 

Nel caso di una guerra contro l’Iraq, indipendentemente dalla velocità di disgregazione del regime di Saddam, si verificherà un aumento del greggio sul mercato mondiale per valori che si possono aggirare fra i 40 e i 50 dollari a barile. Questa lievitazione non potrà essere compensata dalla maggior parte delle economie dell’Europa occidentale con il ricorso a fonti proprie. Farà eccezion e la Gran Bretagna, con il petrolio del Mare del Nord, il che spiega molto della posizione di Blair. Gli altri paesi vedranno le proprie economie depauperarsi rapidamente e passare da una situazione di crescita molto modesta ad una face di recessione accentuata.

 

Le conseguenze di ciò, per i regimi “democratici” dell’UE sono del tutto imprevedibili. Ma una cosa è certa: gli USA hanno scommesso che l’UE e l’euro affondino….Perché?

 

Qui è necessario spiegare il modo in cui funziona il sistema finanziario mondiale. Sappiamo che il dollaro è la principale moneta di interscambio e di commercio a livello mondiale. Questo ha come ragione di base la fiducia quasi cieca che molteplici investitori – dai piccoli risparmiatori ai grandi potenti del petrolio (i detentori di “petrodollari” …) ripongono nella mecca del capitalismo mondiale, gli USA.

 

Basandosi su questa grande fiducia, i veri dirigenti degli USA hanno “inventato” un mezzo per vivere e fare vivere gli strati privilegiati del loro paese a spese del resto del mondo.

 

Sono ormai venti anni che il deficit commerciale USA si è andato accentuando, senza essere venuto meno l’afflusso costante di capitali a Wall Street. Questa situazione, tuttavia, si è invertita dall’aprile 2001. Le borse e i mercati di capitali negli USA hanno cessato di essere considerate tanto attraenti da parte degli investitori, con un’accentuata preferenza per altri lidi … particolarmente europei.

 

Con il pretesto dell’11 settembre, ma in realtà per favorire l’industria “high-tech” e degli armamenti, l’amministrazione Bush si è impegnata pesantemente in un programma di ricerca in questo settore che va ad aumentare il deficit di bilancio. Questo equivale a deviare un’enorme percentuale di risorse fiscali verso l’industria degli armamenti, che ha ricevuto commesse dallo Stato per sviluppare i programmi di “guerre stellari”, per rimpinguare gli arsenali USA già pieni di armi “convenzionali”.

 

È  chiaro che il principale articolo di esportazione degli USA continuano ad essere le armi (in seconda posizione i rifiuti della “industria di Hollywood” e la CIA). Per questo è necessario fomentare le guerre per mantenere la clientela e consumare le scorte.

 

Peraltro, a partire dalla nascita dell’Euro, i termini del problema hanno cominciato a modificarsi: l’Euro un domani può diventare la principale moneta di riferimento dei scambi mondiali, detronizzando il dollaro. È vero che si tratta solo di un’ipotesi, ma tanto grave per il ruolo egemonico del capitale finanziario statunitense che questo si considera minacciato.

 

Basta pensare che Saddam ha steso la sua sentenza quando nel 2000 ha convertito le sue riserve di dollari in Euro.

Questo ha fatto suonare il campanello di allarme per i “think tanks” dell’Impero. Se un tale esempio venisse imitato  dai grandi esportatori di petrolio – titolari di una grande eccedenza di dollari derivanti dalle “royalties” sulla vendita del greggio – si produrrebbe un accentuato indebolimento del dollaro, da cui un riflusso di capitali, una fuga degli stessi, e questo rappresenterebbe la crisi del potere finanziario USA sul sistema capitalistico mondiale.

 

Lo spazio europeo diventerebbe allora il ricettore mondiale  delle eccedenze di capitali prodotte nelle economie del resto del mondo.

 

Esiste allora un potente motivo – sempre occultato – per questo furore bellico negli USA: ha a che vedere direttamente con l’enorme fragilità dell’economia statunitense in questa fase.

 

In termini di economia reale, la situazione negli USA è praticamente di recessione. I risultati dei principali indici di consumo sono pessimi. Inoltre, il credito al consumo è così basso che può solo essere comparato con la situazione esistente all’inizio della decade degli anni ’60!

 

Enron, Wolrdcom, etc. sono solo i “mostri” emblematici della crisi. È in atto una serie di fallimenti, particolarmente nel settore delle grandi compagnie aeree ed in  altri prima giudicati “solidi”, indipendentemente dalla sensatezza e dalla “onestà” dei consigli di amministrazione!

 

C’è una serie di licenziamenti collettivi, specialmente nei settori della grande intermediazione e delle banche, che genera una situazione inedita per molti individui della classe medio/alta, consistente nella vana ricerca di un impiego dopo il fallimento o il licenziamento, coinvolgendo interi comparti delle aziende, compresi i quadri superiori. Questa è la situazione quotidiana dell’esangue “nuova” economia.

 

Non esiste, pertanto, speranza in un ritorno della “fiducia” dei mercati …, traducendo dal gergo “economese”: non c’è speranza che i capitali speculativi continuino nel breve tempo ad alimentare per lo meno allo stesso livello l’economia USA. Essi sono stati attratti da tutto il mondo fornendo la capitalizzazione di borsa alle imprese “high- tech”: la famosa bolla speculativa.

 

Non ci sono mezzucci della FED idonei a fornire un palliativo a tutto questo.

 

È evidente che il governo Bush dipende ancora in gran parte dall’adesione di quell’insieme di cittadini americani che hanno goduto di circa venti anni di vacche grasse e si sono viziati con un sovraconsumo ed un sovraindebitamento fuori del comune.

 

Le produzioni industriali del resto del mondo in  tutti quegli anni avevano un solo obiettivo: esportare negli USA per soddisfare la domanda di consumo di questo strato insaziabile (circa il 5% delle famiglie statunitensi).

 

Di fronte a questo quadro, la “soluzione” guerra è stata insistentemente perseguita come via di uscita per coloro che manovrano le “lobbies” più potenti dentro l’amministrazione Bush. Le “lobbies” del petrolio.

 

A livello economico, pertanto, la guerra ha la funzione di frenare l’enorme caduta del potere d’acquisto negli USA, dando una “sferzata” ai settori di punta, associati all’industria degli armamenti (il complesso militare industriale). Per l’effetto trascinamento gli altri settori ne risulterebbero stimolati. È chiaro che questo avviene a spese delle enormi somme ricavate dal bilancio federale, causando così un deficit di bilancio molto accentuato, con tendenza ad accrescersi ulteriormente. Si pensi alla megalomane corsa agli armamenti rappresentata dal programma noto come “guerre stellari”.

L’attuale bilancio della difesa attinge somme, in valori costanti, molto più elevate di quelle dei peggiori anni della guerra fredda!

 

Tutto questo si usa definire come “keynesismo militare”.

 

II

Conseguenze geopolitiche.

 

 

Con il denominato “asse del male” sorgono i nemici designati dell’Impero per imporre la sua egemonia mondiale su tutte le restanti potenze. Perché?

 

Cominciamo dalla Corea del Nord: dalla tragica sequela della guerra fredda sperano di ottenere un mezzo efficace di ricatto sul Giappone, la Corea del Sud e soprattutto in relazione alla Cina.

 

Se il regime di Pyongyang continua a porti some una minaccia “credibile”agli occhi di giapponesi e coreani del sud non ci saranno difficoltà per mantenere le truppe di occupazione USA in questi paesi. Così stando le cose (conservando gli USA le proprie basi in questi paesi) disporrà di utili piattaforme d’attacco sia verso la Cina sia verso qualsiasi altro paese dell’Asia del Sudest che volesse sfidare l’Impero. Non dimentichiamo che era proprio lì che si trovavano le principali basi di appoggio della poderosa macchina di devastazione durante la guerra di Indovina (dal 1965 al 1975): Vietnam, Cambogia e Laos hanno sofferto come nessun altro per l’azione “liberatrice” degli USA!

 

Quanto all’Iran: il regime degli ayatollah ha umiliato gli USA, ha fornito una base arretrata per gruppi islamici sciiti (o Hezbollah) che sono stati anche protagonisti co ntro il principale alleato di Washington nella regione: Israele.

 

È stato per la forza degli Hezbollah che Israele ha dovuto retrocedere per la  prima volta dopo molto tempo, abbandonando posizioni di grande rilevanza strategica nel sud del Libano. Al di là di questo, è l’Iran che è il più vicino a dotarsi di armamento nucleare fra i nemici di Israele, e pertanto degli USA, disponendo della tecnologia necessaria, degli scienziati oltre che delle ricchezze che gli provengono dal petrolio.

 

Il fatto di esserci stata un’apertura ed un timida tendenza alla laicizzazione da parte di questo regime teocratico, non è tale da tranquillizzare gli USA, poiché l’avvicinamento all’ex nemico dell’Iraq è diventato effettivo dopo la guerra del Golfo del 1991. I resti dell’aviazione iraqena si sono rifugiati in territorio iraniano alla fine della guerra del Golfo.

 

Finalmente l’Iraq: questo è il nemico più conveniente da abbattere, dopo l’Afghanistan, per vari motivi.

 

Gli USA vogliono protendersi fra le repubbliche petrolifere dell’Asia Centrale e le potenze che sono ancora Russia e Cina.

La guerra dell’Afghanistan ha avuto come principale motivazione quella di distruggere un’alleanza che si stava realizzando fra Russia, Cina e le predette repubbliche dell’Asia Centrale, che aveva avuto un principio di concretizzazione con la firma di un protocollo di mutua assistenza firmato a Shangai, in cui questi paesi si impegnavano a scambiarsi informazioni, a coordinare la vigilanza delle frontiere, i mezzi militari, etc., per “combattere il traffico di oppio e contenere il fondamentalismo islamico”, ma, in realtà, con un’ambizione di gran lunga maggiore, non confessata – è chiaro – vale a dire quella di costituire un asse euro/asiatico, in campo diplomatico, economico e militare.

 

D’altra parte, diventava necessario dissuadere gli “alleati” fondamentalisti sauditi dal proteggere di nascosto le reti di Al Qaida. Nonché di dar loro un serio avvertimento sull’estremo pericolo che avrebbero corso ad imitare Saddam in relazione alle enormi riserve di dollari, per far perdere ai sauditi qualsiasi velleità di cambiare i dollari con Euro.

 

Il regime di Saddam Hussein non fu abbattuto nel 1991, solo perché il generale Schwarzkopf ricevette  direttamente da Bush padre l’ordine di fermare la sua offensiva “alle porte di Baghdad” … conveniva di più avere un dittatore indebolito politicamente, isolato nel mondo arabo, in un paese schiacciato sotto un enorme peso di sanzioni. Per servire come esempio da non seguire.

 

Questo è stato visto come l’unica soluzione conforme agli interessi imperialisti, visto che la divisione formale dell’Iraq in tre zone (una canonizzazione da Bosnia su scala minore) con un nord kurdo, un sud sciita ed un centro sannita, finiva col  creare una grande instabilità nei vicini alleati (Turchia e Arabia Saudita).

 

D’altra parte, il regime di Saddam poteva essere considerato un importante appoggio per la resistenza palestinese. Anche per questo cominciò ad essere necessario che quel regime fosse abbattuto, affinché Sharon potesse portare a termine la sua “soluzione finale” verso il popolo martire della Palestina: la deportazione in massa.

 

È stato in base a questa speranza folle e criminosa che si è fatto rieleggere Sharon  da un elettorato sionista fanatico e/o terrorizzato dagli attacchi suicidi nel territorio di Israele.

 

Importa chiarire che l’indefesso appoggio degli USA di Bush  ai disegni genocidi di Sharon hanno anche dei riscontri molto importanti nella politica interna americana: i cristiani fondamentalisti degli USA, di un reazionarismo completo, origine e bastione dell’elettorato bushiano, hanno optato per un mutamento di alleanze sul piano interno che ha permesso di congregare parte significativa della comunità ebraica, principalmente quella della Florida, in appoggio al candidato repubblicano. È ben noto che gli ebrei americani avevano come principale referente elettorale il partito democratico. Varie lobbies ebraiche ancora hanno rapporti col partito democratico, ma questa relazione ha cessato di essere esclusiva … e sono passate a dispensare un appoggio per nulla discreto a Bush.

 

Al punto che l’opposizione democratica al senato e alla camera  si è lasciata completamente coinvolgere nell’operazione di propaganda interna della “crociata patriottica contro il terrore”, votando tutte le leggi che fanno dell’attuale regime USA un’autentica farsa di “democrazia”, la quale seppure prima era meramente formale ancora, tuttavia, conservava alcune garanzie in termini di diritti civili.

 

Dopo l’elezione di Bush, egli ed il suo seguito non avrebbero potuto far leva, per gli attacchi alle più elementari difese legali dei diritti dei cittadini, se non a un 11 settembre! L’appoggio o la “neutralità” delle “lobbies” della comunità ebraica per quanto riguarda la svolta fascistizzante del regime USA è stato negoziato, avendo come moneta di scambio l’appoggio senza restrizioni a Sharon.

 

È molto probabile che Sharon possa portare a termine un “blitzkrieg” contro i resti dell’autorità palestinese, deponendo o espellendo in esilio, o assassinando Yasser Arafat, durante o subito dopo il “blitzkrieg” che verrà scatenato dai suoi patroni USA contro l’Iraq.

 

Il gioco geostrategico degli USA con la guerra contro l’Iraq appare essere il seguente:

 

III

Conseguenze umanitarie e ecologiche.

 

Le guerre contemporanee si caratterizzano per essere dirette contro le popolazioni civili, più che contro gli eserciti contendenti. Questo ha cominciato a verificarsi nella II Guerra Mondiale, per avere poi il suo culmine nella guerre di liberazione delle colonie (Guerre di Indipendenza dell’Africa) e soprattutto con le guerre in Indovina, prima con i francesi e poi con gli USA.

 

Con le guerre più recenti, del Golfo, nei Balcani e in Afghanistan, la situazione si è accentuata ancora di più: con il predominio militare quasi assoluto degli USA e dei loro alleati la strategia è consistita nell’opzione ”zero” … zero vittime per le forze imperiali, vale a dire. Questo può essere realizzato solo mediante un bombardamento a tappeto, cioè saturare di bombe una regione distruggendo qualsiasi cosa che vi si trovi. Non c’è dubbio, quindi, che si tratta di genocidi pianificati a freddo, accrescendo quella dimensione apocalittica la guerra  è sempre stata. Nel caso dell’Afghanistan questo è stato fatto come del resto nel Vietnam.

 

In relazione all’Iraq, il piano di battaglia USA includerà un primo impatto con 800 missili da crociera nelle prime 48 ore su Baghdad (il doppio dei missili che la colpirono durante tuta la guerra del’91!), non lasciando nessun luogo intatto. Baghdad ha 4 milioni di abitanti o meglio, secondo altre stime, li avrebbe duplicati fino a 8 milioni negli anni più recenti.

 

Le stime delle agenzie umanitarie dell’ONU operanti in Iraq calcolano che vi saranno, su una popolazione di 23 milioni, da 900.000 a due milioni di vittime. Questo solo per quanto riguarda le vittime dirette delle azioni belliche.

Molte di più sarebbero quelle causate dalla sospensione dei rifornimenti, dalla mancanza di acqua e di medicamenti di base, etc., a seguito di forme acute di epidemie, della totale assenza di soccorsi ai feriti ed ai malati, e così via.

Il  numero di queste vittime indirette non può essere calcolato, naturalmente, poiché dipenderà da molte circostanze fortuite, ma non sembra esagerato considerarlo uguale allo stesso numero di vittime delle azioni belliche, se non maggiore.

 

Per il clima iracheno si avrà una popolazione errante e senza mezzi di sussistenza sotto un sole rovente, alla ricerca di rifugio nei paesi vicini che vedranno di certo un afflusso incontrollato di rifugiati. Zone di frontiera che saranno tanto inospitali quanto il deserto dell’Iraq. La popolazione dei rifugiati sarà pertanto enorme.

 

Dal punto di vista ecologico ci sarà pericolo di incendi accidentali o provocati dei pozzi petroliferi, che causeranno enormi quantità di denso fumo nero, con la liberazione nell’atmosfera di molte tonnellate di CO2 e di particelle cancerogene. L’aria, a molti chilometri di distanza dagli incendi, sarà irrespirabile per molti giorni.

 

I corsi d’acqua, i pozzi, i pantani (zona sud) e lo stesso mare saranno seriamente contaminati. Le acque non trattate saranno portatrici di malattie, dalle epidemie di colera (mortali in assenza di trattamento medico immediato) fino al cancro … che si manifesteranno a lungo termine.

 

Vale la pena sottolineare gli effetti cancerogeni e di modificazioni genetiche degli armamenti e delle bombe all’uranio impoverito: in realtà, si tratta di vere bombe nucleari “sporche”, poiché lasciano in sospensione nell’aria particelle cancerogene. Quando vengano inalate si accumuleranno nei polmoni e negli altri organi, causando il cancro. Dopo essere state per qualche tempo nell’atmosfera, si depositeranno al suolo, che diventerà completamente inadatto all’agricoltura. La popolazione impoverita, peraltro, non avrà altra alternativa che quella di continuare a coltivare il suo suolo ed a consumare alimenti vegetali o carni contaminati dagli elementi radioattivi. Che resteranno nella catena alimentare per molte decadi.

 

I predetti isotopi dell’uranio hanno un periodo radioattivo molto lungo; questo vuole dire che la decontaminazione dei terreni richiederà molto tempo, il che avverrà soprattutto per il progressivo esaurimento dell’uranio scioltosi nelle acque penetrate negli strati più profondi del suolo e per la sua disattivazione a seguito dell’azione dei batteri e degli altri microrganismi del suolo.

 

Le zone naturali di grande interesse ecologico, come gli estuari, saranno perturbate in modo molto grave. Specialmente le vaste regioni semidesertiche, per le condizioni climatiche in esse prevalenti che determinano equilibri molto fragili,a causa delle alte temperature dell’estate ed alla mancanza di acqua.

 

Il patrimonio edilizio, inclusi i monumenti classificati come patrimonio mondiale saranno distrutti in modo irreparabile, lo stesso dicasi per i siti archeologici di primaria importanza. L’Iraq è la culla della prima civiltà agraria e di diverse altre civiltà, come la numerica, la mesopotamica, etc.

 

Baghdad è considerata tanto importante dal punto di vista culturale e civile dal mondo arabo come lo sono Parigi o Londra per la civiltà europea.

 

I probabili eventi presi qui in considerazione rappresentato solo quello che avverrebbe se i piani di battaglia del Pentagono avessero successo. E questo non comprende, pertanto, l’estensione della guerra in altre regioni limitrofe, o non, all’Iraq. Tali scenari di estensione del conflitto possono essere considerati possibili, per lo meno a seguito di una crescita della repressione sanguinosa o perfino del genocidio nei Territori  occupati della Palestina da parte di Israele, o di una aumento degli attacchi terroristici in genere  in tutto il mondo.

 

 

 

 

[Conferenza tenuta a Lisbona dal compagno Manuel Baptista, membro della redazione del giornale anarchico portpghese “A Batalha”.]