un vescovo, una città, un caso di usura...

Mo' speriamo che me la cavo

 

Le disavventure della Curia di Napoli e del suo vescovo hanno movimentato le cronache di fine estate. L'occasione è stata offerta da una convocazione dei giornalisti fatta dal Cardinale per documentare il grave attentato alla sua libertà, perpetrato da finanzieri e carabinieri, guidati dai magistrati della procura della repubblica di Lagonegro.

Erano alla ricerca di documenti relativi ad alcuni affari, assegni e contratti stipulati dal Vescovo o dalle Opere di religione della Diocesi, ente che gestisce i beni che essa possiede, nonché i proventi dell'’8 per mille, la tassa di religione che i cittadini pagano destinando una parte dell'IRPEF alla Chiesa cattolica.

In verità i magistrati questi documenti li avevano chiesti in via riservata in febbraio, ma il vescovo si era guardato bene dal rispondere. Questa volta invece, circondato l'edificio della Curia e bloccatene tutte le uscite, il magistrato, accompagnato da due uomini e alla presenza dei giornalisti chiamati dal presule per documentare la violenza della magistratura, è riuscito a farsi consegnare il materiale necessario alle indagini.

Da più parti si è gridato alla grave minaccia alla libertà della Chiesa cattolica, notoriamente oggetto di persecuzione in Italia, alla grave offesa ad un cittadino al di sopra di ogni sospetto, indagato per reati molto gravi come quello di usura.

A non piacciono né i magistrati, né i preti ne tanto meno i poliziotti e perciò la tentazione sarebbe quella di dire: "fatti loro". E invece questa volta non possiamo liquidare la faccenda così.

Le "Opere di religione"

Il caso del vescovo di Napoli presenta infatti aspetti inquietanti sotto due diversi profili:

  1. L'uomo è di quelli importanti: legato agli ambienti della destra, amico dell'ex politico democristiano Colombo, gode della stima e dell'amicizia dell'attuale sindaco di Napoli Bassolino, che si sta specializzando nel bacio alle ampolle contenenti il "sangue" di San Gennaro. Ma il vescovo di Napoli, attraverso il suo amico mons. De Bonis, ex vice presidente dell'IOR - Istituto Opere di Religione - durante la gestione Marcinkus. Oggi il Cardinale è membro autorevole della CEI - Conferenza Episcopale Italiana.
  2. La curia di Napoli è la terza d'Italia per patrimonio e gestisce un volume di affari notevole: come le indagini hanno dimostrato - ci limitiamo ai fatti certi - si tratta di ristrutturazioni edilizie senza autorizzazioni, investimenti in titoli, ecc. che sono finalizzati a gestire al meglio non solo il patrimonio ecclesiastico, ma anche una massa monetaria enorme che annualmente si riversa sulla Curia dalla CEI, proveniente dai fedeli e non solo da quelli consenzienti, perché il sistema dell'8 per mille è costruito in modo che una parte dei soldi di chi non destina a nessuno tale quota vada comunque alla Chiesa cattolica.

L'intervento della magistratura mette il naso in questo delicato ingranaggio e rischia di far emergere una attività fatta di speculazioni che, se conosciute, discrediterebbero notevolmente la Chiesa. Perciò la CEI ha gridato alla persecuzione e si è schierata quasi compatta in difesa del vescovo.

C'è il pericolo che i cittadini, disgustati, decidano di dare un'altra destinazione a queste somme.

Complicazioni internazionali

Il caso è stato anche oggetto di una nota diplomatica della Santa Sede al Governo italiano. Per la Chiesa cattolica sarebbe stato violato il Concordato conferendo un'eccessiva spettacolarità all'intervento della magistratura e soprattutto non provvedendo - come prevede l'art. 2. B. del protocollo addizionale all'accordo di Villa Madama (leggi nuovo concordato) ad informare l'autorità ecclesiastica superiore - il Pontefice - di quanto stava avvenendo. La norma citata stabilisce infatti che : "La Repubblica italiana assicura che l'autorità giudiziaria darà comunicazione all'autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici".

Da parte loro i giudici sostengono di avere informato il cittadino italiano Michele Giordano delle indagini in corso ma di non aver informato l'autorità ecclesiastica superiore poiché non era e non è ancora in corso alcun "procedimento penale" verso un ecclesiastico - Giordano, appunto.

Il cardinale risponde rivendicando una sorta di immunità della sua persona perché in possesso di passaporto diplomatico dello Stato Città del Vaticano e rivendicando l'illegittimità della perquisizione in Curia, che a suo dire godrebbe di una sorta di extraterritorialità.

Il vescovo ha ragione

Le ragioni dei magistrati sono tecnicamente ineccepibili, tanto che lo Stato italiano e la Sante Sede hanno affidato ad una commissione lo studio dell'adeguamento del Concordato del 1984 al nuovo codice di procedura penale.

I magistrati hanno certamente ragione quando rivendicano il loro diritto di perquisire la Curia. Essa infatti non è un edificio di culto, ma un complesso di uffici e pertanto le garanzie che il vescovo rivendica, previste dall'art. 5 del Concordato di Villa Madama, per le Chiese, non si applicano a questui locali.

Essere titolare di un passaporto diplomatico non fa di per se di chi lo possiede un cittadino di Stato estero e soprattutto non lo rende immune da indagini dell'autorità giudiziaria o da provvedimenti da essa emanati.

Ma noi siamo d’accordo con il vescovo.

Ci piace pensare che le Chiese godano di extraterritorialità, siano cioè un pezzo di uno Stato estero in Italia e che soprattutto lui, il vescovo, ma anche i suoi parroci e tutto il clero siano cittadini di un altro Stato. Ci sentiremmo tutti più liberi.

Per quanto riguarda lui, dubitando che venga comunque condannato anche se colpevole, potremmo almeno chiederne l'espulsione dal territorio dello Stato perché … indesiderato!

Michele Giordano

 

da Alternativa Libertaria - novembre 1998, giornale della FdCA