Lo stato accerchia la società irachena

 

Ci siamo opposti alla guerra, già da un anno.   Perché da allora, l'Irak vive un incubo aggravato, é fuori di ogni questione, essere complici, con il nostro silenzio, di un'oppressione: quella della sinistra irachena. "Padre sunnita, madre sciita, io ateo, tendenza John Lennon" risponde Oday Rasheed, un giovane regista, quando gli si domanda la sua origine etnica e religiosa.

Di generazione in generazione, l'Irak è un paese che gode di una lunga tradizione di scrittura, di creazione e di sapere. Non  è quel paese di cui ci propinano un ritratto, che, per uscire dalla barbarie di un'occupazione militare, si precipita con entusiasmo nella barbarie di un regime fondamentalista.

I nemici dei nostri nemici non sono per forza nostri amici. Rifiutare l'occupazione coalizzata e il suo consiglio di governo fantoccio, soprattutto sotto la copertura dell'"anti-imperialismo", non implica il sostegno alle forze reazionarie, nazionaliste e religiose, cioè ai peggiori nemici della libertà e dell'uguaglianza.

"Dopo essersi sbarazzato di Saddam, l'Irak deve essere sbarazzato dalle sue idee!", proclama Yanar Mohammed, dell'Organizzazione per la libertà delle donne, minacciata di morte a causa della sua lotta contro la sharia.

Al contrario, gli USA  favoriscono il ritorno dei dirigenti baathisti al governo, nell'amministrazione e nell'esercito. Esistono oggi, in Irak, delle organizzazioni di sinistra, un movimento sociale che esprime un'alternativa sociale e femminista, e che, sovranamente, rigetta allo stesso tempo l'occupazione militare e la reazione nazionalista, etnicista o religiosa.

Disoccupati/e che organizzano quarantacinque giorni di sit-in davanti all'ufficio di Paul Bremer, rappresentante civile della coalizione; donne che lanciano un appello a manifestare a testa scoperta contro la sharia; scioperanti che non esitano a cacciare fuori la direzione corrotta della loro fabbrica; rifugiati che lottano per un alloggio dignitoso, per il semplice diritto di vivere; operai che impediscono alle milizie di Al-Sadr' di impadronirsi della loro fabbrica: ecco l'altra faccia dell'Irak, quella che non ci mostrano spesso.

Ogni giorno, delle lotte, degli scioperi e delle manifestazioni esprimono il desiderio radicale di vivere e non di sopravvivere. E di fronte a queste? le baionette, le milizie, le fatwa, la tortura...

Al di là degli slogans anti-guerra, è urgente sviluppare una solidarietà concreta con il movimento progressista, laico, sociale e femminista in Irak. I sindacati, le associazioni di donne e di disoccupati, mancano di mezzi per organizzarsi efficacemente, per diffondere le loro idee nel paese e farsi conoscere all'estero, per garantirsi e garantire i mezzi di sussistenza più elementari. La nostra solidarietà internazionalista può aiutarli a distribuire cibo o médicine ai rifugiati, ai senza-tetto, ai più poveri; a disporre di locali, strumenti di comunicazione e di difesa; a organizzare le loro lotte ed a portare avanti le loro rivendicazioni.

Lo stato accerchia la società irachena. Il movimento sociale, solo, lo abbatterà!

Adesioni su http://www.solidariteirak.org