GOVERNO L…EGA

 

Monza, Varese, Milano, Mantova, la Regione Friuli V.G. ed altre amministrazioni sono ormai da diversi anni in mano agli amministratori leghisti. Alcune dalle elezioni del settembre 1992, altre dal giugno 1994 e poche altre da elezioni precedenti.

L’analisi del comportamento dei seguaci di Bossi alle prese con la gestione quotidiana della pubblica amministrazione si può basare ancora su esperienze limitate, ma già significative di alcuni loro comportamenti.

La prima cosa che si deve notare in tali modi di gestire le amministrazioni è la provenienza sociale e professionale degli assessori. Un dato costante che si nota è la consistente presenza di liberi professionisti come commercialisti, ragionieri, medici, di commercianti e di imprenditori. In questo gruppo però si trovano generalmente gestori di piccolissime imprese e molto raramente si notano imprenditori di aziende di consistente dimensione. Il quadro del personale politico che si determina fa riferimento in modo esplicito al ceto medio ed alla piccola borghesia. Siamo di fronte quindi alla presa del potere da parte di un segmento sociale tradizionalmente protetto e di “servizio” alla produzione come il commercio. Tale quadro si configura come “la carica dei commercianti” sollecitati da una nuova pressione fiscale che li ha spinti alla insubordinazione nei confronti del loro tradizionale partito, la DC. La cultura che portano negli enti locali e gli interessi che quindi sostengono sono quelli finalizzati ad agevolare le condizioni di vita del ceto medio negoziante in previsione di una riduzione della spesa e quindi delle tasse.

Il secondo comportamento che si nota nel fare amministrazione da parte dei soldati del carroccio è quello che li fa assomigliare a ciarlatani, allo stesso modo dei maneggioni che caratterizzavano i partiti tradizionali, gestori del potere prima di loro. Tale fenomeno si concretizza attraverso la realizzazione di attività spettacolari finalizzate alla dimostrazione politica che poco hanno a che fare con i risvolti concreti dell’agire della pubblica amministrazione. In altri termini significa che siamo di fronte a personaggi che dedicano molto del loro tempo a fare conferenze stampa dettando proclami e decisioni conclusive che il giorno dopo vengono rettificate per poi essere rettificate ulteriormente il pomeriggio successivo e così via fino alla prossima conferenza stampa che detterà le nuove decisioni definitive diverse da quelle della settimana prima. Tale modo di fare non è affatto nuovo in quanto era quello che avveniva nelle classiche giunte rette da un gruppo di partiti che dovevano mediare tra loro ogni piccola decisione. Paradossalmente, oggi che siamo di fronte al partito unico vincente –derivato dal sistema elettorale con premio di maggioranza- si notano comportamenti che rivelano le contraddizioni interne a giunte che rafforzano personaggi diversi che non sanno che cosa sia una strategia di gestione della cosa pubblica e che si scontrano tra loro, alla giornata, rivelandosi solo dei portatori di interessi di gruppo in conflitto con i loro colleghi rappresentanti di altri gruppi all’interno della stesa compagine governativa. A Milano come a Mantova od in altri posti si è assistito a proclami perentori e a ritirate strategiche con la massima disinvoltura. Il presunto decisionismo appare per quello che è: la dimostrazione dell’incapacità di decidere e di gestire la complessità della pubblica amministrazione.

Questi fatti confermano anche un altro fenomeno che sta emergendo nelle giunte leghiste: la scarsa competenza degli amministratori e dei consiglieri. Partendo da questi ultimi si potrà notare come molto spesso siedono tra i banchi ragazzini pressoché imberbi il cui livello culturale e di esperienza sui problemi della collettività e delle possibili politiche pubbliche risulta risibile. L’unica professionalità che essi rivelano è quella del “ripetitore di slogan leghisti”, incapaci però di tradurli nell’azione amministrativa quotidiana. L’esempio è quello che vede da un lato i leghisti proclamare l’imperiosità del libero mercato e dall’altra osteggiare la nascita dei centri commerciali (d’intesa con l’Unione del Commercio) poiché altrimenti il “pesce grosso rischia di mangiare quello piccolo…”.

Tale situazione deriva dal fatto che la Lega non è stata in grado di consolidare un apparato di personale politico e che i militanti sono raccattati nelle sedi missine o tra gli urlatori in qualche gradinata di stadio.

Gli assessori selezionati per governare le giunte presentano invece un profilo politico (quel poco disponibile) quasi sempre di provenienza dai partiti tradizionali. Ex-missini, ex-socialisti (sindaco di Milano), ex-repubblicani (vice-presidente della Provincia di Mantova), ex-democristiani ed anche ex-PCI. Rari risultano coloro che non sono stati tesserati in qualche partito. Con questa realtà appare chiaro che una volta sbolliti gli ardori della vittoria elettorale entrano in campo le convinzioni personali che facilmente si scontrano, mancando una base culturale e politica comune e consolidata. Il passaggio dal ruolo di opposizione alla funzione di gestori del potere amministrativo è un salto impegnativo per qualsiasi apparato organizzato, soprattutto per quelli che non hanno una lunga esperienza di pubblica amministrazione.

Passando ora ad analizzare più in concreto le scelte effettivamente operate dalle giunte leghiste, al di là dello spettacolo politico proclamato sui giornali, si possono individuare i seguenti filoni.

  1. Blocco o revisione dei principali progetti sui quali avevano lavorato le giunte precedenti. Tale comportamento non è però esteso in modo massiccio. Anzi pare che tale modalità sia abbastanza limitata. Il risultato ottenuto è quello di avere “buttato via sia il bambino che l’acqua”, creando situazioni di blocco e di vuoto dimostrando la reale inconsistenza del modo di gestire leghista. Anche lo stesso caso “Leoncavallo” ha dimostrato come gli uomini di Bossi siano bravi a fare proclami fascisti e molto più incapaci di gestire i problemi reali e sociali. A Varese ed in altre località di più antico leghismo sta montando un malcontento anche tra chi li aveva votati trovandosi di fronte ad una gestione grossolana e improvvisata.
  2. Continuità con i progetti e le azioni intraprese dalle amministrazioni precedenti. In molti casi si ha invece continuità di azione a causa del fatto che i nuovi gestori non sono in grado di elaborare progetti alternativi che vadano oltre alle parole dette in conferenza stampa.
  3. La caccia agli scheletri negli armadi. Una volontà proclamata in campagna elettorale dai bossiani che ha sempre fatto molta presa è stato l’impegno a far venire a galla tutti gli imbrogli ed i trucchi delle amministrazioni precedenti. Quindi all’indomani della presa del potere, diversi assessori, assurti ad agenti di politica mortuaria, si sono avventurati in tutti gli armadi alla caccia di scheletri o panni da lavare pubblicamente. Purtroppo da diversi mesi, dopo i proclami iniziali, non sono stati trovati non a causa della loro mancanza, ma perché i ricercatori sono incapaci e non avrebbero trovato un elefante in un circo.

In questo panorama va segnalato anche il caso di Mantova che è assurto alle cronache nazionali allorquando i leghisti, appena giunti al potere, decisero di assegnarsi lo stipendio più alto possibile, destando sconcerto anche tra gli stessi militanti. L’intervento di Bossi ha legittimato il tutto.

Ora ex-autisti del furgone del babbo si spacciano da manager facendosi pagare oltre 6 milioni al mese “a spese del contribuente”. Alla faccia della Lega.

P.S.

La recente tornata elettorale ha segnalato una “battuta di arresto” nella crescita del consenso alla Lega. Tale fenomeno ha molte motivazioni, una delle quali deriva proprio dalla incapacità e dalla “mediocrità” che traspare dalle giunte gestite dagli uomini del carroccio. In questa prospettiva, quindi, tenuto conto della competizione che innesterà Berlusconi con Forza Italia, si creeranno le premesse per un ridimensionamento del movimento leghista a causa della mutata credibilità.

Daniele Pettene

Luglio 1994