CPT: I campi di espulsione in Italia

 

Il Mondo è in movimento. Le migrazioni costituiscono una costante nella storia dell'umanità. Qualsiasi essere umano in età tale da potersi spostare, è in linea di principio mobile dal punto di vista geografico. La gente si muove per un'infinità di ragioni, individuali o strutturali, economiche e politiche, e queste mobilità possono avvenire a vari livelli - all'interno di una città, fra aree rurali e urbane, all'interno di un paese o di specifici confini culturali. Altre persone attraversano i confini e si spingono ancora oltre, verso altre città e regioni. Alcune si spostano da una nazione all'altra, e una parte di queste varca diversi continenti.

Nessuna società è statica e la storia d'Europa, al pari di quella di ciascun continente, è caratterizzata ad ogni suo stadio da rilevanti movimenti migratori.

Molte fonti stimano che alla fine del XX secolo circa 120 milioni di persone vivevano in un paese diverso da quello di origine. L'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) prevede che si arriverà a 230 milioni entro l'anno 2030. Alcuni esperti di migrazioni, riferendosi al 1993, stimano la presenza di migranti illegali in Europa in 4-5 milioni, l'Oim parla di 15-30 milioni di "clandestini" in tutto il mondo, mentre altri ne contano fra 22 e 44 milioni, un numero sei volte superiore alla popolazione della Svezia.

Considerando congiuntamente le migrazioni internazionali con l'incidenza della migrazione temporanea e di quella interna (che non è molto diversa da una migrazione internazionale: in alcuni casi, infatti, è regolata o contrastata allo stesso modo e a volte attraversa confini culturali, religiosi e linguistici, coprendo distanze notevoli), così come la crescita delle concentrazioni urbane, emerge che circa un miliardo di persone si muove attraverso le frontiere e i confini.

Tuttavia la migrazione ha un carattere storicamente determinato, assume forme specifiche e avviene secondo particolari condizione economiche, sociali e politiche: può essere volontaria o forzata.

I processi migratori contemporanei sono strettamente collegati a situazioni economiche, ecologiche e politiche particolari, a problemi e crisi particolarmente gravi, e in genere avvengono da aree svantaggiate verso regioni più ricche, da paesi con meno opportunità, salari più bassi o minore libertà, a quelli privilegiati da questo punto di vista.

Con l'affermazione del capitalismo e dei moderni Stati-nazione, a metà del XIX secolo, gli Stati intrapresero un'azione sistematica di controllo e contenimento dei movimenti di persone: i nomadi furono costretti ad insediarsi oppure sterminati, i vagabondi furono imprigionati, mentre i lavoratori erano incatenati alle miniere e alle fabbriche.

Dai primi decenni del XX secolo ebbe inizio un profondo antagonismo fra il continuo processo di migrazione umana, tradotto in un fondamentale diritto alla libertà di movimento, e la pretesa dei moderni Stati nazionali di esercitare la propria sovranità territoriale, difendere i confini e controllare gli ingressi.

In questa prospettiva, si preparò il terreno non solo per una militarizzazione del discorso sulle migrazioni, ma anche per una militarizzazione delle politiche migratorie, come rivelò l'impiego di navi da guerra nei mari australiani, italiani o spagnoli dal 2000.
I governi trattano in genere le migrazioni come una minaccia alla propria sicurezza e stabilità e concordano con gli organismi internazionali sulla necessità che il fenomeno migratorio sia regolato e "gestito in maniera ordinata".

La maggior parte degli accordi internazionali, patti di stabilità, piani di intervento bilaterali o convenzioni, contengono espliciti riferimenti alla questione migratoria e alla necessità di predisporre interventi congiunti per il suo contenimento.

Dobbiamo sottolineare però che il regime di controllo delle migrazioni non si è mai posto l'obiettivo di un "azzeramento" del fenomeno. Al contrario, la migrazione è stata spesso analizzata come fattore vitale per la crescita economica.

Di conseguenza, le politiche migratorie sono strettamente connesse a quelle demografiche e alla regolazione del mercato del lavoro, come anche alla politica estera di sviluppo e alle guerre. Sono le leggi di mercato a ricoprire un ruolo fondamentale nelle politiche migratorie, e nella maggioranza dei casi i migranti sono respinti perché non esiste una domanda adeguata all'interno del mercato del lavoro.

Non si deve dimenticare che l'economia capitalista si fonda su una politica delle differenze: differenze fra generi, razze, nazioni che si riflettono nella divisione del lavoro, nella segmentazione dei mercati del lavoro e nelle differenze dei prezzi.

Tali differenze si traducono in un sistema di differenziazione dei diritti (che include lo status dei migranti), in differenze salariali e riproduttive facilmente sfruttabili. Per esempio, è ben nota l'economia politica delle proporzioni salariali fra Singapore e Indonesia (1 a 289), Messico e Stati Uniti (1 a 10) o Germania e Polonia (1 a 5).

Le popolazioni "indesiderate", in "eccesso" o "pericolose" patiranno (e già patiscono) la brutalità delle leggi economiche e delle misure di sicurezza. Per tenerle a distanza è stato consolidato un feroce sistema globale di deportazioni ed espulsioni, con "oasi sicure" controllate dall'Onu, centri di detenzione e campi profughi, isole trasformate in prigioni - come Nauru nel Pacifico - e pattuglie armate alle frontiere: simboli eloquenti dell'ineguaglianza, dell'ingiustizia e dell'esclusione che dominano nel XXI secolo.

Un altro strumento adottato recentemente da alcuni paesi europei sono i voli charter congiunti, organizzati in poche ore per accelerare e rendere meno costose le procedure di rimpatrio forzato (in questo caso il trattenimento amministrativo avviane anche in strutture come stazioni di polizia, zone di transito aeroportuale e stazioni marittime).

Nel segno di una continuità con modelli tradizionali esplicitamente razzisti, sono le popolazioni africane, asiatiche e slave ad essere percepite come minacce ad un ordine globale che produce gerarchie economiche e sociali. Per molte di queste non c'è spazio nel mondo degli investimenti e degli impieghi: esse restano confinate nelle zone povere e sfruttate del mondo. A livello globale 2,1 miliardi di persone soffrono la povertà e 800 milioni patiscono la fame. Per loro, la scelta fra migrazione e restrizione può diventare una questione di vita o di morte.

I confini - reali o immaginari - sono essenziali per l'ordine economico mondiale. Le politiche migratorie si orientano a mantenere, controllare e gestire questi confini, introducendo nuovi meccanismi per il controllo dei movimenti di persone.

Possiamo individuare una sorta di "gerarchia della mobilità" dove la "libertà di movimento" esiste solo per le elite globali, i professionisti molto qualificati e i turisti abbienti, mentre i movimenti del lavoro subiscono una pesante regolamentazione e ai poveri o ai profughi è impedito qualsiasi spostamento.

Proviamo a tracciare a sommi capi i passaggi salienti che hanno definito l'attuale impianto delle politiche europee in tema di sicurezza, di gestione dei flussi migratori e lotta alla clandestinità.

Con il Trattato di Roma (con il quale si istituì la Comunità Europea), siglato nel 1957, si poneva particolare enfasi sulla libertà di movimento dei lavoratori attraverso le frontiere e sulla disciplina delle migrazioni esterne all'Europa fu rimessa ai singoli Stati membri. Nel 1985 con la ratifica dell'Atto unico europeo (firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1 luglio 1987) i paesi dell'Europa occidentale hanno iniziato a gestire secondo linee comuni anche le migrazioni extraeuropee.

L'Atto unico, modifica il Trattato di Roma e individua l'obiettivo della Comunità nell'istituzione, entro la fine del 1992, di un "mercato interno", definito come "uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali". Si comprende che l'eliminazione dei controlli alle frontiere interne è possibile solo a condizione che i membri della Comunità siano in grado di assicurare l'efficacia dei controlli ai confini esterni.

Il primo passo è consistito nell'estendere la responsabilità del Gruppo Trevi - inizialmente limitata ai temi del terrorismo, dell'estremismo e della criminalità - alla questione migratoria.

A questo punto a fatto seguito l'accordo di Schengen, sottoscritto nel 1985 ma pienamente applicato solo nel 1994. L'Italia ne è diventata membro nel '90 dopo aver convinto i membri originari circa l'assoluto rigore negli standard di controllo dei suoi confini. L'essenza dell'accordo di Schengen era l'idea che la graduale abolizione delle frontiere comuni doveva essere compensata e controbilanciata da una serie di misure "collaterali". Queste consistono in una serie di provvedimenti di sicurezza le cui caratteristiche principali sono: stretta vigilanza della frontiera esterna, che diventa ufficialmente oggetto di un impegno congiunto secondo le regole comuni contenute nel Manuale di Schengen per la frontiera esterna; lo scambio di informazioni attraverso il Sis (il "Sistema di informazione Schengen" è una rete informatica costituita da banche dati nazionali collegate ad un database centrale, con sede a Strasburgo, nel quale confluiscono i dati inseriti da ogni Stato membro nel SIS nazionale per il perseguimento delle varie forme di collaborazione). Recentemente è stato progettato, con il coinvolgimento solo marginale dei parlamenti nazionali o di quello europeo, Sis II; esso estenderà la condivisione delle informazioni al Regno Unito, all'Irlanda e ai nuovi Stati membri. Sis II va di là del sistema originario per molti aspetti, tra i quali la capacità di conservare e condividere dati biometrici, l'espansione del database ad altre categorie di rischio (per esempio, nuovi tipi di "sospetti terroristi" e di "agitatori violenti"), e l'integrazione con altri concernenti le informazioni sui visti. Lo sviluppo di pratiche di cooperazione di polizia tra i paesi partecipanti (ad esempio SIRENE che è un ufficio della polizia, presente in ognuno degli Stati firmatari, che interviene dopo che la persona o il soggetto sono stati identificati mediante la banca dati Sis.); e l'impiego a muoversi verso una politica comune in materia di visti, asilo e immigrazione.

Il Trattato di Amsterdam del 1999, con la creazione di "un area di libertà e sicurezza", rappresenta uno spartiacque verso il consolidamento di un approccio sovranazionale alla questione migratoria.

Il Trattato di Amsterdam ha tenuto conto dell'"integrazione flessibile": esso fornisce un meccanismo legale che permette a gruppi di Stati membri di muoversi verso l'integrazione più velocemente e/o più incisivamente di quanto non faccia l'Ue nel suo complesso.
In questo contesto hanno visto la luce diverse agenzie, dove i processi di definizione delle politiche europee in materia di migrazioni avvengono a livello "del tutto informale", con riunioni, incontri e vertici dove si elaborano progetti a diversi livelli, sottratti al controllo pubblico.

In occasione del vertice di Tampere, nel 1999, l'Unione Europea e i paesi membri decisero di modernizzare l'impianto delle politiche migratorie secondo tre linee di sviluppo: contenere l'immigrazione per ragioni di asilo, contrastare l'immigrazione illegale, e inaugurare nuovi canali per le migrazioni da lavoro. Nel summit di Siviglia del 2002 è stato avanzato con forza anche un altro elemento: l'estensione delle politiche migratorie europee ad ogni paese di origine o di transito (ad esempio, in questo quadro si inserisce l'apertura di tre Cpt in Libia finanziati dall'Italia).

Nel perseguimento di questo obiettivo, sono definiti gli "accordi di riammissione". Sono accordi tra Stati aventi ad oggetto la deportazione dei migranti. Vi è un rapporto diretto tra efficienza e sviluppo dei Cpt e stipula di questi accordi. Ogni contratto stipulato vuol dire il via a piani di espulsione e quindi Cpt in funzione. La Commissione Europea in un importante testo sui metodi di espulsione (libro verde) addirittura suggerisce l'utilizzo del carcere in mancanza di adeguati centri di permanenza temporanea, ricevendo già severe critiche da parte dell'istituto europeo per i richiedenti asilo (ECRE 2 agosto 2002). Lo stesso Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti disumani e degradanti nel suo rapporto 2001 ha sostanzialmente affermato la compatibilità dei centri visitati con la Convenzione. Neppure la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è occupata a fondo del tema, ad eccezione marginalmente di un caso in Grecia.

L'Unione Europea favorisce un approccio intergrato capace di combinare la reazione alla sfida posta dalle immigrazioni esterne con le misure necessarie per fronteggiare problemi sociali interni come l'invecchiamento delle società europee, l'assenza di alcune figure professionali, il ristagno dell'economia o la scarsa mobilità del mercato del lavoro.

Ne conseguono politiche migratorie maggiormente selettive. Dal vertice di Tampere diversi Stati membri hanno avviato un rinnovamento delle politiche migratorie, introducendo le Green Cards (Germania), elevando le quote riservate al lavoro migrante (Italia), sottoscrivendo convenzioni sui lavoratori ospiti (Spagna) o acconsentendo ad un incremento dei permessi di lavoro (Regno Unito).

L'analisi delle politiche adottate di recente dai paesi dell'Ocse rivela una decisa preferenza per una "migrazione just in time", legata ad una domanda economica a breve termine anziché a trasferimenti di lungo periodo.

Molti paesi "sviluppati" ed ad "alto reddito" - in breve, il club dei ricchi - concordano sulla necessità di definire strategie per un "regime internazionale delle migrazioni" e per una "gestione globale del fenomeno migratorio". Peraltro diverse agenzie esercitano già alcune responsabilità in materia di migrazioni internazionali: tra queste, meritano di essere citate l'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e l'Igc (Consultazione intergovernativa su asilo, rifugiati e polizia migratoria).

Il 27 marzo 1998 la legge Turco-Napolitano entra in vigore con l'intento di superare la precedente legge sull'immigrazione (legge Martelli) ed adeguare la legislazione italiana alle linee guida dettate dall'accordo di Schengen. Il 31 marzo termina il periodo di transizione per l'ingresso dell'Italia nell'area Schengen (come prima tappa l'Italia è entrata nello spazio di libera circolazione aeroportuale il 26 ottobre 1997. Dal 1 aprile 1998 c'è stata anche l'apertura delle frontiere terrestri e marittime).

Perno della legge 40 è la regolamentazione dei flussi migratori d'ingresso sulla base delle richieste del mercato del lavoro. Le quote massime degli immigrati che possono entrare in Italia sono stabilite, una volta l'anno, attraverso un decreto emanato dal Presidente del Consiglio. Per quanto riguarda la clandestinità la normativa Turco-Napolitano non è morbida: è previsto l'arresto dai due ai sei mesi e l'espulsione con accompagnamento per chi è entrato in Italia più volte abusivamente.

Sono inoltre istituiti i famigerati Centri di Permanenza Temporanei dove trattenere gli stranieri nell'attesa di espulsione (in questo momento sono 17 i Cpt attivi in Italia e in questi giorni entreranno in funzione i centri di Bari e Gradisca d'Isonzo). Va rilevata la responsabilità del governo di centro-sinistra nel aver istituito, con il voto favorevole di Rifondazione Comunista e Verdi, per la prima volta in Italia, questi lager del 3° millennio.

La legge Bossi-Fini, pur mantenendo lo schema della Turco-Napolitano, apporta numerose modifiche e restrizioni. La novità principale della legge è il contratto di soggiorno per lavoro che lega mani e piedi dei lavoratori migranti ai propri padroni. Con il contratto di lavoro, il diritto di esistere per i migranti è esclusivamente nel lavoro. Il confine tra regolarità e irregolarità è così sottile che la perdita del lavoro per il migrante si traduce automaticamente in clandestinità.

Le altre misure sono essenzialmente restrizioni della legge Turco-Napolitano e riguardano:

La disciplina dei Cpt è rimasta sostanzialmente immutata con la legge Bossi-Fini che ha però raddoppiato il periodo di permanenza massima all'interno di queste strutture. Mentre prima della modifica la proroga del trattenimento era possibile solo quando "era imminente l'eliminazione della causa della mancata espulsione", ora invece tale proroga può essere concessa sulla base di gravi difficoltà per il reperimento dei titoli di viaggio o nelle pratiche di identificazione (art. 14 comma 5bis). E' evidente che in questo modo si cerca di rendere prassi ciò che dovrebbe essere l'eccezione soprattutto se si tiene conto del fatto che la proroga altro non è che un secondo provvedimento di restrizione della libertà personale, tra l'altro senza alcun controllo giurisdizionale.

Come sostiene Giorgio Agamben autore del libro "Homo Sacer": "Questi luoghi sono pensati come "spazi d'eccezione" fin dall'inizio. Sono zone pensate come zone d'eccezione in senso tecnico, come zone di sospensione della legge, così come zone di sospensione assoluta della legge erano i campi di concentramento, in cui - come dice Hanna Arendt - "tutto era possibile" perché la legge era sospesa.

Dal 1998, con l'introduzione dei centri di permanenza temporanea per gli immigrati irregolari in attesa di espulsione, si è diffuso anche in Italia un diritto speciale che sanziona una violazione amministrativa con una forma di detenzione caratterizzata dalla discrezionalità dell'autorità di polizia, ben oltre i casi eccezionali ed urgenti in cui questo è consentito in base all'art. 13 della Costituzione italiana.

In assenza di un'espressa previsione di reato la semplice presenza irregolare sul territorio o l'ingresso clandestino è sanzionato con una misura amministrativa simile al domicilio obbligato, ma che nella sostanza risulta ancora più limitativa della libertà personale.

La conformazione della misura detentiva sulla base della discrezionalità amministrativa configura un aperto contrasto con gli articoli 3 (parità di trattamento), 13 (obbligo di controllo giurisdizionale sui provvedimenti amministrativi limitativi della libertà personale ed eccezionalità di tali provvedimenti) e 24 (diritto di difesa per tutti, senza possibilità di differenze tra cittadini e stranieri) della Costituzione italiana.

Secondo la sentenza n. 105 del 2001 "il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'art 13 della Costituzione".

Con la legge 271 del 2004 si è cercato di limitare ulteriormente il ruolo di controlli dell'autorità giurisdizionale, trasferendo la competenza per la convalida dei provvedimenti di trattenimento ai giudici di pace, stabilendo che le convalide siano effettuate all'interno dei CPT, alla presenza (di solito silente) del difensore d'ufficio, stabilendo la competenza del giudice di pace del luogo del CPT anche in materia di espulsione e respingimento, anche se questi provvedimenti sono adottati da autorità amministrative lontane migliaia di chilometri.

Sulla base di una diffusa giustificazione, fondata anche sugli obblighi di esecuzione degli accordi di Schengen, che impongono agli stati aderenti di dare effettiva esecuzione ai provvedimenti di respingimento e di espulsione, si è alimentata una spirale securitaria, come se i centri costituissero un efficace strumento di contrasto della clandestinità e della criminalità, associata sempre più spesso, anche dalle forze di governo, al diffondersi della condizione di irregolarità dei migranti.

In realtà gli accordi di Schengen non imponevano per nulla una aberrazione giuridica come i CPTA, in quanto si limitavano alla prescrizione che le espulsioni fossero effettivamente eseguite.

In questa direzione hanno dato il loro contributo, seppure in maniera diversa, tutti i governi che si sono succeduti dal 1997 ad oggi.
Recentemente, di fronte alle richieste delle associazioni e di un vasto fronte di amministratori locali, che sollecitano la chiusura dei centri di permanenza temporanea, si replica da parte di autorevoli rappresentanti dell'attuale opposizione, l'on. Livia Turco, responsabile welfare per i DS e l'on. Giannicola Sinisi, responsabile immigrazione per la Margherita, che i CPTA non sono eliminabili, e che bisognerebbe soltanto graduare i requisiti per il trattenimento, riservando queste strutture "a coloro che sulla base di un provvedimento del prefetto, siano ritenuti pericolosi, per i quali le altre misure fossero ritenute inadeguate. Si paventa altresì che la chiusura dei CPTA comporterebbe addirittura il ritorno alla legge Martelli del 1990" ed alla assolutamente inefficace e puramente simbolica intimazione a lasciare il territorio dello Stato".

Nel programma dell'Ulivo per le prossime elezioni politiche si parla ambiguamente di "superamento" dei centri di permanenza temporanea. Con ciò non si vuole perseguire la chiusura dei Cpt, bensì la loro "umanizzazione".

Si può legittimamente dubitare della fondatezza di queste affermazioni, considerando la cifra ormai stabile di stranieri trattenuti nei Cpt, una percentuale assai modesta rispetto a quelli comunque residenti sul nostro territorio in condizioni di irregolarità, ed alla percentuale ancora più modesta di immigrati (attorno alle 10.000-12.000 persone, non oltre il 50 per cento degli immigrati rinchiusi annualmente nei CPTA), che ogni anno sono "accompagnati" effettivamente in frontiera attraverso i centri di permanenza temporanea. Numeri assai modesti rispetto alla consistenza della presenza di migranti in situazione irregolare, come emerge dai dati delle regolarizzazioni o delle richieste presentate da immigrati già residenti in Italia, che cercano di legalizzare la loro posizione con i decreti flussi annuali.

Sulla base di questi dati si può stimare che, in assenza di una legge organica sul diritto di asilo e di possibilità effettive di ingresso legale per ricerca di lavoro, il numero degli immigrati presenti in Italia in condizione di irregolarità aumenti annualmente di almeno 150.000 unità. Chi sostiene che i centri di permanenza temporanea contribuiscono a rendere "effettive" le misure di accompagnamento forzato in frontiera è immediatamente smentito dalle cifre. 

Le misure di contrasto dell'immigrazione clandestina basate sui Cpt non hanno per niente arginato il fenomeno, ma sono servite soltanto a creare le condizioni per uno sfruttamento ancora più feroce dei lavoratori immigrati.

Solo per citare un caso: su 700 trattenimenti nel Cpt di Bologna, 300 persone sono state rimpatriate, 240 sono stati rilasciati per decorrenza dei termini e 160 non convalidati. Il 60% delle persone trattenute è stato rilasciato perché lo strumento della detenzione amministrativa è inefficace (dati 2003 Simone Sabatini).

I costi di detenzione sono altissimi: la spesa dichiarata è di 66,11 euro a testa per ogni giorno di detenzione, quella complessiva è di 91,41 milioni di euro l'anno; mentre si spendono solo 17 euro il giorno per i rifugiati.

Se è vero, com'è vero, che oltre il 70% degli immigrati oggi regolari in Italia è entrato (e continuerà ad entrare) irregolarmente, e se si rileva poi, come periodicamente intervengano regolarizzazioni o sanatorie camuffate (come i cd. decreti flussi), si può affermare che le misure di contrasto dell'immigrazione clandestina basate sui centri di detenzione amministrativa non hanno per niente arginato il fenomeno, ma sono servite soltanto a creare le condizioni di esclusione e di emarginazione, per uno sfruttamento ancora più feroce dei lavoratori immigrati, ricattati dai datori di lavoro con la minaccia della denuncia, privati spesso dei documenti, considerati alla stregua di non-persone.

Nel corso di una inchiesta sui Cpt presenti in territorio italiano, documentata da un corposo rapporto, l'associazione "Medici Senza Frontiere" ha verificato violazioni di ogni tipo: violazioni delle procedure di trattenimento e ingresso nei centri, violazione della procedura di asilo, una scarsa qualità della mediazione linguistico-culturale che incide direttamente sui diritti dei trattenuti e calde ingerenze delle forze dell'ordine nella gestione dei Cpt (le forze di polizia non hanno competenze nella gestione dei centri, che spetta all'ente gestore, e possono entrare nell'area riservata ai migranti trattenuti solo per questioni di ordine pubblico); uso deliberato di psicofarmaci; scarsissima conoscenza delle procedure di asilo da parte dell'ente gestore e le linee guida ministeriali di gestione dei centri sono disattese; permanenze multiple (il caso più incredibile è quello di un tale che a Ponte Galeria è tornato otto volte) ed elevato numero di ex detenuti (il 70% dei detenuti nei Cpt hanno scontato una condanna in carcere) - in buona sostanza i Cpt sono diventati un'estensione del carcere giudiziario - è evidente l'intenzione del legislatore di costruire un circolo vizioso tra Cpt e carcere).

Basta passare davanti ad un Cpt per rendersi conto che questo non è una struttura di accoglienza. Chi ha avuto occasione di visitare l'interno di un centro, ha potuto verificare di persona che è la sua stessa architettura a renderlo una struttura carceraria: muri esterni alti 4/5 metri, filo spinato, reti divisorie, mobili fissati al pavimento, ecc.

Negli ultimi anni, diverse sono state le denunce delle associazioni antirazziste, dei giornalisti indipendenti e di alcune delegazioni parlamentari in visita presso i Cpt: sono state denunciate le scarse condizioni igienico-sanitarie, i diversi casi di suicidio o tentato suicidio, le molestie sessuali, la mancanza di rispetto delle libertà di culto, la mancanza di ogni possibilità di socializzazione, la scarsa assistenza sanitaria, e l'insufficiente informazione (interna/esterna) sui Cpt (i giornalisti non possono entrare se non spacciandosi essi stessi per migranti come nel caso di Fabrizio Gatti dell'Espresso).

Ancora oggi agli immigrati trattenuti nei centri non è fornita alcuna informazione, neppure sulla possibilità di chiedere asilo, e si nega, non solo alle associazioni, ma persino alle rappresentanze parlamentari in visita in queste strutture, la possibilità di conoscere la destinazione individuale degli immigrati in via di espulsione. Spesso si nega ai parlamentari in visita la possibilità di incontrare tutti gli immigrati presenti nelle strutture, con escamotage diversi, soprattutto nel caso di donne, minori, potenziali richiedenti asilo, com'è successo nel corso dell'ultima visita di una delegazione parlamentare nel CPT di Ragusa.
L'accesso degli avvocati è soggetto a forti limitazioni; difficoltà burocratiche di ogni genere sono frapposte alla raccolta ed alla autentica delle firme per il conferimento dei mandati difensivi.

Diverse sono le espulsioni e/o le detenzioni di migranti con regolare permesso di soggiorno.

Non si contano più i casi di percosse e violenze di ogni genere perpetrate dalle forze di polizia ai danni degli immigrati trattenuti nei centri, non appena si sgretola il muro di omertà costruito dalle forze dell'ordine e dalle associazioni che cogestiscono queste strutture, basti pensare al caso del Regina Pacis di Lecce (esemplare la condanna di Don Cesare Lo Deserto, un prete che gestiva il Cpt con sistemi da "regime argentino"), e da ultimo un procedimento penale è stato aperto a Ragusa dopo la denuncia di una immigrata cinese.

Il nuovo regolamento in materia di asilo non disciplina le procedure di trattenimento degli immigrati rinchiusi nei nuovi centri di identificazione. Nei Cid il trattenimento amministrativo si può protrarre per settimane senza convalida da parte del magistrato. Il ministero dell'interno si sta battendo per la creazione dei centri polifunzionali, in modo che l'assenza di regole possa estendersi dai Cid ai Cpt.

Il lungo processo per la determinazione di un piano legislativo di governo dei flussi migratori a livello europeo, ma possiamo ragionare anche a livello internazionale, è pienamente comprensibile solo all'interno della più generale riscrittura delle norme di regolazione del lavoro.

In ogni Stato membro, con l'applicazione di una legislazione speciale, si impone un sistema dei diritti a "geometria variabile" che mira a colpire i diritti di tutti i lavoratori costretti ad accettare condizioni lavorative sempre più precarizzate e flessibili.

L'opposizione alle politiche europee sull'immigrazione e le implicazioni che queste hanno a livello nazionale, ai campi di internamento e al razzismo istituzionalizzato non può limitarsi all'ottica anti-razzista, ma deve comprendere anche la critica al sistema economico, al militarismo e alla politica estera di spoliazione delle risorse e schiacciamento economico dei paesi costretti a vivere in uno stato di miseria.

L'opposizione alla legge razzista di Bossi e Fini non può farci dimenticare le responsabilità del centro-sinistra che ha avvallato politiche discriminatorie e securitarie nell'ottica di una gestione dei flussi migratori al fine di una generale precarizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Pertanto, il nostro rifiuto è rivolto ad ogni legislazione speciale che ha come obiettivo la divisione dei lavoratori in cittadini di serie A e serie B.


Relazione a cura di Lino Roveredo, presentato a Losanna (Svizzera) il 5 marzo 2006 durante una conferenza organizzata dall'Organisation Socialiste Libertaire, entitolata "CPT, Centres de Rétention Temporaires en Italie: Voyage dans les camps d'expulsion en Italie".