LOTTARE CONTRO L’IMPERIALISMO IN IRAK

 (www.solidariteirak.org)  (tradotto da Alternative Libertaire n°131, luglio 2004)

 

E’ tragico il bilancio del primo anno di occupazione e di guerra in Iraq: il 70% di disoccupati, città distrutte, ospedali e scuole fuori uso, campi di torture, insicurezza globale, mancanza di alloggi, acqua potabile, cibo, medicine….

Lo sfruttamento delle ricchezze dell’Iraq e la privatizzazione dei principali settori dell’economia da parte delle multinazionali occidentali rientrano tra gli obiettivi dell’occupazione.

Tante associazioni hanno denunciato da tempo l’intervento militare delle truppe della coalizione guidate dagli USA, così come la non rappresentatività dell’attuale governo provvisorio formato da diversi rappresentanti della borghesia nazionale e clericale condizionata dagli USA.

Questa denuncia è giustificata ma non è sufficiente. Se è vero che le sconfitte subite sul campo dalle truppe dell’imperialismo lo indeboliscono e aggravano la crisi politica di USA e GB, nello stesso tempo non possiamo dare il minimo sostegno politico alle dirigenze islamiche e baathiste, reazionarie e antioperaie, che colpiscono il movimento operaio organizzato e i movimenti per la liberazione delle donne.

L’islam politico ed il nazionalismo sono incapaci di portare gli sfruttati all’emancipazione. Cosa avrebbe da guadagnare la popolazione irakena a essere domani governata da un Saddam Hussein-bis o da un Khomeini-bis? Il nemico del mio nemico non è per forza mio amico. L’indipendenza del movimento operaio irakeno presuppone oggi il suo mettersi in armi sia contro gli occupanti sia contro islamici ed ex-baathisti, Infatti costoro saranno domani gli alleati dell’imperialismo nell’installare un regime succube in cambio di sovvenzioni, come ieri i talebani. Il sostegno cieco alle elite islamiche assimilate alla resistenza popolare da certe organizzazioni di sinistra, è una semplificazione grossolana dell’attuale situazione irakena. La realtà è più complessa: una miriade di organizzazioni reazionarie si scannano per conquistare il potere, giocandosi volta per volta la carta della resistenza armata o della resistenza legalista, o entrambe.

L’attuale resistenza armata oggi è formata principalmente da due nebulose di forze. La prima è quella dei sanniti, con il nocciolo duro a Falluja. Questi gruppi formati da vecchi ufficiali dell’ex-partito Baath e da capi tribali legati ancora a doppio filo con Saddam Hussein non si tirano indietro davanti agli attentati suicidi che massacrano i civili. In seguito ai combattimenti furiosi delle ultime settimane hanno accettato un cessate il fuoco con le truppe di occupazione e ripreso il potere a Falluja. Quando degli ex-baathisti rimpiazzano degli ex-baathisti siamo ben lontani da un avvenire migliore e da una vittoria della democrazia come rivendicano i governanti della coalizione.

La seconda nebulosa è formata dalle milizie religiose sciite e sannite, tra cui quella del mediatico profeta radicale Moqtada Al Sadr, favorevole a instaurare uno stato islamico basato sulla sharia. La sua organizzazione composta da banditi violenti e sessisti è finanziata e legata alla repubblica islamica dell’Iran, le sue milizie sono vicine a stabilire il loro potere su Najaf, dove è in discussione  il cessate il fuoco, in cambio della sospensione del mandato di cattura contro Al Sadr. La loro lotta è ben lontana dall’essere portatrice di un progetto emancipatore: si tratta piuttosto di una lotta per il potere tra forze borghesi e clericali. Al Sadr ha legami con i movimenti religiosi sanniti, che si oppongono al movimento sciita del moderato Al Sistani. In generale i militanti dell’islam politico internazionale hanno approfittato della porosità delle frontiere per introdursi in Iraq e condurre la loro jihad contro gli infedeli americani. Questo movimento di resistenza reazionario, patriarcale, islamista e nazionalista si preoccupa di tutto salvo che delle sorti della popolazione civile irakena. Peggio ancora, rappresentano le forze di oppressione e di sfruttamento, soprattutto nei confronti delle donne, e contribuiscono a mantenere l’insicurezza. Il loro antiamericanismo, più o meno di facciata, non è quello delle forze progressiste. Queste forze che partecipano oggi alla lotta armata contro gli USA, saranno senza dubbio i loro migliori alleati domani. Al di fuori di queste due nebulose, la maggioranza dei partiti politici e dei gruppi religiosi collaborano apertamente, tramite l’intermediazione del governo provvisorio, con le forze di occupazione dirette dagli USA:

Il Partito Comunista Irakeno, i dignitari sciiti riconosciuti, i nazionalisti kurdi filo-americani, le forze tribali, partecipano a questo governo per instaurare “l’autorità sovrana del popolo irakeno”. Il loro comune obiettivo consiste piuttosto nel dividere la società irakena secondo criteri etnici e religiosi, nel riconoscere la religione come fonte della legge, opprimere le donne e intensificare lo sfruttamento capitalista.

Non bisogna dimenticare però il proletariato che lotta, come si è visto durante l’insurrezione dei consigli operai (shuras) nel 1991 nell’est e nel nord del paese, repressa nel sangue dalla dittatura baathista. I movimenti progressisti, da un anno, fanno di nuovo sentire la loro voce in Iraq e si affermano come alternativa di massa. L’Unione dei Disoccupati, inizialmente nata a Baghdad, ha conosciuto una spettacolare crescita e conta ora circa 130.000 membri in 7 regioni del paese. Lottando per un lavoro o un’indennità di disoccupazione decente, è divenuta una forza incontrollabile in Irak, ascoltata dai 10 milioni di disoccupat* e precari*. Sul piano sociale ha presentato con la Federazione dei Consigli Operai ed i sindacati irakeni una proposta di legge transitoria che garantisca il diritto all’occupazione delle imprese da parte dei comitati dei lavoratori. Uomini e donne che lavorano o che chiedono lavoro  sono vittime  della repressione delle truppe di occupazione, così come delle milizie islamiche: a Nassiriya una manifestazione di 7000 persone è stata repressa dagli integralisti, ad Al-Amarah, nel sud, sono state  le truppe irakene sotto comando inglese a fare 6 morti e 11 feriti. La Federazione dei Consigli Operai e dei sindacati irakeni deve continuamente far fronte alle milizie padronali e fondamentaliste: a Nassiriya un gruppo armato di Al Sadr ha cercato di sgombrare lavoratori di  fabbriche occupate per trasformarle in bastioni militari; gli operai hanno rifiutato, nonostante le minacce di morte, e hanno deciso di difendere loro stessi le loro fabbriche.

 La popolazione irakena è vittima inoltre di una restaurazione all’ordine morale: a Nassiriya girano ronde contro le donne non velate, vengono chiusi cinema e bar, lanciate minacce contro comunisti, laici e tutti quelli che osano opporsi ai fondamentalisti. Come al solito, le prime vittime sono le donne: la responsabile a Baghdad dell’Associazione per la libertà delle donne in Irak (OLFI), è stata minacciata di morte quando ha preso posizione contro la risoluzione 137 del governo provvisorio, che proponeva l’imposizione della sharja. Grazie all’azione di queste donne e al sostegno internazionale, il governo provvisorio ha fatto marcia indietro. L’8 marzo 2004, oltre 1000 donne hanno manifestato per reclamare l’uguaglianza tra i sessi, ma la pressione delle forze reazionarie si accentua, il velo fino a ieri inesistente è diventato necessario per uscire per strada: oltre gli insulti, i fondamentalisti arrivano al lancio del vetriolo sul viso delle donne. Le violenze si moltiplicano così come i rapimenti e la tratta con tariffe fisse: 200 dollari per una vergine, 100 per le altre. Prostitute o supposte tali sono invece vittime di esecuzioni sommarie.

La resistenza anticapitalista non può manifestarsi concretamente se non tramite il sostegno alle forze progressiste della classe operaia, delle donne e dei disoccupati, le quali oggi sono i veri soggetti di resistenza attiva e per questo terribilmente minacciate. Il tribalismo, il nazionalismo ed il fondamentalismo islamico sono, così come le armate di occupazione, i nemici quotidiani della popolazione civile irakena. Questo comporta che le organizzazioni del movimento operaio internazionale siano informate, che prendano posizione, organizzino la solidarietà concreta con le lotte della resistenza reale in Irak.

(trad. Fdca/ufficio relazioni internazionali)