Genova 2001-2003

 

“Noi che abbiamo visto Genova...” cantava qualcuno tanti anni fa.

Qualcuno di noi che abbiamo visto Genova dice di non essere più lo stesso, dice che a Genova, ormai due anni fa, è finita un’epoca e ne è cominciata un’altra. Chissà. Cicli di lotta cominciano e finiscono, e per fortuna ricominciano, come la fenice dalle proprie ceneri. E non si intende negare che il G8 del 2001 sia stato un punto di svolta, di rottura, per il movimento italiano. Non tanto da un punto di vista emotivo: che la polizia faccia il suo sporco lavoro nel peggior modo possibile, che in Italia la gestione della piazza metta disinvoltamente in campo la ricerca del morto (troppi compagni e compagne abbiamo dovuto
piangere negli anni di questa cosiddetta repubblica), che l’assoluta impunità, a due anni di distanza, sia stata sancita sono cose purtroppo che non possono meravigliare più di tanto.

Né, purtroppo, possiamo dire di avere assistito a un salto di qualità del cosiddetto “Movimento dei Movimenti”, che si è dimostrato, al di là del tono pomposo con cui parla di sé con le maiuscole, assolutamente non in grado di reggere lo scontro, né quello di piazza, che pure aveva pensato di poter gestire, né quello politico successivo: troppa fretta di nominare condottieri e legioni, sperando potessero bastare alcune parole d’ordine per raccogliere tutti e tutte, ordinatamente sotto lo stendardo sventolante e (possibilmente) vittorioso. Anzi, la repressione ha colpito duramente, in questi due anni, e soprattutto al Sud, dove più di altrove la rivolta valoriale si salda alla protesta concreta per il lavoro, per le condizioni di vita.

E invece il movimento esiste, e resiste, nonostante l’evidente incapacità politica dei suoi cosiddetti portavoce, nonostante la fiamma che lo anima a volte sembra resistere a stento alle vigorose sventolate di ossigeno con cui maldestramente Rifondazione tenta di soffiare sul fuoco, nonostante l’arrembaggio alla carovana da parte di ulivisti e democratici rassicurati dalla presenza dei laburisti a Porto Alegre.

Ci si confronta e si ignora, si combattono insieme battaglie dividendosi aspramente su questioni anche dirimenti, ci si butta a capofitto su battaglie che altri reputano perse in partenza, ma che poi appoggiano tiepidamente per onore di causa, e contemporaneamente si fiancheggiano tiepidamente gli entusiasmi di altri per questioni a nostro avviso piuttosto secondarie ma su cui, purtuttavia, non li si lascia del tutto soli.

Perché quello che Genova ha veramente lasciato, forse, è stato quello di tornare ciascuno nella propria città, nel proprio paese, e riconoscerci, e capire che era ora di uscire allo scoperto e di riprendere voce direttamente, e discutere su progetti e problematiche concrete, privilegiando e sperimentando pratiche orizzontali e trasversali. E su questi progetti, e su questi metodi, la voce e il contributo di anarchic* e libertari/e non può mancare. Non deve.


da Alternativa Libertaria - luglio 2003, foglio telematico della FdCA