Gattopardismo referendario

 

Tra i molti referendum che attendono i cittadini il prossimo 18 aprile quello che suscita da tempo le maggiori attenzioni è quello elettorale. Grandi sforzi sono stati fatti per raggiungere un accordo sulle riforme elettorali da operare per evitare il quesito referendario; una enorme commissione parlamentare ha lavorato a lungo per risolvere il problema, ma ormai è certo che si andrà alle urne. C'è quindi la speranza che si attivi il dibattito su questo tema, che troppo a lungo è stato trattato superficialmente da una stampa monocorde produttrice di luoghi comuni. In generale si è cercato di far leva sulla voglia di cambiamento dilagante nell'opinione pubblica per contrabbandare la riforma del sistema elettorale come la soluzione adatta a liberarsi di un soffocante sistema partitico.

C'è un coro quasi unanime di detrattori del sistema proporzionale (cui si addebita la corruzione dilagante, la scarsa governabilità, il mancato ricambio della classe politica) per decantare i benefici effetti del sistema maggioritario vigente nella patria della democrazia occidentale, la Gran Bretagna. Tutti questi argomenti meritano un esame leggermente più approfondito per capire cosa in realtà nasconda la volontà dilagante di trasformare il sistema elettorale per - dicono- "restituire la politica ai cittadini". Deve infatti fortemente insospettire vedere uniti Confindustria, sindacati e partiti di Governo e di opposizione nel vituperare la proporzionale e decantare il maggioritario.

È palese che l'addebitare i "mali" del paese al sistema elettorale vigente è operazione tutta ideologica e priva di qualsiasi valore probante. Primo aspetto: la corruzione.

Si dice che il consociativismo, tipico del sistema proporzionale, sarebbe stato l'incubatore del dilagare del fenomeno delle tangenti. Ora il consociativismo, l'assenza di un opposizione reale, la connivenza interessata e spesso ottenuta con un po' di briciole, sono indubbiamente terreno fertile, ma come legarlo al sistema elettorale? L'opposizione esiste in funzione di un cambiamento di un intiero sistema sociale; quando essa invece si sviluppa solo in funzione di un avvicendamento di potere può essere aspra ma non incide sul metodo di esercizio di detto potere cui si chiede in definitiva di accedere. Tanto è vero che in Francia (sistema maggioritario a doppio turno) gli scandali travolgono il partito socialista, in Canada (sistema maggioritario puro) gli scandali travolgono il premier conservatore. Invocare poi il problema della governabilità è addirittura patetico, visto che appare a tutti evidente che semmai proprio in questo momento assistiamo caso mai ad un eccesso di governabilità ed è vagamente curioso che tale preoccupazione provenga dalle fila di chi fino ad ora ha governato da sempre e proprio nel momento in cui i consensi goduti paiono inesorabilmente declinare. Quanto poi al fatto che il sistema maggioritario possa contribuire al ricambio della classe politica quanto questo argomento sia valido lo dice il semplice fatto che se il 5 aprile del 1992 si fosse votato con tale metodo la DC avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta.

Il paradiso maggioritario

È poi interessante chiedersi se, laddove è in vigore, il sistema maggioritario garantisca questa totale trasparenza tra delegati e deleganti tanto decantata. Una prima notazione concerne la corrispondenza tra espressione di voto e rappresentanze parlamentari ed una seconda la presunta possibilità di controllo diretto del deputato da parte dell'elettorato. Scartato, in un primo momento, il sistema maggioritario a doppio turno, l'orientamento è sembrato consolidarsi verso quello puro. Semplici considerazioni evidenziano che con più partiti in un collegio si può essere eletti con molto meno della metà dei voti e se per ipotesi questo fatto si estendesse a tutti i collegi ci sarebbe una solida maggioranza parlamentare frutto di un'esigua minoranza di voti. Questo escludendo il problema della costituzione dei collegi, che non essendo tutti rigidamente eguali comportano quorum elettorali diversi (anche in presenza di due soli partiti).

Questo è un problema così poco peregrino che in questo secolo in Gran Bretagna ben tre volte, nel 1910, 1929 e 1948, ha ottenuto la maggioranza parlamentare il partito che aveva ottenuto meno voti, e generalmente quello conservatore che si avvale della maggioranza nei collegi rurali meno popolosi. Il problema dei "borghi putridi" è vivo nel dibattito inglese da due secoli e rimane irrisolto nonostante la continua nuova mappatura dei collegi, tanto da rendere molto attuale in quel paese la proposta di passaggio al sistema proporzionale. Negli USA poi si evidenzia come il sistema elettorale maggioritario, lungi dal consentire un più puntuale controllo sugli eletti, nella realtà consegna inesorabilmente nelle mani delle lobbies, economiche e di partito, il monopolio della rappresentanza politica: nessun candidato alla Casa Bianca può nutrire alcuna speranza se non ottiene il benestare delle strutture partitiche e nessun candidato alla carica di Governatore, senatore, deputato, sindaco ha alcuna speranza senza l'appoggio di un consistente conto in banca.

Una politica fatta per i personaggi

Il caso degli Stati Uniti suscita ancora alcune importanti riflessioni. Prima di tutto la pesante collusione tra magistratura e potere politico, fonte del grado di corruzione più elevato del mondo occidentale: ciò è reso possibile dal fatto che il giudice è una carica elettiva, che quindi risponde alle stesse fonti di finanziamento elettorale di tutte le altre cariche elettive; non è tanto la considerazione di cosa succederebbe nelle nostre zone ad "alta presenza mafiosa" a muovere il ragionamento, quanto la considerazione che i poteri elettivi tendono a rispondere a chi li determina economicamente piuttosto che agli elettori e ciò tanto più dove la solidità del patrimonio economico assume maggiore rilevanza per superare il confronto elettorale. E qui inciampa uno degli altri ragionamenti "forti" dei difensori del sistema elettorale maggioritario: esso permetterebbe di ridurre i costi della politica. In realtà tale sistema "deideologizza" il confronto elettorale, spostando lo scontro sui programmi ad un fronteggiarsi di uomini per i quali diviene centrale l'immagine più che i contenuti, la "professionalità affabulatoria" piuttosto che le proposte. Ciò potenzia i bisogni finanziari di una campagna elettorale e avvantaggia coloro che di appoggi potenti potranno godere.

Ma soprattutto produce un tipo di confronto politico tutto interno ad sistema sociale non più rimesso in discussione nel suo complesso, quindi tra opzioni gestionali diverse di un medesimo assetto economico. È così che i partiti si riducono a grossi clubs legati da vaghe opzioni ideologiche, sfumate al proprio interno, e soprattutto da interessi di natura extrapolitica, estremamente poco individualizzabili, che rendono inattaccabile il cemento dei "soci anziani". Da tempo il nostro paese si sta avviando verso un'americanizzazione della politica (il cui alfiere è coerentemente il Partito Radicale), e l'introduzione del sistema elettorale maggioritario rappresenta un tassello rilevante di tale tendenza, che è per lo meno molto dubbio possa riavvicinare i cittadini all'agone politico.

Il perché della riforma

Mario Segni, figura di riferimento dello schieramento referendario, è uomo conservatore da oltre un ventennio coerente propositore dell'introduzione del sistema maggioritario secco. È logico, quindi, chiedersi perché solo adesso la sua proposta divenga così attuale da mobilitare a propria difesa forze così vaste e composite. È in atto una strategia complessiva di ristrutturazione dei poteri della società capitalistica, che tende ad esautorare le assemblee elettive dei poteri reali, per concentrarli nei centri di programmazione finanziaria e monetaria e negli esecutivi. Occorre a tale strategia che gli esecutivi, fuori dal controllo dell'assemblea elettiva europea e demandati a gestire le politiche nelle subaree nazionali, dispongano di un sicuro retroterra politico. Non è difficile comprendere che ciò è possibile in assenza di un antagonista di classe in grado di impensierire seriamente e quindi, nel caso italiano, diviene conveniente mutare il sistema elettorale. Una riconsiderazione storica ci mostra, infatti, che il sistema elettorale proporzionale fu introdotto per la prima volta nel 1919 e non è difficile comprendere che nel momento esso costituiva un tentativo di cooptare nella logica parlamentare e di mediazione politica un movimento operaio forte e combattivo in un momento alto della propria offensiva di classe. Il tentativo riuscì solo in minima parte e si rese necessario ricorrere al fascismo, come modo di gestione sociale possibile e non irrazionale del capitalismo, per stroncare l'offensiva operaia e proletaria.

Da sempre, quindi, i sistemi elettorali sono nella realtà funzionali alle gestioni sociali prescelte e allora quello proporzionale si presta ad una gestione mediativa nel momento in cui l'avversario di classe è forte e va cooptato ai margini del potere, quello maggioritario, invece, ad una gestione forte ed accentrata quando lo scontro di classe, privo di respiro strategico, tende a non incidere sui meccanismi reali del potere e può manifestarsi anche violentemente ma in modo circoscrivibile, non pericoloso ed arginabile manu militare. È quindi palese che il quesito referendario si configura a pieno titolo come una tappa centrale di una strategia autoritaria giudicata ora possibile in presenza di una pesante sconfitta del movimento operaio, grazie anche ad una totale rinuncia di antagonismo strategico dei suoi tradizionali luoghi di rappresentanza politica e sindacale.

Un futuro oscuro

Svolta autoritaria, dicevamo, le cui conseguenze a lungo termine sono oscure e preoccupanti nello stesso tempo. Se coloro che vedono inesorabilmente declinare il proprio peso elettorale potessero confermare la propria maggioranza politica grazie ai premi derivanti dal nuovo sistema di definizione delle rappresentanze parlamentari, ma per di più le vedessero accresciute al di là di quanto mai l'attuale sistema proporzionale abbia consentito (ed il tentativo lontano, ma non troppo, della legge truffa può essere un monito), potrebbe prendere corpo quell'esigenza di revisione costituzionale in grado di spianare la via ad una Seconda Repubblica molto più conservatrice, centralistica ed autoritaria. Non si può dimenticare che la carta costituzionale del nostro paese è il frutto di un momento politico di grande forza per il movimento proletario e quindi rispecchia equilibri da lungo tempo tramontati e che pur essendo una costituzione integralmente borghese presenta alcuni ostacoli al pieno dispiegarsi del dominio di classe; fatto che giustifica il continuo riaffacciarsi dell'esigenza di una sua revisione in alcuni punti essenziali giudicati eccessivamente garantisti. Forse la borghesia italiana giudica giunto il momento per saldare a proprio favore quei conti aperti nella fase successiva alla guerra di liberazione, recuperando con usura ciò che allora fu costretta a cedere.

Saverio Craparo


Da Agenzia d'Informazione a cura della Segreteria Nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici, n° 10, marzo 1993, pp. 1-5.