4° CONGRESSO

Federazione dei comunisti anarchici

Firenze, 14-15 maggio 1994

Mozione:

I COMUNISTI ANARCHICI E LA QUESTIONE ISTITUZIONALE

 

I presupposti teorici

Solitamente la questione istituzionale è stata affrontata tra i comunisti anarchici con riferimento alla fase di costruzione della società futura. A riguardo, le posizioni delle diverse correnti di pensiero di matrice anarchica sono univoche poiché soprattutto dopo le grandi lotte degli anni '20 e l'esperienza della rivoluzione russa e spagnola si è individuato nei soviet, nella struttura consiliare, nelle comunità autogestite l'elemento caratterizzante della strategia e della teoria anarchica per la riorganizzazione della società post-rivoluzionaria. Questa teorizzazione è stata in verità costruita mediante la critica delle posizioni dei partiti comunisti e socialisti autoritari che non attraverso una costruzione ed elaborazione teorica "in positivo" da parte dei comunisti anarchici.

Chi non ricorda il dibattito sui Consigli di Fabbrica a proposito del quale per i comunisti anarchici operanti in Italia questi organismi erano insieme strumenti di lotta sindacale e strumenti di gestione della futura società comunista o comunque offrivano un'utile palestra di preparazione ad una nuova gestione della società?

Altrettanto nota è la polemica sul ruolo e la funzione dei soviet nella visione prospettata da Volin o dai marinai di Kronstadt come contrapposizione al potere bolscevico, sostenitore prima del comunismo di guerra e poi della politica economica di piano attraverso un apparato centralistico e burocratico, che ha il proprio nerbo nel PCR(b) che si fa Stato? 

Forse meno nota e da approfondire la polemica degli anarchici tedeschi con i comunisti marxisti e gli stessi spartachisti sul ruolo dei Consigli operai in Germania, polemica che comunque ha tratti comuni a quelli delle esperienze rivoluzionarie coeve in Italia e Russia.

Per alcuni versi più chiare le indicazioni, almeno a livello teorico che vengono dalla rivoluzione spagnola durante la quale si praticò oltre a teorizzarla la fase di passaggio dalle istituzioni borghesi a quelle rivoluzionarie, cominciando ad affrontare su un terreno quanto mai concreto il problema delle istituzioni in una società senza Stato o comunque nella quale si è avviato un processo rivoluzionario che ha come obiettivo, tra gli altri, il superamento dello Stato.

Il ruolo delle istituzioni nella fase di transizione

Certamente diversa e più articolata la posizione dei comunisti anarchici sul ruolo delle istituzioni nella fase di transizione rivoluzionaria. Come è noto la strategia delle alleanze per una crescita progressiva della coscienza rivoluzionaria comporta la possibilità che nella fase insurrezionale si ricerchino e si trovino accordi con le diverse forze politiche schierate sul fronte della lotta di classe, dalla parte dei lavoratori, per avviare e far crescere sempre più il processo dialettico di crescita dell'iniziativa politica e della partecipazione delle masse alla fase di trasformazione rivoluzionaria. L'obiettivo primo ed evidente è la sconfitta del nemico di classe -della borghesia, del padronato, del grande capitale, dell'imperialismo, delle multinazionali, ecc. - come presupposto all'apertura di una fase di confronto con le diverse forse e soprattutto tra i lavoratori nelle strutture di democrazia diretta che essi si danno, nelle loro organizzazioni, su come costruire la società futura.

In questo delicato momento, come ci mostra ad esempio l'esperienza spagnola, abbiamo assistito alla contrastata e discussa partecipazione degli anarchici ed anche dei comunisti anarchici addirittura ad un governo. Tale partecipazione avrebbe dovuto sposarsi con l'azione di massa. La partecipazione dei comunisti anarchici con un ruolo di gestione delle istituzioni in una fase rivoluzionaria avrebbe potuto essere positivo a condizione di riuscire a consentire la crescita dal basso di strutture di autogoverno nate dalla lotta di classe e dalla guerra di popolo. Il limite di quella esperienza, o almeno uno dei suoi limiti più grandi, sta nel non aver consentito la guerra di popolo e la creazione del contropotere rivoluzionario basato sulle libere aggregazioni produttive e di lotta degli operai e dei contadini.

Il ruolo delle istituzioni nella fase di dominio borghese

Ancora diverso è per i comunisti anarchici il ruolo delle istituzioni nella fase di dominio borghese. Esse sono la cittadella del nemico, la fortezza da abbattere con la quale non sono possibili compromessi. Di fronte ad esse il partito dei comunisti anarchici rinuncia all'elettorato passivo, misconoscendo il "ruolo democratico" delle democrazie borghesi, usa del voto come di uno strumento tattico, per quanto residuale rispetto alla mobilitazione e alla lotta, uno strumento da piegare ad un disegno strategico volto al ribaltamento dei rapporti di forze, alla distruzione della società e delle istituzioni borghesi.

E' quanto anarchici e comunisti anarchici fecero ripetutamente nella storia come ad esempio nelle elezioni della Repubblica spagnola del 1934, quando con la loro scelta di non condurre campagna astensionista lasciarono ai lavoratori organizzati nei sindacati libertari e nella stessa Federazione Anarchica Iberica la facoltà di votare. E' riconosciuto dagli storici delle diverse tendenze politiche che questa scelta tattica degli anarchici spagnoli ha consentito l'avvio di quella politica di trasformazione sociale che richiese l'insorgere del franchismo per poter essere fermata. Insomma si crearono così le condizioni - certamente per ragioni e con motivazioni più complesse di quanto è opportuno analizzare in questa sede - per portare al governo quella coalizione di sinistra radicale e progressista che con le sue riforme e con l'amnistia, che segnò la fine della repressione selvaggia, dette la possibilità di restituire innumerevoli militanti alla lotta di classe. Si avviò così un processo complessivo di crescita di consapevolezza del paese che spinse le forze più retrive ad insorgere per arrestare un processo rivoluzionario che rischiava di incamminarsi verso contenuti libertari e rivoluzionari incompatibili non solo con le società borghesi ma con la stessa concezione statalista e stalinista della società.

Partecipazione elettorale come problema tattico, quindi, che va ricondotto al momento e al contesto in cui si pone, nel caso specifico quello dello scontro per la nascita della Seconda Repubblica Spagnola. Porla in relazione al diverso e più complesso problema legato alla fase successiva di scontro tra le stesse forze della sinistra è un passaggio possibile ma non obbligato e necessario.

Il ruolo delle istituzioni nella fase di dominio della reazione

Ma vi è una funzione ulteriore che le istituzioni possono giocare ed è quella di strumento di repressione e di distruzione delle aggregazioni di classe e rivoluzionarie attraverso una politica repressiva che si manifesta tra l'altro sopprimendo quegli ambiti di "libertà borghese", sia pure formale, che tuttavia consentono un minimo di agibilità. Le istituzioni repressive hanno assunto nei diversi momenti storici e nelle differenti situazioni aspetti e configurazioni istituzionali - forme di Stato - tra di loro a volte molto differenti. Tuttavia vi è una sostanziale identità di funzioni tra le dittature militari, quelle nazional-populiste, quelle fasciste e persino governi di "democrazia borghese", che hanno come obiettivo programmatico quello di conculcare le libertà fondamentali di pensiero e di azione, condannando e bandendo la lotta di classe, considerandola come reato (es. la nuova Costituzione russa), predicando la pacificazione tra le classi in nome di un corporativismo di stampo cattolico o fascista che sia. Tuttavia con questi riferimenti descrittivi siamo ancora legati al vecchio sistema e alle vecchie forme assunte dalle istituzioni, dalla forma Stato, mentre oggi se ne conoscono di più nuove che sembrano caratterizzarsi per una maggiore apparente apertura verso le libertà formali ma che in realtà operano interventi selettivi verso le minoranze rivoluzionarie, o anche semplicemente verso l'opposizione, a fianco di interventi altrettanto efficaci di generale abbassamento della soglia di sensibilità collettiva per l'esistenza delle libertà anche formali, attraverso il massiccio utilizzo dei mass media (cfr. McLuhan).

L'accresciuta "raffinatezza" dell'intervento del capitale sulla forma di Stato e sul ruolo delle istituzioni meriterebbero una maggiore attenzione da parte dei comunisti anarchici, rispetto a quanto può trovare spazio in questo contributo al dibattito. Tanto più perché, a differenza dei marxisti ortodossi, gli anarchici hanno sempre ben compreso il ruolo della sovrastruttura nella riproduzione del potere capitalistico e dell'accumulazione del capitale, nella sua conservazione ed efficacia sulla classe, tanto da parlare con estrema chiarezza di una "materializzazione degli effetti" della sovrastruttura volendo con ciò intendere che i fattori che si determinano nel campo delle mutazioni e orientamenti della psicologia e attitudini di massa, i comportamenti indotti dalle leggi che governano una determinata società, interagiscono con la struttura, si materializzano, divenendo essi stessi, in un certo senso, elementi strutturali.

Vale la pena di notare che è piuttosto singolare il fatto che proprio i comunisti anarchici depositari di questa ricchezza di analisi, portatori di questa peculiare acquisizione che arricchisce di strumenti l'analisi materialista storica, nei fatti, nella pratica, finiscono per essere quelli che di queste acquisizioni si rifiutano categoricamente di trarre le logiche conseguenze, in un rapporto di sudditanza psicologica e culturale verso il marxismo e i partiti comunisti, forse perché schiacciati dalla capacità dei comunisti autoritari di imporsi al popolo. Vi è un errore di fondo che porta a vergognarsi della nostra ricchezza e capacità di analisi e spinge al determinismo economico più conseguente, ad essere più realisti del re, in uno sforzo di estremizzazione dell'analisi che sposa l'economicismo invece dell'economia, per la paura di essere succubi di "elementi immateriali" o comunque non immediatamente legati al ciclo economico.

Le istituzioni nell'odierna contingenza politica

E' oggi giunto il momento di uscire da queste carenze di analisi, da queste ambiguità, ribadendo con forza certamente la nostra estraneità, come comunisti anarchici, alla democrazia borghese e il nostro rifiuto, sempre e comunque, dell'elettorato passivo.
Senza voler fare qui il punto sull'elaborazione giuridica in materia di Costituzioni, ve ne sono di quelle che operano una fotografia dei rapporti sociali in un determinato paese (di questo tipo erano quelle delle cosiddette democrazie popolari), ve ne sono di "rigide" e di "flessibili". Ma ve ne sono altre che operano una proiezione evolutiva dei rapporti sociali, offrono cioè una prospettiva auspicabile e ragionevole di sviluppo del quadro di libertà e di garanzia dei diritti.

E' questo il caso della Costituzione italiana del 1948 che ha il pregio di essere nata da una lotta di popolo che ha visto anche la partecipazione degli anarchici e dei comunisti anarchici; ha il pregio di essere una Costituzione programmatica e progressiva, garantista sul piano delle libertà formali, antifascista, laica, portatrice di valori di trasformazione sociale nel senso dell'uguaglianza e del diritto al lavoro e alla equa retribuzione.

E' altrettanto noto che è oggi in preparazione un tentativo di modificazione di questa Costituzione, apparentemente limitato alla forma di Stato e alle forme di governo e di rappresentanza elettorale, ma più realisticamente diretto a colpire le libertà fondamentali.

Se dubbi possono sussistere sull'atteggiamento da prendere per alcuni comunisti anarchici quando le scelte riguardano assetti istituzionali, forma di Stato e forme di governo e di rappresentanza elettorale, certamente dubbi non dovrebbero essercene quando invece si tratta di mutamenti in ordine alla garanzie di libertà, ai problemi di tenuta del tessuto sociale.

La fase attuale in Italia e la strategia istituzionale della destra

E' in atto in questo paese un attacco programmatico esplicitato nel progetto politico della P2, purtroppo puntualmente realizzato, che segue una strategia e precisi obiettivi:

  1. il nucleo originario di un commando fascista di irriducibili, formato da infiltrati dietro le linee alleate durante la 2^ GM, con a capo Gelli, si guadagna l'accredito democratico e il perdono del PCI dell'epoca sopprimendo Silvano Fedi (anarchico) ed eliminando una delle più pericolose guide politico-militari partigiane che avrebbero potuto orientare l'azione di massa anche in periodi post-bellici;
  2. il gruppo eversivo fascista costruisce una solida catena di alleanze durante l'arco di 20 anni, infeudandosi con gruppi consimili e soprattutto con le istituzioni, riallacciando i legami con tutte quelle forze che dentro l'apparato dello Stato controllano ancora validamente centri nevralgici di potere. Il gruppo Gelli fa i conti con progetti concorrenti dello stesso segno (De Lorenzo-Segni, ecc.) sui quali prevale perché sostenuto da solidi supporti economici alla sua azione. Strategici i primi legami con la finanza vaticana nella prospettiva di destabilizzare i regimi dell'est europeo;
  3. negli anni '70 il gruppo eversivo può finalmente lanciare il suo programma politico che realizza nella prima fase con la strategia della tensione e lo stragismo;
  4. negli anni '80, conosciuto ormai come P2, si inserisce nel grande processo di degenerazione affaristica e speculativa della classe dirigente del paese, accentuandone gli aspetti e le attività di corruttela e malaffare;
  5. il gruppo eversivo si guadagna gli appoggi sul piano internazionale, supportando dal punto di vista economico (affare Calvi) l'attività di destabilizzazione dell'Est europeo e distruggendo quindi il sostegno internazionale di riferimento dei partiti comunisti;
  6. agli inizi degli anni '90 porta a compimento il progetto in Italia, attraverso lo smantellamento delle istituzioni e la realizzazione punto per punto del programma della P2 lanciato nel 1970.

Viene da chiedersi come qualcuno possa oggi dubitare che tale progetto si fermerà fino ad incidere solo sulla forma Stato e non proseguirà invece fino in fondo e coerentemente nel cercare di accelerare la progettata mutazione genetica dell'intera società italiana. 

Repubblica presidenziale e federalismo leghista

I due progetti appaiono apparentemente contraddittori ed antitetici ma sono in realtà, o possono essere, complementari. Vediamo perché.

Il ruolo e la funzione del presidenzialismo è troppo noto ed esplorato per doverci spendere parole. Certo esso rafforza i poteri dell'esecutivo ed è garanzia di unidirezionalità delle istituzioni e dello Stato.

Rimane da esplorare quella del federalismo leghista che si badi bene è graduato mediante diversi passaggi. Si accentuano i poteri regionali e locali, si fa tassazione locale e si mantengono le risorse negli ambiti regionali (federalismo fiscale) attenuando il meccanismo con un fondo di solidarietà interregionale. La conseguenza più immediata sono la differenziazione dei salari per zona, delle condizioni di lavoro, delle pensioni, del sistema sanitario, dell'istruzione, ecc. Significativa e illuminante la situazione del Belgio, non a caso ripetutamente citata come esempio dai leghisti, che affronta dopo le precedenti fasi di separazione delle strutture amministrative, culturali ed economiche il trauma della differenziazione in materia sanitaria e di sicurezza sociale.

Un progetto di questo genere, che avviene mutando le forme di governo e delle istituzioni borghesi, incide sulle condizioni di vita e di lavoro del proletariato, sulle forme di accumulazione del capitale; esso mira fra l'altro a sostituire valori come la solidarietà di classe con l'appartenenza etnica o regionale, linguistica, ecc. Tali modifiche sovrastrutturale incidono pesantemente e irreversibilmente sulla struttura economica e produttiva, nonché sociale: hanno cioè una valenza strutturale.

Se è così, sono terreno di intervento di una organizzazione di classe, proletaria su posizioni rivoluzionarie, comunista anarchica. Se mai il problema è quello di come intervenire.

L'attacco della sinistra istituzionale alla Costituzione materiale

La situazione è resa più drammatica dal fatto che l'attacco alla parte più delicata del patto costituzionale nato dalla Resistenza al fascismo è stato portato per iniziativa delle forze della sinistra istituzionale che hanno smantellato pezzo per pezzo la costituzione materiale, faticosamente realizzata in una lunga fase di lotte sociali che ha raggiunto il suo apice nella metà degli anni '70.

I governi Amato prima e quello Ciampi poi hanno portato un attacco a fondo alle conquiste dei lavoratori, alle loro condizioni di vita e di lavoro, alle garanzie di difesa della salute, del salario, del diritto alla pensione. Ne eravamo coscienti quando abbiamo dato ogni nostra energia alle mobilitazioni contro l'abolizione della scala mobile e alle lotte contro gli accordi di luglio.

Alla fine di questa stagione di scontri sociali il movimento operaio è uscito sconfitto e scompaginato, politicamente disarmato, privo di una strategia, fiaccato nelle sue capacità di risposta all'attacco padronale.

Le nostre prospettive di lavoro

Sono dispersi i grandi nuclei di classe operaia, scompaginata la grande fabbrica, attaccata la soggettività operaia, vi è crescente disoccupazione e cresce il lavoro precario che si conferma strutturale. Il carattere dominante di questa fase del governo della forza lavoro è la precarietà, l'incertezza del domani, la mobilità, lo sradicamento dal tessuto sociale produttivo e sociale.

La classe è divisa e senza alleati. Un abisso la separa dai ceti marginali non garantiti dei quali si alimenta anzi lo scontro con la classe operaia tradizionale. Cresce la contrapposizione con i ceti medi ed impiegatizi. Viene erosa e si ridimensiona notevolmente la classe media, ricacciata non tra il proletariato ma negli strati emarginati e marginali della società, alimentando spinte ad una difesa di stampo corporativo e fascista nel tentativo vano ma disperato di difendere la propria collocazione di classe. Si tratta infatti di una soggettività il cui impiego non è possibile in un mercato del lavoro operaio ma più facilmente nel mercato del lavoro fluttuante, instabile, periodico. L'identificazione di questi ceti con il neofascismo è storicamente dimostrata tanto più che un fossato divide lavoro pubblico e privato, mentre si diffonde razzismo, separatismo etnico, contrapposizione religiosa.

Per operare in un contesto così difficile, la sinistra non è attrezzata. Quella riformista non esiste; né quella rivoluzionaria, a cominciare da noi.

In questa situazione difendere una Costituzione borghese, peraltro tra le più avanzate d'Europa in campo sociale e dei diritti, una Costituzione per giunta programmatica, è un atto necessitato che merita il superamento da parte nostra di preclusioni teologiche, del tutto avulse da un'analisi materialista della fase storica, poiché prescinde da una valutazione dei rapporti di forza determinatisi.

Si tratta di impegnarsi insieme ad un movimento minoritario, ma che va crescendo, su una battaglia di difesa della Costituzione, dalla quale ripartire per riaggregare e rilanciare su posizioni più genuinamente di classe la nostra azione politica di comunisti anarchici.

Una scelta tattica dunque, se si guarda al particolare momento storico politico e al rapporto tra le classi oggi in Italia. Paradossalmente in certi momenti storici si è rivoluzionari se si è conservatori, in quanto la storia ci ha insegnato che è giunto il momento di superare "le verità" della teoria evoluzionista e del positivismo: non è vero che la storia è fatta di un costante sviluppo in meglio e non è purtroppo vero che "anarchico è il pensiero e verso l'anarchia va la storia" (Bovio).

L'anarchismo, la società futura libera della schiavitù del lavoro salariato possiamo costruirla solo lottando e modificando gli elementi strutturali - economici - in una direzione che favorisca il processo di aggregazione delle forze di classe, capace di attuare una svolta rivoluzionaria.

Perciò terreno di lavoro deve essere il chiarimento su questi temi ma soprattutto il rilancio della lotta di classe su tutte le tematiche specifiche, mediante l'impegno di ogni giorno.

Nella consapevolezza che il ciclo economico va mutando, ancora una volta dobbiamo sapere che l'ipotesi di dar vita a delle macroregioni satellitari ruotanti intorno all'economia tedesca segnerà il passo determinando una crisi di consenso intorno ad ipotesi di tipo leghista. Bisogna perciò approfittare dell'occasione per rendere consapevoli tutti che il regionalismo è un strumento inadeguato per avvicinare i centri di decisione e di potere ai cittadini e per permettere ad essi di controllarli, tanto più che, come sappiamo, è in atto un processo di concentrazione del capitale e dei centri decisionali che esercitano le scelte macroeconomiche, processo che si accentuerà invece di attenuarsi.

Ciò non esclude che in Italia una sinistra culturalmente arretrata, come quella che ci ritroviamo, pensi di rincorrere il regionalismo, sul suo stesso terreno, a volte essendo più realista del re, perché schiava di una cultura subalterna e priva di una capacità di lettura dei fenomeni a livello strutturale (vedi lavori della Bicamerale).

Dobbiamo aspirare ad essere punto di riferimento per una elaborazione veramente "di sinistra" e ciò può avvenire soltanto riportando la discussione e l'analisi sul rapporto tra forma di Stato e di governo e gestione economica, forme del capitale nella fase attuale di concentrazione, dobbiamo essere capaci di far emergere le contraddizioni, producendo un nostro progetto alternativo. Occorre lottare e spiegare, discutere e capire.