PETROLIO

Introduzione

 

Il presente lavoro intende illustrare il ruolo del petrolio nell’economia mondiale, nonché le sue previste disponibilità future. Esso è suddiviso in due parti. La prima rappresenta un riassunto dell’utilizzo del petrolio nel mondo e in particolare nei paesi più sviluppati e maggiormente dipendenti dal petrolio appartenenti all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico); la seconda è un’analisi della situazione delle riserve petrolifere stimate e degli andamenti previsti di consumo/produzione per i prossimi decenni.

 

Scopo del lavoro è fornire una base  in primo luogo tecnica in forza della quale sia possibile sviluppare considerazioni politiche e/o economiche, disegnare scenari futuri e aprire, infine, un dibattito sul ruolo che attivisti anarchici e libertari possono svolgere in merito.

 

In estrema sintesi è possibile a grandi linee individuare due diverse correnti di pensiero concernenti la situazione delle riserve petrolifere e le relative previsioni sulle sue future disponibilità: una, per così dire, “catastrofista” [1] che sembra avere un credito maggiore negli ambienti scientifici e una, invece, “tranquillizzante” che riscuote particolare successo tra gli economisti.

 

L’argomento non è banale e semplificazioni e schematizzazioni sono spesso ingannevoli.

Nell’ambiente scientifico predomina la corrente “catastrofista”, esistono, tuttavia, anche analisi ottimistiche che dilatano i tempi dell’emergenza o addirittura ne contestano l’esistenza stessa, confidando nel ruolo “sempre” salvifico del mito tecnologico.

Ricordiamoci inoltre che, trattandosi di previsioni, rimaniamo per forza di cose nel campo delle possibilità e delle probabilità.

 

Nell’ambiente economico, contiguo a quello politico e spesso funzionale a questo nel fornire visioni ideologiche dei fatti, le valutazioni diventano più difficili: non si può dimenticare il ruolo svolto da molti economisti nella nostra società quale strumento di propaganda atto a giustificare le scelte politiche e non tenere conto di ciò nell’esprimere un giudizio sulle loro posizioni.. Non deve stupire che le posizioni degli economisti siano tutte rivolte ad una estrema tranquillità e fiducia, questo è il loro ruolo nella società attuale.

 

Gli economisti tendono spesso ad avere una visione invertita del mondo, pensano che l’ambiente naturale sia un sottosistema dell’economia; credono, insomma, che le risorse naturali provengano dal “mercato” e non dall’ambiente.

 

Esemplificativa a tal riguardo l’affermazione del Nobel per l’economia Robert Solow:

…il mondo può, in effetti, fare a meno delle risorse naturali…ad un costo finito, la produzione può essere liberata dalla dipendenza dalle risorse non rinnovabili… [2].

Una visione del genere va contro non solo un pensiero che sia minimamente scientifico, ma anche contro il semplice buon senso. Pure a questi personaggi vengono attribuiti larghi spazi nel mondo dell’informazione, della cultura e dell’educazione.

E non si creda che questa rappresenti una posizione marginale in campo economico. Come scrisse efficacemente Kropotkin ne “La scienza moderna e l’anarchia” tra pensiero economico e pensiero scientifico corre un abisso:

gli economisti sono “uomini che non hanno alcuna idea di ciò che viene concepito come “legge” nelle scienze naturali”.

 

E’ per questo necessario effettuare un’analisi razionale della situazione, sgombrando il campo da ideologismi e costruire una base di conoscenza il più possibile scientifica, in modo da costruire un bagaglio di conoscenza da diffondere ed opporre contro il fuoco di sbarramento della propaganda del capitale.

Perché è indubbio che la situazione che si profila rappresenti un grosso problema per il sistema economico-politico attuale.

Non si vede come possa, nella situazione prospettata, continuare ad avere quel consenso di massa che è riuscito ad ottenere grazie alla crescita economica e sarà a quel punto necessario per le élite dominanti mantenere il potere attraverso la forza. La crescita economica non può proseguire indefinitamente, e il sistema consumistico capitalista si andrà a scontrare prima o poi contro i limiti fisici del mondo su cui viviamo, siano essi rappresentati dalle riserve di materie prime o dalle condizioni climatiche e ambientali.

Questo comporta, al di là delle considerazioni di carattere militare o poliziesco, la necessità della definizione di un nuovo sistema economico e politico che sia compatibile con i limiti fisici dell’ambiente.

 

Ed è in questo contesto che il movimento anarchico può giocare un ruolo importante, sia nella denuncia del pericolo di derive totalitarie o di guerre infinite sia nella proposta di un modello di società basato sull’uguaglianza, la libertà, il decentramento e l’autogestione. L’unico in grado di essere da una parte compatibile con la realtà fisica e dall’altra rispondente alle aspirazioni di vita dell’umanità.

 

La situazione energetica attuale: importanza del petrolio nell’economia dei paesi a capitalismo avanzato.

 

In questo paragrafo cercheremo di fornire un quadro sintetico dell’importanza del petrolio nell’economia mondiale e in particolare nei paesi industriali, con particolare attenzione ad alcuni importanti aspetti qualitativi relativi alle varie fonti energetiche che non vengono messi in luce da una semplice analisi quantitativa e che sono tuttavia fondamentali per comprendere l’unicità e l’importanza della risorsa petrolifera.

 

I dati statistici di seguito riportati sono tratti dal volume “Key World Energy Statistics from the IEA” (IEA, 2002). 

La IEA (International Energy Agency) è una organizzazione autonoma collegata con l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), ne fanno parte 26 nazioni tra cui Stati Uniti, Canada, i paesi dell’Unione Europea, Giappone, Corea, Australia Nuova Zelanda.

Per maggiori informazioni sull’IEA il sito è raggiungibile all’indirizzo http://www.iea.org, mentre il documento sopra menzionato è consultabile al seguente indirizzo: http://www.iea.org/statist/keyworld2002/keyworld2002.pdf.

I dati riportati sono relativi al 2000.

 

Nella Tabella 1 è visibile la fornitura totale di energia primaria (TPES - Total Primary Energy Supply) suddivisa combustibile. Come si vede il petrolio rappresenta nei paesi dell’OCSE il 52.9 % della fornitura energetica totale, è responsabile quindi da solo di oltre la metà delle fonti energetiche totali. Questa percentuale si riduce, su scala planetaria al 42.7 percento.

 

SORGENTE ENERGIA

MONDO

OCSE

Petrolio

42.7

52.9

Gas

16.1

19.6

Carbone

7.9

3.7

Elettricità

15.8

19.7

Biomasse e rifiuti

13.8

2.5

Altro

3.7

1.7

 

Tabella 1: quote percentuali del TPES (Total Primary Energy Supply) per combustibile.

 

La Tabella 2 illustra la ripartizione mondiale del consumo energetico per macroregione.

Il Nord America (Stati Uniti e Canada) rappresenta più di un quarto del consumo totale (a fronte di una popolazione che invece rappresenta solo il 5 % della popolazione mondiale) mentre l’Unione Europea il 18 % e i paesi dell’OCSE dell’area pacifica (Giappone, Corea, Australia Nuova Zelanda) rappresentano una quota pari a 8.1 %. In totale i paesi dell’OCSE (che possiamo approssimare ai paesi maggiormente industrializzati) consuma più del 50% dell’energia mondiale.

 

Nord America (USA e Canada)

25.8

Europa

18

OCSE Pacifico

8.1

TOTALE OCSE

52.3

Asia (escluso la Repubblica Popolare Cinese)

12

Repubblica Popolare Cinese

11.4

Paesi dell’ex Unione Sovietica

9

Medio Oriente

3.8

America Latina

5.1

Africa

5.5

 

Tabella 2: quote percentuali di consumo energetico suddivise per regione.

 

Per quanto riguarda invece l’utilizzo del petrolio nei diversi settori industriali, le tabelle 3 e 4 forniscono un quadro sintetico sugli utilizzi del petrolio nei vari settori, ed evidenziano come l’utilizzo principale avvenga nel settore dei trasporti e in particolare nel settore automobilistico.

NB: nel 1973 la percentuale di petrolio dedicato al settore dei trasporti rappresentava il 42% con un aumento quindi di 15 punti nel periodo 1973-2000

Per evidenziare ulteriormente l’importanza centrale del petrolio nel settore dei trasporti è sufficiente dire che nei paesi dell’OCSE in questo settore più del 97 % dell’energia utilizzata viene dal petrolio.

  

Trasporti

57.7

Industria

20.1

Residenziale

7

Usi non energetici

5.9

 

Tabella 3: quote percentuali di utilizzo del petrolio suddivise per settore.

 

Automezzi

80

Aviazione

13

Navigazione

1.8

Ferrovie

1.4

 

Tabella 4: quote percentuali di utilizzo del petrolio nel settore trasporti.

  

Infine è da notare come nell’industria chimica il petrolio rappresenti il 64% dell’utilizzo totale del petrolio a fini non energetici.

 

Abbiamo visto finora aspetti puramente quantitativi, tuttavia esiste anche un aspetto qualitativo importante: ogni fonte energetica ha le sue qualità peculiari che la differenziano dalle altre. Per esempio il carbone contiene più energia per unità di peso del legno, fatto che lo rende migliore per lo stoccaggio e il trasporto; il petrolio ha un contenuto di energia per unità di peso maggiore del carbone, brucia ad una temperatura più alta ed è più facile da trasportare. 

Dal punto di vista qualitativo il petrolio ha delle ottime caratteristiche di efficienza (per esempio una locomotiva diesel consuma 1/5 dell’energia di una a carbone), inoltre è facilmente estraibile e trasportabile.

Tutto ciò rende il petrolio una risorsa con un valore economico enorme.

Inoltre il petrolio è il carburante che può rifornire i motori a combustione che sostengono il sistema dei trasporti, ed è proprio in questo settore che il petrolio assume un’importanza quantitativa e soprattutto qualitativa enorme tale da renderlo difficilmente sostituibile.

 Rimane un ultimo punto per chiudere il quadro: l’importanza del petrolio per l’agricoltura dove viene utilizzato sia come carburante per la meccanizzazione dei raccolti che nella produzione di fertilizzanti e pesticidi.

 Bartlett ci fornisce un’efficace e simpatica definizione dell’agricoltura moderna che mette in luce la dipendenza di questa dal petrolio: "L’agricoltura moderna è l’uso della terra per convertire petrolio in cibo " (Bartlett, 1978 - p. 880).

In effetti la “rivoluzione verde” che ha incrementato in maniera enorme il rendimento dei terreni agricoli è una combinazione di meccanizzazione, industria petrolchimica e ingegneria genetica. Due di questi elementi (meccanizzazione e industria petrolchimica) sono forniti dal petrolio (vedi Youngquist, 1999).

Per esempio secondo Pimentel (1998) circa il 90% dell’energia utilizzata nella produzione dei raccolti proviene dal petrolio, e senza questo la produzione agricola di grano crollerebbe dell’80% circa (da 130 a 30 stai per acro)

Quando gli “acri fantasma” dovuti al petrolio spariranno la produttività dei terreni si ridurrà drammaticamente.

Fleay (1995) sintetizza in maniera efficace la drammaticità della situazione:

Gran parte della popolazione mondiale dipende da cibo ottenuto da tecniche agricole che richiedono l’utilizzo di combustibili fossili. Senza petrolio il mondo è in grado di sostenere una popolazione di circa 3 miliardi…I principali esportatori di grano sono U.S.A., Canada, Europa, Australia e Argentina – tutti paesi fortemente dipendenti da una industria agricola basata sul petrolio.”

 Le riserve petrolifere stimate e i trend di consumo/produzione previsti.

 

Per effettuare delle stime sull’andamento futuro della produzione petrolifera è necessaria la conoscenza di alcuni fattori:

-          il computo della quantità di petrolio estratto finora, detta produzione cumulativa;

-          la stima delle riserve cioè la quantità che le compagnie petrolifere possono estrarre da campi petroliferi conosciuti, prima di doverli abbandonare;

-          la stima della quantità di petrolio convenzionale [3] che deve essere ancora scoperto o sfruttato. 

Queste tre quantità insieme formeranno il cosiddetto “ultimate recovery”, vale a dire il numero totale di barili estratti quando tra qualche decennio la produzione cesserà.

A partire da questi dati sarà poi possibile individuare l’andamento previsto della produzione.

 

La prima quantità, cioè il computo del petrolio consumato, è quella più facilmente ricavabile perché le compagnie petrolifere misurano il flusso di petrolio estratto. Campbell e Laherrère (1998) riportano che, secondo molti esperti dell’industria petrolifera, la quantità di greggio estratto alla fine del 1997 era calcolata in circa 800 Gb (miliardi di barili). 

 

Le stime delle altre due quantità, che insieme forniscono il petrolio che deve essere ancora estratto, rappresentano evidentemente delle maggiori difficoltà in quanto non si tratta di dati a consuntivo ma di previsioni.

Per effettuare la stima delle riserve sono quasi universalmente utilizzate statistiche derivate da studi effettuati da due giornali “Oil and Gas Journal” e “ World Oil”, i quali annualmente interrogano i vari governi e le industrie petrolifere, e quindi pubblicano i dati relativi a produzione e riserve che ricevono, senza peraltro avere alcuna possibilità di controllo sulla qualità del dato ricevuto.

E’ bene ricordare che la stima delle riserve non è una scienza esatta e viene indicata in termini probabilistici: le quantità maggiormente utilizzate sono il 10°, il 50° e il 90° percentile indicati rispettivamente con P10, P50 e P90. P10 rappresenta la quantità stimata che ha una probabilità del 10% di essere estratta, mentre per il P50 e il P90 si parla rispettivamente di probabilità del 50% e del 90%. Ovviamente il P10 è maggiore del P50 che è a sua volta maggiore del P90 e tra queste tre stime le differenze quantitative sono elevate. Nella realtà le compagnie e gli stati sono spesso vaghi riguardo le loro stime e forniscono le cifre nel range P10-P90 che vengono loro più comode per i motivi più svariati: dalle quotazioni in borsa della compagnia (per esempio stime in eccesso possono provocare la salita delle azioni) a motivi “politici”. Come esempio emblematico dei possibili  “inquinamenti” nelle stime riportiamo il caso dei paesi OPEC negli anni ’80.

Siccome la quantità di greggio che i paesi OPEC possono esportare è proporzionale alle loro riserve, questi sono per così dire tentati di dichiarare delle riserve sovrastimate.  Se analizziamo l’andamento temporale delle riserve stimate dai paesi OPEC nel tempo notiamo come alla metà degli anni ’80 si sia verificato un incremento improvviso e notevole, non giustificato da nuove scoperte o da innovazioni tecnologiche, per un totale di quasi 300 Gb.

E’ ragionevole sospettare che questo incremento (con variazioni tra il 42% e il 197%) fu causato dalla volontà di aumentare la loro quota di esportazioni. Complessivamente (sommando cioè le stime di Arabia Saudita, Iran Iraq, Emirati Arabi, Kuwait e Venezuela) si è passati da una stima di 400 Gb nel 1987 ad una di 600 Gb nel 1988 (200 Gb – pari al 50% delle riserve totati - nell’arco di un solo anno!!!).

 

Figura 1: riserve stimate dei paesi OPEC in Gb.

 

D’altro canto i dati riportati precedentemente la fine degli anni ’80 erano molto probabilmente sottostimati dalle compagnie petrolifere prima della espropriazione.

Tutto questo per illustrare come la determinazione delle riserve stimate ponga problemi non indifferenti e possa essere strumentalmente utilizzata per i fini più disparati, insomma: attenzione ai dati che vengono forniti, sempre meglio mantenere una buona dose di senso critico.

 

Ma passiamo adesso ai numeri con le statistiche della BP [4] relative al 2002 [5] che riportano in sintesi una stima di 1050 Gb (BP, 2002).

Da notare che nel 1991 la riserva stimata era di 1000 Gb mentre nel 1981 era di 678 Gb, come si vede negli ultimi 10 anni le riserve sono aumentate di un misero 5%.

Interessante la distribuzione geografica delle riserve con il 65.3% concentrate nel Medio Oriente, il 9.1% nell’America Centrale e Meridionale, il 7.3% in Africa, il 6.2% nei paesi della ex Unione Sovietica, il 6.1% nell’America del Nord, il 4.2% nell’Estremo Oriente e il restante 1.8% in Europa.

Se confrontiamo questa distribuzione con la Tabella 2 che riportava la distribuzione geografica dei consumi, salta subito all’occhio la enorme asimmetria della situazione, con i paesi del Nord America e dell’Europa che a fronte della produzione del 10.9% del greggio mondiale ne consumano il 43.8%.

 

Per quanto riguarda il terzo punto, cioè l’andamento delle nuove scoperte di giacimenti petroliferi, la situazione non è delle più incoraggianti. A titolo di esempio riportiamo il dato che in tutti gli anni ’90 le compagnie hanno scoperto una media di 7            /anno mentre nel solo 1997 ne sono stati estratti e consumati 21 Gb. Attualmente il rapporto tra nuove scoperte ed estrazione è di circa 1 a 4 ovvero consumiamo circa 22 Gb e ne scopriamo 6 Gb.

Nella figura 2 è visibile il grafico del divario tra nuove scoperte petrolifere e consumi, come si vede il picco è stato raggiunto negli anni ’60; in particolare dagli anni ’80 in poi ci troviamo in un fase di deficit negativo: cioè la quantità di petrolio consumata è maggiore di quella scoperta.

Figura 2: Divario Scoperte-Consumi in Gb.

 

Dopo la crisi petrolifera dei primi anni ’80, molte risorse furono spese nella ricerca, vennero sviluppate nuove tecnologie e vennero effettuate campagne in tutto il mondo per la ricerca di nuovi giacimenti. Ne vennero trovati pochi.

L’andamento delle scoperte sta costantemente declinando dopo il picco degli anni ’60.

 

Alcuni affermano che ampi depositi di petrolio possano trovarsi in angoli lontani ed ancora inesplorati del globo. In realtà è molto difficile che ciò accada perché l’esplorazione ha ormai interessato quasi tutto il mondo tanto che ormai le uniche aree che devono essere ancora esplorate completamente sono i fondali oceanici profondi e le regioni polari, aree che sono comunque anche loro ormai abbastanza conosciute. Per quanto riguarda le zone di mare profondo il loro utilizzo come aree di estrazione pone problemi tecnologici tali da renderle inutilizzabili anche su tempi molto lunghi , dobbiamo ricordare infatti che la tecnologia lavora comunque all’interno delle leggi della fisica (come il primo e il secondo principio termodinamica) e non può aggirarle. Per ogni attività umana è necessaria una certa quantità di energia ed è evidente, nel caso dell’estrazione del petrolio, cioè della produzione stessa di energia, che se l’energia richiesta per l’estrazione è maggiore di quella ottenibile dal prodotto estratto, l’operazione non è conveniente non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista energetico. Non bisogna mai dimenticare che nel caso del petrolio non ci troviamo di fronte ad una merce qualunque ma ad una fonte energetica, cioè ad un qualcosa che fornisce la base per tutte le altre attività economiche e produttive.

 

E’ inoltre da rimarcare il fatto che la formazione di depositi petroliferi richiede la coincidenza di particolare condizioni geologiche, una combinazione di circostanze che si verifica raramente sia nello spazio che nel tempo.

E dopo la formazione devono intervenire circostanze ancora più rare per permetterne l’intrappolamento in strutture geologiche  da cui sia possibile effettuarne l’estrazione.

 

Anche per quanto riguarda l’incremento della frazione di olio estraibile dai campi petroliferi grazie a nuove tecnologie la situazione è piuttosto stabile: la tecnologia è ad un punto tale che si possono fare pochi miglioramenti

E comunque nelle stime fatte dalle compagnie petrolifere sono normalmente compresi gli effetti dei progressi tecnologici maggiormente prevedibili.

 

Grandi speranze vengono anche poste negli enormi depositi di petrolio non convenzionale come per esempio le sabbie e gli scisti bituminosi. Tuttavia  questi rappresentano un sorgente di energia problematica a causa del costoso trattamento chimico/fisico necessario, trattamento che tra l’altro richiede notevoli risorse energetiche (gas o petrolio stesso) riducendo quindi notevolmente la quantità di energia “netta” ricavabile.

 

Ancora più importante della quantità di greggio estraibile è però l’andamento previsto della produzione e il confronto di questo con l’andamento della richiesta, perché è dal confronto di questi due che si evidenzia se la produzione di greggio prevista nei prossimi anni sarà in grado di soddisfare la richiesta.

 

Nel 1956 il geologo M.K. Hubbert sviluppò un metodo per effettuare la proiezione della produzione di petrolio.

Egli osservò che in regioni petrolifere sufficientemente grandi l’estrazione del petrolio segue una curva a forma di campana che raggiunge un picco quando viene estratta circa la metà delle risorse disponibile.

Questa legge è nota come legge di Hubbert.

 

La legge generale afferma che:

·         la produzione comincia da zero all’avvio del primo pozzo

·         sale fino ad un picco che non sarà più superato

·         una volta superato il picco la produzione declina costantemente finché non ritorna allo zero.

 

Il picco di massima produzione, noto come picco di Hubbert, si ottiene quando è stato estratto circa la metà del petrolio disponibile ed è essenzialmente dovuto al fatto che le crescenti difficoltà di pompaggio richiedono una crescente energia per l’estrazione e determinano una diminuzione del gettito di greggio. L’energia richiesta aumenta continuamente finché non si raggiunge un momento in cui per estrarre un barile di petrolio è necessario utilizzare una quantità di energia maggiore di quella ricavabile dal barile stesso: a questo punto indipendentemente dalle leggi del mercato, con buona pace degli economisti, non è più conveniente estrarre il greggio e la produzione si interrompe.

Il raggiungimento della fine dello sfruttamento del pozzo non corrisponde quindi all’esaurimento fisico del petrolio nel pozzo ma al raggiungimento della condizione di energia netta uguale a zero cioè del limite di convenienza energetico.

 

 

Figura 3: il picco di Hubbert.

 

Hubbert predisse che la produzione di petrolio dei cosiddetti “lower 48 states” americani (Stati Uniti esclusa l’Alaska) avrebbe raggiunto il picco circa nel 1970. La sua previsione si è dimostrata notevolmente accurata. La produzione è leggermente aumentata rispetto alle stime iniziali di Hubbert ma le previsioni sul tempo di raggiungimento del picco e sul successivo andamento discendente erano corrette.

 

Ovviamente il quadro mondiale è più complicato a causa dei problemi nella stima delle riserve disponibili che abbiamo analizzato sopra, sembra comunque prevedibile il raggiungimento del picco nei primi due decenni del 21° secolo.

 

Ma andiamo a vedere alcune delle stime ufficiali pubblicate negli ultimi anni.

 

Cominciamo da quella pubblicata nel giugno del  1998 dalla rivista di economia Forbes dove  in una intervista Berbabè,  ai tempi direttore dell’ENI, dichiarava che il picco sarebbe stato raggiunto nel 2005. 

Le stime di Bernabè si basavano su dati raccolti dalla Petroconsultants di Ginevra un società di analisi geologico/economica del settore petrolifero che è consulente di tutte le maggiori compagnie petrolifere e dei governi: è l’agenzia con la principale banca dati petrolifera su scala mondiale.

 

Anche altre analisi (Brian Fleay, Roger Blanchard, Albert Bartlett) effettuate con diverse metodologie forniscono stime che pongono il picco intorno all’anno 2005.

 

Nel numero dell’8 maggio 1997 della rivista scientifica Nature viene presentata un’analisi di Craig Hatfield che poneva il raggiungimento del picco di produzione entro la prima decade del 2000.

 

Nel 1998 la già nominata IEA (International Energy Agency) pubblica uno studio in occasione dell’incontro dei Ministri dell’Energia dei paesi del G8 a Mosca: nello studio il picco di produzione viene posto nel 2012 ad un volume di 78.9 Mb/d (milioni di barili al giorno).

 

Duncan & Youngquist dell’Università della California di Los Angeles nel loro studio “The World Petroleum Life Cycle” del 1998 [6] pongono il picco di produzione mondiale nel 2006 e pubblicano una serie di interessanti tabelle con dati suddivisi per paese e raggruppati per macro-regioni.

 

La rivista “Scientific American” nel numero di marzo del 1998 (pubblicato in Italia nel numero di maggio di “Le Scienze”) pubblica un articolo di Colin Campbell e Jean Laherrere, “The end of cheap oil” in cui si afferma che la produzione mondiale raggiungerà probabilmente il picco entro il 2008.

 

Nel settembre del 2000 la Canadian Imperial Bank of Commerce (la seconda principale banca del Canada e una delle 10 più  grandi banche del Nord America) pubblica uno studio che si conclude in questo modo:

“Dopo essere aumentato per 140 anni la produzione mondiale di petrolio sta per raggiungere il picco”

 

Le stime precedentemente esposte si basano tutte su una previsione di circa 1000 Gb, che sembra essere quella più sensata tenendo conto di tutte le problematiche illustrate nella parte relativa alle riserve stimate. Esistono anche altre stime più ottimistiche, come quelle della U.S. Geological Survey, è da notare però che aumentando la quantità delle riserve stimate di greggio il picco si sposta sì nel tempo, tuttavia anche a fronte di aumenti considerevoli lo spostamento è minimo.

Una delle più ottimistiche stime recenti, quella di John D. Edwards dell’Università del Colorado, pari a 2036 Gb sposta secondo i calcoli il picco al 2020, mentre stime più sensate come quella del U.S. Geological Survey del 1991 di 1550 Gb pongono il picco entro il 2015.

 

Tutto questo mentre nel frattempo la richiesta globale di greggio ad un ritmo del 2% all’anno, le previsioni del EIA[7] parlano di una previsione di aumento della richiesta globale di petrolio pari al 60% per l’anno 2020. Dal confronto tra l’andamento previsto della richiesta e quello della produzione successiva al picco, che ricordiamolo sarà una continua e costante curva discendente, non è difficile prevedere la gravità della situazione: chissà in che modo la mitica “mano invisibile” del mercato riuscirà a risolvere il problema.

 

In definitiva il problema non è tanto quello di rimanere senza petrolio ma quello della gestione del rapporto domanda/offerta, la prima in aumento e la seconda destinata a diminuire.

 

Ma un aspetto estremamente interessante nel breve periodo è il confronto tra le riserve dei paesi produttori dell’OPEC e il resto del mondo.

 

L’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) è formato da 11 stati membri, di cui 6 in Medio Oriente (Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Riuniti), 3 in Africa (Algeria, Libia e Nigeria), 1 in Sud America (Venezuela) e 1 in Asia (Indonesia).  La parte del leone è svolta ovviamente dalle nazioni del Medio Oriente che possiedono il 76% delle riserve.

 

Analizzando in particolare i previsti trend di produzione dei paesi OPEC e mettendoli a confronto con quelli del resto del mondo appare evidente come il ruolo strategico di questi paesi  sia destinato ad aumentare: questo perché il previsto picco della produzione di petrolio dei paesi OPEC avverrà dopo il raggiungimento del picco nel resto del mondo.

Secondo alcuni il picco di produzione dei paesi non-OPEC è già stato raggiunto.

Questo significa che a partire dal raggiungimento del picco di produzione per i paesi non-OPEC in poi l’importanza di questa organizzazione, e soprattutto dei paesi del Golfo Persico, sarà sempre maggiore, perché saranno gli unici paesi in grado di soddisfare (per lo meno fino al raggiungimento del loro picco di produzione) le sempre maggiori richieste di greggio.

 

Duncan e Youngquist (1998) nel loro studio “The World Petroleum Life-cycle” mostrano un grafico che permette il confronto tra i due picchi. Al di là delle date (che possono essere anticipate o posticipate) è evidente l’importanza di quello che chiamano punto di crossover, oltre il quale la produzione dei paesi OPEC supera la produzione del resto del mondo, che verrà raggiunto secondo le proiezioni degli autori nel 2007, alla cui data probabilmente quasi tutta la produzione dei paesi OPEC sarà concentrata nell’area del Golfo Persico. Il punto di massimo “gap” tra produzione OPEC e resto del mondo avverrà, secondo le proiezioni degli autori nel 2027.

 

 

Figura 4: Confronto della produzione petrolifera (in Gb/Anno) dei paesi OPEC e del resto del mondo

 

 

Analogo discorso può essere fatto per i paesi del medio-oriente  (ricordiamo che il 65.3% delle riserve provate di petrolio è concentrato nel medio-oriente con le seguenti percentuali relative ai principali singoli paesi dell’area: Iran 8.5%, Iraq 10.7%, Kuwait 9.2%, Arabia Saudita 24,9%, Emirati Arabi 9,3%; mentre la quota di produzione nel 2001 è stata del 30%) per i quali Duncan e Youngquist prevedono il raggiungimento del picco nel 2011 a fronte di un raggiungimento del picco per gli altri paesi nel 2003. Inoltre attualmente i paesi del Medio Oriente sono gli unici ad avere un elevato surplus di capacità tale da permettere loro un repentino e consistente incremento di produzione, fattore che già da adesso li rende critici nel governare i prezzi tramite la produzione (questo vale soprattutto per l’Arabia Saudita che è il paese con le maggiori potenzialità produttive).

 

E’ quindi chiaro come l’importanza strategica dei paesi OPEC e soprattutto dei paesi produttori dell’area del Golfo Persico (ricordando che tra i due gruppi esiste una sovrapposizione) sia destinata ad aumentare e con essa, come dimostrato anche dagli avvenimenti recenti,  le per altro già elevate tensioni militari e politiche, perché come dice Noam Chomsky:

Controllare le risorse petrolifere è più di un problema di accesso. Perché il controllo equivale al potere.”

 

 

 

 

Stefano Parodi

 

Bibliografia

Bartlett, A. A. (1978). Forgotten fundamentals of the energy crisis: Am. Journal of Physics, 46(9), 876-888. 

BP (2002). BP statistical review of world energy 2002.

Campbell, Colin J. & Laherrère Jean H.  (1998) The End of Cheap Oil: Scientific American, March 1998.

Daly, Herman E.  (1991). STEADY-STATE ECONOMICS, Island Press.

Duncan R. e Youngquist W.(1998). The World Petroleum Life-cycle.

Fleay, B. (1995). The decline of the age of oil. Pluto Press Australia Limited.

I.E.A. (2002). Key World Energy Statistics.

Pimentel, D. (1998). Letter to Walter Youngquist dated March 24.

Youngquist W. (1999). The Post-Petroleum Paradigm and Population in “Population and Environment: A Journal of Interdisciplinary Studies Volume 20, Number 4, March 1999 © 1999 Human Sciences Press, Inc.”

 

 


 

[1] Mi piace riportare qui una simpatica definizione del “catastrofista” tratta dagli aforismi del Comidad – bollettino di collegamento nazionale (vedi il sito http://www.ecn.org/contropotere/comidad)

“ Il catastrofista è colui che non si è accorto che la catastrofe è già avvenuta.”

[2] Tratto da una lettura del 1974 alla “American Economic Association” citato in Daly, 1991 - p. 117

 [3] Per petrolio convenzionale si intende il petrolio facilmente estraibile e raffinabile, e quindi a basso costo non è compreso in questa definizione il petrolio derivato da scisti bituminosi e quello presente nei fondali oceanici profondi e nelle regioni polari

[4] BP (British Petroleum) rappresenta uno dei più grandi gruppi petroliferi e petrolchimici mondiali

[5]  Le statistiche della sono rintracciabili al seguente indirizzo http://www.bp.com/downloads/1087/statistical_review.pdf

[6] Vedi il documento pubblicato a questo indirizzo http://dieoff.com/page133.htm.

[7] Energy Information Administration: ente governativo statunitense responsabile delle politiche energetiche.