LA QUESTIONE DEI TRASPORTI: 
PER UNA STRATEGIA D'INTERVENTO POLITICO SU DI UN SETTORE NODALE

 

1. PREMESSA

Il problema dei trasporti, in Italia, come ovunque, può essere affrontato solo collocandolo nella sua giusta dimensione di fattore della produzione.

Nel nostro paese il colossale scontro che si è aperto in tutto il settore si basa proprio su questi aspetti; il capitalismo italiano, dopo aver concluso la ristrutturazione in alcuni comparti produttivi ed averla avviata in fase avanzata in altri, ha bisogno di attaccare anche questo anello debole alla catena.

Per dimostrare l'insufficienza del sistema dei trasporti italiano nei confronti dei partners europei, bastano pochi dati; l'interscambio commerciale (dato dalla somma delle esportazioni più le importazioni) dell'Italia con l'Europa è cresciuto, ma i ¾ di quello che si svolge via mare ed i 2/3 di quello che si svolge su strada sono affidati a vettori stranieri. Questo perché l'industria del settore in Italia non è riuscita a tenere il passo con le imprese straniere.

Ciò che è certo è che il settore dei trasporti attraversa ed attraverserà una fase di ristrutturazione, la cui gestione è contesa e su cui i lavoratori e le popolazioni dei territori direttamente interessati potranno incidere con difficoltà e solo contrapponendo obiettivi chiari ed organizzazione.

Uno dei tentativi di mettere ordine nella ristrutturazione del settore dei trasporti in modo da inquadrarla in un preciso ed articolato piano organico, è stato fatto con il varo del Governo Craxi del Piano Generale dei Trasporti (PGT).

Non abbiamo adesso la possibilità di entrare in un'analisi dettagliata del PGT perché richiederebbe, data la sua articolazione, di ben più ampie disponibilità di spazio. Diciamo solo che il PGT è stato varato dopo ampia consultazione tra le forze politiche e sindacali ed appoggiato da tutto il cosiddetto "arco costituzionale" ma che, anche se l'intento di programmazione è certamente apprezzabile, le linee su cui si muove sono da rigettare perché funzionali ad uno schema di ristrutturazione volta alle esigenze dello sviluppo capitalistico e che tende a far pagare i costi ai lavoratori interessati.

Molto di ciò che sta avvenendo si ricollega al PGT, che non va certo demonizzato né sopravvalutato, ma solo collocato nella sua dimensione di un tentativo organico della ristrutturazione. Diamo infatti uno sguardo alla questione stradale. L'Italia, con una percentuale dell'autotrasporto che per le persone è del 70,6% e per le merci 63%, ha la più densa rete stradale del mondo: 320000 km di strade extraurbane che vogliono dire 1 km e mezzo per ogni km quadrato di territorio.

Ma questo dato, insieme alla estensione della rete autostradale (attualmente più di 6000 km) non offre più adeguate garanzie di velocità nella circolazione delle merci e delle persone a causa degli oltre 24 milioni di veicoli leggeri e pesanti in circolazione.
Per meglio cautelarsi verso l'inevitabile resistenza degli addetti alla ristrutturazione e ad peggioramento delle loro condizioni di vita ed alla riduzione dell'organico, non ci poteva "essere di meglio" che una regolamentazione dello sciopero; tale regolamentazione è in via di attuazione attraverso una legge che viene appoggiata anche dalla cosiddetta "sinistra storica" e dalle organizzazioni sindacali.

Questa legge è combinata con contratti normativamente peggiorativi e contestati, con i continui blitz dell'Ente FS (per tutti vedi la recente riesumazione dell'ex-decreto Balzamo sugli scioperi brevi, per cui anche solo un minuto di sciopero locale comporta una trattenuta di una giornata di lavoro), con la gestione verticistica e subordinata alle esigenze padronali del sindacato, predispone i ferrovieri ed in generale i lavoratori di tutto il settore dei trasporti verso un disarmo morale, politico ed organizzativo.

Il comportamento delle organizzazioni sindacali verso i problemi legati al servizio pubblico è stato quindi di difesa verbale dello stesso, ma di accettazione sostanziale di una sua riduzione.

Anche rispetto ai movimenti di opposizione che sono cresciuti nel territorio in contrapposizione più o meno cosciente alla logica devastatrice ed inquinante dello sviluppo capitalista, le OO.SS. si sono mosse in maniera contraddittoria.

Da un lato c'è stata la ricerca di un rapporto, almeno da parte di alcuni settori sindacali più interessati al problema; dall'altro la difesa di interessi anche contrapposti e soprattutto la subalternità centrale, sia di Federazioni che confederale, a modelli che di fatto peggiorano sempre di più la qualità della vita.

Anche questo atteggiamento contraddittorio apre nuovi spazi per azioni e proposte da parte dei comunisti anarchici, che devono saper valutare attentamente i problemi connessi a questo tipo di intervento legato al territorio, per le novità che può comportare in fatto di alleanze e schieramenti.

 

2. LA DIMENSIONE DELLA "QUESTIONE TRASPORTI"

Nella società post-industriale la "questione dei trasporti" (mobilità delle persone, delle merci, delle informazioni, ecc.) diventa sempre più una questione nodale per il funzionamento della società, della produzione e della velocità di riproduzione del capitale. Infatti, il basso livello di funzionamento di una struttura di trasporto e gli alti costi della stessa incidono sulla capacità complessiva di sviluppo produttivo e della crescita di profitto.

Nel dopoguerra si è assistito alla "direzione strategica" dello sviluppo dei trasporti da parte della FIAT con la diffusione dell'auto di massa. La conseguente colata di cemento ed asfalto si è articolata per tutti gli anni '60.

Questo dirottamento delle risorse pubbliche e sociali verso una politica di trasporti privatistica diventa elemento di scontro sociale nel ciclo di lotte che parte dal '68. Emerge il tema della ridefinizione del modello di sviluppo della società dell'auto ed in particolare di quello di un sistema dei trasporti orientato a privilegiare l'industria dell'auto rispetto ai trasporti collettivi.

Dalle lotte dei pendolari a quelle sui trasporti urbani a quelle delle categorie sindacali di trasporto, vengono riproposte strategie di cambiamento nel sistema sociale ed in quello della mobilità delle persone, delle merci e delle informazioni.

La crisi petrolifera del 1973 e le politiche di austerità contribuiscono ulteriormente a rallentare la spinta che il "modello FIAT" aveva avuto negli anni '60.

Il governo si trova costretto a bloccare l'ingente impegno finanziario per le autostrade ma non sviluppa, in alternativa, i trasporti sociali. Inoltre iniziano gli anni dove il deficit pubblico inizia a farsi sentore ed a costringere lo Stato alla riduzione degli investimenti pubblici.

 

3. LE NOVITÀ DELLA FASE ATTUALE

Gli anni '80 presentano alcune novità di rilievo. La forte riconversione ed orientamento all'export dell'apparato produttivo con nuovi prodotti a più alto contenuto tecnologico e più leggeri, l'effetto delle politiche di decentramento produttivo e territoriale, nonché lo svilupparsi del settore terziario portano ad un aumento vertiginoso del fabbisogno di mobilità sia delle persone, sia delle merci, sia delle informazioni. 

Il territorio diventa sempre più luogo e parte della "catena di montaggio", deve sopportare un "boom della mobilità" che si riversa in gran parte sulle strade.

Per quanto riguardalo spostamento delle merci, l'autotrasporto passa dal 44% nel 1970 al 63% del 1985, mentre le ferrovie spostavano il 19% nel '70 ed il 12% nel 1985. Contemporaneamente, per il trasporto delle persone si è assistito all'aumento del costo ed all'abbassamento della qualità del servizio pubblico, sia dello Stato che degli Enti Locali.

Nel complesso ne è derivato un processo di crescita abnorme del trasporto privato che ha portato e porterà alla formazione di fenomeni di congestione e di contraddizioni sociali.

La saturazione dei centri storici, delle autostrade, l'opposizione alla costruzione di nuove autostrade, la riorganizzazione del sistema ferroviario, ecc. sono quindi fenomeni frammentari di un movimento destinato a crescere.

Durante gli anni '80 si assiste inoltre alla nascita di movimenti locali e settoriali che trovano ragione di vita da alcune contraddizioni determinate da questo sviluppo. Dai movimenti "urbani" per le isole pedonali, per nuovi servizi pubblici dei pendolari, per le piste ciclabili ai movimenti "periferici" contro la costruzione di nuove autostrade per un maggiore utilizzo delle ferrovie fino ai movimenti sindacali del settore trasporti.

In questi stessi anni riprende a gran forza la spinta delle lobby trasportiste che mira -sulla base delle precedenti contraddizioni- a rilanciare grandi investimenti pubblici finalizzati a "fare spazio" alla macchina privata ormai congestionata.

Le società autostradali, i cementieri, ecc. spingono per il finanziamento del Piano decennale ANAS ed in particolare alla spesa dei 37000 miliardi previsti per i nuovi 1824 km di strade ed autostrade. La stessa legge finanziaria del 1988 -vista la mole degli investimenti- stenta a finanziare le quote previste, sia sul piano stradale che su quello ferroviario.

In sostanza gli anni '80 cominciano ad evidenziare in modo netto la crisi operativa di questo modello attraverso manifestazioni di non funzionamento. Infatti, a forza di costruire macchine non si riesce a trovare più posto sulle strade. E' vero che queste ultime di possono allargare, ma solo fino ad un certo punto, perché la "dimensione spazio" è limitata. L'esempio classico è quello dei centri urbani. Il problema della congestione da traffico è il segno di come questo modello di sviluppo abbia raggiunto una soglia critica oltre la quale va in crisi il modello stesso. Comincia a crearsi un forte divario tra la possibilità effettiva di sanare queste contraddizioni. Lo sviluppo economico spinto dall'auto si trova così ridotto ed in contraddizione con le esigenze della collettività di una migliore qualità della vita sia in termini di servizi di trasporto che ambientali.

In questo contesto prendono corpo ed ulteriori spinte i fronti di lotta che meglio analizzeremo in altre parti. Ciò che queste prime note portano a sintetizzare può essere evidenziato nei seguenti punti:

 

4. ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI SUL QUADRO EMERSO

La prima considerazione riguarda i caratteri dei movimenti di lotta ed i problemi strategici che essi pongono. Dall'analisi svolta emergono alcuni caratteri negativi. Il localismo e la limitatezza del progetto politico di molti movimenti di opposizione, soprattutto ambientalisti, da un lato e un eccessivo "aziendalismo" di molti movimenti sindacali, dall'altro.

Manca complessivamente, in entrambi e casi, una iniziativa che sia portatrice di caratteri strategicamente complessivi che, pur partendo dai "problemi quotidiani", abbia la capacità di estendere il movimento verso la contestazione complessiva del modello capitalista produttore di queste "miserie".

Un secondo carattere che emerge dall'analisi precedente deriva dalla constatazione che i livelli raggiunti dalle contraddizioni capitalistiche provocano l'unificazione di alcuni strati sociali tradizionalmente separati da politiche ed interessi diversi: i movimenti di opposizione periferici che trascinano gli agricoltori; i lavoratori dei trasporti urbani che cominciano a catturare l'interesse di chi nella città è stanco si smog…, per fare alcuni esempi.

Questi elementi che caratterizzano questa fase pongono il problema della necessità e della possibilità di ricondurre strati sociali nuovi all'iniziativa anticapitalistica. Su questo processo di "proletarizzazione" di nuovi segmenti occorre approfondire l'analisi e fare ulteriori verifiche; in ogni caso la strategia di classe deve tenere conto di questi fenomeni per poter ampliare i rapporti di forza e le capacità di intervento.

Un terzo elemento di riflessione riguarda i limiti delle strutture autogestionarie dei movimenti settoriali. Infatti, oltre alle strutture sindacali, ormai ben note, si è assistito alla nascita dei movimenti spontanei che presentano generalmente la caratteristica di essere strutture di base autogestite. I limiti riscontrati riguardano la incapacità di estendere la struttura organizzativa oltre le soglie del proprio ambito territoriale e settoriale.

In questo senso si pone il problema di pensare all'organizzazione di strutture che abbiano il compito di unificare non solamente i diversi movimenti territoriali, ma soprattutto di saldare i diversi segmenti di movimento sindacali e non che si muovono sul tema dei trasporti. E' pensabile l'organizzazione di strutture territoriali unitarie in grado di essere unificanti per il movimento?

Nel complesso la strategia che i comunisti anarchici devono articolare deve essere finalizzata a:


Giancarlo Leoni 

Mantova, aprile 1989