4° CONGRESSO

Federazione dei comunisti anarchici

Firenze, 14-15 maggio 1994

Mozione:

I COMUNISTI ANARCHICI E L'ORGANIZZAZIONE DI MASSA

 

Il dibattito interno all'organizzazione sul sindacato è stato nei fatti sempre di tattica sindacale - in alcuni casi con parziali implicazioni strategiche - ma non ha messo mai in discussione esplicitamente le acquisizioni strategiche di fondo contenute nel documento "I comunisti anarchici e l'organizzazione di massa".

Quel documento, concepito nel 1982-83 ed editato nel 1984 era peraltro il frutto di una sedimentazione di comportamenti almeno decennali dei militanti della lotta di classe comunisti anarchici che contribuirono a redigerlo e a discuterlo nel convegno organizzato a Firenze. Quella elaborazione faceva riferimento ad un quadro politico istituzionale per come si era definito in Italia nell'immediato dopoguerra.

Oggi non vi è dubbio che quel quadro di riferimento è mutato. Dobbiamo prenderne atto e porre mano ad un riesame complessivo della nostra strategia sindacale. Un ciclo storico si è chiuso e se ne apre un altro che abbiamo bisogno di analizzare e capire.

Alcune caratteristiche del quadro politico-istituzionale dell'Italia post-bellica in relazione alla funzione e ruolo del sindacato

Nell'analisi del quadro politico-istituzionale davamo come certi:

  1. La necessità di un sindacato non solo per la difesa degli interessi dei lavoratori ma come strumento per imprimere dinamicità e competitività allo sviluppo economico e soprattutto produrre una continua innovazione dell'organizzazione del lavoro per elevare i livelli di sfruttamento contrastando l'azione delle organizzazioni di massa.
  2. L'esistenza di un grosso partito della sinistra capace di raccogliere e incanalare la protesta sociale e il dissenso, riconducendolo nell'ambito del "sistema". Da sottolineare la natura ambigua di questi partito. Da un lato strumento del "riformismo" e quindi di contenimento delle lotte, dall'altro rifugio degli ultimi rivoluzionari o comunque corpo dal quale si separava periodicamente una costola antisistema. Da qui una sorta di rapporto di amore odio con questo partito all'interno della stessa sinistra di classe, rapporto che è stato di grande ostacolo alla diffusione della proposta comunista anarchica.
  3. L'esistenza del "nemico esterno" al sistema, più o meno organicamente collegato al partito maggioritario di sinistra interno al nostro paese. Ciò permetteva che le iniziative politiche di rottura del sistema nelle fasi alte di lotta sindacale avessero un referente di modello, che da una certa fase in poi viene visto sempre più criticamente ma che comunque come immagine-desiderio continua ad esistere.
  4. Spazi politici per il riformismo che era considerato, e per alcuni versi offriva, una politica percorribile per la sinistra, come alternativa valida e realizzabile alla strategia rivoluzionaria giudicata incerta e comunque scarsamente realizzabile.

La situazione che abbiamo descritto ci faceva concludere, a proposito di militanza sindacale e per ragioni più ampiamente illustrate in "I comunisti anarchici e l'organizzazione di massa", Firenze, Crescita Politica, 1984, che era opportuno lavorare all'interno del sindacato confederale non disdegnando di continuare a stimolare forme di partecipazione non delegata alla lotta sindacale.

Oggi dobbiamo prendere atto che a causa di ragioni complesse che abbiamo preso in esame in altre occasioni e che quindi non è qui il caso di esaminare, questo quadro di riferimento è completamente mutato. Occorre perciò riconsiderare la nostra scelta o comunque collocarla in una diversa articolazione strategica.

Le esigenze del capitale e le nostre

La fine della competitività tra sistemi alternativi ha permesso il rallentamento alla spinta all'innovazione continua nel settore dell'organizzazione del lavoro. Nel riorganizzare il lavoro nei paesi a capitalismo avanzato si guarda oggi al rapporto tra produzione e mercato, alla riduzione fino ad un livello fisiologico delle scorte, all'orientamento della produzione rispetto alle richieste di mercato effettuata in tempo reale. Il fine prioritario della riorganizzazione produttiva nei paesi a capitalismo avanzato è insomma quello di guadagnare quote di mercato, abbattendo nel contempo il costo del lavoro.

L'accrescimento della competitività e l'abbattimento dei costi della forza lavoro viene perseguito attraverso lo spostamento nelle aree di forza lavoro debole di interi segmenti di produzione. Non sono infatti più di ostacolo all'uso di questo strumento le prospettive di rivolgimenti politici di sistema nei paesi "arretrati" che in passato rendevano non del tutto produttivi, o comunque rischiose queste soluzioni, essendo venuto meno il referente politico internazionale nella competitività tra sistemi "alternativi". Nello stesso tempo gli ex-"paesi socialisti" offrono uno sterminato esercito industriale di riserva, lacero ed affamato, che per molto tempo e sempre più negli anni a venire non potrà che soddisfare le esigenze produttive del capitale. Anche da qui la crisi dei sistemi produttivi e delle economie nazionali dei paesi a capitalismo avanzato, a fronte di una crescita dell'accumulazione e della concentrazione di capitali a livello multinazionale e quindi dei profitti.

I macrosistemi produttivi, in competizione tra loro nella spartizione dei mercati, sono da un lato disarmati nei confronti del nemico invisibile rappresentato dal capitale internazionale di rischio che si sposta dove è più remunerativa la fase di produzione delle merci, dall'altro non sanno che farsene della spinta all'innovazione e al raffinamento dello sfruttamento che è la contropartita che i sindacati -dove ancora esistono- potrebbero dare alle aziende operanti nel territorio dello Stato in cambio di un mercato del lavoro protetto, di più occupazione, di un salario dignitoso, del mantenimento di almeno una piccola parte di stato sociale a cominciare dall'assistenza medica per finire al regime pensionistico.

Da qui la nostra risposta alla domanda che alcuni si pongono. Nella nuova fase economica non vi sarà la presenza del sindacato come elemento costitutivo del nuovo patto sociale, nemmeno di un sindacato consociativo e partecipativo quale quello CISL, perché nella nuova fase, nei progetti del capitale non c'è spazio né per la cogestione, né per il solidarismo cristiano. (L'unico ad averlo ben capito è il Papa: vedi l'enciclica "Laborem exercens", nella quale si oppone tra l'altro alla nuova forma di dominio del capitale, rivendicando la validità del capitalismo solo se visto nell'accezione cattolica del termine).

E' anzi molto probabile che il progetto dei paesi "sviluppati" sia quello di lasciare una classe operaia e lavoratrice numericamente ridotta ma garantita dal sindacato istituzionalizzato, e creare -a farle da contrappeso- un immenso bacino di lavoratori precari e non garantiti, la cui esistenza è caratterizzata da una grande incertezza e instabilità, perché allettati dalla possibilità di poter transitare nelle fasce garantire e sottoposti al ricatto continuo di regredire verso una massa di poveri e di emarginati strutturali che già ora si va ingrosssando.

Si completa così quel processo di ristrutturazione delle classi sociali iniziato verso la metà degli anni '70 con la prima rottura dell'alleanza tra movimento operaio garantito e fasce sociali non garantite, come il "proletariato giovanile".

A fronte di questa situazione il problema non può essere risolto con un "ritorno all'indietro", ricreando le condizioni venute meno e cioè un grande partito della sinistra riformista, un nemico esterno, spazi per il riformismo.

Per la prima volta, dopo il tradimento della rivoluzione sociale messa in atto dalla dittatura bolscevica che snaturò i caratteri di quel movimento, anche se in una situazione iniziale di maggiore difficoltà, come comunisti anarchici possiamo operare per ricostruire senza equivoci e nella chiarezza un forte movimento di massa che soddisfi il bisogno di comunismo e di giustizia sociale che cresce nel mondo. Oggi infatti, le disuguaglianze sono cresciute, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è sempre più pesante, indigenza, malattie, guerre, morte per fame e per miseria si accaniscono contro interi popoli. A ciò corrisponde una sempre più grande concentrazione del capitale alla quale fa riscontro -come si è detto- la crisi dei sistemi produttivi delle differenti aree capitalistiche e una battaglia senza esclusione di colpi si combatte per la divisione dei mercati e delle zone di influenza, senza rendersi conto che esiste già un vincitore, il capitale multinazionale.

Bisogna da parte nostra accompagnare e preparare la crisi di sistema giungendo alla fase dello scontro inevitabile nelle migliori condizioni possibili operando nell'area nella quale ci troviamo.

Governare la transizione

E' necessario rivedere nel suo insieme la nostra strategia sia per quanto riguarda gli assetti istituzionali che le alleanze internazionali, riscoprendo sia sotto il profilo politico che sindacale l'importanza di un collegamento internazionale e di un collegamento rispetto ad un comune progetto politico di tutte le forze che si muovono nella direzione della costruzione di un'alternativa libertaria al sistema.

Sul piano più strettamente sindacale il nostro obiettivo strategico è oggi quello di continuare a difendere gli interessi dei lavoratori non privandoli di uno strumento storicamente prezioso per organizzare e gestire le loro rivendicazioni: il sindacato. Per fare ciò dobbiamo reinventare uno strumento con caratteristiche nuove, che conservi tuttavia la sua funzione. Ciò vuol dire che sono mezzi insufficienti sia la creazione di nuovi aggregati sindacali che la scissione della CGIL e tuttavia ambedue questi strumenti sono utili e necessari a creare il nuovo. Una organizzazione di lavoratori che difenda gli interessi degli associati sul posto di lavoro e nella società, operando di concerto con una rete di associazioni (dei giovani, delle donne, degli anziani, ecc.) svincolata da ogni condizionamento istituzionale.

Se questo è il nostro obiettivo, il problema diviene quello di trovare un modo per governare la transizione inserendo in questa fase la presenza di elementi di contraddizione per il capitale e dotandosi di una struttura organizzativa estremamente duttile che ci permetta di utilizzare le forze disponibili, di farle crescere, aumentando sempre di più il loro peso. Per fare questo le condizioni ci sono già tutte. Il processo degenerativo del sindacato confederale oggi in Italia ha fatto crescere organizzazioni di lavoratori che sono sempre meno avanguardie politicizzate di piccoli partiti e sempre più aggregati di classe di tipo genuinamente sindacale.

Già al nostro ultimo Congresso rilevammo:

"…. assistiamo da parecchi anni all'emergere, dentro, a fianco, contro le strutture sindacali, di aggregazioni di lavoratori che cercano di battere la logica delle compatibilità e della sconfitta di classe. Le lotte degli auto-convocati, i comitati creati in occasione del referendum della scala mobile, le lotte all'Alfa Romeo, i Cobas, gli auto-organizzati e l'apertura di spazi per la rinascita di una componente di classe nella CGIL, favorita dalla costituzione di "Essere Sindacato", sono stati tutti momenti di crescita di una aggregazione dalla quale, tra notevoli contraddizioni, può nascere la nuova opposizione, può scaturire il rilancio dell'azione sindacale su posizione di classe.

Per capire le caratteristiche che essa avrà, per aiutare la gestazione di questo processo di crescita è, a nostro avviso, necessario creare le condizioni per un collegamento tra realtà dentro e fuori il sindacato che si opponga alla logica del controllo totale capitalistico, trovando un accordo su un programma di lotta salariale per la democrazia delle strutture di rappresentanza dei lavoratori, per il diritto di sciopero e di auto-organizzazione.

Senz'altro questi movimenti sono l'espressione più macroscopica della crisi del sindacato e rappresentano un tentativo di battere la logica delle compatibilità e della sconfitta di classe. Questi organismi hanno riportato l'attenzione d tutti su problemi fondamentali per la ricostruzione dell'unità di classe: la partecipazione dei lavoratori alla costruzione delle piattaforme rivendicative, centrate sui problemi reali di salario, dell'organizzazione del lavoro e della funzione sociale dell'attività svolta, prescindendo dalle compatibilità economiche imposte dalla controparte.

Certo le difficoltà di ripresa delle lotte non sono poche e devono tenere conto della capacità di tenuta unitaria di tali movimenti, del sindacato e della controparte. I rischi sono quelli emersi con chiarezza dopo il momento di maggior presa dei COBAS: strumentalizzazione da parte del governo, soprattutto nel settore pubblico, difficoltà di creare unità e solidarietà tra le categorie, a causa delle divisioni e settorializzazioni che la crisi degli ultimi dieci anni ha prodotto. Il cammino per la ricomposizione degli interessi di classe e per la rifondazione su basi di classe del sindacato è lungo e irto di ostacoli. Ma "il ruolo dei rivoluzionari si configura proprio nel ricomporre l'unità di classe partendo da queste parzialità, superando contemporaneamente ogni elemento di contraddizione", come, facendo il punto della situazione, dicevamo nel giugno 1988.

Primo passo in tale direzione è senz'altro la rottura della logica delle compatibilità, non solo in senso strettamente salariale e quindi settoriale, ma globale, nell'ambito di un progetto di rifondazione dell'unità della classe".

La lotta sul salario va ripresa e rilanciata. I dati sull'andamento dell'economia non solo confermano il vantaggio accumulatosi da parte del profitto sui redditi, ma la scorsa stagione contrattuale ha finalmente fatto scoprire a chi non voglia essere volontariamente cieco o in malafede, che le paghe operaie (figure nient'affatto scomparse) sono ancora oggi intorno al "milione e due" e quindi del tutto insufficienti in relazione al costo della vita e che in assenza di meccanismi automatici di indicizzazione il salario reale è diminuito del 25% negli ultimi due anni.

E' poi necessario chiarire che le differenze salariali tra settore pubblico e privato, quando poi realmente esistono, sono legati a precisi disegni politici, funzionali ai processi di ristrutturazione ed hanno come obiettivo quello di dividere i lavoratori, incrinando l'unità di classe, impedendo il saldarsi, in uniche vertenze salariali, delle lotte dei settori forti, dotati di maggior potere contrattuale, con settori più deboli del mondo del lavoro.

Va tuttavia contrastata la tendenza a concedere aumenti retributivi "ad personam" o a legarli alla produttività e all'andamento del mercato. Queste scelte favoriscono un'ulteriore frammentazione dei lavoratori, dando così maggiore potere al padronato nel governo della forza lavoro. L'aumento del salario accessorio o le forme così dette di "gainsharing", sempre più in uso, vanno rifiutate.

E' necessario aprire una nuova stagione di rivendicazioni egualitarie per contrattare la babele di voci e condizioni normative in cui i lavoratori si trovano. Forti aumenti egualitari quindi e sulle voci pensionabili; una politica salariale legata da un forte principio di solidarietà e che abbia come obiettivo politico la ricostruzione del sistema pensionistico e di quello sanitario.

All'introduzione inevitabile di nuova tecnologia che genera espulsione di manodopera, deve accompagnarsi la battaglia per la riduzione d'orario di lavoro senza corrispondenti riduzioni di salario come strumento irrinunciabile per difendere l'occupazione e migliorare le condizioni di vita. L'orario di lavoro in questi dieci anni è aumentato con il ricorso di fatto obbligato allo straordinario per sopperire all'insufficienza del salario. Pertanto bisogna legare la battaglia della riduzione di orario a forti aumenti retributivi, perché sia credibile e vincente, perché rappresenti un rimedio reale alla disoccupazione.

La flessibilità dell'orario, l'uso a questo fine del part-time, job-sharing, contratti di formazione lavoro, contratti a termine, sono tutte forme di supersfruttamento e di divisione dei lavoratori. Oltre a garantire manodopera sfruttata e sottopagata, ricattabile e quindi scarsamente sindacalizzabile, esse permettono un maggior profitto ai padroni, facendone ricadere gli oneri sociali sulla collettività.
Dobbiamo invece difendere il concetto della socialità che i servizi pubblici sottendono. Non si può scaricare sui lavoratori tutto il costo della crisi, dando all'industria privata sovvenzioni crescenti, ottenute con un aumento costante del prelievo fiscale indiretto e con tagli alle spese e ai servizi del settore pubblico.

Il ruolo attuale dei comunisti anarchici

Come avanguardie che hanno svolto la loro attività e agiscono tra i lavoratori, nel sindacato, negli organismi intermedi che i lavoratori costruiscono nei momenti di lotta, abbiamo dei compiti chiari e definibili. Dobbiamo prima di tutto -come abbiamo già fatto in passato- introdurre nei movimenti di lotta, anche di specifici spezzoni di classe, elementi di analisi più globale, valutazioni sulla fase politica, il progetto del capitale, con l'obiettivo di rilanciare la possibilità di costruire un sindacato di classe e l'alternativa rivoluzionaria.

Non dobbiamo però appiattirci sull'esistente, ma articolare le nostre proposte ed i nostri obiettivi. L'attuale sindacato confederale è, per la sua storia e per i ruoli che svolge, irrecuperabile ad un progetto di classe, così come il "sindacalismo di base", sebbene esprima potenzialità positive nel rappresentare momenti organizzati di resistenza di classe, rischia di essere una risposta parziale e categoriale alla ristrutturazione capitalistica e quando non si manifesta nelle stesse forme e con gli stessi metodi del sindacalismo confederale o autonomo.

Ciò per i limiti oggettivi insiti nelle aggregazioni categoriali, inevitabilmente esposte al corporativismo ed alla settorializzazione. Ciò non di meno la nostra attenzione deve essere rivolta anche a tutto ciò che si muove anche al di fuori delle strutture sindacali confederali, in direzione di una rottura delle compatibilità che tendono a frenare l'azione dei lavoratori.

E' necessario, in questa fase ricostruire un'autentica democrazia di base dei lavoratori, quel sindacato dei Consigli che è oggi l'unico strumento politico in grado di arginare la sconfitta di classe e riproporre un nuovo ciclo di lotte. In questa prospettiva vanno visti positivamente i collettivi tra iscritti e non iscritti ai sindacati confederali, le aggregazioni intercategoriali a base territoriale con le medesime caratteristiche che, per la loro natura composita, hanno maggiori possibilità di non soccombere a logiche meramente categoriale e di non restare intrappolate nel dibattito sterile tra intervento dentro o fuori dal sindacato e inoltre permettono di aggregare a livello di massa su un programma evitando di dar vita a uno strumento esclusivamente di avanguardie. 

Da questo punto di vista anzi esse rappresentano probabilmente una tappa di quella lunga ricerca dei lavoratori di darsi nuovi strumenti di organizzazione controllati dal basso e che si muovono su una linea di classe.

La battaglia politica per la rinascita dell'opposizione di classe in Italia deve partire dal collegamento tra le "realtà" che si oppongono al controllo capitalistico e concordano sul programma minimo -ma strategico- di lotta sul salario, riduzione dell'orario a parità di salario, per la democrazia delle strutture di rappresentanza dei lavoratori e per il diritto di sciopero e di auto-organizzazione.

Partendo dalle esperienze maturate all'interno della CGIL e dai rapporti programmatici con le altre aggregazioni autonome di classe, riteniamo utile rendere visibile, in ogni occasione, che la linea della maggioranza attuale della CGIL non è quella che serve ai lavoratori. Occorre approfondire l'esperienza dei rapporti con le strutture autonome confrontandosi sui programmi. L'obiettivo di medio periodo è quello di verificare la possibilità di creare strutture unitarie della classe per settori, zone, ecc., che rilancino l'opposizione di classe in Italia, ma che abbiano come discriminante rispetto a quelle esistenti l'unità e l'autonomia della class, due termini per noi inscindibili, è bene ribadirlo, concetti che appartengono tutti al patrimonio del comunismo anarchico.