Argentina: le imprese recuperate
In Argentina, tra gli 8 e i 10.000 posti di lavoro sono stati salvati dai lavoratori e dalle lavoratrici nelle imprese recuperate e rimesse in funzione dai loro stessi operai/e, mentre anche la crisi finanziaria di dicembre 2001 aveva spinto i padroni ad abbandonarle alla loro sorte. Questa esperienza costituisce uno dei fenomeni sociali più evidenti dalla rivolta popolare del 19 e 20 dicembre 2001.
Sebbene non costituiscano un movimento unico e facciano coesistere al loro interno proposte ed esperienze differenti, le imprese recuperate dai loro operai sono alla ricerca di un progetto politico che le sia proprio, e cominciano a imporre le loro rivendicazioni sul piano istituzionale. Mentre il governo annuncia un leggero miglioramento economico, l'Argentina continua a sopportare un tasso di disoccupazione del 21%. 21 milioni di Argentini/e vivono al di sotto della soglia di povertà, quasi 10 milioni vivono nella miseria, il 70% dei nuclei familiari vivono con dei redditi inferiori ai 250 euro ed un salario reale del 54% inferiore a quello del 1975.
Questo è il risultato di un processo d'impoverimento, di disoccupazione e di cessione delle principali leve dell'economia ai monopoli finanziari del capitale, iniziato con la dittatura del 1976. Una dittatura responsabile dello sterminio di una generazione di militanti, di studenti/esse, di operai/e e di membri combattivi dei movimenti popolari. A questo occorre aggiungere il ruolo de-mobilizzatore giocato dalla burocrazia sindacale.
Non di meno, a partire dalla costruzione delle prime organizzazioni di disoccupati, ma anche dell'occupazione di qualche fabbrica rimessa in funzione dai lavoratori nella seconda metà degli anni '90, la classe operaia ha cominciato a cercare delle risposte.
In generale, la necessità di organizzarsi è sorta al momento della chiusura o della fuga dei padroni, in seguito ai licenziamenti, alla sospensione di attività ed in un contesto d'isolamento di fronte ai rispettivi sindacati. "A noi lavoratori ci pagavano dei salari in nero dal 1995. Negli ultimi mesi venivamo pagati tra gli 0,87 e i 1,50 euro a settimana." È la situazione che descrivono i compagni e le compagne di tutte le fabbriche recuperate.
L'appoggio permanente delle assemblee popolari, delle organizzazioni dei disoccupati, degli studenti/esse, dei lavoratori/trici di altre imprese e sin anche dei quartieri coinvolti dimostra l'importanza del principio incrollabile della solidarietà di classe.
Il quadro generale e particolare in cui si svolgono questi recuperi di fabbriche è la difesa del mondo del lavoro: con le imprese recuperate, almeno, questi lavoratori/trici hanno recuperato un lavoro autentico, hanno eliminato le gerarchie nella maggioranza dei collettivi di lavoro, hanno instaurato dei regimi di redistribuzione equa dei redditi e si uniscono nei momenti di resistenza. Anche nel movimento nazionale delle imprese recuperate esistono differenti concezioni dell'autogestione. Una prima corrente incoraggia la formazione di coopérative e l'utilizzo dei profitti per generare un'attività produttiva. La seconda spinge per "la statalizzazione delle imprese sotto controllo operaio" e vuole che i profitti siano versati alla collettività.
In questo contesto diverse correnti della sinistra hanno tentato di porre il dibattito che oppone i partigiani/e della cooperativa a quelli/e del controllo operaio. "Noi lottiamo per la statalizzazione non vogliamo cooperative perché non vogliamo la chimera della concorrenza..." precisava Celia Martínez della commissione interna della Brukman confondendo la semplice forma legale della cooperativa, necessaria per condurre in porto l'espropriazione con la prospettiva politica del cooperativismo.
La sua proposta consiste nell'esigere l'espropriazione senza indennizzo, che lo Stato apporti senza rimborso un capitale iniziale, che si incarichi del pagamento dei salari e che in nessun caso acquisti la produzione. Che lo Stato paghi e che gli operai gestiscano e pianifichino. L'espropriazione ha come condizione che i lavoratori/trici adottino una forma legale come ad esempio la cooperativa. Brukman, Zanon, Ghelco, Panificación 5, Grisinopolis, tante quante le 150 imprese recuperate hanno adottato questa forma.
Ma esigere dallo Stato borghese che ceda le fabbriche ai lavoratori/trici, assicuri il pagamento dei salari, fornisca il capitale iniziale, quando proprio questo stesso Stato è stato il motore della situazione alla quale sono arrivati questi lavoratori/trici, è una illusione. D’altra parte, il cooperativismo non è un progetto che permette di dare una soluzione di fondo alla situazione dei lavoratori/trici, perché non mette in nessun momento in causa i rapporti di produzione capitalistica, permettendo al massimo di creare un sottosistema parallelo al capitalismo.
L'idea della gestione operaia della produzione e della società implica che l'unico potere nella società rivoluzionaria sia quello delle organizzazioni della classe operaia. Questa gestione operaia dev'essere intesa come l'abolizione di ogni potere esercitato da una minoranza, l'abolizione del potere borghese come quella di ogni manifestazione dello Stato. I lavoratori e le lavoratrici non devono assumere soltanto la gestione operaia delle aziende agricole, delle fabbriche e delle officine ma, ugualmente, dell'insieme della società.
Organisación Socialista Libertaria, Argentina
da Alternativa Libertaria - settembre 2004, foglio telematico della FdCA